Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: iron_spider    10/09/2019    2 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 7: Marcire


 
 
Peter sta sognando.

Tutto sembra pesante, come se stesse affondando sotto una coperta legata a dei pesi, inseguendo la coda di un sonno profondo. Vede Tony e qualcun altro seduti su una panchina nel parco, in un posto che sembra il Memoriale nel Distretto Dodici. Si avvicina, facendosi largo tra la nebbia, e vede che Tony sta parlando con… Ben. Ben, prima che si ammalasse, prima che le miniere lo portassero a una fine prematura. Li vede ridere, vede Tony che dà una pacca sulla schiena a Ben. Peter trattiene il respiro, coi brividi che gli scuotono le braccia, e sfreccia in avanti, cercando di raggiungerli. Corre e corre finché non impatta contro un muro invisibile… duro, come una finestra.

Lo schermo di un televisore.

Grida, ma non ha voce. Non lo sentono.

No, Peter! implora la voce di May, dappertutto. No, Peter, ti prego!

“May?” chiama Peter, ruotando su se stesso, e la scena attorno a lui rimpicciolisce, diventa distante. Tony e Ben sono due capocchie di spillo adesso, e per quanto Peter corra non può raggiungerli, non può trovare May.

Abbatte i pugni sullo schermo e vede tutti i volti di Capitol che ridono, additandolo.

“Fatemi uscire!” urla. “Fatemi uscire, fatemi uscire!”

 
§

 
Si sveglia di soprassalto, e sussulta per il dolore pulsante alla testa.

“Cristo Santo,” dice la voce di Tony, da qualche parte dietro di lui. “Iniziavo a pensare che non ti saresti mai svegliato. Mi hai spaventato a morte, ero pronto a lanciarti addosso un secchio d’acqua.”

“Oddio,” si lamenta Peter, coprendosi il volto con le mani. “Troppa luce. Troppo… tutto.

“Sì, mi sento già uno schifo,” replica Tony. “E Janet mi odia. Michelle ti ha vegliato per un po’, questo dovrebbe farti sentire meglio.”

“Oddio,” gracchia di nuovo Peter, perché tutta la sua testa sembra avviluppata in una morsa viziosa. “Loro dove sono?”

“Si stanno allenando,” risponde Tony. “Janet l’ha trascinata via da qui.”

“Che ora è?” chiede ancora.

“Le undici di mattina,” risponde lui, e Peter lo sente avvicinarsi. “Abbiamo mancato un’intervista e l’ho rimandata, ma questo pomeriggio c’è quella dannata festa in giardino, quindi dobbiamo liberarci della sbornia prima di subito.”

“Merda,” impreca Peter, ricordando vagamente di averla letta sul programma. Ad essere sincero, gli aveva dato solo un’occhiata, perché lo turbava terribilmente. “È oggi?”

“Già,” conferma Tony, e adesso è proprio accanto a lui, mentre posa quelli che suonano come un piatto e dei bicchieri sul tavolino da caffè. È bizzarro, ma dormire qui sul divano è quanto di più simile ci sia stato a dormire a casa. Tony si sporge verso di lui, gli dà una pacca sul polso e Peter scosta le mani dal volto, fissandolo. “Scusa, scusa,” dice Tony, inclinando la testa con evidente preoccupazione negli occhi. “Sono uno stronzo. Mai più. Niente più alcool per i ragnetti.”

“Non è colpa tua,” replica Peter, emettendo un lamento mentre cerca di alzarsi a sedere. Tony lo aiuta e lui sussulta, sentendosi sul punto di rimettere. “È stato bello.”

“No.”

“È andata bene.”

“No.”

“La vodka è la mia preferita.”

Peter osserva Tony raddrizzarsi e alzare gli occhi al cielo. Ricorda la maggior parte del suo torpore alcolico, e sa che l’ha reso dieci volte più fastidioso, e dieci volte più emotivo. Ha un’ondata di senso di colpa, sapendo quanto sia dura la lotta di Tony contro l’alcool, e sapendo che ha fatto sentire in colpa lui per aver ceduto alla sua richiesta. Il cervello di Peter è in sovraccarico per mille motivi, al punto che non vuole più sapere nulla, e si asciuga gli occhi cercando di rimanere lucido. Tony gli ha portato il piatto della colazione: due muffin ai mirtilli, una banana, e un ottimo tentativo di omelette. Un grosso bicchier d’acqua e due antidolorifici sul bordo del piatto.

“Ehi,” lo chiama Peter, da sopra la spalla. “Smetto di bere se tu smetti di bere.”

Tony si volta, socchiudendo gli occhi.

Peter cambia tattica. Una in cui magari non crede, una a cui il suo mal di testa si oppone, ma la mette comunque in atto. “E intendo dopo i Giochi,” continua. “Quando sarà tutto finito. Non berrò più e… e anche tu non berrai più.”

Tony lo fissa, con gli occhi un po’ lucidi e un sorriso triste e sbilenco che gli affiora sul volto. Torna verso di lui e gli tende la mano. “Affare fatto?” chiede.

Peter gli stringe la mano senza esitare, e l’affare è fatto. Non ha alcun piano per Dopo i Giochi, non si è immaginato il filo della propria vita che continua dopo l’arena, ma ora ha un piano. Il che gli fa pensare al piano.

“Mangia tutto,” lo incita Tony. “Quella mi è venuta piuttosto bene.” Se ne va di nuovo, e Peter lo sente schiarirsi la gola. “Quindi… uh, hai pensato a quel che ti ho detto?” chiede, dando conferma che sono ancora sulla stessa lunghezza d’onda. “Cosa, uh… la cosa. Con Thor.”

Il suo cervello ubriaco si era immerso in quel mondo. Dove aveva detto di sì al piano… e poi aveva riprodotto tutti gli scenari possibili. È morto, in molti di essi. E in alcuni – molto pochi – le cose avevano funzionato. Per quanto possano funzionare delle ribellioni di rinnegati.

Il suo cervello sobrio, però, è inceppato e paralizzato dalla paura. Il mal di testa non aiuta. Tutto gli sembra troppo grande, troppo fuori dal mondo per essere reale. Chi mai potrebbe volere lui come volto di una ribellione? Una ribellione mirata a rovesciare un governo incredibilmente potente, sadico e disposto a fare di tutto per rimanere al comando? Tutti sanno cosa hanno fatto agli albori, come hanno cancellato dall’esistenza il Tredici con le loro stesse armi, e nessuno vuole che accada di nuovo.

Peter capisce la necessità, la volontà di sfuggire allo stivale di Capitol. Vuole farlo, con tutto se stesso – vuole mettere fine a questo, salvare tutti coloro che sono imprigionati nel ruolo di Tributi, vuole rimettere in libertà tutti i Vincitori, vuole dare ai Distretti la pace che meritano. Vuole vivere. Ma diventare il volto della ribellione? Non sa se sarà abbastanza forte. Non vuole deludere nessuno, in nessuno dei numerosi modi in cui potrebbe farlo. E se sarà in quella posizione, se sarà quella persona… May e Ned sarebbero in pericolo. E non può permetterlo. Non loro, non Tony, non MJ o Janet o Sam. Deve essere certo che siano al sicuro.

“Pete.”

“Sì,” risponde lui, riscuotendosi dal panico. “Uh. Non riesco… il mio cervello non riesce a comprenderlo. Non lo so. Non lo so.”

“Sei tu a decidere,” dice Tony, rientrando nella stanza e sedendosi sull’altro divano.

Peter sospira, spostandosi sul pavimento e mettendosi più vicino al tavolino da caffè. Prende un morso di uno dei muffin. “Non mi sembra proprio,” risponde poi. “Se voglio vivere devo… devo stare con loro. Diventare… ciò che vogliono che sia.”

“Potresti… fare le cose normalmente,” propone Tony, senza guardarlo.

Peter scuote la testa. “Non– non ucciderò nessuno. Non di proposito. E non– anche se non fossi coinvolto, non… non li fermerei.”

“Ti recluterebbero comunque,” ribatte Tony. “O ci proverebbero. Ti immagini le ripercussioni, se non lo facessero? Nessuno si schiererebbe con loro.”

“Non riesco a immaginarlo, perché non lo capisco, e non lo capirò mai,” dice Peter, con la bocca piena di muffin.

Tony gli sorride, scuotendo la testa. Si guarda le mani, sembra voler dire qualcosa e poi ci ripensa.

“So che dovremmo dirglielo presto,” riprende Peter, e prende un sorso d’acqua, preparandosi a prendere gli antidolorifici. “Voglio solo… voglio pensare… voglio mettere ordine nella mia testa, oggi. Se… se posso.”

“Certo,” gli accorda Tony.

Peter sospira. Manda giù gli antidolorifici e, anche se c’è silenzio, si perde nel frastuono dei propri pensieri. Prende un boccone dell’omelette e ripensa a come è finito qui – qui, in un posto che non si era mai immaginato ma che era sempre stato in agguato, alla soglia di ogni giorno.

Ripensa a tutto il tempo con Ben, a tutto quello senza di lui, a quanto May fosse sempre sembrata persa, dopo. Si chiede come stia ora, cosa stia facendo, se stia passando del tempo con Ned. Gli manca, gli mancano i suoi abbracci, la forza che gli trasmette anche solo standogli vicino. Cerca di immaginarsela senza di lui, per il resto della sua vita. Sola, sola in quella casa, sola nei suoi pensieri e nei suoi discorsi. E lui verrebbe messo da parte: si dimenticherebbero di lui, delle dichiarazioni d’amore nei suoi confronti, e solo May ricorderebbe. May, Ned, Tony e Janet.

Il cuore gli batte contro le costole, e alza lo sguardo su Tony. “Una volta hai detto che… che hai parlato con May,” comincia. “Al… al Municipio.”

Tony annuisce, sempre senza incontrare i suoi occhi.

“Cosa ti ha, uh– posso immaginarlo, ma, uh… cosa ti ha detto?” chiede Peter, desiderando di poter di nuovo sentire la sua voce. Di poter vedere loro due insieme.

Tony sembra riflettere tra sé, con gli occhi fissi su cose che Peter non può vedere, e poi finalmente lo guarda. “Mi ha detto qualcosa d’importante,” dice. “Mi ha… ricordato qualcosa che è successo molto… molto tempo fa, qualcosa… beh, qualcosa d’importante.”

“Cosa?” chiede Peter, inclinando la testa. “Cosa potrebbe sapere May di te che…”

“Credo che potresti ricordartelo,” dice Tony, congiungendo le mani. “È lì, da qualche parte.”

Peter scuote il capo, senza capire.

Tony sorride appena. “Uh, May… May mi ha ricordato del momento del, uh, del mio Homecoming. Tempo fa. Quando hanno trascinato fuori tutto il Distretto per il Vincitore, per accoglierlo e festeggiare il ritorno a casa del Tributo. Non ne avevamo avuto uno da Janet, e il Distretto era… comprensibilmente, uh, euforico. Ma è stato subito dopo che avevano ucciso i miei genitori, ucciso Pepper, mi avevano fatto vedere– i corpi e io, uh… non ero chi volevano che fossi. Non ero pieno di vita e non mi sbracciavo per festeggiare la vittoria e… e…”

Gli torna in mente. È sgranato, come una vecchia pellicola. “Ero–” trattiene un respiro. “Ero… ero lì. Ero piccolo.”

“Avevi quattro anni,” dice Tony, e il suo sorriso si allarga.

Peter si ricorda. Era lì di fronte alla folla. Vedeva l’uomo – Tony – che chiamavano Iron Man. Non capiva molto, ma aveva capito che gli stavano facendo del male. Aveva capito che l’uomo era triste. Aveva capito che rimaneva in piedi, quando volevano chiaramente gettarlo a terra.

“Ti ricordi?” chiede Tony, sollevando le sopracciglia. “Non ero sicuro che ci saresti riuscito, insomma, io non ricordo nulla di quando avevo quattro anni…”

“Ti ho chiamato eroe,” dice Peter. “Hai detto che non lo eri.”

“Ho sempre pensato che si dovesse essere sinceri coi bambini.”

Peter scuote la testa. “Lo eri. Lo sei.”

Tony distoglie lo sguardo, come se sapesse che contraddirlo non porterebbe da nessuna parte. “Sei stato la prima persona ad abbracciarmi da… da, uh, Rhodey,” rivela Tony. “Hanno tenuto Janet lontana da me fino al treno, e lei sapeva già cosa avessero fatto, quindi ha… si è tenuta a distanza, mi ha dato solo un bacio sulla fronte, ma tu… quel bambino di quattro anni, che non mi conosceva… cavolo, ragazzo, tu… sei tu l’eroe. Mi hai salvato la vita e non lo sapevi nemmeno. Perché se non ci fossi stato tu, se non avessi… creato quel momento, non… non penso che sarei ancora qui. Non penso davvero.”

Peter deglutisce a fatica, con occhi tirati.

“Quindi, May me l’ha ricordato,” dice Tony, alzandosi in piedi come se stesse per uscire dalla stanza. “Perché è una donna intelligente. Tu mi hai riscosso dal torpore allora, e sapeva che… rispolverare quel ricordo avrebbe sortito lo stesso effetto, di nuovo.”

“Sei un eroe, Iron Man.” Peter lo strinse forte, perché forse, se l’avesse fatto, non l’avrebbero ferito di nuovo. Forse, se l’avesse fatto, sarebbe stato al sicuro. Tony. May aveva detto che il suo nome era Tony.
“Bimbo, non sono–”
“Sei un eroe,” ripeté Peter, strizzando con forza gli occhi. Poteva sentire May dietro di lui, vicina, sentiva la voce di Ben, e sapeva che l’avrebbero detto a Mamma e Papà quando sarebbero tornati a casa. Gli salirono le lacrime, e strinse più forte.
Iron Man lo abbracciò.

Si mette di corsa in piedi, facendo tintinnare la forchetta sul tavolino. Raggiunge Tony prima che possa fare un altro passo e si lancia in un abbraccio spaccaossa, uno specchio di quello che hanno condiviso così tanti anni fa. Quel ricordo aleggiava da tempo nei recessi della sua mente, un qualcosa che credeva di aver inventato, e che non riesce a credere sia vero. È vero. È accaduto. Anche Tony lo ricorda. E Peter non sta elaborando con chiarezza tutto ciò che sta succedendo adesso, né quello che ha sottinteso Tony riguardo a ciò che sarebbe successo se lui non fosse stato lì: lo abbraccia e basta, senza lasciarlo andare.

“Sono stato parte di questo orrore fin troppo a lungo,” dice Tony, stringendolo a sua volta. “May… mi ha detto di non deluderti, e non ho intenzione di farlo. Quindi, se non ci piace il piano, ci inventeremo qualcos’altro. Qualcosa che funzionerà.”

“Okay,” esala Peter, aggrappandosi a lui con forza. Per la prima volta, il futuro non lo schiaccia, e il passato non gli strattona il cuore. È nel presente, e sente speranza.

La porta d’ingresso si apre, ma Peter non si stacca.

“Oh, Cristo,” dice la voce di Janet. “Non ditemi che voi due state bevendo di nuovo. Non ditemelo. Svuotare il minibar non vi bastava?”

“No, non stiamo bevendo, questo è… è il doposbornia,” dice Tony, dando delle pacche sulla schiena di Peter. “Abbiamo, uh… abbiamo finito di bere, vero Pete?”

“Vero,” replica Peter. Si scosta da lui, asciugandosi il volto. Vede con la coda dell’occhio Michelle, con la divisa da allenamento addosso, i riccioli che le cadono sugli occhi, e forse pensa un po’ troppo in là nel futuro. Forse ha troppa speranza.

“Venite qui,” dice Tony, facendo loro cenno. “Abbraccio di gruppo. Hammer, anche tu.”

“Oh, wow, davvero?” replica lui, lasciando cadere la sua borsa nell’ingresso. “Non me lo faccio ripetere.”

I tre si avvicinano, e Peter sorride quando MJ assottiglia gli occhi nella sua direzione.

“Questo mi sembra decisamente un comportamento da sbronzi,” osserva, scambiando un’occhiata con Janet.

“Non lo è,” dice Tony, attirando di nuovo a sé Peter e sbuffando quando Hammer gli si appiccica addosso. “A volte gli abbracci di gruppo sono terapeutici.”

“Non sapevo neanche che conoscessi quella parola,” commenta Janet, unendosi a loro.

“Merda, se c’è qualcuno che ha bisogno di terapia, siamo noi,” ribatte Tony. “Capitol dovrebbe provvedere. Renderla accessibile.”

“Come no,” risponde Janet, sporgendosi per posargli un bacio sulla guancia. “Lo è solo per le casalinghe coi capelli blu che sono insoddisfatte per il colore delle loro vesti.”

Peter allunga la mano verso MJ, e lei la prende, cercando chiaramente di non sorridere. Si avvicinano l’uno all’altro; Hammer dà una pacca sulla schiena a Peter, e MJ nasconde il volto nel suo collo, facendo fare capriole al suo stomaco.

“Qualunque cosa succeda, siamo una squadra,” afferma Tony, con un sospiro. “È questo che siamo. Siamo una squadra, dannazione.”

 
§

 
Sam fornisce loro dei vestiti formali, non più così simili a dei costumi come gli outfit degli altri eventi, anche se Peter sfoggia ancora un gilet rosso sotto la giacca. All’inizio quel colore gli aveva fatto paura, gli sembrava un rischio, era l’opposto di come si immaginava in passato, ma adesso gli garantisce una sorta di potenza, un tipo di fiducia in sé che non credeva di poter sentire.

Hammer guida il loro gruppo lungo una strada di ciottoli verso la villa del Presidente. Peter non l’ha mai vista prima: hanno mostrato solo determinate stanza per i tanti appelli di Stane alla nazione, e si sente molto come quando ha visto per la prima volta il Centro Tributi, solo che questa volta la sua rabbia è più viscerale. La villa di Stane è probabilmente più grande dell’intero Distretto Dodici. Ci sono dei diamanti appesi agli alberi di ciliegi in fiore, come addobbi natalizi. Non sono neanche entrati, e tutto è già più che sfarzoso.

Peter scrolla il capo, lanciando un’occhiata a MJ.

“Dovremmo intascarci un paio di quei diamanti,” dice lei, allungando una mano per farne ondeggiare uno col dito. “Scommetto che cinque potrebbero sistemare a vita entrambe le nostre famiglie.”

“Io non proverei a rubare nulla,” dice Hammer, rivolgendo loro uno sguardo. “Un accompagnatore del Quattro l’ha fatto un paio d’anni fa. Gli hanno quasi staccato la schiena a frustate.”

Peter sente la pelle d’oca lungo la spina dorsale, e scuote la testa.

“Raggrupperanno i fan al cancello sul retro, vicino al centro della festa,” continua Hammer. “Chiunque si avvicini per salutare farà bella figura. E ovviamente, voglio che voi due facciate bella figura.”

“Ricordacelo,” dice Peter. Lancia uno sguardo a Tony e Janet, e si chiede se lui l'abbia già informata. La sua ansia si sta amplificando solo a stare così vicino a MJ senza condividere con lei il piano. Se deciderà di metterlo in atto, dovrà essere a bordo anche lei. Non se ne andrà senza di lei.

“Non preoccuparti,” replica Hammer. “Lo farò.”

 
§

 
Quando iniziano a distribuire le bevande, Peter si assicura di prendere qualcosa di analcolico.

Gli interni sono più sontuosi di quanto avesse mai immaginato, più di quanto abbiano mai mostrato loro in TV, e Peter sa, più che mai, che sono in territorio nemico. Questa è la casa di Stane, è a una festa in giardino nella casa del Presidente, e si ferma ogni pochi passi per fare una foto con qualcuno, per essere presentato al figlio di qualcun altro, per ricevere regali che potrebbe o meno avere il permesso di usare per difendersi quando dovrà andare nell’arena a fine mese. È pura follia.

Cerca di estraniarsi da se stesso. Cerca di essere qualcun altro. Cerca di essere il Peter che vedono. Il Peter in cui la gente potrebbe credere. Una versione diversa di se stesso.

Si avvicina a Carol Danvers e dice qualcosa di stupido.

“Conosco il tuo gatto.”

Lei ha in mano una piccola brioche agli spinaci e si ferma a metà morso, sorridendogli. “Credo che la maggior parte della gente lo conosca,” dice, mettendo in bocca il resto della brioche. “Insomma. Parlo di lei abbastanza spesso.”

“No, voglio dire… ho incontrato– sono andato in giro col tuo gatto.” Si schiarisce la gola, guarda fuori dalla finestra, nel roseto. Fuori vede Janet, intenta a parlare con Scott Lang.

“Ah, sì?” chiede Carol. “Mi chiedo sempre dove si vada a cacciare. Va molto in giro.”

“Non avevo mai pensato di poterti incontrare davvero,” dice Peter. “Ma pensavo che fosse buffo che, uh, insomma– mi sentivo forte, se piacevo al gatto di un Vincitore.”

Lei alza un sopracciglio verso di lui. “E guardati ora.”

“Anche a mio fratello piacciono i gatti,” dice Shuri, facendo la sua comparsa accanto alla spalla di Peter. “Anche troppo, mi sa.”

Peter la guarda, e si sente scaldare vicino alla sua indole solare. “Vorrei che fossimo alleati,” dice, senza pensare. “Tu, io, MJ– Michelle.”

Shuri ha un’aria sorpresa, e scambia un’occhiata con Carol.

“Hai… parlato con Tony?”

Peter non sa cosa dire, e deglutisce a forza. Deve imparare a tenere a bada le proprie emozioni, specialmente quando lo spingono a dire cose prima di averle ponderate. “Uh… non ho– non gliel’ho ancora chiesto, ci stavo solo pensando.”

“Certo,” risponde Shuri. “M’Baku e io saremmo lieti di allearci con voi due. Beh, lui non vuole allearsi con nessuno, ma può essere convinto.”

Peter annuisce, lanciando di nuovo uno sguardo all’esterno.

“Io parlo con Tony, va bene?” gli chiede Carol, con occhi gentili.

Peter sa che anche lei ne fa parte. Il suo intero gruppo. Le fa un cenno di rimando, col cuore che gli batte troppo forte nelle orecchie.

Parla con qualche altro ammiratore di Capitol, discute con uno sponsor di nome Mordo riguardo a quello che potrebbe inviargli nell’arena alla prima occasione utile. Mangia troppo, vaga qua e là come un idiota, temendo ogni secondo di trovarsi nel campo visivo di Stane. È nella sua casa, è nella sua casa, deve essere pronto a vederlo dal vivo. Ma il solo pensiero lo riempie di terrore, abbastanza da paralizzarlo, e continua a guardarsi intorno in cerca di Tony o MJ.

“Sembri un po’ perso,” dice Natasha, arrivandogli alle spalle mentre gironzola nella biblioteca. Tiene il bicchiere come fosse un’arma, ma Peter conclude che qualunque cosa, nelle sue mani, potrebbe essere utilizzata come tale.

“Questo posto è così grande e c’è… così tanta gente,” dice Peter. Realizza di avere ancora un uovo ripieno in mano e se lo ficca in bocca, sospirando.

“Oh, non sei mai stato nella villa di un Presidente prima d’ora?” chiede lei, sorridendo. “Clint – mio marito – una volta è stato qui. Per delle ristrutturazioni nell’ala ovest.”

Peter non nasconde la sua sorpresa. “Non… non sapevo che fossi sposata.”

“E perché avresti dovuto?” dice lei, ma non c’è durezza nella sua voce. Si avvicina, si ferma accanto a lui e lascia scorrere brevemente la mano libera sulle rilegature di pelle dei volumi, che sembrano dizionari. “Faceva tiro con l’arco, nelle gare che organizzavano. Aveva un’amica con cui lavorava, si chiamava Kate… è stata mietuta un paio d’anni fa. Non so se ti ricordi.”

“Kate Bishop?” [1]

Natasha annuisce. “L’anno di Kamala.” Punta lo sguardo sulla parete opposta. “Clint non l’ha presa bene, si è fatto del male, non riusciva più a gareggiare. Non è più riuscito neanche a fare ristrutturazioni.” Incontra gli occhi di Peter. “Più di ogni altra cosa, voleva venire con me.”

Peter sa che lei si è offerta volontaria. Sia lei che Steve. Per il piano. Si chiede se suo marito abbia un altro ruolo al suo interno, visto che non ha potuto partecipare ai Giochi. Si chiede se lei sappia che lui sa, se sappia che Tony gliel’ha già detto. Se voglia una risposta. Non possono parlarne qui, non esiste posto più pericoloso in cui parlarne, ma c’è qualcosa nei suoi occhi. Come se fosse abituata a vivere sul filo del rasoio. È sicuro che qua dentro saprebbe cavarsela.

“Mi dispiace,” dice invece.

“Di che stiamo parlando, là all’angoletto?” dice una voce, e Peter alza lo sguardo per vedere Quentin Beck che si avvicina a loro, tenendo un calice di champagne per mano. “Facciamo un po’ di letture leggere? C’è un’ampia scelta. Un’ampia scelta che sono sicuro voi due non abbiate, nei vostri rispettivi distretti.”

“Quentin,” dice Natasha, e adesso c’è una tagliente acutezza nella sua voce, prima assente.

“Natasha,” replica lui, con un ampio ghigno. Guarda Peter da sopra di bordo dei calici, come se lo stesse analizzando. “E il nostro fantastico Spider-Man. Eccolo qui, in tutta la sua ragnesca gloria.”

“Non sono molto ragnesco, al momento,” replica Peter. Non si sente per niente al sicuro, vicino a questo tizio.

“Hai messo su un bello spettacolo,” dice Beck, sempre sorridendo a quel modo. “Fantastico, ti… ti descrive davvero bene, signor Parker. Wow. Non vedo l’ora di vederti in azione nell’arena. Magari ci capiterà qualche distrazione di mezzo, ma credo di poter… credo di poterla ignorare.”

Peter abbassa lo sguardo a terra, sollevando le sopracciglia.

“E lasciamelo dire, ho seguito la carriera di Tony, e tu… beh, tu sei decisamente il tributo degno per lui,” continua Beck. “Non ero così sicuro riguardo a Bucky–”

“Bucky ha quasi vinto,” lo interrompe Natasha, prendendo un sorso dal suo bicchiere.

“Quasi,” sottolinea Beck, alzando entrambi i calici verso di lei. “Ci ho pensato, molto, da quando mi hanno mietuto, ma soprattutto oggi… non è strano, che siamo qui tutti agghindati – a una dannata festa in giardino, tra tutto il possibile – e a fine mese staremo tutti tentando di ammazzarci a vicenda? Perché io lo trovo strano.”

Peter sente una mano sul gomito.

“Già,” dice la voce di Tony, tirandolo via. “Che strano, eh?”

Peter guarda oltre di lui, e nota Steve lì accanto. Li vede scambiarsi un’occhiata, poi Steve prende il suo posto al fianco di Natasha.

“Grazie,” dice Peter, fissando Tony mentre si allontanano. “Quel tipo mi mette a disagio.”

“È uno che dovremo sicuramente tenere d’occhio,” gli accorda Tony. “Steve proverà a capire cosa sta architettando, se lo sta facendo. Spera di portarsi un passo avanti a lui.”

La ragazza dai capelli argentati gli fa un sorriso sardonico da uno dei triclini, e Peter deglutisce a fatica. La gente ride, i bicchieri tintinnano, e lui continua ad avere un terribile presentimento, come se stesse per rovesciarsi qualcosa, come se ci fosse un prurito che non può grattare, qualcosa che lo strattona. Qualcosa che sta per andare storto.

“Scusa se ti ho lasciato da solo,” dice Tony. “Questo evento è sempre una buona occasione per mettersi in mostra e sapere cosa dicono gli altri. Sto cercando di elaborare i dettagli di ciò che abbiamo discusso.”

“Ho chiesto a Shuri di allearsi con me e MJ,” dice Peter, girandosi verso di lui mentre fanno slalom attorno al tavolo del buffet, dove la donna dall’aria terrificante del Due sta dominando la scena con alcuni sponsor.

“Va benissimo,” dice Tony, con un cenno. “Sarebbe probabilmente successo in ogni caso.” Si schiarisce la gola, e due uomini in completo nero aprono per loro le porte a vetri che li condurranno al cancello sul retro.

“È ora di andare a, uh, incontrare i…” Non ama la parola ammiratori, perché gli sembra fasulla, perché non lo conoscono, non per davvero.

“Sì, Hammer stava pure bussando alla finestra per farmi andare a recuperarti, maledizione,” dice Tony, scuotendo la testa mentre avanzano sul prato. “Gli concediamo solo un paio di minuti, puoi autografare qualcosa, rispondere a un paio di – speriamo – innocue domande, e poi rientriamo per mangiare. Ci butteranno tutti fuori di qui tra un’ora, poi hai la giornata libera.”

“Okay,” dice Peter. Guarda alla sua destra, dove si erge una lunga cancellata, e vede una folla di gente premuta contro di essa, tutti nei loro colori festosi, più brillanti del sole nel cielo. Il centro della recinzione è aperto, con solo un cordone di velluto rosso a trattenerli dal fare irruzione all’interno. E due Pacificatori, ovviamente. Per mantenere la pace. Ci sono tre o quattro telecamere sospese a mezz’aria a poca distanza, posizionate in modo da catturare un altro momento degno di Spider-Man.

Quando lo vede, la folla inizia a urlare, a salutarlo, a festeggiare, a gridare domande, e tutto ciò gli causa ancora un buco allo stomaco. Vede che Hammer è già lì, intento a sorridere fiero e a sbracciarsi, presentando l’imminente arrivo di Peter.

Sente di nuovo quel prurito, e lancia uno sguardo verso Tony, assottigliando gli occhi.

“Solo un paio di minuti,” lo rassicura lui, annuendo. “Promesso.”

Peter annuisce di rimando, lasciando andare un respiro, e cammina rapido giù dalla collinetta, presentandosi alla folla festante.

Va tutto bene per circa dieci secondi, poi il mondo rallenta di nuovo, proprio come pochi istanti prima di incontrare Harley Keener. Dita che si agitano, capelli viola mossi dal vento, bocche curvate attorno al suo nome; Peter guarda alla sua destra quando vede il poster ergersi in aria. Questo è più piccolo di quello originale che gli avevano dato, chiaramente introdotto di nascosto oltre i controlli all’interno di una giacca o un cappotto, ma abbastanza grande da far vedere il suo messaggio.

SPIDER-MAN E IRON MAN COMBATTONO PER VOI.

Subito dopo che Peter l’ha visto, lo vede anche il Pacificatore più vicino.

La donna che lo tiene in mano è a ridosso del cordone di velluto, e il Pacificatore è più vicino di Peter. Abbastanza vicino da allungarsi e assestarle un manrovescio, spedendola all’indietro nella folla.

Il mondo riprende a girare e il Pacificatore le dà un pugno quando lei non cade a terra, facendola accasciare ai suoi piedi.

“No!” grida Peter, svicolando dalla presa di Tony. Vedo rosso, sente il cuore che precipita.

Hammer è proprio lì accanto, e si fa avanti scuotendo la testa. “Ehi, suvvia, non–”

Il Pacificatore si volta e colpisce anche lui, e Peter non frena il proprio slancio in avanti, non pensa, non respira, vede solo la ragazza a terra, gli altri che indietreggiano impauriti, Hammer che si tiene la faccia. Peter si scaglia contro il Pacificatore, allontanandolo di peso e sferrandogli un pugno sulla gola.

L’uomo barcolla all’indietro, chiaramente colto di sorpresa, e Peter coglie l’attimo per assestargli anche un pugno nello stomaco, sapendo che mirare al casco non sortirà alcun effetto, se non sbucciarsi le nocche. Il volto di May gli balena in testa, di Ned, di Ben, le baracche del Dodici e l’opulenza di Capitol. Morte, i Giochi, e tutte le loro bugie. Non respira, non respira. Il suo udito va e viene, strilla, singhiozza, si interrompe e riprende come con delle interferenze, e sta caricando la mano per un altro pugno quando sente Tony che grida il suo nome.

“Peter!” grida di nuovo, e Peter si gira di scatto, vede il secondo Pacificatore col fucile puntato contro la schiena di Tony. Lui ha le mani in alto, gli chiede scusa con gli occhi, e Peter sente il calcio di un altro fucile in mezzo alla schiena.

“Muovetevi, voi due,” dice il Pacificatore che tiene sotto tiro Tony. “Dentro.”

Tutta la furia e la forza che Peter ha sentito fino a un istante fa scemano, e una scossa di paura lo attraversa.

 
§

 
Li portano al piano superiore, li spingono in un ufficio e chiudono a chiave la porta. Non appena sono soli, Tony si volta verso il ragazzo per provare a confortarlo e farlo calmare, ma Peter inizia a balbettare prima ancora che lui riesca a muoversi.

“Mi d– dispiace,” dice, tremando, contorcendosi sulla sua sedia per fissarlo in volto. “Mi dispiace tantissimo,” continua. “Non– non stavo pensando, ho– perso il controllo, ho– ho perso–”

“È tutto a posto,” lo ferma Tony, mettendogli un braccio sulle spalle. “Va tutto bene, va tutto bene–”

“Non va bene, non va bene,” replica Peter, torcendosi in grembo le mani. “Ho preso a pugni un Pacificatore, due volte, due volte–”

“Io l’ho fatto,” dice Tony, strizzandogli la spalla e passandogli più volte la mano sul braccio, un tentativo di fare quello che faceva sua madre quando lui era più giovane. “Thor l’ha fatto, Carol l’ha fatto di certo…”

Peter si copre gli occhi, risucchiando un respiro. “Non mentre erano Tributi,” ribatte.

“Carol l’ha sicuramente fatto quando era un Tributo,” dice Tony, senza sapere se sia vero o meno. In realtà, dentro di sé, sta andando nel panico anche lui, e se il ragazzo non fosse qui avrebbe probabilmente già vomitato. Ma il ragazzo è qui, ed è la priorità. Non vuole fargli dare di matto più di quanto non stia già facendo. “Rilassati, e basta. Probabilmente ci daranno solo… un avvertimento. Magari cancelleranno la prossima cena pubblica, o qualcosa del genere.” Passa di nuovo la mano sul braccio di Peter, stringendolo un po’ di più a sé. “Non credo che apprezzeranno l’immagine dei Pacificatori che vanno in giro a picchiare un cittadino di Capitol… anzi, due cittadini di Capitol, contando Hammer. Quindi probabilmente è il tipo di situazione in cui… una cosa compensa l’altra.”

Peter ha ancora la faccia affondata tra le mani, e scuote la testa.

“Sono fiero di te,” mormora Tony, arruffandogli i capelli. “Davvero.” Tony è stato a un passo così dall’unirsi a lui, solo che aveva sentito nelle orecchie la voce di Janet quando aveva menzionato il tubo. Quello che aveva detto, riguardo a Peter che avrebbe dovuto guardarlo morire. Non potrebbe mai permettere che accada.

Ricorda quella volta in cui lui stesso si è trovato al piano superiore di questa casa, dopo i Giochi. I suoi discorsi coi superiori, il tempo trascorso con Stane in persona. Era stato dopo Pepper, dopo i suoi genitori, e la sua rabbia, la sua disperazione l’avevano reso folle.

Si chiede se credano di averlo reso docile, dopo tutti questi anni.

Riesce ancora a sentire la risata di Stane.

“Mi chiedo se MJ lo sappia,” dice Peter, alzando la testa per incontrare i suoi occhi. “Tu che dici? Lei e Janet lo sanno?”

“Janet sta probabilmente facendo il diavolo a quattro là sotto proprio in questo momento, sì,” dice Tony. “Andrà bene. Andrà bene, vogliono solo dare spettacolo, spaventarci, rimetterci in riga. Andrà tutto bene. Non ci succederà nulla. Gli servi, ragazzino, ricordatelo. Per le loro cazzate, e non possono rimpiazzarti. Soprattutto visto quanto tutti ti amano. È una questione di faccia, di consenso.”

Il volto di Peter cambia, ed è come se vi si insinui altra paura. “E tu?” chiede. “Non– non possono farti niente, vero? Vero?”

Tony non lo sa. Non può esattamente dire che la sua posizione sia salda e protetta, ma di sicuro non uccidono Vincitori come se nulla fosse. È una soluzione estrema.

“No,” risponde, cercando di non lasciar incrinare la propria voce. “No, staremo… staremo entrambi bene, ragazzino. Cerca solo… di rilassarti.”

 
§

 
Li fanno aspettare. Aspettano e aspettano e aspettano per quella che sembra un’infinità. Non ci sono finestre in questa stanza, quindi non possono stimare che ora sia, né se gli altri siano ancora qui. Tony non può fare a meno di innervosirsi, ma mantiene la propria attenzione su Peter e il suo benessere. Riflette su quale potrebbe essere lo scenario peggiore: una schiera di fucili, un plotone d’esecuzione, qualunque cosa possa mettere Peter in immediato pericolo. Cerca di formulare un piano per farli uscire di lì, in caso. In caso si arrivi a quel punto.

Mentre lo sta architettando, la porta di fronte a loro si apre da sola.

Se ne stanno seduti lì, a fissarla, finché Tony non sente una voce familiare.

“Beh, entrate!” dice Obadiah Stane.

Oh, cazzo.

Tony cerca di mantenersi saldo, di mostrarsi forte, perché stanno evidentemente mettendo in atto la tattica di intimidazione suprema facendoli apparire di fronte al cazzo di Presidente in persona.

“Okay,” sussurra Tony, tirando in piedi Peter. “Fammi… fa’ parlare me, chiaro? Va tutto bene. Andrà tutto bene.”

Peter lo fissa per pochi, agonizzanti secondi, poi contrae la mascella, annuendo, ancora tremante. Tony si mette in testa, posizionando Peter dietro di sé, ed entrano nella stanza adiacente.

Non è la normale sala riunioni di Stane, dove Tony l’ha incontrato anni fa. Ma è egualmente bianca, egualmente asettica, con una scrivania nera in fondo alla stanza, e l’uomo in persona vi siede dietro. C’è una finestra su ogni parete, e delle sfumature rosa filtrano all’interno preannunciando il tramonto. È più tardi di quanto si aspettasse.

Cerca di non immaginarsi mentre si lancia dalla finestra insieme a Peter. Cerca di non pensare a quel modo. Sarà solo un rapido rimprovero intimidatorio. Niente di più. Tutto qua. Dentro e fuori.

“Tony Stark e Peter Parker,“ dice Stane, ghignando. “Una sorta di mitici Butch e Sundance [2]. Oh, dubito che voi due sappiate chi siano. Un altro mondo, un’altra vita, ma sono i privilegi di essere al comando, no? Io posso ricordare. Come fosse il mondo prima di tutto questo. Prima della nostra meravigliosa Panem. La nostra macchina ben oliata!”

Tony vuole disperatamente farla finita con questa sceneggiata. Peter è quasi direttamente dietro di lui, ma vede gli occhi di Stane che lo cercano. “Signore–” comincia.

Stane si schiarisce la gola rumorosamente, troncandolo, e si alza in piedi. “Non c’è bisogno, Tony,” dice, aggirando il lato sinistro della scrivania e avvicinandosi. “Ho visto cosa è successo là fuori, Peter. Che momento, che bella dimostrazione.” Sogghigna, scoprendo quei suoi denti gialli, e quasi si distorce in un ringhio. “So che ci offrirai davvero un bello spettacolo, ragazzo. Ma, non cominciare prima di cominciare, eh? Il mondo dello spettacolo funziona così. Non mettere in mostra ciò che hai, o gli altri ne sapranno troppo. Conosceranno te, e avranno tempo di prevedere le tue mosse. Va a tuo svantaggio.” Pronuncia l’ultima frase come se quella fosse una lezione, e ha anche il coraggio di schioccare due volte la lingua con fare di sufficienza.

“Presidente Stane,” prova di nuovo Tony. “È stato un errore spontaneo. Peter… beh, Peter è un gentiluomo, e vedere quel Pacificatore che picchiava una donna, l’ha– l’ha preso per il verso sbagliato.”

Stane annuisce, e incombe più vicino. “Sì, è stato di cattivo gusto, a prescindere da qualunque merce di contrabbando avesse in mano. Ogni tanto hanno il grilletto facile. Diventano troppo risoluti, si… lasciano trascinare. Giusto, Peter? È corretto?”

Tony sbircia sopra la propria spalla, vede il ragazzo che deglutisce a fatica, annuendo.

“Sì, signore,” risponde.

Stane lo fissa, sorridendo di nuovo. L’aria nella stanza sembra rarefatta, e Tony detesta il fatto che Stane sia più alto di entrambi. “Peter,” riprende Stane. “Sai che conoscevo i tuoi genitori?”

Tony sente il respiro che gli si ferma in gola.

“Uh,” replica Peter, con voce tremante. “Li… conosceva?”

“Esatto,” dice Stane, facendo scattare brevemente gli occhi in direzione di Tony per assicurarsi che stia ascoltando. Riprende a camminare avanti e indietro. “Li abbiamo reclutati subito dopo il liceo, prima che tu fossi anche solo un pensiero nelle loro teste. Beh, non molto prima. Ma quei due non si lasciavano fermare. Erano intelligenti, come te. Mi è evidente da chi tu abbia preso.” Incontra di nuovo gli occhi di Peter, e Tony sente salire la nausea. “Riuscivano a fare di tutto, Peter. Erano… pionieri del loro tempo. Hai visto le loro creazioni e non lo sai nemmeno! Quel cane mutante che ha fatto a pezzi la signorina Darcy? Quello è stata un’idea di tua madre. E le api che paralizzano con una puntura? Quello è stato il tuo caro vecchio papà. Oh, e la pioggia acida, che ha asfissiato Danny Rand fino all’ultimo respiro? Loro due, insieme. Buon Dio, erano una bella squadra. Mai una cattiva idea, Mai una cattiva esecuzione.”

Tony sente il respiro di Peter, ma ha troppa paura di voltarsi a guardarlo. Però si avvicina a lui di un passo. Qualunque cosa possa offrirgli supporto, con questo maledetto stronzo del cazzo che gli scarica addosso le notizie peggiori che possano esistere.

“Cosa?” esala Peter, suonando piccolo, un bambino.

“Oh, sì,” replica Stane. “Erano i miei scienziati di punta e, mio Dio, se non hanno inventato cose macabre per i Giochi. È stato sempre peggio, sempre più, di anno in anno. Non mi hanno mai deluso. Erano speciali, Peter. I Giochi non sarebbero quello che sono, senza di loro. Ma sai qual è la parte migliore?”

Aspetta, anche se non ottiene risposta. Tony vede delle macchie davanti agli occhi e sente che le sue gambe stanno per cedere.

“La parte migliore,” si risponde Stane, “è che hanno odiato farlo, ogni singolo momento. No, non erano loro i cattivi, come stai pensando tu. Dovevamo ricattarli costantemente, sempre, sempre. Sapevamo della tua esistenza, ovviamente, ma ti hanno tenuto nascosto, a distanza. Cavoli, non ho pensato a te per anni… finché non ho ricevuto una piacevole sorpresa alla Mietitura. Tornavano a casa solo di rado, il che giustifica, ne sono sicuro, il fatto che tu ne abbia ricordi molto vaghi. Pochi e distanziati. Il che è piuttosto triste, mi scuso per aver monopolizzato così tanto il loro tempo.”

“Signore,” dice di nuovo Tony, con la voce che traballa.

“Ma immagino che tutto ciò abbia influito su di loro,” lo ignora Stane, fermandosi di nuovo e guardandosi i piedi. “Perché hanno partorito un piano idiota, un… ridicolo tentato assassinio del mio Vicepresidente dell’epoca. Ti ricordi Schmidt [3], Tony? Non era tra i miei preferiti, quindi mi avrebbero fatto un favore, se avessero saputo nascondere meglio le loro mosse. Ricordi l’ultimo bacio che ti diede tua madre, Peter? Prima che uccidessimo lei e tuo padre?”

Tony si porta avanti di fronte a Peter, allunga un braccio all’indietro e trova la sua mano. Cerca di farla smettere di tremare.

Stane schiocca di nuovo la lingua con sufficienza. “Che peccato,” dice. “Un vero peccato. Vorrei poter dire che è stato rapido ma… beh, sembrava poetico ritorcergli contro il loro stesso lavoro. E sai cos’è meraviglioso?” chiede, alzando lo sguardo, in cerca di un’altra risposta che non arriverà. “Che ancora usiamo le loro creazioni, i loro progetti, tutto ciò che hanno abbozzato. Ci ricamiamo sopra, certo, ma la base è tutta loro. E, insomma, tutta questa faccenda di Spider-Man. È stupenda, perché abbiamo qualche mostruosità molto, molto letale che ha a che fare coi ragni, e che muore dalla voglia di conoscerti, Peter. Omaggio di Mamma e Papà. A proposito di poetico.”

Tony è a tanto così dallo scagliarsi addosso a lui. È a tanto così dallo strappargli la faccia da quella sua testa scheletrica. Stai calmo, si rammenta. Per Peter.

“Mi accerterò che le vostre strade si incrocino,” dice Stane con un cenno del capo, come se fosse a un incontro d’affari. Ghigna verso Peter, inclinando la testa. “Mi accerterò che sia lento, drammatico, doloroso. Come essere scorticato vivo. Sarà un ottimo spettacolo per la televisione, non credi, Tony? Tu lo sai meglio di chiunque altro, vero? Perdere lui sarà dura, e farà male. Mi assicurerò che faccia molto male, a entrambi.”

Ed è a quel punto che la parete dietro la sua scrivania si apre, rivelando degli scaffali e delle cose che Tony non riesce subito a collocare, da dietro il suo orrore e la sua rabbia.

Ma poi–

L’orologio da tasca di Hank.

La giacca e le forcine di Hope.

Il tutore di Rhodey.

Tony vede vestiti sporchi, armi. Gioielli, regali degli sponsor. Nei barattoli dita, bulbi oculari, piedi, capelli, denti. Una lingua.

Vede il braccio meccanico di Bucky.

Tony fa un paio di passi indietro non per sua volontà, stritolando la mano di Peter e sentendolo trattenere il fiato, smorzando un singhiozzo. Tony sente il proprio cuore precipitare, saltare dei battiti, e, cazzo, devono uscire di qui, devono uscire, devono uscire.

“Oh, amo conservare i miei piccoli souvenir,” dice Stane, ancora sorridente, avvicinandosi, e Tony continua a spingere Peter dietro di sé. “Per quei Tributi che… si sono distinti particolarmente. Penso che tu veda qualche oggetto familiare, giusto, Tony? Bucky era fra i migliori, vero? Non era forse speciale?” Stane è fin troppo vicino adesso, e Tony non vuole schiacciare Peter contro il muro, ma allo stesso tempo vuole tenerlo a distanza, vuole fuggire. Stane continua a fissarlo, e si rivolge verso di lui. “Anche tu sei molto speciale, Peter.”

“Stane,” dice Tony, tra i denti digrignati, sputando veleno. “Sta’ lontano da lui.”

Stane torna a incontrare i suoi occhi. “Quando sarà morto, avrò la sua testa, Tony. La taglierò personalmente dal suo corpo. La terrò qui, con tutto il resto. Avrai il permesso di venire a farle visita, Tony. Avrai il permesso di guardarla marcire.”

Tony sta tremando. Non riesce a sentire chiaramente, è straripante di furia violenta, fuori controllo, e sente la mano di Peter che torce il retro della sua giacca, sente la paura che si irradia da lui.

“Potete andare,” dice Stane. “C’è un’auto che vi aspetta al Circolo per riportarvi al Centro Tributi. Felici Hunger Games, signor Parker. Li aspetterò con molta impazienza.”

Tony gira sui tacchi, mantenendo la presa sulla mano di Peter e trascinandolo fuori più rapidamente che può. Quando escono dalla stanza Peter quasi si accascia su se stesso, con passi irregolari, il respiro spezzato, e Tony lo fa affrettare giù per le scale, oltre i Pacificatori, oltre opere d’arte senza prezzo e antichi arazzi. Ha l’urgente bisogno di vomitare, ma deve portare Peter fuori di qui, cazzo, e si rimangia le sue stesse lacrime, il suo stesso terrore mentre escono di corsa dalla porta principale.

“Tony,” singhiozza Peter, soffocando un singulto una volta scesi dalla scalinata, percorrendo velocemente un viale alberato. “Tony, non– oddio, non puoi lasciarglielo fare. Tony, Dio, ti prego, no, non farglielo fare, ti prego, ti prego–”

“Non lo farà,” dice Tony, con la vista che si appanna mentre stringe il ragazzo, tentando di non pensare a cosa abbia detto Stane, a tutte quelle cazzo di cose orripilanti che ha detto…

Ma Peter sta avendo un collasso, si aggrappa alla sua giacca, coi piedi che quasi si accartocciano sotto di lui. “Non puoi lasciarglielo fare,” piange, gettandogli le braccia attorno al busto e facendoli fermare sull’acciottolato. “Ti prego, ti prego, ti prego–”

“Non glielo permetterò,” risponde Tony, stringendolo forte, col cuore che perde troppi colpi. “Mai e poi mai, okay? Mai, Peter.” Lo culla avanti e indietro, cogliendo la sagoma dell’auto in lontananza, sulla strada, che li aspetta. “Sono qui. Shh. Non ti farà nulla, ragazzo, non ti farà nulla.”

Tony aspetta che si tranquillizzi, si concede anche lui di piangere, perché questa è disperazione, questo è il fondo, questo è essere in trappola. Non si è mai sentito così prima, non così. L’avevano colto di sorpresa con Pepper, ma adesso Stane sta pianificando tutto attivamente. Ha fatto in modo che lui lo sapesse. Gli ha detto tutto, gli ha fatto vedere– la follia malata dell’uomo che li governa, tutte quelle cose, quelle cose, e Tony pensa al posto vuoto sullo scaffale, in cima, e sa che Stane l’ha lasciato vuoto apposta, così che potesse immaginarselo, potesse vederlo, l’orrore futuro che ha descritto in ogni macabro dettaglio, e abbraccia Peter più forte.

Non può permetterlo. Non può accadere.

“Andiamo,” sussurra Tony, ritraendosi e scostando le ciocche dalla fronte sudata di Peter. Gli asciuga anche le lacrime, lascia un braccio rassicurante sulle sue spalle. “Su, andiamocene da questo cazzo di posto.”

 
§

 
Peter non è se stesso durante il viaggio di ritorno, e Tony non lo biasima. Se ne sta seduto lì, con lo sguardo fisso, spalmato contro il suo fianco come se avesse paura di stare troppo lontano da lui, ed è questo che voleva Stane. Spezzarlo, infondergli paura, renderlo docile e riempirlo d’orrore. Peter sa tutto sui suoi genitori, adesso. Tutto, più di quanto Tony abbia trovato quella notte. Tony non sa se sia meglio o peggio.

Si sente come se stesse cercando di proteggere qualcuno che già se n’è andato. Cerca di schiacciare quel pensiero non appena fa il suo ingresso nella sua testa. Peter non appartiene a loro. Non appartiene a nessuno. Appartiene a se stesso, e riuscirà a fuggire. Riuscirà a vivere, vivrà, se la cosa dipende da Tony. E sì, la cosa dipende da lui.

Accostano lungo il Centro Tributi, e la portiera posteriore si sblocca.

Tony scivola di lato per uscire, ma Peter non si muove, fissa un punto di fronte a lui. “Su, ragazzo,” lo riscuote Tony.

Peter ritorna in sé, mettendolo a fuoco, e fa un cenno col capo, seguendolo rapido.

Camminano a passi veloci verso l’ascensore, e quando le porte si chiudono Peter si schiarisce la gola. Sembra che stia cercando di mantenersi diritto. Di essere forte.

“Se succederà,” dice, suonando come un estraneo. “Vorrei solo… spero solo… spero che sia rapido.”

Tony scuote la testa, con veemenza. “Non accadrà,” dice. “Che ti ho detto?”

Gli occhi di Peter sono cerchiati di rosso, e lo guarda come se fosse un idiota. “È Stane, Tony. Se mi vuole morto, sono morto.”

“Non m’importa cosa vuole,” ribatte Tony. “Non accadrà. Non ha il diritto di vincere. Non ha il diritto di continuare ad essere uno stronzo sadico, non– non ha il diritto di–” Gli si costringe la gola e non riesce a completare la frase mentre lo immagina di nuovo, immagina ciò che gli ha detto, quello che ha già, quello che ha detto che si prenderà.

L’ascensore si ferma e le porte si aprono, e Tony si asciuga gli occhi. “Andiamo,” dice.

Coprono i pochi passi fino alla loro porta d’ingresso, e Tony la sblocca. Si sente a un soffio da un completo collasso, come quelli che aveva all’inizio, quando c’erano solo lui e Janet, quando riusciva a malapena a respirare senza cadere a pezzi.

Chiude la porta dietro Peter e alza lo sguardo, vedendo Thor, Steve e Natasha seduto al tavolo in soggiorno con Janet e Michelle.

Ha ancora la voce di Stane nelle orecchie.

Avrai il permesso di guardarla marcire.

Avverte l’ultimo brandello di sanità mentale triturarsi in polvere sottile e rimane in piedi, più determinato di quanto non sia mai stato in vita sua.

“Tony,” lo chiama Janet, alzandosi in piedi.

Michelle ha già attraversato di corsa la stanza, lanciandosi tra le braccia di Peter.

“Thor,” dice Tony, con voce tremante. “Gliel’hai detto?”

“Sì,” annuisce Thor. “Cosa è–”

“Ci stiamo,” replica Tony. “Lo facciamo. Siamo parte del piano.” Risucchia un respiro, guardandosi attorno, annuendo. “Stane ha chiuso. Non ci riuscirà di nuovo, non mi porterà via nessun altro.” Gli gira la testa, ma taglia l’aria con la mano in un gesto secco, scuotendola. “Quello stronzo ci ha parlato in privato. Già. Aveva delle cose molto particolari da dirci, delle– cose molto particolari da mostrarci e – io– non ci sto più. Non un’altra volta, non un altro anno. Lo dico sempre, ma ci siamo, questa è l’ultima goccia, quello stronzo malato… ce l’ha fatta. Se possibile, ha varcato una sorta di… linea invisibile. Ci stiamo, e loro fuggiranno. Saranno liberi, e basta. Deve funzionare, punto e basta.” Gli traballa l’occhio e se lo sfrega, cercando di farlo smettere.

“Va bene,” dice Thor, guardando Natasha con le sopracciglia aggrottate. “Uh–”

“Tony,” dice Steve, alzandosi dal suo posto. “Stai bene?”

“No,” risponde Janet, coprendo la distanza che la separa da lui. “No, non sta bene.”

“Già, no,” dice Tony, lanciando un’occhiata a Peter, che si stacca da Michelle fissandolo preoccupato. Avrai il permesso di farle visita, Tony. Avrai il permesso di guardarla marcire. “No, non sto bene.”

“Tony?” chiede Peter, avvicinandosi a lui.

Tony fa un passo esitante, ondeggiando, e tutto si fa buio mentre crolla a terra.



 
*

 
 Tradotto da: ever in your favor: watch it rot, di iron_spider da _Lightning_

 
Note:

[1] La nuova Occhio di Falco nei Giovani Vendicatori.
[2] Butch Cassidy e The Sundance Kid, storica coppia di rapinatori del Far West resa iconica dai western di Hollywood.
[3] Johann Schmidt, ovvero Teschio Rosso.
NB. Il titolo originale era watch it rot, letteralmente "guardalo-a marcire", ma in italiano suonava piuttosto male, tanto che ho rielaborato anche le sezioni in cui la frase viene pronunciata da Stane.

Note della traduttrice:

Cari Lettori,
questo è uno dei capitoli per i quali la traduzione mi ha richiesto più tempo in assoluto, non tanto per la difficoltà in sé, quanto per il voler rendere al meglio quella scena... che spero abbia sconvolto voi quanto ha sconvolto me la prima volta che l'ho letta ;)

Ringrazio tantissimo Eevaa e Paola Malfoy per aver recensito lo scorso capitolo, e T612 per aver commentato quelli precedenti, oltre a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste <3
A presto col prossimo capitolo,

-Light-
 

 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: iron_spider