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Autore: paoletta76    10/09/2019    2 recensioni
"She's not afraid of all the attention
She's not afraid of running wild
How come she's so afraid of falling in love.."
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Storie'
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Tre caffè, una botta di emicrania ed un paio di pastiglie di Voltadol dopo, il capitano Olivieri era pronta a ricominciare. Divisa, stelle ed espressione cupa di serie, la mattina seguente varcò l’ingresso limitandosi ad un distratto buongiorno, di cui non attese neppure risposta, chiudendosi nel proprio ufficio con la speranza che nessuno fosse riuscito a leggere sul suo viso i segni del pianto.

Non era riuscita a fare altro, una volta oltre la porta del proprio alloggio.

Sei sbronza, Anna. Non puoi. Non puoi, adesso, andare di là a chiedergli ancora spiegazioni. Non ti sono bastate quelle di Cecchini? Non ti è bastato il modo in cui ti ha baciato? Giovanni non se l’è mai neppure sognato, di baciarti così.. non puoi, non è giusto. Per nessuno dei due. Neppure se adesso lo vorresti da morire, andare di là, chiamarlo per nome, e se non ti risponde buttargli giù la porta a pugni, e se ti apre pretenderlo, un altro bacio come quello, e poi un altro ed un altro ancora, e strappargli via la camicia, ed esserlo davvero, per sempre o solo per una notte, soli insieme.. due niente che si fanno compagnia..
E’ uno dei tuoi sottoposti, Anna. E tu sei sbronza, adesso. Domani te ne pentirai.


Il telefono squillava, il numero era quello di sua sorella. Lo spense, e lo gettò sul letto, prima di affondarci anche lei, a farsi asciugare le lacrime dal cuscino.
E l’immagine che lo specchio le restituiva, la mattina dopo, era quella di un fantasma.
Ho bisogno di un caffè..

Ne aveva presi tre, in tre bar diversi, prima di decidersi a rientrare, a riprendere il proprio posto.

Buongiorno..

L’appuntato Castiglione occupava la propria scrivania, quella nell’angolo. Al suo saluto, si limitò a rispondere sollevando gli occhi, per riportarli subito allo schermo del computer.
Come avesse voluto sfuggire, nascondersi. Scomparire.

Dieci, cento, mille minuti. Un paio di chiamate, qualche persona che sfilava oltre la vetrata per sporgere denuncia o chiedere informazioni. Zappavigna che bussava e le consegnava un plico, enumerando il percorso che aveva seguito per metterne insieme i documenti, poi il suo docile aspettare il grazie, ottimo lavoro del capitano, prima di scivolare via accennando a chiudersi la porta alle spalle.
- Lascia.- gli disse, a mano tesa, lasciandolo annuire ed allontanarsi. Raccolse il fiato, ed arrivò a stringere lo stipite fra le dita – Castiglione.
- Comandi.- replicò quello, rimanendo per un istante inchiodato nel proprio angolo, sotto lo sguardo congelato di Cecchini.
- Nel mio ufficio.

La donna si ritirava oltre il vetro, e a lui le mani tremavano, nello scivolare lontano dalla postazione.
Respira.- gli fece il maresciallo, mimando il prendere il fiato, lentamente.

- Capitano..
- Chiudi la porta, per favore.- rispose la donna, andando a mettere fra sé ed il sottoposto la barriera della scrivania, ed invitandolo con la mano ad accomodarsi. Le rispose con un brevissimo cenno di no, rimanendo inchiodato a pugni chiusi poco oltre la porta.
- Credo sia opportuno parlare. Riguardo a quello che è successo ieri-
- Non è successo niente, signora.- quella risposta, completamente opaca, le diede l’impressione di un pugno in piena faccia.
- Ok.- si ritrovò a deglutire, spostando per un attimo lo sguardo – io devo chiederti scusa. Non era mia intenzione trattarti in quel modo; sono stata irruenta, maleducata ed importuna. Volevo solo farti sapere che-
- Non succederà mai più, signora.

Una crepa, in quella voce. L’azzurro di quegli occhi che si abbassava al suolo. 
Ora non aveva più l’impressione di un pugno, ma di una lama nel petto. Da sentire il sapore del sangue, in gola.

Anna voleva muovere un passo, due. Arrivargli addosso, legargli le mani dietro la schiena come aveva fatto la mattina prima, su, nel corridoio degli alloggi. Chiedergli di nuovo scusa, se si era portata troppo oltre, e che sì, in un angolo del suo cuore c’era davvero, il desiderio di provarci, a diventare due niente che si fanno compagnia. E dirgli che aveva ragione, che da qualche parte esiste, qualcuno per cui non è vero, che non sei abbastanza. Che era disposta a combattere. Al suo fianco. O almeno a metterci tutto l’impegno possibile, per imparare come si fa.
- Grazie, appuntato.- fu tutto ciò che invece sfuggì alle labbra del capitano, nota stonata e vibrazione cattiva.
Quello scattò mano alla fronte, con uno sguardo che le passava oltre, vuoto ed impersonale. Ed in un attimo fu lontano da lì.

Una settimana, un mese. Silenzio ed indifferenza, in due corpi vestiti di nero che facevano di tutto per evitarsi.
O almeno, questa era l’impressione del capitano. 

La lama continuava il proprio lavoro, dentro di lei.
  
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