Anime & Manga > Gundam > Gundam Wing
Segui la storia  |       
Autore: Luine    29/07/2009    1 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le lezioni al primo anno.

Le persone più a posto



«Volevo andare in biblioteca!» mi ha spiegato Arale, quando siamo usciti in corridoio. Era tutto deserto, l'unica cosa che si poteva vedere erano le finestre e i pavimenti luccicanti. «Sai, dobbiamo trovarla e prendere in prestito i libri di testo. Bisognerà anche farci le fotocopie, ma per questo c'è la segreteria. Ho chiesto ieri a quel ragazzo carino che sorveglia il nostro piano, Heero Yuy! Dice che è impossibile passare il primo anno, se non usi i libri, soprattutto con la Noin. E ora capisco perché!»

Arale parla molto e molto velocemente, tanto che ho fatto molta fatica a starle dietro; ma è molto allegra e la sua allegria è contagiosa: riesce in un modo che non sono riuscito a capire, a farti sorridere anche quando dice la cosa più stupida, forse è perché anche i suoi occhi sono sempre sorridenti.

Quando è suonata la campana, nel corridoio si sono riversati tutti i ragazzi che seguivano le lezioni e ho sentito molti di loro, e più grandi, commentare con frasi ben poco rassicuranti. Alcuni, invece, sistemavano i libri in una borsa che tenevano a tracolla, qualche altro li portava a mano. Ma tutti avevano la stessa aria distrutta: già mi vedo, tra qualche anno, a crollare a terra e dormire dove mi capita. Se già ero distrutto all'inizio della mattinata, posso solo immaginare quello che capiterà tra un mese.

«Ancora un'ora...» ho sentito che un ragazzo diceva, in tono devastato, alla tipa che gli camminava a fianco.

«Chiediamo a quel ragazzo laggiù?» Arale mi ha indicato un tizio alto, coi capelli castani, la divisa abbottonata in modo impeccabile. Aveva un'aria leggermente snob e si era sistemato davanti a una finestra per guardare fuori. Non mi piaceva manco un po'.

«E se cercassimo qualcun altro?» ho chiesto, indeciso.

«Ma no!» Arale mi ha preso per mano e mi tirato verso di lui. «Ciao!» lo ha salutato, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro.

Lui ha abbassato lo sguardo su di noi e ci ha rivolto un'occhiata carica di sufficienza. Non si è degnato di rispondere ed è tornato a guardare fuori, come se nessuno gli avesse mai rivolto la parola. Mi è stato subito più antipatico di quanto non fosse successo a prima vista.

Il sorriso sulla faccia di Arale si è spento e, con una smorfia, mi ha guardato.

«Avevi ragione!» ha detto, ma non si è arresa. Ha continuato a trascinarmi e ci siamo fatti strada tra la folla, fino a quando non abbiamo chiesto a una ragazza con lunghi capelli rosso fuoco dove si trovasse la biblioteca.

«E' quella lì!» ha detto, con l'aria di chi non abbia capito se era stata presa in giro o meno, ma ho capito perché girando gli occhi verso il punto che indicava: una porta su cui c'era una grossa targhetta con su scritto a lettere cubitali: “Biblioteca”.

Arale ed io ci siamo scambiati un'occhiata. «Siamo degli emeriti ciechi!» mi ha detto, poi si è rivolta alla ragazza, regalandole uno dei suoi smaglianti sorrisi: «Grazie tante!»

«Certo che quel tipo avrebbe anche potuto rispondere...» mi ha detto, mentre sorpassavamo alcuni ragazzi che andavano nella direzione opposta alla nostra. «E' peggio di tua sorella. Com'è che si chiama?»

«Non lo so.» ho risposto. Cosa ne potevo sapere qual era il nome di quel maleducato?

Lei si è fermata e mi guardava come se fossi stato un alieno. E io non capivo. «Non sai come si chiama tua sorella?» ha chiesto, quindi, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Certo che so come si chiama mia sorella!» ho esclamato.

«E allora perché mi hai detto che non lo sai?»

Mi sono grattato la testa, perplesso. «Non volevi sapere il nome di quel ragazzo?» ho chiesto, timoroso di sbagliare.

Lei ha inarcato un sopracciglio. «In realtà, immaginavo che tu non lo conoscessi! Ma se sapessi come si chiama anche il signor Maleducato non sarebbe male... è carino!»

Mi ha sorriso con tutti i denti che ha.

«Ah... ehm... mia sorella si chiama Pan...» ho detto, per evitare di approfondire l'argomento su quel tipo e per evitare di fare altre stupide figurette. «Ma credo che per essere peggio di lei non ci voglia poi così poco...»

Arale ha fatto una smorfia. «Secondo me, tua sorella fa solo la parte della dura, ma nasconde un cuore d'oro!»

«Se è così lo nasconde molto bene!» ho risposto, dubbioso. Perché glielo dicessi, per me era un mistero: la verità è che, con Arale, mi sono trovato subito bene. Non so perché, dato che non la conosco. E' una cosa a pelle... è strano, ma non so davvero spiegarmi altrimenti come mai sia riuscito a parlarci così senza conoscerla.

Ci siamo fermati davanti alla porta della biblioteca, dove, oltre alla targhetta, c'era un foglio stampato che recitava: “SE DEVI ENTRARE, ALMENO FALLO IN SILENZIO!”

Ci siamo lanciati un'occhiata ancora più dubbiosa, poi lei è tornata ad osservare il foglio ed ha fatto spallucce.

«Facciamo silenzio!» ha risposto, pratica, e ha aperto. Dentro è piuttosto piccolo, ma ci sono così tanti scaffali stracolmi di libri che cadono a pezzi, da poterci riempire tranquillamente tutta la mia cameretta, senza lasciare un solo angolo libero.

In fondo, vicino alle finestre, ci sono due tavoli da sei posti e le sedie sotto di essi quasi non si possono spostare per via dello spazio esiguo a loro disposizione.

«Non deve essere molto fornita, eh?» mi ha chiesto Arale, con il naso per aria, verso le lampade al neon sopra le nostre teste.

Non ho risposto, ero ancora piuttosto confuso, mentre mi guardavo ancora intorno, alla ricerca della porta segreta: non avevo mai davvero visto una biblioteca così piccola e così stretta.

Sulla sinistra, dietro l'ingresso e attaccato al muro c'è un altro cartello su cui c'è scritto: “Ufficio del Bibliotecario”. Questo ufficio non è un ufficio: è un banchetto nascosto tra gli scaffali ed è attaccato alla parete dietro la porta. Dietro di essa, c'era un ometto dall'aria gioviale e una pancia che gli sporgeva da sopra la cintura dell'uniforme nera. Non appena siamo entrati, ci ha rivolto un sorriso smagliante a trentadue denti.

Era il bibliotecario, un tipo allegro e vivace, che ci ha salutati come se fossimo stati parenti stretti che non vedeva da tanto tempo.

«Benvenuti!» ha detto, alzandosi per aggirare la scrivania buco e stringendo ad entrambi la mano. «Benvenuti, ragazzi miei! Prego, accomodatevi, prendete tutto quello che volete e firmate questi moduli!»

Ci ha messo tra le mani dei fogli, i soliti della biblioteca, di quando richiedi un libro. Arale, intanto, si guardava intorno.

«Ehm... ecco... signor... signor...» Sulla scrivania c’è la targhetta col nome: Sergente A. Hopkins. «Ecco, signor Hopkins...» ho balbettato, cercando di non farmi cadere la pila di fogli che mi aveva messo tra le braccia.

«Ha libri di geografia?» ha chiesto Arale, mentre io mi inginocchiavo sotto il peso delle scartoffie che il sergente stava impilando sopra i moduli.

«Di che tipo?» ha chiesto lui, fermandosi un attimo.

«Geografia terrestre. Quest'anno facciamo quella!»

«Ah, boh...» ha risposto lui e sia lei che io abbiamo sgranato gli occhi: il bibliotecario che non sapeva cosa c'era in biblioteca?

Alex, solo poco dopo, ci ha detto che lui è un altro che, in caserma, è a posto, anche se un po' svampito e che, qualsiasi libro gli si chieda, è molto probabile che non sappia dove sia.

Quando siamo riusciti a liberarci delle scartoffie e delle gentilezze del sergente Hopkins – ci voleva offrire addirittura una cioccolata calda – siamo tornati in camerata e abbiamo trovato proprio Alex in ginocchio sul mio letto e piegato in avanti, che si sporgeva oltre la finestra aperta e fumava allegramente due sigarette contemporaneamente. Sul proprio letto, c'era Frank che, seduto con le gambe intrecciate l'una sull'altra, leggeva qualcosa che somigliava molto alla fotocopia che ci aveva dato la Une la mattina.

«E se ero nudo?» ha chiesto Alex, vedendo entrare, senza alcun imbarazzo, Arale.

«Ma piantala!» ha risposto lei, ridacchiando.

Mi sono guardato intorno. «E gli altri dove sono?»

Alex ha fatto spallucce. «Non saprei... le ragazze, però, sono di là.»

«E tu non dovevi dormire?» gli ha chiesto Arale, incuriosita, sedendosi sul mio letto, accanto a lui. L'odore di fumo entrava dalla finestra e devo ammettere che era un po' fastidioso.

«Non ci riesco, prima di una buona sigaretta!» ha risposto lui, prendendo un'altra boccata. «Allora, dove siete stati?»

«In biblioteca.» ho risposto, sedendosi davanti ad Arale, sul letto di Alex.

Lui ha scosso la testa, ridendo.

«Ah, avete conosciuto il vecchio Hopkins!» ha esclamato. «E' un grande. Lui e Heero tengono il più grosso traffico di giornalini di tutta la caserma.»

«Traffico?» ha chiesto Frank, alzando per la prima volta la testa da quando eravamo entrati. «Che intendi per traffico?»

«Traffico, Frank...» ha sbuffato Alex, spegnendo le sigarette sul davanzale e richiudendo la finestra, facendo rimanere dentro la puzza di fumo. Si è messo seduto sul mio letto e mi ha guardato, indicando il letto. «Ti dispiace, Ken?»

«Tanto, ormai...» ho risposto, allargando le braccia, rassegnato. Non che mi infastidisse, è solo che Alex puzza un po' e, diciamolo, non mi andava che le mie coperte puzzassero. Ma poi ho pensato ad un altro problema: «Avete visto mia sorella?»

«E' di là!» ha risposto sempre Alex, indicando col pollice verso la camera delle ragazze. «Credo stia dormendo, perché quella coi capelli azzurri si lamentava del suo russare...»

Tipico di Pan: ha problemi respiratori, ma la mamma dice che un po' di sano russare non ha mai ucciso nessuno.

A parte quello che le dorme accanto.

«Insomma, che cavolo vuol dire traffico?» ha chiesto ancora Frank, interrompendo il nostro scambio di battute. Alex aveva aperto la bocca per parlare, mentre qualcuno ha bussato alla porta. Credendo che sarebbe andato ad aprire qualcuno, nessuno di noi si è degnato di fare una mossa.

«Traffico, Frank... contrabbando! Qua ci sono troppe cose proibite e qualcuno dovrà pure guadagnarci su! Io tengo la contabilità.» ha detto, indicandosi fiero.

«Allora sì che possono stare tranquilli i contrabbandieri!» ha sogghignato Frank.

«Ehi, io mi prendo solo la mia parte!» ha risposto Alex.

«Oh sì, mi immagino!» Frank ha sorriso.

Hanno riso insieme e io e Arale ci siamo limitati a scambiarci un'occhiata vacua. Credo che nessuno dei due abbia capito molto, ma almeno mi sono consolato, pensando che, per una volta, non ero stato il solo.

Stavo per chiedere qualcos'altro sul Sergente, così da riportare la conversazione su un piano su cui potessimo discutere tutti insieme, quando una voce mi ha interrotto:

«C'è nessuno? E' mezz'ora che busso! Si può?» era Heero Yuy. Un catafascio terribile ed una sua imprecazione ci ha fatto scattare nel disimpegno come delle molle. «Ahio... chi è il coglione che ha messo per terra un asciugamano?»

«Ah...» Alex, l'unico era rimasto impassibile di fronte al trambusto, è balzato giù dal mio letto e ci ha raggiunti. «Io no... testimoni Arale e Ken!»

«Kenny!» l'ho corretto. Ormai sono troppo abituato a farmi chiamare così e, se mi chiamano Ken, quasi quasi non rispondo.

«Che culo!» ha sbuffato Heero, rialzandosi e raccogliendo l'asciugamano con due dita.

«MA POSSIBILE CHE NON SI RIESCA A DORMIRE NEMMENO DUE MINUTI? CI ALZIAMO ALLE CINQUE DELLA MATTINA E POI NON POSSIAMO NEMMENO FARE IL RIPOSINO POMERIDIANO, CHE CAZZO!» era, naturalmente, mia sorella che ha aperto la porta della stanza, scardinandola. Se fosse stato solo questo, sarebbe stato niente: trattenendola per il pomello, riusciva anche a tenerla sollevata!

«Se non ho capito male, tu ti sei svegliata molto dopo le cinque!» stava dicendo Heero, inarcando un sopracciglio, mentre io ero sconvolto: per quanto conoscessi la forza di Pan, non sapevo che arrivasse a tanto e già me la vedevo, pronta a lanciargli quella porta addosso. Mia sorella, però, ha guardato il responsabile del nostro piano come un cane rabbioso guarda un gatto randagio; gli si è avvicinata come un lottatore di sumo al suo primo incontro e lo ha raggiunto, sempre tenendo la porta in mano.

«Però, è forte, tua sorella!» ha esclamato Arale, impressionata.

«Eh... un pochino...» ho cercato di minimizzare, senza riuscirci peraltro.

«Tu...» stava dicendo Pan, intanto, minacciosa, puntando un dito contro Heero. «fammi incazzare ancora e ti troverai del figlio da torcere, tanto, tanto figlio da torcere!»

«Ehm... Pan?» l'ho chiamata. Lei si è girata di scatto e mi ha guardato con occhi rossi e minacciosi. Ho indietreggiato di un passo.

«Non... non si dice figlio da torcere... si dice filo!» dalla faccia che ha fatto, però, credo che non fosse il momento migliore per correggerla.

«E CHI CAZZO SE NE FREGA, PARAMECIO!» ha gridato, guardandomi con così tanta cattiveria che avrei voluto farmi piccolo piccolo e sparire fino a che la sua furia non si fosse placata. Ma lei, invece di pestare me, ha preferito tornare a guardare Heero. «Hai capito?»

«E io che credevo che il nonnismo lo facessero solo quelli più grandi alle matricole...» ha replicato Heero, ancora più sarcastico. «Dai, Come-ti-chiami, non prendertela con me, ma con chi ha lasciato questo per terra!» ha detto, sventolando su e giù l'asciugamano che ancora teneva stretto. Mi sarei complimentato con lui per il sangue freddo: nessuno è mai riuscito a sfidare Pan per così tanto tempo ed è sopravvissuto per raccontarlo. Cioè, sopravvissuto sarà anche stato, solo che non aveva voglia di dire di essere stato messo a tappeto da una ragazzina.

Comunque, Pan ha guardato l'asciugamano.

«DI CHI CAZZO E'?» ha gridato, allora, strappandolo di mano a Heero e sventolandolo come una bandiera, continuando a trattenere la porta per il pomello. Avevo paura che la rompesse e che la Une ci mettesse davvero in isolamento. «AVANTI, VENGA FUORI IL COLPEVOLE!»

«Ma perché urli?» la voce di Bra ci ha costretto tutti a guardare verso il bagno. Lei stava in accappatoio, ma, per come era (s)coperta poteva anche non averlo.

Ho guardato Alex che aveva gli occhi fuori dalle orbite e una bavetta orrenda che gli colava dall'angolo della bocca; Frank e Heero avevano un'espressione ebete stampata in faccia. Tra i pochi presenti, solo io ero quello imbarazzato e tenevo gli occhi piantati a terra. Arale la guardava con tanto d'occhi, ma, come ha detto dopo, non aveva mai visto tanta sfacciataggine nemmeno in sua cognata.

«Brauccia, dimmi che non sei stata tu a lasciare questa asciugamano schifosa per terra!» ha detto mia sorella, in tono lamentoso, anche lei guardando Bra, come se fosse stata vestita.

«E perché no?» ha chiesto lei, ridacchiando. Ho visto che sollevava una gamba fino al ginocchio, ma non ho osato andare più su.

Pan ha sbuffato dalle narici. Credevo che avrebbe cominciato ad urlare, invece, si è limitata a dire, tra i denti: «Vai a lavarti, Bra. E' meglio per tutti.»

«L'ho fatto solo perché poi avrei macchiato il pavimento...» ha ribattuto lei, come se avesse dovuto essere ovvio.

«NON HAI MACCHIATO IL PAVIMENTO, MA IL MIO SONNO SI', CAZZO! VAI A LAVARTI E NON ROMPERE I COGLIONI!»

«Finezza!» ha replicato Heero, quando Bra è, finalmente, sparita in bagno. Pan lo ha deliberatamente ignorato.

«Però... quella mi sa che la svende!» ha mormorato Alex, asciugandosi la bocca.

«Già...» ha mormorato Frank. Di cosa parlassero, per me rimane un mistero.

«Ah... che volevi, Heero?» ha domandato Alex, scuotendo la testa, per riprendersi davvero.

«Per ora, sistemare quella porta, prima che passi qualcuno!» ha detto, indicando Pan che sembrava non voler lasciare andare la porta. L'unica cosa positiva di quella faccenda era che non stava urlando.

«Spero solo che si possa.» ho esclamato, ma speravo di averlo fatto in modo che lei non sentisse. «Pan è nota per distruggere tutto quello che tocca!»

Ma, a quanto pare, avevo parlato a voce troppo alta: «CHE CAZZO DICI, MAIALE?» ha lasciato andare la porta e, prima che potessi vedere che fine ha fatto, mi ha dato un pugno sul naso e tutto, ma proprio tutto, prima è diventato rosso e poi nero.


«Che gancio impressionante!» il fischio di Alex è stata la prima cosa che ho sentito quando mi sono risvegliato.

Ero disteso da qualche parte, con un dolore lancinante sul naso e due visi preoccupati sopra il mio e un forte, familiare odore di ospedale aleggiava intorno a me.

«Come stai, Kenny?» ha chiesto quella che ho riconosciuto essere Arale.

«Sono stato meglio!» ho borbottato, massaggiandomi il naso. Non sembrava essere rotto o cose del genere. Però quando lo toccato sentivo ugualmente le stelline. Ho tentato di mettermi seduto, mentre aprivo gli occhi per guardare diversi letti ospedalieri, le finestre ampie con le tende tirate. Ero l'unico ospite ed ero nell'infermeria della caserma.

«Non capita mai di avere un visitatore il primo giorno!» ha esclamato una energica voce femminile. Ho guardato verso di lei e Arale si è spostata per farmi vedere chi era: una donna, abbastanza giovane, vestita di un'uniforme bianca coi polsini dorati e, sul petto, appuntato il simbolo dell'esercito spaziale. Al posto dei pantaloni questa aveva una gonna e un cappellino con la croce rossa in testa che le raccoglieva i capelli castani. E' molto carina e ha anche un viso simpatico.

«Lei è Jenny Johnson!» mi ha detto Alex. «L'infermiera. Ti avevo parlato di lei, se non sbaglio. E' a posto!»

«Ciao!» mi ha detto la Johnson, con un sorriso.

«Che mi è successo?» ho borbottato, ancora cercando di mettermi a sedere.

«Beh, chiaramente hai ricevuto un bel colpo sul naso.» ha risposto lei. «Ho due notizie, ma non so se sono buone, cattive o una buona e una cattiva. La prima è che domani puoi andare a lezione, la seconda è che il tuo naso è sanissimo. Il che è ben strano, dato che mi hanno detto che ti hanno dato un bel gancio.» mi ha guardato, aggrottando la fronte con fare inquisitore. Cosa mi avrebbe chiesto? Beh, ero terrorizzato. «Non hai l'aria di uno che fa a botte. Chi è stato? Howard James?»

«Ehm...» la verità è che non sapevo chi fosse Howard James, anche se mi pareva di averlo già sentito nominare.

«È il colosso della caserma, il più grosso ciccione e zuccone che possa capitare al mondo!» mi ha spiegato Alex, dalla sua sedia alla mia sinistra. «È al secondo anno da ben... aspetta... quattro anni?»

La Johnson si è messa a ridere. «Sì, sì! E da quanti è qui?» ha chiesto.

«Almeno sei!» ha risposto lui.

«Ha stabilito il record delle bocciature... peccato che ami così tanto la boxe!» la Johnson ha scosso la testa, sconsolata. «L'anno scorso ho dovuto tenere qui due suoi compagni di dormitorio per un mese! Sei costole rotte. Non potevano andare da nessuna parte e i genitori non hanno mai denunciato nessuno perché non l'hanno mai saputo.»

«E non l'hanno mai espulso a questo energumeno?» ha chiesto Arale, indignata. La Johnson ha sbuffato.

«Ragazzi, suvvia! Non espellerebbero mai qualcuno come James: il suo è un padre famoso...» ha esclamato in tono eloquente, prendendosi una sedia e sedendosi accanto ad Arale. Io sono rimasto con tanto d'occhi: era la prima volta che mi capitava di vedere un'infermiera comportarsi come lei. E io, di ospedali, ne ho visti parecchi...

Arale le ha lanciato un'occhiata perplessa, forse per quel che ho notato io, ma forse per via di Howard James.

«E perché?» ha chiesto, infatti.

«Perché suo padre è un pezzo grosso. E' un diplomatico che intrattiene rapporti con le colonie o qualcosa di simile...» ha risposto Alex per l'infermiera. «Un po' come Frank, che è il figlio del senatore Douglas Kushrenada, l'uomo più ricco del paese.»

«Frank Kushrenada?» ha esclamato la Johnson, con occhi sgranati, piegandosi un poco in avanti. «Tu mi stai dicendo che il figlio di Kushrenada, nipote del Generale dell'esercito spaziale giapponese Treiz, è qui?»

Questa notizia mi ha lasciato vagamente perplesso. Così scoprivo (sì, ricollego le cose per tempo) che Frank, oltre ad essere nipote del Generale, era il figlio del tipo che mamma considerava un uomo affascinante dal grande carisma. Però, avendo sempre trovato la politica una grande noia, non mi ci sono mai interessato più di tanto. E ora, io andavo a scuola con il figlio di quella meraviglia d'uomo.

«Sì... è nel mio corso!» ha detto Alex.

La Johnson ha emesso un leggero fischio. «E che tipo è?» ha chiesto, col tono di una portinaia pettegola, posando il gomito sul materasso dove stavo disteso e appoggiando una guancia sul pugno chiuso.

«Frank è a posto!» ha detto Alex, fiero.

«Sì, lo dici pure di Hopkins che è totalmente andato di cervello e di Salvini, che lo è anche di più!» ha ribattuto scontrosa l'infermiera.

«Se è per questo, lo dico anche di lei, infermiera Johnson!»

«Non mi sento molto lusingata, sai?»

Io e Arale ci limitavamo a seguire quello scambio di battute, anche perché, immaginavo, anche lei fosse nelle mie stesse condizioni.

Sembra che Alex e la Johnson abbiano un rapporto particolarmente stretto, come amici di vecchia data.

«Anche la Noin sarebbe a posto...» ha continuato Alex.

«La Noin?» ha replicato sconcertata la Johnson, balzando in piedi. «Ramazza, se essere a posto significa essere come la Noin, allora preferisco non esserlo!»

«Ma che c'entra? La Noin ha solo un problema di voce!» ha esclamato Alex, come se fosse stato offeso. «Tutti quelli che la Une odia sono tipi a posto, perché vuol dire che fanno qualcosa che a lei non piace e, quindi che hanno un cervello e non una sua sottospecie!»

«Ma anche Heero è a posto!» ha detto Arale, che sembrava essersi inserita perfettamente nel discorso, dopo un attimo di silenzio, durante il quale la Johnson ha fatto una smorfia, tutt'altro che convinta dalle parole di Alex. «Eppure lui è Caporale e anche responsabile del nostro piano. Come la metti?»

«Heero Yuy!» ha ridacchiato la Johnson. «Ah, lui sì che è davvero a posto! E' l'unico che ha capito abbastanza della vita per poter vivere con la Une, dire la sua e non farla arrabbiare!»

«E come fa?» ho chiesto, incredulo.

«Ci vuole arte. Io stessa non ci riesco.» ha esclamato la Johnson, allegramente, come se questa fosse una cosa di cui andare molto fieri. «Hopkins la odia e glielo dice in faccia,» ha cominciato a elencare, alzando ogni volta un dito. «la Noin è una morta con la maiuscola e Salvini non svolge il suo lavoro di mastino. Io faccio il mio, ma non ho peli sulla lingua. Non so dire le cose con classe, è questo il mio grande difetto!»

Si è messa le mani sui fianchi e ci guardava come se fossimo noi a dover dire qualcosa, ma ci siamo limitati a guardarla con con la bocca aperta, Alex incluso.

«Ah...» è stato lui il primo a riprendersi dalla parlantina veloce dell'infermiera. «Lei ha classe, infermiera Johnson, inutile che dice il contrario!»

Lei ha fatto un gesto con la mano, come per scacciare una mosca. «Piantala di adularmi, Ramazza!» ha detto. «Io non posso aumentarti i voti! E ora andate, prima che la Une vi veda e decida di spedirmi chissà dove per avervi tenuto lontano dai vostri letti!» ha tirato la sedia da sotto il sedere di Arale che si è ritrovata con gli occhi fuori dalle orbite e sconcertata esattamente quanto me. «Ci vuole un valido motivo per trasferirmi e ancora non ce l'ha! Forza, fuori di qui! Tranne tu.» mi ha trattenuto a letto, spingendomi energicamente sul cuscino, quando ha visto che volevo alzarmi e seguirli. «Dormi qui e domani mattina lascia perdere la bandiera. Ti scrivo un permesso.»

«Ah, no! Aspettate, ragazzi!» ho esclamato, ricordandomi improvvisamente il motivo per cui ero lì. Alex e Arale si sono fermati sulla porta: dovevo sapere, non potevo rimanere col dubbio per sempre. «Ehm... che... che fine ha fatto la porta della camera delle ragazze?»

«Beh, adesso andiamo a scoprirlo! Tranquillo, ragazzo!» ha risposto Alex, facendomi l'occhiolino. «Buonanotte!»

Se ne sono andati e la Johnson si è subito messa a scrivere il mio permesso. Io, invece, sono rimasto un bel po' a guardare il soffitto e ad ascoltare il dolore al mio povero naso, oltre che a lambiccarmi il cervello per quello che potrebbe succedere se la porta della camera delle ragazze fosse irrimediabilmente rotta. Già mi vedevo con le valigie, pronto a tornare a casa. Non che la cosa mi dispiacesse più di tanto, perché avrei potuto tornare a casa, dalla mia mamma, nel mio caldo lettuccio nella mia cameretta; era più per la mamma che, conoscendola, e vedendoci tornare con la coda tra le gambe dopo un solo giorno, sarebbe rimasta molto delusa... e poi, quella promessa di mandarci a raccogliere pannocchie sui Monti Paoz... mi è corso un brivido lungo la schiena.

Dopo una giornata estenuante come questa, tra questi pensieri, non ero ancora riuscito a prendere sonno e, quando è tornata la Johnson per controllare cosa facevo, ero più arzillo di un vecchio grillo.

Proprio mentre mi stava esortando a dormire un po', si è ricordata della domanda che mi aveva fatto e a cui io non avevo mai risposto: «Aspetta un attimo, chi ti ha rotto il naso?»

Non sapevo se rispondere o no: e se Pan fosse finita nei guai per colpa mia, oltre che per via della porta? Per un secondo, il viso sconvolto dalla rabbia della mamma che ci urlava di andarcene sui monti Paoz mi ha fatto venire un groppo in gola.

«Ecco... non la denuncerà, vero?» ho voluto sapere.

«La?» ha ripetuto, però, l'infermiera, sgranando gli occhi per lo stupore. «Santo Cielo, come sono cambiate le cose! Adesso sono le donne che picchiano gli uomini! E poi parlano di sesso debole, bah. Che le hai fatto, l'hai tradita?»

«Ehm... come si tradisce una sorella?» ho chiesto, incerto.

Lei ci ha pensato un po' su. «Ah, era tua sorella?» ha scosso la testa. «Per caso l'hai messa in ridicolo di fronte ai vostri compagni?»

«No!» ho risposto. «Beh, almeno credo...»

Lei mi ha guardato con fare materno. Solo la mamma mi guarda così e solo quando Pan mi picchia. Mi sono venuto le lacrime agli occhi e li ho serrati, perché l'infermiera non mi vedesse. «Che hai combinato?» ha insistito lei.

«Beh, non lo so... Pan ha sempre un qualche motivo per picchiarmi...»

«Ah! Tua sorella è un tipo orgoglioso, immagino, e tu una povera vittima, giusto?»

«Ecco...» non avevo mai riflettuto su questo punto e non sapevo cosa rispondere. «Non... non so...»

«Ah, ma tu sarai stanco... dai, dormi!» mi ha consigliato. «Ti sveglio io domani mattina!» e così dicendo è di nuovo sparita nel suo ufficio e io, rimasto perplesso dalle ultime parole dell'infermiera, ho continuato a guardare le ombre lunghe e scure della notte sul tetto, fino a che, davvero, non sono riuscito a prendere sonno, consolato dal fatto che la mamma, di questa faccenda, se la Johnson era a posto come diceva Alex, non avrebbe saputo niente.


******


Scusate l'immenso ritardo che ho messo per aggiornare. Avevo detto che avrei, per prima cosa, finito la fanfic sulle Winx, ma ho perso l'ultimo capitolo e quindi devo riscriverlo (so che non ve ne frega, ma mi pareva giusto riferirlo). Poi ho avuto esami e quindi... tutto è andato un po' a farsi friggere. XD

Questo capitolo è un regalino estivo prima delle vacanze vere e proprie, così che non vi dimentichiate di Kenny & company. Spero che sia stato di vostro gradimento e che sia valsa la pena di aspettare così tanto. ^^


Prof: sono molto contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che sia realistico (ogni volta ho timore di scrivere cavolate). Ci sto mettendo tutta me stessa per questo lungo e ambizioso progetto, senza contare che mi sto divertendo da morire a scriverlo. Quindi, spero che vorrai commentare anche questo capitolo, lasciandomi le tue dettagliatissime opinioni. Alla prossima! ^^


Un ringraziamento particolare va ad Anonimo9987465 che ha deciso di seguire questa storia.

Alla prossima, allora.

Luine.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Gundam > Gundam Wing / Vai alla pagina dell'autore: Luine