Non so come classificare
questa cosa, ma di sicuro è stupida. Inutile perdere tempo a parlarne, l’unica
cosa che voglio dire è che i riferimenti sono casuali e del tutto privi
di intenzioni offensive. Se non avete senso dell’autoironia e scrivete
nel fandom di naruto, vi sconsiglio di continuare la lettura, potreste avere
brutte sorprese.
Agli altri, buon divertimento,
o almeno spero.
suni
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C’erano molte cose per
così dire, usando un delicato eufemismo, sgradevoli, ad Oto. Effettivamente l’elenco avrebbe potuto
protrarsi per un lasso di tempo sorprendentemente lungo, partendo dalla persona
di Orochimaru, che forse era quanto di peggio il panorama locale fornisse, per
arrivare alla solitudine funerea, al fatto di vivere in umidi e fetidi corridoi
sotterranei come le talpe e le larve o, ancora, a quello che le uniche altre
persone presenti fossero cavie da laboratorio sottoposte quotidianamente ad
atroci esperimenti, con tanto di urla raggelanti che si spandevano in quei
cunicoli oscuri. La lista si prolungava di quel passo per infiniti punti e non
v’è dubbio che, in un simile stato di cose, qualunque persona
minimamente sana di mente sarebbe giunta alla conclusione che ci fosse
un’unica cosa ragionevole da fare: raccogliere armi e bagagli, caricarsi
in braccio katana, lacca e stemmini vari e svignarsela da quel posto immondo il
più in fretta possibile.
Ma noi non stiamo parlando di
una persona sana di mente.
Noi stiamo parlando di colui
la cui massima espressione dialogica è “Mh”, colui che ha
messo l’iniziale maiuscola a Vendicatore per questioni di copyright,
colui che trova affascinante pettinarsi i capelli a coda d’anatra –
e il bello è che la gente lo asseconda anche – colui che si stampa
ventagli bianchi e rossi anche sui perizoma, colui che si mette a ridere
soltanto dopo aver passato quattro ore in una posizione scomodissima chiuso
dentro un barile sballottato qua e là. Insomma, avete capito, lui:
Sasuke Uchiha.
Che poi, a ben guardare, lo si
può anche capire: era l’unico ragazzino al mondo che sarebbe stato
ugualmente scazzato e insoddisfatto ad Oto come a Gardaland, quindi tanto
valeva restare dov’era. A Konoha gli aveva sempre dato fastidio tutto
– Naruto Uzumaki in primis – e Oto non faceva differenza.
Continuava a snobbare il mondo, come aveva sempre fatto, e a guardare
sprezzante dall’alto in basso tutti quanti Orochimaru compreso, con gran
disappunto del sannin in questione e del di lui braccio destro e più
fidato seguace, Kabuto Yakushi. Seguace fidato che era la cosa, dal punto di vista di Sasuke, più spiacevole del
villaggio segreto del Suono.
Kabuto, per cominciare, li
aveva presi per il naso ai tempi della seconda prova, lui, Naruto e Sakura.
Ora, che si fosse tranquillamente beffato degli altri due a Sasuke non pareva
evento particolarmente strano o toccante; che si fosse preso gioco di lui,
invece, sì.
In secondo luogo, Kabuto
Yakushi era un leccapiedi. E tra i tanti difetti che Sasuke aveva, ma che
comunque non si sarebbe mai abbassato a riconoscere come propri, davvero non
figurava il servilismo, perché il quantitativo spropositato di orgoglio
e stima di se stesso che gli erano propri, per forza di cose,
gl’impediva quella pratica.
In terzo luogo, Kabuto Yakushi
era veramente convinto di quel che faceva, delle idee di Orochimaru, dei suoi
progetti e delle sua aspirazioni: li condivideva con slancio e abnegazione;
posizione che, sempre agli occhi di Sasuke, faceva di lui un perfetto cretino.
Aggiungendo il fare subdolo e le maniere viscide, il quadro non pareva
affascinante.
Inoltre, Kabuto Yakushi
insisteva nel far sì che anche lui facesse propri gli stessi ideali, che
sviluppasse la medesima stima sconfinata verso Orochimaru e che vivesse come un
immenso onore il fatto di essere stato prescelto come suo prossimo corpo;
insisteva in maniera sfibrante perché lui si rivolgesse al sannin coi
dovuti onori e fosse umile e accomodante – due concetti che nemmeno un
ritardato avrebbe mai minimamente accostato alla persona di Sasuke. Ora,
siccome difatti il giovane genio si guardava bene dal seguire quelle direttive,
quello stronzo di Kabuto per dispetto gli zuccherava sempre il tè. E
Sasuke odiava lo zucchero, Kabuto lo sapeva benissimo. Era inammissibile.
Ma c’era un’ultima
cosa di Kabuto che snervava Sasuke in modo intollerabile.
Il punto era che Sasuke Uchiha
soffriva d’insonnia, come ogni buon quattordicenne psicolabile che si
rispetti, e Kabuto aveva dei computer, che usava per monitorare i suoi
esperimenti ed effettuare le successive analisi, per tutto il giorno. E fin
qui, la questione fila.
La cosa che invece mandava in
bestia Sasuke oltre ogni dire era che puntualmente di notte, ogni volta che si
alzava per far due passi, andare a far tappa in bagno, sventolare due colpi di
katana e, insomma, far passare il tempo che l’incapacità di
dormire all’orario adeguato – peculiarità che, tempo dopo,
avrebbe portato Sai a commettere lo sgarbo di disturbarlo durante la pennica
pomeridiana – lasciava vuoto e dilatato, trovava Kabuto ancora davanti al
computer. Immerso nella lettura di chissà cosa, col suo impenetrabile e
perfido sorrisetto sulle labbra, il medico ridacchiava con scherno vedendolo
comparire e non smetteva di sghignazzare malignamente in silenzio finché
lui non spariva.
Sasuke non amava farsi i fatti
altrui e delle persone che aveva intorno gl’importava assai poco, per non
dire un’emerita cippa di niente. A lui interessava uccidere suo fratello
e vendicare il clan, e che il resto del genere umano crepasse tra sofferenze
atroci o si perpetrasse florido non era affar suo. Dunque, come Kabuto passasse
le notti non gl’interessava – in effetti, preferiva non pensarci.
Quel che lo faceva veramente incazzare era la costante sensazione che Kabuto –
che, non v’era dubbio, ricambiava pienamente la sua antipatia - ridesse
di lui, e questo Sasuke non lo poteva tollerare: nessuno aveva il diritto di
schernire l’ultimo Uchiha – beh, l’ultimo di lì a
breve – se non voleva incappare nella sua giusta collera.
Naturalmente, Sasuke non aveva
intenzione di abbassarsi a dare a Kabuto la soddisfazione di sapere che le sue
risatine leziose lo indisponevano e che avrebbe dato la testa mozza di suo
nonno, rotolata ai suoi piedi nella tragica notte blablabla, per sapere di cosa cavolo ridesse ed eventualmente
infliggergli la giusta punizione per la sua mancanza di rispetto: gli scagliava
la solita occhiata altera, con superiorità, e tirava dritto per la sua
strada con espressione di fredda indulgenza e divino schifo.
Questo, almeno, fino alla
notte in cui Kabuto, proprio mentre lui lasciava la stanza, si lasciò
sfuggire – o lanciò volutamente, vai a sapere – un leggero
“Ridicolo!” scorrendo assorto lo schermo. La sola idea che qualcuno
potesse usare quel lemma in riferimento a lui scosse talmente Sasuke che,
accantonando per un istante l’imperturbabilità, il ragazzino si
voltò indietro accigliato, con espressione fosca ed ostile.
“Che cosa è
ridicolo?” chiese tagliente.
Kabuto si strinse nelle spalle
con calcolata noncuranza.
“Non credo proprio che
tu lo voglia sarebbe, Sas’ke-kun, sarebbe traumatico,”
ribatté accondiscendente, ostentando una premura di fiele.
Sasuke raddrizzò le
spalle con fierezza, regale, sbuffando altezzoso: nulla poteva traumatizzare un
Uchiha.
“Fa’
vedere,” intimò brusco, raggiungendo il medico. La sua famiglia
era stata sterminata praticamente sotto il suo naso e, a parer suo, la cosa non aveva avuto conseguenze sulla sua
invulnerabile psiche: certo non sarebbe bastato uno stupido computer a scalfire
una simile fortezza.
Non sapeva quanto si
sbagliava.
WWW
“Fa’
vedere.”
Kabuto fece come per
suggerirgli di trattenersi mentre Sasuke doppiava la scrivania e si posizionava
accanto a lui, faccia allo schermo, scrutando arcigno il monitor illuminato da
una fredda luce chiara.
Al suo sguardo affamato di
curiosità si presentò un banalissimo testo in prosa, lunga
sequela di caratteri neri sulla pagina bianca: niente che giustificasse tanta
ilarità.
“Beh?”
sbottò stizzito.
“Ma non vedi cosa
c’è scritto..?”
Sasuke fu sul punto di
rispondere contegnoso a Kabuto chiedendogli se secondo lui avesse mai avuto
tempo da sprecare per imparare a leggere quando aveva cose ben più
importanti da fare, tipo diventare abbastanza potente da commettere fratricidio.
Ricordandosi che in effetti tempo addietro l’aveva fatto serrò
invece sdegnosamente le labbra e assottigliò concentrato le palpebre,
immergendosi nella lettura. Lentamente, sillaba dopo sillaba, il suo colorito
già niveo si fece di una nuance malsana
tendente al verdognolo.
Le calde braccia muscolose del moro la avvolsero in una stretta decisa ma
amorevole e Sakura si lasciò sfuggire dalle labbra un sospiro estatico,
felice di vedere il suo sogno finalmente realizzato. Sasuke era lì con
lei e non se ne sarebbe mai più andato, perché il sentimento che
li univa era troppo grande.
Quasi confermando il pensiero della rosa, Sasuke la serrò un po’
di più.
“Ti amo, Sakura,” sussurrò dolcem
“C-c-che
c-c-os’è questa roba?” sbottò Sasuke – o
meglio: rantolò con voce stranamente acuta, immerso nello sforzo di
trattenere un violento conato di vomito.
Kabuto chinò la testa
verso il basso, tentando invano di reprimere una risata quasi isterica alla
vista del volto del genio deformato da quel che poteva definirsi solo panico.
“Una fanfiction,
Sas’ke-kun,” rispose il medico tra le risate compiaciute.
“Dovresti essere contento, parla di te,” aggiunse solerte.
“Non è
vero!” ringhiò Sasuke minaccioso, recuperando un minimo di
autocontrollo. “Quello non sono io! Ti pare che io sussurri dolcemente? A
Sakura, poi?”
Kabuto si schiarì serio
la voce, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Pare che in passato tu
l’abbia fatto. C’è un certo episodio in cui pare che,
partendo da Konoha, tu le abbia surrurrato un grazie molto dol...”
“Sì, ma subito
dopo l’ho messa a tappeto!” protestò Sasuke oltraggiato, la
fronte aggrottata. “E cosa cavolo è una fanfiction?”
sibilò finalmente, facendo sfoggio dell'altra sua peculiare capacità, ovvero quella di porsi sempre la domanda fondamentale con ritardi astronomici concentrandosi
invece su cazzate senza importanza e futili questioni d’onore.
“E’ un racconto
scritto da un ammiratore,” spiegò Kabuto sbrigativo, con
sufficienza.
“Di chi?” chiese
Sasuke glaciale.
“In questo caso, un
ammiratore di Naruto,” completò Kabuto, riportando lo sguardo
sullo schermo con malvagio entusiasmo.
“Di Naruto?” ripeté Sasuke con voce involontariamente
stridula, i neri occhi sgranati. “Esistono ammiratori di
quel...dobe?”
“Di noi tutti, voglio
dire, del nostro mondo,” si corresse Kabuto con uno sbuffo. “In
realtà tu hai molti più fan di lui, Sas’ke-kun,”
aggiunse vagamente amareggiato.
“Vorrei ben
vedere,” borbottò Sasuke sprezzante. Ci mancava soltanto che
l’idiota venisse apprezzato più di lui, sarebbe stato veramente il
colmo. “Ma dove stanno, poi, questi fan?” aggiunse, nonostante il
fatto di risultare ignorante in merito alla questione toccata lo indispettisse
in modo indicibile. Ma un giorno o l’altro avrebbe ucciso Kabuto e
l’onta sarebbe stata lavata col suo sangue.
Kabuto sospirò tediato,
prima di mettere mano al puntatore.
“Come spiegarti...
Guarda,” affermò smanettando col mouse, e Sasuke si chinò
automaticamente in avanti, studiando la nuova pagina.
“E...F...P. Che cosa
dovrebbe voler dire?” domandò, tracotante.
“Erika’s Fanfiction
Page. L’archivio delle fanfiction di Erika. E’ qui che leggo le
storie.”
“E chi sarebbe
Erika?”
Kabuto si sistemò
nuovamente gli occhiali sul naso, compito.
“Non ne ho la più
pallida idea,” ammise controvoglia.
Sasuke gli lanciò
un’occhiata gelida, raddrizzandosi fiero. Kabuto lo imitò,
accennando un sorriso sussiegoso.
“E’ qui che i
nostri fan scrivono le loro storie su di noi. Tu sei uno dei più
gettonati...e non me ne spiego la ragione,” proseguì, mormorando
appena l’ultima frase con fastidio.
Sasuke assottigliò le
labbra, ostile, scrutandolo con odio. Soprassedette, magnanimo.
“Quindi quella schifezza
che stavi leggendo sarebbe...”
Kabuto annuì.
“Sì, una storia
su di te scritta da una tua ammiratrice.”
“Quella non è una
mia ammiratrice. Quella mi odia a morte,” obiettò Sasuke sdegnoso,
rabbrividendo al ricordo del caldo abbraccio e del ti amo sussurrato dolcemente.
“Beh, c’è
un certo disaccordo in merito. C’è chi ti adora follemente e chi
vorrebbe vederti morto prima possibile,” concesse Kabuto leggero.
“Il secondo punto
è reciproco,” ringhiò Sasuke altero, prima di levare il
mento all’aria con superiorità. “Comunque non
m’interessa questa roba ridicola,” aggiunge indifferente.
“Gente che mi rifila a Sakura, è proprio una stup...”
concluse, voltando le spalle per allontanarsi.
“Non solo a Sakura,” buttò
lì Kabuto con noncuranza, sorridendo malefico tra sé. Le lenti
dei suoi occhiali rilucettero sinistre mentre Sasuke si bloccava di scatto,
tornando a girare lentamente la testa indietro.
“Cosa intendi dire?”
chiese freddamente.
Kabuto scrollò il capo,
facendo ondeggiare i capelli.
“Ai fan piace far
nascere amori tra i loro idoli. Creano le coppie più assurde. Pensa
che,” citò, esagerando enfaticamente lo stupore,
“c’è chi ventila una relazione tra me e il nostro grande e
amatissimo Sannin.” E scosse la testa con rimprovero.
“Chissà come
mai...” mormorò Sasuke, impassibile. “E io...?”
aggiunse bizzoso.
“Secondo alcuni ti
stupra,” scandì Kabuto arcigno.
“Ho sempre pensato che
volesse farlo...” borbottò Sasuke tra sé, prima di
rabbrividire lievemente. “Poi?”
“Tu sei molto diffuso.
Beh, alcune ti mettono con Hinata Hyuuga, ad esempio...” affermò
Kabuto, scorrendo la lista dei titoli.
“Ma se non le ho mai
rivolto la parola,” osservò il genio, arricciando il naso con
disgusto. “E’ persino più inutile di Sakura,
quell’impedita.”
“...o con
Kakashi.”
“K-Kakashi
sensei?” E lo squittio atterrito che Sasuke emise lo fece arrossire di
vergogna. “P-perché lui è...?” aggiunse, con
malcelato panico.
“Mi stupirebbe,”
commentò Kabuto scuotendo la testa, e Sasuke rilassò il busto.
Deglutì vigorosamente, cercando di mantenere un fare compassato, ma un
leggero rivolo di sudore gl’imperlava la fronte.
“Chi altri?”
chiese cauto.
“Vediamo...certo, ogni
tanto c’è Gaara,” proseguì Kabuto giulivo. Quel
bastardo se la godeva.
“Sabaku no
PsicoGaara?” ruggì Sasuke allibito. “Ma se mi voleva
ammazzare, quel coso!”
“Non vuol dire,
sai?” lo riprese Kabuto compreso. “Anzi, ai fan piace immaginare di
far nascere l’amore tra coloro che si odiano di più. Prendi
Itachi, per esempio...” aggiunse, vago, e Sasuke non colse
l’incresparsi trionfale delle sue labbra nel silenzio assoluto che
seguì: era troppo impegnato a sbiancare e sorreggersi sulle gambe
malferme.
“C-chi?”
esalò flebile.
“Itachi. Ma sì,
l’Uchihacest,” replicò placido Kabuto.
“Uchiha...cest?”
“E’ così
che si chiamano le storie in cui tu e lui...” e Kabuto
s’interruppe, con un chiaro gesto mimico. Sasuke spalancò la
bocca, sgranò gli occhi, si fece di nuovo verdognolo e poi paonazzo, ed infine
esplose.
“CHE COOOSAA?”
sbraitò furioso. “Chi è quell’imbecille che ha sparso
in giro una voce simile? Io lo voglio morto! Morto, morto, MORTO!”
ululò, dimenandosi minaccioso a pochi centimetri dal volto di un
impassibile Kabuto. Nel silenzio successivo, turbato solo dall’ansimare
nervoso del ragazzino, il medico si pulì dignitosamente le lenti
sputacchiate.
“Avevo intuito,”
commentò con voce incolore.
“Chi è? Chi?
Pretendo riparazione! Io non toller...”
“Mica finisce
lì,” lo interruppe Kabuto, formale.
“C’è
qualcosa di peggio di questo?” sibilò Sasuke truce.
“Diciamo che
c’è qualcosa che ha proporzioni più massicce. Lascia che ti
parli della più grande moda delle fanfiction su di noi e
permettimi,” e qui Kabuto fece una pausa carica di significato, gli occhi
che brillavano vittoriosi, “...di introdurti alle meraviglie del
SasuNaru, o NaruSasu che dir si voglia,” concluse, poggiando le spalle
allo schienale della sedia con aperta, mefitica soddisfazione.
Sauke lo osservò
vitreo, ammutolendo per qualche istante.
“Eh?” emise,
perplesso.
“Il SasuNaru! Sasu
– Naru, ti serve lo spelling?” sbottò Kabuto, esasperato da
quel lungo botta e risposta.
Sasuke, di nuovo, avvertì
un brivido e deglutì un groppo in gola con vaga inquietudine.
“Perché ho l’impressione
che non mi piacerà affatto?” chiese tagliente.
Kabuto si spostò su un’altra
nuova pagina, senza badargli.
“E’ in assoluto il
più grande filone attuale. Ci sono seguaci dappertutto, e tutti
concordano sul fatto che voi due siete innamorati. Francamente, dopo un’attenta
analisi delle motivazioni addotte comincio io stesso a domandarmi se non sia
vero, Sas’ke-kun,” concluse, con un tono mellifluo nel pronuncciare
il suo nome.
“Io e chi?” replicò Sasuke secco,
con un tono che nelle intenzioni doveva mettere in guardia l’interlocutore
dal proseguire con le sue insinuazioni. Di fatto, parve piuttosto un pigolio
sparuto che ben poco si adattava a Sasuke.
“Uzumaki, ovviamente.”
“IO E IL DOBE?” ragliò
il genio, portando automaticamente il braccio ad estrarre la katana che,
essendo lui in pigiama, non era affatto appesa alla sua schiena. Stizzito,
ringhiò truce. “Non dire stronzate, Kabuto, è quell’idiota
che mi sta col fiato sul collo perché ha la testa più dura delle
squame di Manda,” specificò disgustato.
Kabuto scosse la testa.
“E’ innamorato di
te,” ribadì pazientemente, con noncuranza. “Completamente
cotto. E tu di lui. Per questo non l’hai ucciso nella Valle dell’Epilogo,
quando...”
“Ma tu cosa cavolo ne
sai, eh?” abbaiò Sasuke afferrandolo per la collottola, ormai
vicino al perdere le staffe.
“Lasciami,” replicò
Kabuto con tutta calma, allontanando lentamente la sua mano. Sasuke non mosse
un solo muscolo, continuando ad osservarlo astioso. “Le vostre fan non
fanno che discutere di quell’episodio. Per non parlare di quando Haku...”
“E piantala!” E
qui Sasuke arrossì vistosamente. Non gli piaceva la piega che stava
prendendo quella conversazione, proprio no. “Non posso credere che ci sia
davvero gente convinta di queste...”
“Guarda tu stesso,”
lo riprese Kabuto, magnanimo. “Mettiti comodo, io vado a farmi uno
spuntino. Qui trovi tutto, le Uchihacest, il SasuNaru, quello che preferisci.
Divertiti, Sas’ke-kun,” completò, alzandosi con quel suo
sorriso maligno e gli occhi accesi di malizia dietro le lenti rotonde.
Sasuke lo guardò
allontanarsi con espressione stranamente incerta. Aveva inconsulti brividi alternati
a vampate di caldo lungo la schiena e le sue gambe sembravano un po’
molli. Poi voltò lo sguardo verso l’ordigno infernale e, con
titanico sprezzo del pericolo, si avvicinò guardingo, prese posto sulla
sedia e poggiò le mani chiare sulla tastiera.
EFP, mh? A noi due.