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Autore: MissAdler    14/09/2019    12 recensioni
In epoca vittoriana, John Watson esterna finalmente il suo amore per Sherlock Holmes
[Post s4]
[Epistolare]
[John Watson pov]
[Victorian!AU]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Victorian!lock

 

Post s4 ma come se tutto fosse accaduto in epoca vittoriana, quindi resto fedele agli avvenimenti della serie.

 

Buona lettura.

 

 

 

~~~

 

 

 

Mio caro Holmes,

 

mio incredibile, straordinario, fidato amico.

 

Se solo riuscissi a dirvelo, se solo sapeste.

Se solo ci fosse più coraggio, in quest’uomo ridicolo…

Se solo io conoscessi le parole, se solo Voi poteste leggermi come leggete il mondo intero.

Se Voi, o io, o noi… 

Se solo.


Oh, per l’amor di Dio, devo sembrarvi ridicolo, non è così?


Mio caro amico,

perdonatemi, Vi prego.

Per avervi mentito, perché non è vero, che non starò mai più bene, non è vero ed io ne ero consapevole, mentre lo dicevo. 

Lo sapevo mentre mi abbracciavate, mentre piangevo sul Vostro petto e mi disperavo.

Mi stringevate e mi sentivo già felice, colpevole per quel sollievo che non meritavo, imperdonabile perché in fondo non mi sono mai sentito perso come avrei dovuto, dopo la scomparsa di mia moglie.

Perché dentro di me sapevo che Voi eravate ancora qui.

Vivo.

Raggiungibile, se solo non V'avessi odiato così tanto, perché accettare di amarvi sarebbe risultato troppo semplice, e allora in quale ostacolo avrei potuto ancora inciampare?

Sapete quanto io abbia bisogno di inciampare, zoppicare e perdermi, ché la serenità mi fa troppa paura, Holmes, non sono capace d’esser felice.

Eppure Voi mi sareste bastato, non avrei dovuto far altro che tendervi la mano, chiedervi aiuto, dirvi la verità…

Ma io sono uno sciocco e Voi lo siete allo stesso modo, dovete ammetterlo.

Ci siamo fatti tutto questo… ci siamo fatti troppo male, Sherlock.

Ed io non vi ho mai detto mi dispiace.

Lasciate che te ve dica ora, lasciate che vi dica tutto.


Mio amore,

sei tu 

siete Voi, sempre Voi, che mi date luce, aria, vita.

E siete Voi a portarmi in salvo, a lasciarvi rincorrere, ad attirarmi nel Vostro mondo, nella Vostra mente meravigliosa, dove mi permettete di indugiare ogni giorno un istante in più. 

Lasciate che io mi smarrisca tra quei mille fili sottili, intrecciati come ragnatele iridescenti, che congiungono idee, domande, soluzioni. Fili che in quella rete catturano teorie, probabilità e gocce di rugiada, che si diramano da un angolo all’altro di quell’universo incantato. 

Perché è esattamente così che io lo immagino, il Vostro mondo.

Voi dite scienza ed io vedo miracoli.

Voi lo chiamate genio ed io sento che è magia.

La Vostra magia. Quella che mi ha stregato, trasfigurato e salvato.

Quella che mi ha mostrato che il mondo può essere ancora bello, che posso tracciare il mio sentiero nel deserto, che posso essere sempre io. Anche qui, in mezzo a una strada, su un marciapiede illuminato dalla fioca luce dei lampioni, su una panchina all’ombra di un tiglio, tra i palazzi di una Londra che mi sembrava così fredda, grigia e indifferente, prima che Voi me la faceste di nuovo chiamare casa.


Mio amore,

siete Voi che mi avete insegnato come placare quest’ira, questo istinto di morte che mi allontana dalla realtà, dalla vita, da ciò che di buono esiste davanti ai miei occhi.

I miei occhi, che non hanno mai saputo vedere davvero, prima di Voi.

I miei occhi che non riuscivano a riconoscere chi ero, quando diventai un medico, stupidamente convinto di poter salvare il mondo, tra applausi che non avevano fine e strette di mano che a malapena tolleravo.

Non ricordavo nemmeno il mio nome, sotto quell’uniforme ruvida e pesante, che ho imparato a sentire mia, comoda e perfetta come una camicia da notte di lana in una notte d’inverno, e che alla fine non avrei più voluto togliere.

Non ero io, eppure ero dannatamente io, mentre caricavo il fucile, ordinavo di far fuoco e amputavo braccia, gambe e vite come se non fosse tremendamente rivoltante, orribile, disumano, come se quell’inferno fosse l’unica realtà possibile, per uno come me. 

Ero cieco e Voi mi avete insegnato a vedere.

Volevo guerra e Voi mi avete dato pace.

Corteggiavo la morte e Voi mi avete fatto amare la vita.

In un modo che neanche conoscevo, attraverso Voi, apprezzandola per la prima volta, trovando la mia dimensione, il mio ritmo, la mia musica, il mio spazio per danzare.

E ciononostante sono caduto così tante volte, in tutti questi anni, inciampando su ostacoli che io stesso avevo messo lì, solo per dimostrare che ero grande, che ero forte, che non avevo bisogno di Voi. 

Non dopo avervi visto morire, non dopo avervi visto tornare, quando ormai ero morto anch’io.

Ma come può, un uccellino, vivere senza mai poter volare?

Come potevo anche solo pensare di esistere senza di Voi, che un tempo mi avete dato le ali?

Siete sempre stato lì, ad assicurarvi che non mi arrendessi, a non farmi perdere di vista chi fossi davvero, anche se forse me lo sarei meritato, anche se eravate ben consapevole che non Vi avrei mai ringraziato.

Avete tenuto insieme i miei pezzi quando rischiavo di sgretolarmi, avete lasciato che fossi io a sgretolare Voi, a richiudere gli occhi, a scordare il mio nome un’altra volta. 

E poi mi avete aspettato.

Avete atteso in silenzio che fossi pronto ad andare avanti, a guardarmi dentro, ad accettare le mie imperfezioni, ad ammettere le Vostre.

Le Vostre.

Voi, così perfetto ai miei occhi, al di là di tutto, al di là degli sbagli, che non sono certo peggiori dei miei.

Voi, straordinario, incedibile, ultraterreno e sovrumano.

Non Vi ho mai amato tanto, come quando infine ho compreso che eravate solamente un uomo.

Così simile a me, così diverso, incredibilmente vicino, finalmente tangibile.


Mio amore. 

Voglio chiamarti così, d’ora in avanti, ogni giorno della mia vita, ogni istante che vivremo.

Ad ogni sguardo, mentre ti sorrido e i tuoi occhi si illuminano come se questo bastasse a riempirti il cuore. 

Mentre ti passo una tazza di tè alla cannella e mi ringrazi sottovoce, mentre desidero solo risponderti “prego, mio amore”, e baciarti teneramente, e dirti “è bollente, fa’ attenzione, amor mio”, e soffiarci sopra io stesso, per raffreddarlo, per respirare in quel vapore speziato l’odore dell’autunno, dei pomeriggi uggiosi in poltrona, sempre noi due, giorno dopo giorno, la pioggia sui vetri, il sole sul soffitto, il mondo intero in questa stanza.

Prendimi e portami con te.

Distruggimi, ricostruiscimi, rimettimi dove stavo prima e tienimi lì, nell’unico posto dove riesco a sopravvivere. 

Davanti a te, dove posso specchiarmi nei tuoi occhi e ritrovarmi ogni volta, riconoscermi ed avere il coraggio di guardarmi in faccia attraverso te, accettarmi senza necessariamente definirmi, venirti incontro ogni volta un po’ di più. E raggiungerti, e baciarti, e finalmente prenderti.

Dietro di te, dove un lembo del tuo soprabito mi sfiora leggero, dove correre mi riesce semplice, dove non sento stanchezza né affanno. Dove posso vedere la tua figura sottile e silenziosa addentrarsi nel buio della notte, i tuoi capelli scompigliati che riflettono la luce delle stelle. Dove posso sentire il profumo che ti lasci distrattamente alle spalle, dove posso afferrarlo e tenerlo per me, per non sprecarne nemmeno un poco, perché è il tuo ed è prezioso, come tutte le cose che ti appartengono, che sono tue, e che sono te.

Inequivocabilmente te.

Al tuo fianco, perché voglio vivere per meritarlo, per essere degno di te. Per giurare che sono tuo, per sentirti mio, per potermici addormentare, su quel fianco, quando infine avremo corso abbastanza, quando saremo esausti, quando avremo trovato le parole giuste e il coraggio di sfiorarci.

Al tuo fianco per tenerti la mano, per non cadere, per non perdermi, per non perderti.

Mai più. 

Fammi restare, mio amore, riservami lo spazio intorno a te, lascia che sia il mio posto nel mondo.

Permettimi di vivere della tua stessa aria, di percepire il tuo respiro, il tuo profumo, il tuo calore, ed io giuro di non allontanarmi mai più.

Giuro di danzare su quel cerchio per sempre, di tacere e ascoltare tutte le cose incredibili che hai da dire e che sai solo tu, tutte le parole che ami pronunciare a raffica, tutte le note che vorrai suonare per me, per te, per mettere ordine nella tua mente caotica, riempiendomi la vita di musica e straordinaria poesia.

Permettimi questo ed io parlerò la tua lingua, ti spiegherò la mia, e poi ne inventeremo una solo nostra, una che forse un po’ conosciamo già, una che potremo capire solo noi due, che insegneremo a Rosamunde, che useremo per irritare tuo fratello Mycroft, per confondere la signora Hudson e l’ispettore Lestrade, che io userò per sussurrarti all’orecchio parole che nessuno conosce, quando, nelle gelide sere di dicembre, una coperta basterà per entrambi.

 




~~~

 

 

ANGOLINO DELL’AUTRICE

Sono qui anche se credevo sarebbe passato molto più tempo. Non è un bel periodo ma ieri mi è venuta in mente questa cosa e ho voluto buttarla giù senza pensarci troppo, non sono convinta del risultato ma ho voluto pubblicarla comunque, spero vi possa piacere.

Se vi va di lasciarmi due parole ne sarò come sempre felice.

Un abbraccio

MissAdler

   
 
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