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Autore: memi    29/07/2009    4 recensioni
Sospirò, trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di tornare al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia quando, come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando così la sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si fermò nel petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.
Lui era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.
“Posso avere un fazzoletto?”
[Fanfiction classificatasi prima al contest "How Wonderful Life is While You're in te World" indetto da bambi88 e LalyBlackangel e vincitrice del Premio Atmosfera]
NaruHina. Lievi accenni SasuSaku, KibaIno e KankuIno.
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Konohamaru, Naruto Uzumaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ma che ci trovi di bello in quel parco? È noioso.”

Hanabi, in piedi sulla porta, la fissò con aria scettica, quasi scocciata.

Hinata sorrise discretamente alla domanda, ripensando ad un paio di occhi azzurri in particolare.

“È...è d- divertente invece. Ci sono m- molte p- persone.”

“Se neppure ti piace stare con troppa gente!”

Hanabi sbuffò spazientita, per poi farsi particolarmente audace ad un’acuta osservazione.

“Non ti piacerà qualcuno, vero?”

Hinata arrossì, come prevedibile, senza però perdere il buonumore nell’avvicinarsi al portone d’ingresso.

“Non dire sciocchezze, Hanabi!”

Eppure, valutò la sorella minore, nel dirlo non aveva balbettato ad una sola parola.

 

 

#2: The boy of the chocolate ice cream

 

The smile on your face
Lets me know
That you need me
There's a truth
In your eyes
Saying you'll never leave me
The touch of your hand says
You'll catch me
Whenever I fall
You say it best
When you say
Nothing at all

 

Hinata aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo obbediente.

A sei anni, quando suo padre aveva stabilito l’insegnamento privato per lei, aveva chinato il capo e, trattenendo a stento il groppo alla gola, aveva annuito. Poi era salita in camera sua, aveva aperto l’armadio e vi aveva posato lo zaino nuovo di zecca che era andata a comprare proprio quella mattina. Senza versare una lacrima, né sbattere i piedi a terra come avrebbe fatto invece sua sorella.

Qualche notte, nei sogni, aveva immaginato di poter essere una bambina normale e di andare a scuola come tutti gli altri. Di avere degli amici – di quelli veri, di quelli che non si limitano a fissarti con quegli enormi bottoni neri – e di poter usare la sua bella cartella. Ma inesorabilmente il tutto era scivolato via di mattina, quando i raggi pigri del sole a solleticarle il viso parevano ricordarle che non c’era tempo per certe sciocchezze, che Kurenai-sensei la stava aspettando per la lezione riservata.

Così Hinata si ritrovava ad avere diciassette anni e nemmeno uno straccio di amico con cui condividere gioia o dolori. Lei faceva scappare le persone, lo sapeva bene. Una volta, a undici, dodici anni, la sua vicina di casa Tenten l’aveva invitata ad un pigiama party. Tenten era stata l’unica ragazza, in qualche modo, a dimostrare una certa predisposizione a volerle essere amica. Eppure, quando aveva avanzato l’idea a suo padre, non aveva detto una singola parola dinanzi alla sua netta negazione. Le ragazze dabbene non perdono tempo in queste attività futili. Va ad allenarti con l’Ikebana, piuttosto. Pigiama party...che sciocchezza. Quella sera era rimasta nella sua stanza, a contare le stelle appena visibili in cielo, e così anche la sera dopo, e quella dopo. Alla fine, dopo aver collezionato una serie innumerevole di rifiuti, anche Tenten aveva finito per stancarsi di lei e aveva smesso di chiamarla. Hinata non aveva mai provato risentimento per questo, al contrario. Era rimasta persino colpita della determinazione con cui aveva insistito con lei per tutto quel tempo.

Lei, al contrario, non poteva certo definirsi una persona determinata.

Chiunque avesse avuto la costanza di parlarle per più di cinque minuti, avrebbe imparato che, nonostante le varie somiglianze genetiche, Hinata non aveva nulla a che fare con il resto degli Hyuga. Non era fredda, non sapeva essere distaccata neppure a mordersi la lingua. Non sapeva fare niente in particolare e non era neppure un’eccellente studentessa. Nella norma, questo sì, senza mai un solo primato in una qualche attività. Ed era sensibile, così tanto da risultare persino fastidiosa, quando di fama uno Hyuga sapeva attraversare gli insulti peggiori a testa alta senza dare segno di averne accusato alcuno. Suo cugino Neji, ecco. Lui sì che era uno Hyuga perfetto. Lei, invece, era soltanto una pallida, malriuscita e ridicola imitazione di quello che sarebbe dovuta essere.

Qualche volta Hinata si era illusa di aver ereditato almeno il dono del silenzio dalla sua famiglia, ma non di recente aveva appurato di aver speso tempo dietro all’ennesima utopia.

I silenzi degli Hyuga erano incisivi, così taglienti da incutere un rigido timore riverenziale a chi ne subiva gli effetti.

I silenzi di Hinata, invece, erano imbarazzanti, perché sapevano di mille parole incapaci di venir fuori e di un’altra infinità di cose tutte insieme.

Perciò, dopotutto, aveva dovuto rassegnarsi all’evidenza e capacitarsi – come se ce ne fosse stato mai veramente bisogno – di essere una fallita. Di non avere niente, niente di speciale. Nemmeno una piccola peculiarità. Nemmeno un po’. Nemmeno niente.

Poi, però, qualcosa era successo.

Inspiegabilmente. Irrazionalmente. Improvvisamente.

Forse, se si fosse presa la briga di uscire di più ogni tanto, avrebbe sentito dire qualcosa in più sul suo conto. Forse si sarebbe fatta trovare preparata, insomma, se solo l’avesse saputo almeno un pochino prima. Forse non sarebbe rimasta tanto colpita quando, avvertendo il cono d’ombra precipitatole ad un tratto addosso, aveva incontrato i suoi occhi di un azzurro infinito.

O forse no, forse sarebbe andato tutto allo stesso identico modo, forse, forse...

Hinata non poteva di sicuro saperlo mentre, con un sospiro, prendeva posto sulla sua amata panchina, quella nell’angolo più remoto del parco, quella meno visibile.

Ecco, era proprio quello il punto. Perché proprio lei? Tra tante persone, lui era andato da lei. Lei che, in tutta la sua vita, non era mai stata scelta per niente. Non che questo potesse lasciarla illudere di essergli rimasta, in qualche modo, impressa nella mente. Troppo anonima. Troppo. Troppo, troppo anonima.

E andava bene anche così, dopotutto. Non chiedeva tanto. Che, Elena era stata amata subito dal suo Demetrio? *

A lei bastava poter rimanere sulla panchina a guardarlo mentre, con sterminata noncuranza, si beffava del mondo. Non hai paura... – avrebbe voluto potergli chiedere – ...non hai mai il terrore di rimanere solo? Ma i suoi erano solo pensieri che si inabissavano con un singulto insieme a tutte le altre osservazioni non dette, rimanendo semplicemente a guardarlo, con occhi mai saturi di tanta sfrontata insolenza, desiderando talvolta di poter avere – un giorno, chissà – lo stesso coraggio nell’affrontare le cose. La vita.

Perché, infondo, la verità stava tutta lì: quel ragazzo dagli occhi del cielo e i capelli del grano, con quelle buffe cicatrici a segnargli le guance e l’aria impenitente cucita ad arte...sì, quel ragazzo, lui, la sapeva affrontare la vita. Più di lei, più di suo padre che si nascondeva nel suo potere, più di sua sorella che si infilava in vestiti già troppo grandi, più di suo cugino che se la prendeva col destino, più di tutti gli Hyuga, più di tutti quelli convinti che Konoha fosse il quartiere ideale in cui vivere. Più di tutti loro, .

Hinata lo studiava con attenzione ogni giorno dal suo piccolo lembo di mondo. Lo vedeva gareggiare scorrettamente con bambini più piccoli di lui e pavoneggiarsi dinanzi alla sua indiscutibile vittoria, incurante delle occhiate di diniego degli altri. E sorrideva, perché non aveva mai visto nessuno così, e con un sospiro già sognava di poter fare la stessa cosa, prima o poi, anche se sapeva che quel giorno non sarebbe arrivato mai.

Tutto sommato, Hinata aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo obbediente.

Eppure questo non le impediva di fantasticare, no? Di immaginare una realtà alternativa dove una lei più intraprendente e meno passiva afferrava con decisione le redini della propria vita, indifferente al giudizio della sua famiglia, insofferente alle occhiate della gente. Una lei che, ad ogni occhiata se ne rendeva sempre più conto, assomigliava in modo incredibile a quello stesso ragazzo che, nel giro di poche settimane, aveva saputo riempire e sconvolgere ogni pensiero.

Scosse il capo mentre rastrellava il suo amato libro dal fondo della borsa. Aprì al segno e si accorse, non senza un certo stupore, di essere rimasta alla pagina cinquantuno. La stessa da giorni. Non era andata avanti di una sola, singola frase. Nonostante si recasse in quel parco a leggere ogni singolo giorno.

Come era possibile?

E la risposta arrivò ancora con la sua inoppugnabile vitalità.

“Ehilà bambocci! Pronti per l’ennesima sconfitta?”

Eccolo, si disse con un sorriso che velocemente andò ad aprirsi sulle labbra scarlatte, era arrivato.

Alzò la testa e si soffermò per un lungo istante sull’immagine distante del ragazzo che, solo arrivando, aveva fatto storcere parecchi musi. Borsalino bene in testa e abbigliamento trascurato, come proprio non si conveniva ad un quartiere simile. Eppure Hinata, anziché disapprovare come il resto delle persone lì dentro, sorrise di pura contentezza. Era lui. Era lì. Era ancora lì.

See, ti piacerebbe!”

“Sei in ritardo!”

“E quando mai è puntuale, Moegi?”

“Hai ragione, Udon.”

“Quel vecchiaccio non ha il minimo senso della puntualità, figuriamoci!”

“Ehi, guardate che vi sento! Hai capito Konohamaru? Vecchiaccio io, tsk!”

Lui si scaldò dinanzi a quella vagonata di improperi a domicilio e lei, nel suo arco di spazio, non poté fare a meno di ridacchiare, arrossendo appena dietro le dita sottili. Nessuno sembrava darle peso ma, se a qualcun altro avrebbe dato fastidio, Hinata ne era addirittura sollevata. Non era brava a stare al centro dell’attenzione, era più brava ad osservare gli altri, ecco.

“Sentite questo rumore? È quello dei gelati! Chi vuole un gelato?”

Aguzzò a sua volta l’udito e sentì, proprio oltre le alte siepi che costeggiavano il parco, la canzoncina monotona del gelataio. Quando ritornò sull’insolito quartetto, rimase con l’amaro in bocca nel non ritrovarli più nel posto in cui per un solo secondo li aveva lasciati. Allora assottigliò le palpebre e si sforzò di mettere a fuoco quanto più poté, rintracciandoli così a qualche metro di distanza, mentre con ogni probabilità si sfidavano a chi corresse di più.

Sospirò, trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di tornare al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia quando, come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando così la sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si fermò nel petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.

Lui era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.

“Posso avere un fazzoletto?”

 

 

≈♦≈♦≈♦≈

 

 

* Riferimento a “Sogno di una notte di mezza estate”, di W. Shakespeare.

 

 

 

Vi ho fatto attendere un po’ –e me ne dispiace davvero- ma finalmente eccovi il secondo capitolo. Come avrete notato, stavolta la visuale passa ad Hinata. Dirò che scrivere questo capitolo in particolare ha richiesto molta più fatica del previsto, nel senso che immedesimarmi in Hinata e rendere ogni punto di vista come lo vede lei ma come lo immagino io, beh, è stato. E perciò mi piacerebbe sapere ancor di più cosa ne pensate, se ho fatto, diciamo, un buon lavoro o meno.

Già che mi trovo, colgo la palla al balzo per ringraziare le persone che si sono fatte sentire lo scorso capitolo. Dunque:

·          A valehina volevo dire grazie, semplicemente. Le tue parole mi hanno fatto spuntare il sorriso sulle labbra –come una scema- e mi hanno scaldato il cuore. Mi piace sapere che quello che sento scrivendo, in qualche modo riesce ad arrivare a chi lo sta leggendo. Ecco, credo che sia questo il punto fondamentale. Non serve a niente scrivere se non si riesce a far capire all’altro cosa si sta vedendo in quel momento. Per quanto riguarda la scelta dei capitoli, ti dirò che all’inizio doveva essere una one-shot, ma poi la storia è venuta fuori da sé. Animata di vita propria. E poi volevo contrapporre la visione della vita di Naruto con quella di Hinata, il che alla fine mi ha definitivamente convinta a puntare su una tale scelta. Spero che continuerai a seguire la fanfiction, ad ogni modo, e a farmi sapere, se non ti chiedo troppo. E tranquilla, i complimenti te li sei meritati appieno. Mi è piaciuta davvero la tua fanfiction, te l’assicuro!

·          A LalyBlackangel volevo rassicurarla perché sei sulla buona strada per farmi amare questo pairing. Strano, stranissimo per una fan sfegatata dello Hyugacest, il mio primo vero colpo di fulmine da quando ho scoperto il fandom di Naruto. Eppure, rivalutando le NaruHina, ho trovato parecchi punti su cui ricamarci sopra qualcosa. Parecchi. Non me l’aspettavo e sì, lo ammetto: me ne sto innamorando a mia volta. Ah, grazie mille per il contatto MSN! ^//^ Felicissima dello scambio e, tale ragione, ti lascio il mio: a_melania@hotmail.it .

·          A kry333 ringrazio –ancora una volta, sì, sono noiosa e ripetitiva- per la recensione e per i complimenti. Me, onoratissima! Spero che questo secondo capitolo non ti abbia delusa –io nutro ancora qualche dubbio, a dire il vero- e continuerai a seguirmi. E, perché no?, a recensirmi se ti va! ^.-

·          A hotaru, infine, chiedo scusa per non essere ancora riuscita a leggere la tua storia. Mi farò perdonare quanto prima, questa è una promessa che voglio farti. Mi piace leggere anche le altre storie che hanno partecipato al mio stesso contest, di modo dal rapportarmi con altre prospettive. È semplicemente fantastico come, una stessa cosa, può essere vista e analizzata in mille e più sfumature diverse. E poi volevo anche ringraziarti per la recensione e per le splendide parole che mi hai rivolto. Sono commossa, sul serio! Ç.Ç Come dicevo, è stupendo sapere di essere riuscita a far “vedere” quello che intendevi. E questo è il secondo capitolo. Il secondo di cinque. Spero ti piaccia, di aver reso giustizia alle tue parole, in qualche modo.

 

Non voglio scocciarvi ulteriormente e, perciò, approfitto solo per ringraziare le persone che hanno aggiunto a preferiti –me eternamente grata! *-* -, a seguiti o che hanno semplicemente letto. Siete deliziosi, come i marshmallow! >.< E con questo rimando il resto al prossimo capitolo che, prometto, tenterò di postare il prima possibile.

 

Baci.

 

memi

 

  
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