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Autore: ONLYKORINE    16/09/2019    2 recensioni
Nella cantina polverosa di una casa in campagna, c'è una cassa che contiene un libro speciale, un libro che racconta una storia d'amore d'altri tempi. Proprio altri tempi.
Erin si incuriosisce e inizia a leggerlo...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il libro delle lettere

 

Era polverosa la cantina, polverosa e buia. Rupert, per fortuna, conosceva a memoria il tragitto e non ebbe esitazione a muoversi fino al raggiungimento della cassa.

Tastò il legno e, sempre al buio, la scoperchiò: una luce accecante illuminò il piccolo locale come se fosse mezzodì. Rupert aspettò che tornasse il buio e poi si sporse all’interno della cassa e raccolse ciò che c’era sul fondo di legno: una busta da lettera.

Sorridendo, se la infilò nel panciotto e richiuse accuratamente la cassa.

“Rupert, sei in cantina?” La voce di sua madre gli arrivò dall’altro della scala che portava nel seminterrato.

“Sì, madre, arrivo subito, prendo il vino” rispose lui. Si avvicinò alla rastrelliera con le bottiglie, prese un Bordeaux datato e salì le scale.

“Potevi mandare il maggiordomo, Rupert. Non c’era bisogno che andassi tu in cantina” gli disse la madre quando tornò al piano superiore.

“Preferisco scegliere il vino quando sono giù, lo sai” rispose lui sorridendo alla madre. Lei si accontentò della spiegazione e annuì.

Rupert si diresse a passo veloce verso lo studio e quando vi entrò chiuse la porta alle sue spalle. Si avvicinò alla scrivania e si sedette. La lettera nel panciotto scottava da tanto era calda. L’uomo invece bruciava, bruciava di passione e di attesa. Tirò fuori la busta e con il tagliacarte ruppe carta e sigillo e iniziò a leggere con frenesia:

“Mio carissimo Rupert,

purtroppo questa mia non porta buone nuove…”

Quando richiuse la lettera, l’uomo, di neanche una trentina d’anni, dal fisico asciutto ma muscoloso e i capelli neri tagliati come richiedeva la moda dell’epoca, si alzò in piedi e raggiunse la libreria, prese una busta nascosta dentro a un libro cavo e, a passo svelto, uscì dallo studio per raggiungere la porta che conduceva al seminterrato:  era giunto il momento.

Scese le scale della cantina e si avvicinò alla cassa. La scoperchiò e si mise seduto al suo interno, quando riuscì a rannicchiarsi per entrare tutto nel contenitore di legno, prese il coperchio e si coprì.

In quel giorno, il 18 novembre 1940, Rupert Howard non lasciò solo casa sua, ma abbandonò anche il suo tempo.

*

 

Era polverosa, la cantina della nonna, polverosa e buia. Continuai a camminare a tastoni nell’oscurità fino a che non andai a sbattere contro qualcosa di appuntito. Tastai al meglio l’oggetto: era una cassa! L’aprii e una forte luce uscì da dentro di essa. Quando il bagliore cominciò ad affievolirsi, notai una cosa all’interno della cassa: un libro.

Velocemente lo tirai fuori dalla cassa e lo osservai: era scuro e liscio, come se fosse stato ricoperto di pelle, ma non vedevo nient’altro perché c’era molto buio.

“Erin, hai trovato le sedie pieghevoli?” gridò la nonna dall’alto della scala, affacciandosi. Io, senza sapere perché, nascosi il libro.

“Adesso le cerco, nonna” le risposi. In quel momento la cantina si illuminò: la nonna aveva acceso la luce. Mi guardai intorno e vidi subito ciò che ero stata mandata a cercare: le sedie pieghevoli che servivano per la cena. Si erano aggiunti due ospiti all’ultimo e nonna Howard mi aveva mandato a cercare due sedie da aggiungere. Mi infilai il libro nella cintura dei jeans, dietro la schiena e lo coprii con la maglietta: non volevo far sapere a nessuno di averlo trovato, l’avrei raccontato solo dopo averlo letto per prima.

Raccolsi due sedie e tornai di sopra. “Ecco, nonna, due sedie tutte per te!” dissi, sorridendo, alla signora anziana che mi guardava orgogliosa con due occhi color fiordaliso che io le invidiavo tanto.

Nonna Howard, ossia la madre di mio papà, era una donna sulla settantina, con una chioma di capelli mossi e ribelli del colore della luna crescente. Un tempo erano stati biondi come i miei, me lo raccontava spesso, ma in quel momento avevano quella sfumatura argentea tanto di moda fra le mie coetanee.

“Grazie tesoro” mi rispose lei. Le chiesi se avesse bisogno di altro e, appena mi rispose di no, corsi nella camera che occupavo quando dormivo lì a casa sua.

Mi buttai sul letto e tirai fuori il libro: era veramente di pelle! Era grande quanto un quaderno di scuola e la sua copertina sembrava artigianale come quella dei libri vecchi. Accarezzai la pelle sulla costa e seguii con il dito le cuciture, grosse e in rilievo.

Mi sedetti a gambe incrociate sul letto e appoggiai il libro sulle cosce, aprendo la copertina e iniziando a leggerlo. Adoravo i libri e adoravo ancor di più i libri antichi. Quando lessi la dedica sulla prima pagina bianca, impazzii di gioia:

“Natale 1885.

Mio carissimo Rupert, ho scelto di far rilegare le nostre lettere in questo libro, per poterle rileggere ogni volta che vorremo e lasciarle ai nostri discendenti. So che è rischioso e so di averti promesso di bruciarle, ma so anche che tu ci tieni, altrimenti non le avresti portate sempre con te, prima del nostro matrimonio.

Penso ancora che la nostra storia d’amore, più unica che rara, vada raccontata.

Buon Natale amore mio,

per sempre tua,

Fancy

(e il piccolo Rupert John)”

Sospirando, girai la pagina: una storia d’amore! Una storia d’amore di un secolo prima! E raccontata attraverso le lettere dei protagonisti. Che romantico!

Iniziai a leggere con il cuore in gola e mi immersi totalmente nella lettura.

Fancy era una ragazza di buona famiglia e, nel febbraio del 1880, doveva avere circa vent’anni. Aveva iniziato a scrivere quello che sembrava un diario, senza rivolgersi a nessuno in particolare, ma invece di farlo su un quaderno, lo aveva fatto su fogli di carta singoli, così che la sua sorellina non l’avrebbe cercate e lette di nascosto. Dopo quattro lettere, storsi il naso: e Rupert? Quando sarebbe arrivato? In fin dei conti, se la raccolta era dedicata a lui, lui doveva esserci, no?

Tornai indietro a rileggere la dedica e notai anche il nome di un bambino: ‘piccolo Rupert John’, doveva essere il loro bambino, no? Tornai a leggere.

Cercai di leggere velocemente le lettere di Fancy finché una frase non attirò la mia attenzione: ‘Le mie lettere sono scomparse dopo che le ho nascoste nella cassa che conteneva la cucitrice’.

Tornai indietro, cercando di rileggere tutto e con miglior attenzione. Fancy si stava lamentando di aver perso le lettere che aveva scritto in precedenza, dopo averle nascose in una cassa per nasconderle alla sorella minore, che aveva scoperto il suo ‘segreto’.

Capivo Fancy perfettamente, Linda, la mia sorellina, aveva le mani lunghe e finivano sempre fra le mie cose. Ma com’era possibile che le avesse perse se… erano lì? Lì nel libro che stavo leggendo? Doveva averle ritrovate. E come? Dov’erano finite?

Andai avanti e divorai le parole di Fancy come fossi un’affamata. Praticamente, ogni volta che lei infilava qualcosa nella cassa e la chiudeva, quando la riapriva, l’oggetto che aveva appoggiato dentro, era scomparso.

Per fortuna Fancy era una ragazza intelligente, aveva iniziato a fare delle ‘prove’, a mettere altri oggetti nella famosa cassa che faceva sparire le cose. Una volta un foglio bianco, poi un pezzo di carbone, poi l’ago da ricamo, alla fine, ci mise un fazzoletto di seta su cui aveva ricamato le sue iniziali. Un giorno, decisa a mettere nel contenitore un altro oggetto, si era avvicinata alla cassa e questa si illuminò di una luce innaturale che si infiltrò fra il contenitore e il coperchio nel momento in cui l’apriva.

Spaventata e un po’ incuriosita, Fancy era indietreggiata ed era rimasta a guardarla senza toccarla, temendo che fosse una magia.

Io continuavo a leggere con il fiato sospeso, fino a quando, ormai immersa nella lettura, seguii Fancy avvicinarsi ancora e scoperchiare del tutto la cassa. Insieme a lei sbirciai al suo interno e, sempre con lei, allungai le mani per prendere l’oggetto che ci trovammo dentro. Ormai io e Fancy eravamo una cosa sola.

Al suo interno, c’era un fiore: una grossa gerbera rosa. Insieme, rimanemmo a bocca aperta: come c’era finito lì?

Beh, io avevo più indizi di Fancy, quindi immaginai che Rupert, finalmente, iniziasse a comparire in questa storia. Continuai a leggere: Fancy ricevette un fiore al giorno per una settimana. Ogni giorno un fiore diverso. Un’Iris, una margherita, un dente di leone, una peonia, un giglio e, per ultima, una rosa bianca.

Quando il giorno dopo la rosa, Fancy non ricevette nulla, ci rimasi male io. Così Fancy decise di scrivere un biglietto e lasciarlo nella cassa, per vedere se qualcun altro avrebbe risposto. Sì! Esultai, grande idea, Fancy. Seguii con lei tutto il procedimento di quando mise il biglietto nella cassa e aspettammo insieme quello che poteva succedere.

Quando lessi che Fancy trovò una lettera piegata sotto il coperchio, non stavo più in me dalla curiosità. La storia mi aveva presa, letteralmente. Volevo sapere di più. Volevo sapere tutto.

Quando lessi il primo biglietto di Rupert, lo ammetto, ci rimasi malissimo: sembrava un freddo comunicato stampa. Fui tentata di chiudere il libro e non andare più avanti. Ma poi mi sforzai; se Fancy aveva deciso di rilegare quelle lettere, doveva esserci un buon motivo. E così fu.

La ragazza sembrava eccitatissima all’idea di una corrispondenza con una persona tanto lontana (e ancora, né io né lei sapevamo quanto lontani fossero!). Guardai fuori dalla finestra: era campagna, ma la casa della nonna era circondata dalle altre case del paese. Fancy abitava in quella casa? Ci abitava nel 1880? Probabilmente, a quei tempi, non doveva esserci niente lì intorno, solo miglia e miglia di campi e la sua vita doveva essere veramente noiosa.

Però sarei stata contenta anch’io di avere un amico di penna, pensai, guardando ancora fuori dalla finestra. Sospirai e tornai a leggere. Le lettere erano veramente tante. Dovevano esserci parecchi mesi di corrispondenza.

Scoprii che Rupert era il figlio minore di un tale Edward Howard, che era esattamente il mio cognome, e che invece Fancy era la pupilla di un tale Mr. Williams e soggiornava a casa sua con la sorellina minore, Mary Reed. E sì, abitava in quella casa, anche se lei la descrisse come una ‘tenuta estiva’.

Quasi subito Fancy e Rupert si fecero le mie stesse domande: come faceva la cassa a spedire le loro lettere? E poi, se Fancy abitava lì, dove viveva Rupert? Quando lei glielo domandò, dovetti sforzarmi di non andare a leggere subito la sua lettera di risposta. Fancy confessava a Rupert di aver iniziato a scrivere perché annoiata, visto che la stagione dei balli era finita e lei era relegata in campagna.

La risposta del ragazzo, ragazzo perché, come scoprii in quella lettera Rupert aveva appena ventisei anni, fu ancora più stupefacente: anche lui abitava lì. In quella stessa casa. Ma poi scrisse una cosa ancora più strana: lui viveva nel 1940.

Per un attimo, mi sentii strana: stavo leggendo lettere di persone che abitavano lì, in quella stessa casa dove ero io, solo tanti anni prima. Solo che loro si scrivevano, in botta e risposta, come una chat sul computer. Da due anni diversi. Ebbi un brivido. Poi un altro. Poi mi si rizzarono i peli sulla nuca e la mia schiena tremò. Gettai il libro sul copriletto, così com’era: aperto.

Era impossibile. Non poteva essere vero. No. Ok, ero una ragazza sognatrice, adoravo leggere i fantasy e immaginarmi (solo immaginarmi, eh!) in meravigliose avventure in cui draghi alati, cavalieri e pirati mi sfidavano o, a seconda di come mi sentivo, erano miei amici. Ma questo… questo era improponibile. Quello, doveva essere un libro che vendevano in negozio, doveva essere uno scherzo. Sì. Mi avevano fatto uno scherzo.

Ripresi il libro e andai a cercare in fondo, all’interno della copertina, il nome della casa editrice e l’eventuale prezzo: niente, solo una pagina bianca. Sfogliai la pagina prima e mi cadde in grembo un fiore essicato: era una gerbera rosa. Non dovetti neanche andare a rileggere qual era il colore della gerbera che aveva trovato Fancy nella cassa.

Tornai alla pagina dove ero arrivata e tastai il foglio: le scritte erano state rigate sul foglio, erano veramente delle lettere, potevo sentire chiaramente il rilievo della carta intorno alla riga che, contorcendosi come mi era stato insegnato a scuola, dava vita alle parole.

Girai pagina: ero arrivata fino a lì, sarei andata avanti. Magari avrebbero scritto che era uno scherzo o qualcosa di simile.

Le lettere di Rupert divennero man mano più interessanti. Si dichiarava una persona molto riservata, che faceva fatica a parlare con le persone e preferiva scrivere lettere (e probabilmente preferiva scrivere a Fancy, visto quante ne gliene scriveva!). Doveva essere molto timido, parlava poco delle persone che frequentava, se non quelle della sua famiglia.

Fancy, dal canto suo, invece, scriveva lettere come se non ci fosse un domani: le sue erano lunghe sempre il doppio di quelle di Rupert e la cosa divenne ancora più evidente, quando, dopo aver scritto di non saper cosa fare se non dedicarsi al ricamo e alle altre cose, lui le consigliò di fare altre attività. Così Fancy iniziò a raccontare di lunghe cavalcate in compagnia della cavalla Susie, che aveva iniziato a montare tutti i giorni, di aver provato a fare tantissime cose, tipo cucinare torte o giocare a un gioco che si faceva con una palla e una mazza, forse qualcosa tipo il baseball, visto che aveva detto di aver visto dei ragazzini giocare.

Fancy era sempre più contenta e io riuscivo a sentirlo in quello che scriveva. E anche le risposte di Rupert erano entusiaste. La loro corrispondenza prendeva il cuore, leggere come Rupert riusciva a convincere la ragazza a fare le cose era tenerissimo. Lui la incitava sempre, la spronava a fare nuove esperienze e a provare nuove emozioni, per non annoiarsi.

Poi un giorno, Fancy gli scrisse che Mr. William aveva intenzione di presentarle dei candidati per maritarla, ma lei non era del tutto convinta di volerlo fare. Rupert le chiese come mai non volesse sposarsi e lei scrisse che non aveva interesse nel matrimonio, perché era molto felice così e non avrebbe mai voluto lasciare quella casa.

Io avevo capito perché non voleva andarsene e non so se Rupert non lo avesse capito o a cosa pensasse quando glielo chiese, ma nella lettera dopo, la sua domanda era lì, sulla carta e io trattenni il fiato, esattamente come immaginavo avesse fatto Fancy più di un secolo prima.

“Perché se me ne andassi da qui, non potrei più scriverti” lessi, con il cuore in gola, la risposta della ragazza nella lettera successiva. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi e passai più volte il dito su quelle parole. Certo che i maschi non capivano niente! O forse lui aveva capito e glielo aveva chiesto lo stesso?

“Se fossi qui, ti sposerei io” scrisse lui. Non trattenevo più le lacrime e queste iniziarono a scivolare copiose lungo le mie guance. Le asciugai in fretta, perché gli occhi appannati mi impedivano la lettura e io volevo andare avanti. Quando lei gli scrisse che ne sarebbe stata felice, gli chiese se, secondo lui, la cassa poteva consentire il trasporto delle persone. Rupert propose di fare esperimenti con piccoli animali, per vedere se era fattibile. Avevano provato con i fiori, ora dovevano soltanto testare la solidità del trasporto.

Provarono prima con una rana, poi un uccellino e infine un cucciolo di cane. Tutto andò per il meglio: la cassa funzionava. Tutti erano andati e ritornati nel loro tempo. Ma Rupert scrisse che non voleva assolutamente che Fancy provasse a entrare nella cassa: era una cosa che doveva fare lui, per primo.

Beh, l’emozione che provai quando lessi tutti i preparativi e quando vidi la scrittura di Fancy dichiarare quanto le fosse piaciuto incontrare dal vivo Rupert, mi prese il petto, come se fossi stata io in cantina ad aspettare il mio amato. Lessi sorridendo quando lei si lamentò di quanto pungessero baffi del ragazzo e fui quasi dispiaciuta che non mi raccontarono di come era stato il loro primo incontro. Andai avanti con il cuore leggero, ormai il libro era quasi finito, c’eravamo.

Assistetti ai loro preparativi, perché riuscivo a vedermeli chiaramente, mentre organizzavano dettagli e particolari, fino a quando, ci furono tre lettere di Rupert, una dietro l’altra, senza risposta. Nell’ultima lui chiedeva se fosse successo qualcosa e io sentivo la preoccupazione nelle sue parole come se le avessi scritte io. Che cosa era successo? Perché Fancy non scriveva più?

Poi, lei rispose e io trattenni il fiato fino alla fine, mentre leggevo:

“Mio carissimo Rupert,

purtroppo questa mia non porta buone nuove, sono costretta a consegnarti questa lettera tramite mia sorella Mary, che ha promesso di andare in cantina e posarla nella cassa, senza chiedere niente.

Mi dispiace scrivertelo così, ma non posso venire da te, mi piange il cuore, ma non posso fare diversamente, sono controllata a vista e non posso uscire dalla mia camera.

Aspetto un bambino, Rupert. Il nostro bambino. Mr. William l’ha scoperto e si è arrabbiato. Vuole sapere chi sei e io mi sono rifiutata di dirglielo, così ora sono in punizione. Mi dispiace tantissimo, ma non so come spiegare questa cosa. Ho paura che mi prendano per pazza e mi facciano rinchiudere. Non penso di riuscire a scappare da qui. E sto piangendo perché non potrò mai più rivederti. Mi mancherai. Il mio cuore non potrà mai battere per qualcun altro, te lo giuro.

Fra tre giorni mi sposerò. Mr. William ha trovato un uomo disposto a sposarmi, nonostante il mio stato e io, questa volta, non posso proprio oppormi.

Ti ricorderò per sempre.

Con amore,

Fancy”

 

No! No! Non poteva finire così. Le mie mani tremavano mentre provavo, inutilmente, a girare la pagina. Cercai di calmarmi, sapendo benissimo che non era la fine, altrimenti Fancy non avrebbe dedicato il libro a Rupert. O sì? E se glielo avesse mandato come ricordo? Per farsi ricordare da lui? Per il bambino? Cercai di voltare la pagina e quando ci riuscii…

“Erin!” chiamò mia nonna, proprio mentre Fancy salutava Rupert. Dannazione, ero quasi in fondo!

Aprii la porta e mi affacciai sul pianerottolo per chiedere di cosa avesse bisogno e lei mi chiese di scendere.

Per fortuna la nonna aveva solo bisogno che l’aiutassi a pelare le patate, mentre lei lavava le altre verdure, così riuscii a finire tutto velocemente e, altrettanto velocemente, sganciai il grembiule per gettarlo sulla prima sedia e correre attraverso la grande cucina e salire le scale per tornare alle lettere di Fancy.

“Vuoi sparire in fretta come è successo allo zio Rupert?” mi chiese allegra la nonna mentre imboccavo il corridoio. Riconoscendo il nome, mi bloccai. Zio Rupert?

“Come hai detto nonna?” le chiesi, tornando in cucina. La nonna rise, mentre sciacquava i fagiolini nel lavello.

“Sei corsa via velocemente. Sembrava che volessi sparire in fretta” spiegò.

Sì, ok. E Rupert? “E chi è lo zio Rupert?” mi trovai a chiederle, incuriosita.

“Lo zio Rupert, era uno zio di tuo nonno, ma non lo abbiamo mai conosciuto. Sparì prima che io arrivassi qui e forse, ancora prima che nascesse il nonno” precisò la nonna, alzando gli occhi al soffitto per pensare.

Come, come, come? “In che senso, sparì?” domandai ancora. Non poteva essere lo stesso Rupert di Fancy. Oppure sì?

La nonna agitò un po’ le spalle e poi sussurrò, come se non volesse farsi sentire da qualcuno: “Non so se è vero… Ma si racconta in famiglia, che Rupert Howard, fratello minore del tuo bisnonno Edward, un giorno sia stato visto correre per casa e di lui si sia persa ogni traccia!”

Come? “Ma com’è possibile?” chiesi ancora. Questa volta mi avvicinai alla nonna.

“Mr. Wood, che abitava in fondo alla strada, raccontava che era scappato, ma la vecchia Bessie, la governante di mia suocera, disse che era impossibile che Rupert se ne fosse andato senza portare con sé la cosa più preziosa che avesse, quindi, secondo lei, doveva essere per forza caduto nel pozzo” spiegò ancora.

La nonna si avvicinò al lavello e rimise i fagiolini sotto l’acqua, non le dissi che lo aveva già fatto. Forse era sovrappensiero, forse pensava allo zio Rupert che era caduto nel pozzo. Ehi, un attimo! Mmm… “E qual era, secondo la governante, la cosa più preziosa che possedeva lo zio Rupert?” chiesi, con uno strano presentimento.

“Oh, lei parlava di una cassa di legno grande quanto una macchina da cucire. Pesava tantissimo, servivano due uomini per spostarla, quindi era impossibile che lui l’avesse portata via da solo. Ci teneva particolarmente, raccontava Bessie, forse perché c’era inciso sopra un disegno particolare, non ricordo quale, ma qualcosa che lo zio riteneva importante. Era di legno di mogano, forse, non ricordo bene, ma Bessie sosteneva fosse qualcosa di pregiato e il mogano era molto pregiato in quegli anni.”

Oh. Una cassa! La cassa di Fancy? La cassa che avevo trovato giù in cantina, dal quale avevo tirato fuori il libro con le lettere? La mia cassa! Mi girai verso la porta della cantina. La casa doveva aver subito parecchie ristrutturazioni da quando lo zio Rupert era sparito. Ma la cantina non doveva aver subito tante trasformazioni: era pur sempre una cantina.

“E nessuno ha mai cercato questa cassa, nonna?” le chiesi, con un filo di voce.

La nonna mi guardò con uno sguardo divertito e sognante. “Tipo una caccia al tesoro? Sì, la vecchia Bessie mi raccontò di averla cercata, dopo la sua scomparsa, ma di non averla più ritrovata” precisò lei.

Oh. Ma io sapevo dov’era. Era ancora lì. In cantina. Possibile che nessuno l’avesse trovata? Lo zio Rupert doveva essere andato da Fancy, la sua amata. E doveva esserci andato attraverso la cassa. Come aveva fatto? Si era infilato dentro? Ma quanto era grande la cassa? Non riuscivo a ricordarlo. Ma doveva esserlo abbastanza da poterci entrare e chiudersi il coperchio sulla testa. Dovevo controllare.

Chiesi alla nonna se potessi tornare in camera a leggere e lei mi lasciò andare. Ma prima di uscire dalla cucina la sentii mentre brontolava fra sé e sé: “Leggere, leggere. Quella ragazza passa il tempo a leggere chiusa in camera sua…”

Sospirai piano. Avevo sentito gli adulti lamentarsi del fatto che mi piacesse leggere talmente tante volte che ormai non ci feci più caso. Secondo loro avrei dovuto uscire di casa e vivere delle ‘avventure’. Avventure! Come se fosse una cosa facile! Come se ogni volta che si uscisse di casa, succedesse qualcosa di avventuroso o entusiasmante. Io, preferivo di gran lunga accoccolarmi sotto il piumone e leggerla, un’avventura. Tipo quella di Fancy e Rupert. Lo zio Rupert. Sapere di essere stata così vicina a conoscere il Rupert delle lettere, mi fece sorridere. Ora volevo rileggere la loro fantastica storia.

In verità, però, mi diressi in cantina. Chissà se sarei sparita come era sparito lo zio Rupert? Avrebbero detto che ero scappata. O caduta nel pozzo. Oh no, il pozzo era chiuso da quando io avevo memoria.

Aprii la porta della cantina e, questa volta, accesi la luce. Il seminterrato si illuminò di una luce offuscata e pallida. In fin dei conti la lampadina era giù, al centro del piccolo locale. Feci i gradini a due a due per raggiungere prima il posto dove prima mi ero scontrata con la cassa. Allungai una mano e la toccai: era ancora lì.

Una cassa di legno, grande quanto una macchina da cucire, aveva detto la vecchia Bessie. Ma quanto era grande una macchina da cucire ai tempi di Bessie? Questa era una cassa grande quanto una valigia, se mi fossi rannicchiata e acciambellata come faceva Fluffy, il mio gatto, avrei potuto entrarci. Come avevano fatto a non trovarla?

Spostai il coperchio, come stamattina, quando ci avevo preso contro e una luce mi offuscò lo sguardo, esattamente come era successo prima. Mi sporsi per vedere dentro e vidi sul fondo della cassa un oggetto: una grossa gerbera rosa e un foglietto piegato. Sussultai, lo stesso fiore di Fancy.

Li presi entrambi. Annusai il fiore: profumava di fresco. Possibile? Possibile, pensai, avvicinandolo ancora al naso. Guardai il foglietto e, con le mani tremanti, lo aprii.

Ho messo il libro segreto di mamma in questa cassa e ora non c’è più. Sono Rupert John Howard e ho paura di essere sgridato da mio padre. Potete per cortesia, chiunque voi siate, ridarmi il libro?

Sorrisi, mentre leggevo quella breve frase. Presi un foglietto ingiallito da uno dei ripiani della cantina e mi frugai nella tasca dei jeans: avevo sempre una matita con me. Scrissi velocemente e ripiegai il biglietto prima di rimetterlo nella cassa.

Sono tua cugina Erin e sto per venire da te a ridarti il libro.

Ancora non lo sapevo ma stava per iniziare la mia avventura.

 

 

   
 
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