Era
polverosa la cantina, polverosa e buia. Rupert, per fortuna, conosceva
a
memoria il tragitto e non ebbe esitazione a muoversi fino al
raggiungimento
della cassa.
Tastò
il legno e, sempre al buio, la scoperchiò: una luce
accecante illuminò il
piccolo locale come se fosse mezzodì. Rupert
aspettò che tornasse il buio e poi
si sporse all’interno della cassa e raccolse ciò
che c’era sul fondo di legno:
una busta da lettera.
Sorridendo,
se la infilò nel panciotto e richiuse accuratamente la cassa.
“Rupert,
sei in cantina?” La voce di sua madre gli arrivò
dall’altro della scala che
portava nel seminterrato.
“Sì,
madre, arrivo subito, prendo il vino” rispose lui. Si
avvicinò alla
rastrelliera con le bottiglie, prese un Bordeaux datato e
salì le scale.
“Potevi
mandare il maggiordomo, Rupert. Non c’era bisogno che andassi
tu in cantina”
gli disse la madre quando tornò al piano superiore.
“Preferisco
scegliere il vino quando sono giù, lo sai” rispose
lui sorridendo alla madre.
Lei si accontentò della spiegazione e annuì.
Rupert
si diresse a passo veloce verso lo studio e quando vi entrò
chiuse la porta
alle sue spalle. Si avvicinò alla scrivania e si sedette. La
lettera nel panciotto
scottava da tanto era calda. L’uomo invece bruciava, bruciava
di passione e di
attesa. Tirò fuori la busta e con il tagliacarte ruppe carta
e sigillo e iniziò
a leggere con frenesia:
“Mio
carissimo Rupert,
purtroppo
questa mia non porta buone nuove…”
Quando
richiuse la lettera, l’uomo, di neanche una trentina
d’anni, dal fisico
asciutto ma muscoloso e i capelli neri tagliati come richiedeva la moda
dell’epoca, si alzò in piedi e raggiunse la
libreria, prese una busta nascosta
dentro a un libro cavo e, a passo svelto, uscì dallo studio
per raggiungere la
porta che conduceva al seminterrato:
era
giunto il momento.
Scese
le scale della cantina e si avvicinò alla cassa. La
scoperchiò e si mise seduto
al suo interno, quando riuscì a rannicchiarsi per entrare
tutto nel contenitore
di legno, prese il coperchio e si coprì.
In
quel giorno, il 18 novembre 1940, Rupert Howard non lasciò
solo casa sua, ma
abbandonò anche il suo tempo.
*
Era
polverosa, la cantina della nonna, polverosa e buia. Continuai a
camminare a tastoni
nell’oscurità fino a che non andai a sbattere
contro qualcosa di appuntito.
Tastai al meglio l’oggetto: era una cassa! L’aprii
e una forte luce uscì da
dentro di essa. Quando il bagliore cominciò ad affievolirsi,
notai una cosa
all’interno della cassa: un libro.
Velocemente
lo tirai fuori dalla cassa e lo osservai: era scuro e liscio, come se
fosse
stato ricoperto di pelle, ma non vedevo nient’altro
perché c’era molto buio.
“Erin,
hai trovato le sedie pieghevoli?” gridò la nonna
dall’alto della scala,
affacciandosi. Io, senza sapere perché, nascosi il libro.
“Adesso
le cerco, nonna” le risposi. In quel momento la cantina si
illuminò: la nonna
aveva acceso la luce. Mi guardai intorno e vidi subito ciò
che ero stata
mandata a cercare: le sedie pieghevoli che servivano per la cena. Si
erano
aggiunti due ospiti all’ultimo e nonna Howard mi aveva
mandato a cercare due
sedie da aggiungere. Mi infilai il libro nella cintura dei jeans,
dietro la
schiena e lo coprii con la maglietta: non volevo far sapere a nessuno
di averlo
trovato, l’avrei raccontato solo dopo averlo letto per prima.
Raccolsi
due sedie e tornai di sopra. “Ecco, nonna, due sedie tutte
per te!” dissi,
sorridendo, alla signora anziana che mi guardava orgogliosa con due
occhi color
fiordaliso che io le invidiavo tanto.
Nonna
Howard, ossia la madre di mio papà, era una donna sulla
settantina, con una
chioma di capelli mossi e ribelli del colore della luna crescente. Un
tempo
erano stati biondi come i miei, me lo raccontava spesso, ma in quel
momento
avevano quella sfumatura argentea tanto di moda fra le mie coetanee.
“Grazie
tesoro” mi rispose lei. Le chiesi se avesse bisogno di altro
e, appena mi
rispose di no, corsi nella camera che occupavo quando dormivo
lì a casa sua.
Mi
buttai sul letto e tirai fuori il libro: era veramente di pelle! Era
grande
quanto un quaderno di scuola e la sua copertina sembrava artigianale
come
quella dei libri vecchi. Accarezzai la pelle sulla costa e seguii con
il dito
le cuciture, grosse e in rilievo.
Mi
sedetti a gambe incrociate sul letto e appoggiai il libro sulle cosce,
aprendo
la copertina e iniziando a leggerlo. Adoravo i libri e adoravo ancor di
più i
libri antichi. Quando lessi la dedica sulla prima pagina bianca,
impazzii di
gioia:
“Natale
1885.
Mio
carissimo Rupert, ho scelto di far rilegare le nostre lettere in questo
libro,
per poterle rileggere ogni volta che vorremo e lasciarle ai nostri
discendenti.
So che è rischioso e so di averti promesso di bruciarle, ma
so anche che tu ci
tieni, altrimenti non le avresti portate sempre con te, prima del
nostro
matrimonio.
Penso
ancora che la nostra storia d’amore, più unica che
rara, vada raccontata.
Buon
Natale amore mio,
per
sempre tua,
Fancy
(e
il piccolo Rupert John)”
Sospirando,
girai la pagina: una storia d’amore! Una storia
d’amore di un secolo prima! E
raccontata attraverso le lettere dei protagonisti. Che romantico!
Iniziai
a leggere con il cuore in gola e mi immersi totalmente nella lettura.
Fancy
era una ragazza di buona famiglia e, nel febbraio del 1880, doveva
avere circa
vent’anni. Aveva iniziato a scrivere quello che sembrava un
diario, senza
rivolgersi a nessuno in particolare, ma invece di farlo su un quaderno,
lo
aveva fatto su fogli di carta singoli, così che la sua
sorellina non l’avrebbe
cercate e lette di nascosto. Dopo quattro lettere, storsi il naso: e
Rupert?
Quando sarebbe arrivato? In fin dei conti, se la raccolta era dedicata
a lui,
lui doveva esserci, no?
Tornai
indietro a rileggere la dedica e notai anche il nome di un bambino:
‘piccolo
Rupert John’, doveva essere il loro bambino, no? Tornai a
leggere.
Cercai
di leggere velocemente le lettere di Fancy finché una frase
non attirò la mia
attenzione: ‘Le mie lettere sono scomparse dopo che le ho
nascoste nella cassa
che conteneva la cucitrice’.
Tornai
indietro, cercando di rileggere tutto e con miglior attenzione. Fancy
si stava
lamentando di aver perso le lettere che aveva scritto in precedenza,
dopo
averle nascose in una cassa per nasconderle alla sorella minore, che
aveva
scoperto il suo ‘segreto’.
Capivo
Fancy perfettamente, Linda, la mia sorellina, aveva le mani lunghe e
finivano
sempre fra le mie cose. Ma com’era possibile che le avesse
perse se… erano lì?
Lì nel libro che stavo leggendo? Doveva averle ritrovate. E
come? Dov’erano
finite?
Andai
avanti e divorai le parole di Fancy come fossi un’affamata.
Praticamente, ogni
volta che lei infilava qualcosa nella cassa e la chiudeva, quando la
riapriva,
l’oggetto che aveva appoggiato dentro, era scomparso.
Per
fortuna Fancy era una ragazza intelligente, aveva iniziato a fare delle
‘prove’, a mettere altri oggetti nella famosa cassa
che faceva sparire le cose.
Una volta un foglio bianco, poi un pezzo di carbone, poi
l’ago da ricamo, alla
fine, ci mise un fazzoletto di seta su cui aveva ricamato le sue
iniziali. Un
giorno, decisa a mettere nel contenitore un altro oggetto, si era
avvicinata
alla cassa e questa si illuminò di una luce innaturale che
si infiltrò fra il
contenitore e il coperchio nel momento in cui l’apriva.
Spaventata
e un po’ incuriosita, Fancy era indietreggiata ed era rimasta
a guardarla senza
toccarla, temendo che fosse una magia.
Io
continuavo a leggere con il fiato sospeso, fino a quando, ormai immersa
nella
lettura, seguii Fancy avvicinarsi ancora e scoperchiare del tutto la
cassa.
Insieme a lei sbirciai al suo interno e, sempre con lei, allungai le
mani per prendere
l’oggetto che ci trovammo dentro. Ormai io e Fancy eravamo
una cosa sola.
Al
suo interno, c’era un fiore: una grossa gerbera rosa.
Insieme, rimanemmo a
bocca aperta: come c’era finito lì?
Beh,
io avevo più indizi di Fancy, quindi immaginai che Rupert,
finalmente,
iniziasse a comparire in questa storia. Continuai a leggere: Fancy
ricevette un
fiore al giorno per una settimana. Ogni giorno un fiore diverso.
Un’Iris, una
margherita, un dente di leone, una peonia, un giglio e, per ultima, una
rosa
bianca.
Quando
il giorno dopo la rosa, Fancy non ricevette nulla, ci rimasi male io.
Così
Fancy decise di scrivere un biglietto e lasciarlo nella cassa, per
vedere se
qualcun altro avrebbe risposto. Sì! Esultai, grande idea,
Fancy. Seguii con lei
tutto il procedimento di quando mise il biglietto nella cassa e
aspettammo
insieme quello che poteva succedere.
Quando
lessi che Fancy trovò una lettera piegata sotto il
coperchio, non stavo più in
me dalla curiosità. La storia mi aveva presa, letteralmente.
Volevo sapere di
più. Volevo sapere tutto.
Quando
lessi il primo biglietto di Rupert, lo ammetto, ci rimasi malissimo:
sembrava
un freddo comunicato stampa. Fui tentata di chiudere il libro e non
andare più
avanti. Ma poi mi sforzai; se Fancy aveva deciso di rilegare quelle
lettere,
doveva esserci un buon motivo. E così fu.
La
ragazza sembrava eccitatissima all’idea di una corrispondenza
con una persona
tanto lontana (e ancora, né io né lei sapevamo
quanto lontani fossero!).
Guardai fuori dalla finestra: era campagna, ma la casa della nonna era
circondata dalle altre case del paese. Fancy abitava in quella casa? Ci
abitava
nel 1880? Probabilmente, a quei tempi, non doveva esserci niente
lì intorno,
solo miglia e miglia di campi e la sua vita doveva essere veramente
noiosa.
Però
sarei stata contenta anch’io di avere un amico di penna,
pensai, guardando
ancora fuori dalla finestra. Sospirai e tornai a leggere. Le lettere
erano
veramente tante. Dovevano esserci parecchi mesi di corrispondenza.
Scoprii
che Rupert era il figlio minore di un tale Edward Howard, che era
esattamente
il mio cognome, e che invece Fancy era la pupilla di un tale Mr.
Williams e
soggiornava a casa sua con la sorellina minore, Mary Reed. E
sì, abitava in
quella casa, anche se lei la descrisse come una ‘tenuta
estiva’.
Quasi
subito Fancy e Rupert si fecero le mie stesse domande: come faceva la
cassa a
spedire le loro lettere? E poi, se Fancy abitava lì, dove
viveva Rupert? Quando
lei glielo domandò, dovetti sforzarmi di non andare a
leggere subito la sua
lettera di risposta. Fancy confessava a Rupert di aver iniziato a
scrivere
perché annoiata, visto
che la stagione dei balli era finita e
lei era relegata in campagna.
La
risposta del ragazzo, ragazzo perché, come scoprii in quella
lettera Rupert
aveva appena ventisei anni, fu ancora più stupefacente:
anche lui abitava lì.
In quella stessa casa. Ma poi scrisse una cosa ancora più
strana: lui viveva
nel 1940.
Per
un attimo, mi sentii strana: stavo leggendo lettere di persone che
abitavano
lì, in quella stessa casa dove ero io, solo tanti anni
prima. Solo che loro si
scrivevano, in botta e risposta, come una chat sul computer. Da due
anni
diversi. Ebbi un brivido. Poi un altro. Poi mi si rizzarono i peli
sulla nuca e
la mia schiena tremò. Gettai il libro sul copriletto,
così com’era: aperto.
Era
impossibile. Non poteva essere vero. No. Ok, ero una ragazza
sognatrice,
adoravo leggere i fantasy e immaginarmi (solo immaginarmi, eh!) in
meravigliose
avventure in cui draghi alati, cavalieri e pirati mi sfidavano o, a
seconda di
come mi sentivo, erano miei amici. Ma questo… questo era
improponibile. Quello,
doveva essere un libro che vendevano in negozio, doveva essere uno
scherzo. Sì.
Mi avevano fatto uno scherzo.
Ripresi
il libro e andai a cercare in fondo, all’interno della
copertina, il nome della
casa editrice e l’eventuale prezzo: niente, solo una pagina
bianca. Sfogliai la
pagina prima e mi cadde in grembo un fiore essicato: era una gerbera
rosa. Non
dovetti neanche andare a rileggere qual era il colore della gerbera che
aveva
trovato Fancy nella cassa.
Tornai
alla pagina dove ero arrivata e tastai il foglio: le scritte erano
state rigate
sul foglio, erano veramente delle lettere, potevo sentire chiaramente
il
rilievo della carta intorno alla riga che, contorcendosi come mi era
stato
insegnato a scuola, dava vita alle parole.
Girai
pagina: ero arrivata fino a lì, sarei andata avanti. Magari
avrebbero scritto
che era uno scherzo o qualcosa di simile.
Le
lettere di Rupert divennero man mano più interessanti. Si
dichiarava una persona
molto riservata, che faceva fatica a parlare con le persone e preferiva
scrivere lettere (e probabilmente preferiva scrivere a Fancy, visto
quante ne
gliene scriveva!). Doveva essere molto timido, parlava poco delle
persone che
frequentava, se non quelle della sua famiglia.
Fancy,
dal canto suo, invece, scriveva lettere come se non ci fosse un domani:
le sue
erano lunghe sempre il doppio di quelle di Rupert e la cosa divenne
ancora più
evidente, quando, dopo aver scritto di non saper cosa fare se non
dedicarsi al
ricamo e alle altre cose, lui le consigliò di fare altre
attività. Così Fancy
iniziò a raccontare di lunghe cavalcate in compagnia della
cavalla Susie, che
aveva iniziato a montare tutti i giorni, di aver provato a fare
tantissime
cose, tipo cucinare torte o giocare a un gioco che si faceva con una
palla e
una mazza, forse qualcosa tipo il baseball, visto che aveva detto di
aver visto
dei ragazzini giocare.
Fancy
era sempre più contenta e io riuscivo a sentirlo in quello
che scriveva. E
anche le risposte di Rupert erano entusiaste. La loro corrispondenza
prendeva
il cuore, leggere come Rupert riusciva a convincere la ragazza a fare
le cose
era tenerissimo. Lui la incitava sempre, la spronava a fare nuove
esperienze e
a provare nuove emozioni, per non annoiarsi.
Poi
un giorno, Fancy gli scrisse che Mr. William aveva intenzione di
presentarle
dei candidati per maritarla, ma lei non era del tutto convinta di
volerlo fare.
Rupert le chiese come mai non volesse sposarsi e lei scrisse che non
aveva
interesse nel matrimonio, perché era molto felice
così e non avrebbe mai voluto
lasciare quella casa.
Io
avevo capito perché non voleva andarsene e non so se Rupert
non lo avesse
capito o a cosa pensasse quando glielo chiese, ma nella lettera dopo,
la sua domanda
era lì, sulla carta e io trattenni il fiato, esattamente
come immaginavo avesse
fatto Fancy più di un secolo prima.
“Perché
se me ne andassi da qui, non potrei più scriverti”
lessi, con il cuore in gola,
la risposta della ragazza nella lettera successiva. Sentivo le lacrime
pungermi
gli occhi e passai più volte il dito su quelle parole. Certo
che i maschi non
capivano niente! O forse lui aveva capito e glielo aveva chiesto lo
stesso?
“Se
fossi qui, ti sposerei io” scrisse lui. Non trattenevo
più le lacrime e queste
iniziarono a scivolare copiose lungo le mie guance. Le asciugai in
fretta,
perché gli occhi appannati mi impedivano la lettura e io
volevo andare avanti. Quando
lei gli scrisse che ne sarebbe stata felice, gli chiese se, secondo
lui, la cassa
poteva consentire il trasporto delle persone. Rupert propose di fare
esperimenti con piccoli animali, per vedere se era fattibile. Avevano
provato
con i fiori, ora dovevano soltanto testare la solidità del
trasporto.
Provarono
prima con una rana, poi un uccellino e infine un cucciolo di cane.
Tutto andò
per il meglio: la cassa funzionava. Tutti erano andati e ritornati nel
loro
tempo. Ma Rupert scrisse che non voleva assolutamente che Fancy
provasse a
entrare nella cassa: era una cosa che doveva fare lui, per primo.
Beh,
l’emozione che provai quando lessi tutti i preparativi e
quando vidi la
scrittura di Fancy dichiarare quanto le fosse piaciuto incontrare dal
vivo
Rupert, mi prese il petto, come se fossi stata io in cantina ad
aspettare il
mio amato. Lessi sorridendo quando lei si lamentò di quanto
pungessero baffi
del ragazzo e fui quasi dispiaciuta che non mi raccontarono di come era
stato
il loro primo incontro. Andai avanti con il cuore leggero, ormai il
libro era
quasi finito, c’eravamo.
Assistetti
ai loro preparativi, perché riuscivo a vedermeli
chiaramente, mentre
organizzavano dettagli e particolari, fino a quando, ci furono tre
lettere di
Rupert, una dietro l’altra, senza risposta.
Nell’ultima lui chiedeva se fosse
successo qualcosa e io sentivo la preoccupazione nelle sue parole come
se le
avessi scritte io. Che cosa era successo? Perché Fancy non
scriveva più?
Poi,
lei rispose e io trattenni il fiato fino alla fine, mentre leggevo:
“Mio
carissimo Rupert,
purtroppo
questa mia non porta buone nuove, sono costretta a consegnarti questa
lettera
tramite mia sorella Mary, che ha promesso di andare in cantina e
posarla nella
cassa, senza chiedere niente.
Mi
dispiace scrivertelo così, ma non posso venire da te, mi
piange il cuore, ma
non posso fare diversamente, sono controllata a vista e non posso
uscire dalla
mia camera.
Aspetto
un bambino, Rupert. Il nostro bambino. Mr. William l’ha
scoperto e si è
arrabbiato. Vuole sapere chi sei e io mi sono rifiutata di dirglielo,
così ora
sono in punizione. Mi dispiace tantissimo, ma non so come spiegare
questa cosa.
Ho paura che mi prendano per pazza e mi facciano rinchiudere. Non penso
di
riuscire a scappare da qui. E sto piangendo perché non
potrò mai più rivederti.
Mi mancherai. Il mio cuore non potrà mai battere per qualcun
altro, te lo
giuro.
Fra
tre giorni mi sposerò. Mr. William ha trovato un uomo
disposto a sposarmi,
nonostante il mio stato e io, questa volta, non posso proprio oppormi.
Ti
ricorderò per sempre.
Con
amore,
Fancy”
No!
No! Non poteva finire così. Le mie mani tremavano mentre
provavo, inutilmente,
a girare la pagina. Cercai di calmarmi, sapendo benissimo che non era
la fine,
altrimenti Fancy non avrebbe dedicato il libro a Rupert. O
sì? E se glielo
avesse mandato come ricordo? Per farsi ricordare da lui? Per il
bambino? Cercai
di voltare la pagina e quando ci riuscii…
“Erin!”
chiamò mia nonna, proprio mentre Fancy salutava Rupert.
Dannazione, ero quasi
in fondo!
Aprii
la porta e mi affacciai sul pianerottolo per chiedere di cosa avesse
bisogno e
lei mi chiese di scendere.
Per
fortuna la nonna aveva solo bisogno che l’aiutassi a pelare
le patate, mentre
lei lavava le altre verdure, così riuscii a finire tutto
velocemente e, altrettanto
velocemente, sganciai il grembiule per gettarlo sulla prima sedia e
correre
attraverso la grande cucina e salire le scale per tornare alle lettere
di
Fancy.
“Vuoi
sparire in fretta come è successo allo zio
Rupert?” mi chiese allegra la nonna mentre
imboccavo il corridoio. Riconoscendo il nome, mi bloccai. Zio Rupert?
“Come
hai detto nonna?” le chiesi, tornando in cucina. La nonna
rise, mentre sciacquava
i fagiolini nel lavello.
“Sei
corsa via velocemente. Sembrava che volessi sparire in
fretta” spiegò.
Sì,
ok. E Rupert? “E chi è lo zio Rupert?”
mi trovai a chiederle, incuriosita.
“Lo
zio Rupert, era uno zio di tuo nonno, ma non lo abbiamo mai conosciuto.
Sparì
prima che io arrivassi qui e forse, ancora prima che nascesse il
nonno” precisò
la nonna, alzando gli occhi al soffitto per pensare.
Come,
come, come? “In che senso, sparì?”
domandai ancora. Non poteva essere lo stesso Rupert di Fancy. Oppure
sì?
La
nonna agitò un po’ le spalle e poi
sussurrò, come se non volesse farsi sentire
da qualcuno: “Non so se è vero… Ma si
racconta in famiglia, che Rupert Howard, fratello
minore del tuo bisnonno Edward, un giorno sia stato visto correre per
casa e di
lui si sia persa ogni traccia!”
Come?
“Ma com’è possibile?” chiesi
ancora. Questa volta mi avvicinai alla nonna.
“Mr.
Wood, che abitava in fondo alla strada, raccontava che era scappato, ma
la
vecchia Bessie, la governante di mia suocera, disse che era impossibile
che
Rupert se ne fosse andato senza portare con sé la cosa
più preziosa che avesse,
quindi, secondo lei, doveva essere per forza caduto nel
pozzo” spiegò ancora.
La
nonna si avvicinò al lavello e rimise i fagiolini sotto
l’acqua, non le dissi
che lo aveva già fatto. Forse era sovrappensiero, forse
pensava allo zio Rupert
che era caduto nel pozzo. Ehi, un attimo! Mmm… “E
qual era, secondo la
governante, la cosa più preziosa che possedeva lo zio
Rupert?” chiesi, con uno
strano presentimento.
“Oh,
lei parlava di una cassa di legno grande quanto una macchina da cucire.
Pesava
tantissimo, servivano due uomini per spostarla, quindi era impossibile
che lui
l’avesse portata via da solo. Ci teneva particolarmente,
raccontava Bessie,
forse perché c’era inciso sopra un disegno
particolare, non ricordo quale, ma
qualcosa che lo zio riteneva importante. Era di legno di mogano, forse,
non
ricordo bene, ma Bessie sosteneva fosse qualcosa di pregiato e il
mogano era
molto pregiato in quegli anni.”
Oh.
Una cassa! La cassa di Fancy? La cassa che avevo trovato giù
in cantina, dal
quale avevo tirato fuori il libro con le lettere? La mia
cassa! Mi girai verso la porta della cantina. La casa doveva
aver subito parecchie ristrutturazioni da quando lo zio Rupert era
sparito. Ma
la cantina non doveva aver subito tante trasformazioni: era pur sempre
una
cantina.
“E
nessuno ha mai cercato questa cassa, nonna?” le chiesi, con
un filo di voce.
La
nonna mi guardò con uno sguardo divertito e sognante.
“Tipo una caccia al
tesoro? Sì, la vecchia Bessie mi raccontò di
averla cercata, dopo la sua
scomparsa, ma di non averla più ritrovata”
precisò lei.
Oh.
Ma io sapevo dov’era. Era ancora lì. In cantina.
Possibile che nessuno l’avesse
trovata? Lo zio Rupert doveva essere andato da Fancy, la sua amata. E
doveva
esserci andato attraverso la cassa. Come aveva fatto? Si era infilato
dentro?
Ma quanto era grande la cassa? Non riuscivo a ricordarlo. Ma doveva
esserlo
abbastanza da poterci entrare e chiudersi il coperchio sulla testa.
Dovevo
controllare.
Chiesi
alla nonna se potessi tornare in camera a leggere e lei mi
lasciò andare. Ma
prima di uscire dalla cucina la sentii mentre brontolava fra
sé e sé: “Leggere,
leggere. Quella ragazza passa il tempo a leggere chiusa in camera
sua…”
Sospirai
piano. Avevo sentito gli adulti lamentarsi del fatto che mi piacesse
leggere
talmente tante volte che ormai non ci feci più caso. Secondo
loro avrei dovuto
uscire di casa e vivere delle ‘avventure’.
Avventure! Come se fosse una cosa
facile! Come se ogni volta che si uscisse di casa, succedesse qualcosa
di
avventuroso o entusiasmante. Io, preferivo di gran lunga accoccolarmi
sotto il
piumone e leggerla, un’avventura.
Tipo quella di Fancy e Rupert. Lo zio Rupert. Sapere di essere stata
così
vicina a conoscere il Rupert delle lettere, mi fece sorridere. Ora
volevo
rileggere la loro fantastica storia.
In
verità, però, mi diressi in cantina.
Chissà se sarei sparita come era sparito
lo zio Rupert? Avrebbero detto che ero scappata. O caduta nel pozzo. Oh
no, il
pozzo era chiuso da quando io avevo memoria.
Aprii
la porta della cantina e, questa volta, accesi la luce. Il seminterrato
si illuminò
di una luce offuscata e pallida. In fin dei conti la lampadina era
giù, al
centro del piccolo locale. Feci i gradini a due a due per raggiungere
prima il
posto dove prima mi ero scontrata con la cassa. Allungai una mano e la
toccai:
era ancora lì.
Una
cassa di legno, grande quanto una macchina da cucire, aveva detto la
vecchia
Bessie. Ma quanto era grande una macchina da cucire ai tempi di Bessie?
Questa
era una cassa grande quanto una valigia, se mi fossi rannicchiata e
acciambellata come faceva Fluffy, il mio gatto, avrei potuto entrarci.
Come
avevano fatto a non trovarla?
Spostai
il coperchio, come stamattina, quando ci avevo preso contro e una luce
mi
offuscò lo sguardo, esattamente come era successo prima. Mi
sporsi per vedere
dentro e vidi sul fondo della cassa un oggetto: una grossa gerbera rosa
e un
foglietto piegato. Sussultai, lo stesso fiore di Fancy.
Li
presi entrambi. Annusai il fiore: profumava di fresco. Possibile?
Possibile,
pensai, avvicinandolo ancora al naso. Guardai il foglietto e, con le
mani
tremanti, lo aprii.
Ho messo il
libro segreto di mamma in
questa cassa e ora non c’è più. Sono
Rupert John Howard e ho paura di essere
sgridato da mio padre. Potete per cortesia, chiunque voi siate, ridarmi
il
libro?
Sorrisi,
mentre leggevo quella breve frase. Presi un foglietto ingiallito da uno
dei
ripiani della cantina e mi frugai nella tasca dei jeans: avevo sempre
una
matita con me. Scrissi velocemente e ripiegai il biglietto prima di
rimetterlo
nella cassa.
Sono tua cugina
Erin e sto per venire
da te a ridarti il libro.
Ancora
non lo sapevo ma stava per iniziare la mia
avventura.