Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    16/09/2019    1 recensioni
Clopin aveva dedicato tutta la sua vita nel donare il sorriso ai bambini di Parigi. Non desiderava altro nella sua umile vita da giullare della piazza. Eppure, qualcosa stava per stravolgere quella felice monotonia, e la paura di essere dimenticato o messo da parte ( per colpa dell'arrivo di un nuovo cantastorie ) lo avrebbe logorato. Per non parlare dell'imminente giorno della Festa dei Folli. I due giullari si sarebbero scontrati in un duello all'ultimo spettacolo? O sarebbe accaduto qualcosa di assolutamente inaspettato da far rovesciare gli eventi? Il re degli zingari non si era mai posto il quesito: e se esistesse, in questo mondo folle, una persona come me ?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                            Schegge di memoria

Le campane della cattedrale suonavano per dare il buongiorno alla città di Parigi. L'aria sembrava più dolce e per niente fredda, come se l'inverno avesse già deciso di lasciare posto a una primavera anticipata. Infatti, il sole splendeva e riscaldava più che mai, riuscendo a farsi largo tra le nuvole. Quel giorno in particolare, il campanaro aveva ricevuto una visita speciale. La violinista era seduta vicino al tavolo da lavoro, intenta a cucire qualcosa. Era un costume in miniatura, dalla fantasia a rombi dai toni giallo, blu e fucsia. Il piccolo Clopin avrebbe avuto qualcosa di decente da indossare, dato che il suo era ormai da buttare, dopo la brutta esperienza dell'incendio. Mentre era concentrata sul suo lavoro, il gobbo la raggiunse, per poter fare colazione con lei. Sul tavolo, a parte le statuine, c'era un cesto pieno di mele e dolcetti fumanti.

PV. Quasimodo

Appena mi trovai vicino alla mia amica, lei alzò lo sguardo e mi donò un sorriso dolce. Non mi aspettavo la sua visita, e per di più, senza Clopin. Mi faceva strano vederla da sola. Di solito erano sempre insieme, come due anime inseparabili. Ma ero comunque contento di averla lì.  Mentre prendevo una mela rossa dal cestino, buttai un occhio sul suo lavoro.
- Che bel vestitino! Fammi indovinare, è per petit Clopin, vero? - le chiesi, e diedi un morso alla mela.
Lei annuì, poi tagliò il filo con i denti.
- Proprio come il suo padrone, aveva bisogno di un costume nuovo - mi informò lei, mentre mi mostrava per bene il lavoro finito. Era davvero carino.
- A proposito, dov'è il tuo giullare? Possibile che non si sia alzato questa mattina? - chiesi, cercando di essere ironico. Non so come spiegarlo, ma avevo la vaga sensazione che Roxanne fosse turbata, nonostante mi sorridesse tranquilla. Forse era solo una mia impressione. 
- Invece si è alzato molto presto, e oggi niente lavoro. Sta facendo una riunione con tutti gli uomini della Corte per fare alcune indagini. Sai, per la faccenda del cane che abbiamo incontrato ieri. Se riescono a trovare una buona pista, potremo rintracciare i colpevoli - mi spiegò, e prese un dolcetto alle noci e mandorle. Quelle parole sembravano avere un tono apatico e triste. Dall'ultima volta che avevo visto Roxanne, erano passati alcuni giorni. Febo mi aveva tenuto aggiornato sulla situazione. Povera amica mia, doveva essere dura per lei vivere tutto questo, e rimanere a guardare, sperando che le cose tornassero come prima.
- Ci sono stati sviluppi di recente? - chiesi, e mi accomodai sullo sgabello, mentre finivo la mia mela. Come risposta, lei scosse lentamente il capo.
- Purtroppo no. Ma la cosa più brutta è che lui mi abbia già presa in considerazione come " migliore amica" -. In quel momento, mi sentì molto vicino alla violinista. La capivo perfettamente, e sapevo per esperienza quanto fosse dolorosa una cosa del genere. Quando scoprì che Esmeralda amava Febo, e che mi avrebbe visto sempre come un buon amico, quel giorno il mio cuore si spezzò e soffrì tantissimo. Ovvio che alla fine ho superato la delusione, in fondo tenevo troppo all'amicizia di Esme per poterci rinunciare solo perché non mi aveva ricambiato. Ma la situazione di Roxanne era molto diversa. Molto più triste.
Aver "perso" qualcuno a cui tenevi, proprio nel momento in cui stava nascendo qualcosa, è molto più doloroso che avere la certezza di un amore non corrisposto.
- Scusa se sembro invadente, ma non sarebbe meglio che tu gli dica la verità? Intendo...tra voi due e di come eravate prima dell'incendio - suggerì, sperando di averle dato la soluzione al suo dilemma. Mi sembrava anche piuttosto logica come cosa.
- Non posso - rispose lei, abbassando lo sguardo sul dolcetto ancora integro - Non posso, e non voglio. Lo so, sarebbe molto più facile così. Ma per me non sarebbe giusto -.
Mentre ascoltavo, corrugai la fronte. Non capivo quale fosse il problema. In fin dei conti, si trattava della pura verità.
- Perché? - le chiesi semplicemente. Lei girò e rigirò il dolcetto fra le mani, poi mi guardò con occhi decisi, ma anche colmi di una triste impotenza.
- Perché se lo facessi, non farei altro che influenzare la sua scelta. E' facile portare dalla tua parte la persona che ti interessa se non ricorda nulla, ma proprio per questo non voglio. Desidero che lui mi scelga non perché deve affidarsi a una realtà che ha dimenticato, ma solo perché lo vuole lui. Capisci?-.
Rimasi senza parole. Roxanne era davvero coraggiosa e fui certo in quel momento che amasse davvero Clopin. Lo avrebbe amato anche a discapito della sua felicità.
- Sì, capisco. Allora incrocerò le dita per te. Posso solo dirti di restargli vicino e mettercela tutta. Sono sicuro che i tuoi sentimenti gli faranno tornare la memoria - la incoraggiai, e lei mi rivolse un sorriso colmo di gratitudine, per poi voltarsi verso le due statuine col carretto, in mezzo al piazzale in miniatura. E nonostante non ne avessi la conferma, sapevo benissimo cosa stesse pensando. Una volta finiti i dolcetti, mi salutò abbracciandomi e mi diede un bacio sulla guancia. Intimidito le feci gli auguri, e dopo avermi promesso che sarebbe tornata per darmi nuove notizie, la vidi scomparire al di sotto delle scale. Il silenzio e la monotonia tornarono in quello spazio che chiamavo casa. 
- Dici che se la caverà? - disse una voce alla mia destra. Hugo aveva già riempito la sua bocca larga con le ultime mele rimaste nel cesto.
- Spero di sì. Quella giullare in gonnella mi è così simpatica. E' bella e brava - aggiunse Victor, che era sbucato alla mia sinistra. 
- Tutto andrà a buon fine, se lotterà per i suoi desideri. E comunque vada, almeno non avrà rimpianti, vero Quasi? - fece Laverne, con il suo solito modo di fare, così materno e saggio. Io annuì, e sorridendo ai miei compagni di pietra, mi rimisi a lavoro, con legno e utensili. 

PV Roxanne

Scesi giù per le scale, per poi ritrovarmi nell'ala centrale. La messa mattutina era ancora in corso. Silenziosamente mi avvia verso l'uscita, dopo essermi fatta il segno della croce. Signore, dammi la forza per combattere e andare avanti. Le parole di Quasi mi avevano rincuorata, e dato che per natura ero ottimista, sentivo che dovevo usare tutto il tempo che avevo a disposizione, per passarlo con lui. Sì, dovevamo passare più tempo assieme, creare nuove occasioni per condividere mille cose, situazioni già vissute e che potevano far riaffiorare ricordi. Anche se, dovevo ammettere, che tutte le volte che ci avevo provato, sembrava che non funzionasse. Nemmeno con la torta di mele ci ero riuscita. Ma non volevo darmi per vinta. Feci un respiro profondo e sentì che la motivazione e la buona volontà stavano crescendo in me. Avanti, ora vai a cercarlo e fai del tuo meglio! Appena mi trovai fuori dalla cattedrale, ebbi l'impulso di correre e saltellare verso il piazzale, in cerca del mio giullare. Doveva trovarsi ancora nel mio teatrino mobile, a discutere sulle ricerche con i suoi sottoposti. Gli avrei proposto di andare in giro a cercare testimonianze. Così gli sarei stata utile. Proprio in quel momento, la porta sul retro del carretto si aprì. Ah bene, avranno già finito. Tempismo perfetto! Vidi Clopin scendere gli scalini. Aveva i suoi soliti abiti da zingaro, dal viola scuro, al viola indaco. Il mio cuore accelerò e alzai una mano mentre correvo verso di lui. Stavo per chiamarlo quando vidi qualcosa che mi fece sprofondare nell'angoscia totale. 
Dal carretto uscì fuori una ragazza, che si fece aiutare da Clopin a scendere. Era abbastanza giovane, di certo più di me. Doveva avere 22 o 24 anni. I capelli biondi e ondulati le scendevano sulle spalle. Portava un vestito color crema, aderente al corpo sinuoso, con una gonna lunga che si apriva da un lato, mettendo in mostra la gamba snella e armoniosa. Un senso fastidioso cominciò a bruciare dentro di me. Clopin finalmente mi vide, salutandomi da lontano. Guai a te se ti avvicini con quella là! Pensai nella mia testa, che stava andando in fumo. Ma no, lui ovviamente mi venne incontro, sottobraccio con quella 
bella ragazza, che in confronto a me sembrava una dea scesa in terra. Rimasi pietrificata dov'ero, e ben presto me li trovai davanti. Da vicino, la nuova arrivata era ancora più bella. Solo in quel momento potei constatare che aveva anche un seno prosperoso.
- Bonjour, mon ami! Sei andata a far visita a Quasi? - fece lui, con un buon umore che mi dava sui nervi. Chissà perché era così contento?! 
- Sì...sai, si aspettava di vedere anche te...- gli risposi, cercando di sembrare normale. Intanto, la sua dama sbatteva le lunghe ciglia e gli occhi di un bel viola grigio erano fissi sul mio giullare. Ma chi è questa?! 
- Ah, beh, lo immagino. Ma lo sai, ero impegnato - si giustificò lui. Ma che faccia tosta! 
- Sì, sì, lo vedo anche adesso...che sei molto impegnato...- gli feci notare, mentre la mia voce si faceva più cupa. Calmati, Roxanne, stai calma!
- Ah, giusto. Roxanne questa è Odette. Odette lei è la mia collega Roxanne - fece le presentazioni, dandosi arie galanti con la sua dama. 
- Piacere - disse lei, facendo un leggero inchino, sollevando un po’ la gonna. Lo ammetto, era leggiadra e aveva una voce delicata come il suono di un'arpa.
- Non credi che sia meglio tornare alle indagini, adesso? - chiesi al mio collega. Lui annuì e si rivolse a Odette.
- Pardòn, cherì, il dovere mi chiama. Spero di rivederti presto - disse, e le baciò la mano. La rabbia era salita alle stelle. Ero sul punto di strozzarlo con le mie stesse mani, perché un cappio non sarebbe bastato. Odette gli sorrise, e assunse un'aria da santarella innocente che arrossisce per così poco. Mentre lei si allontanava, diedi un'occhiata alla faccia del re del piazzale. Aveva un'espressione da ebete colossale. Tossicchiai rumorosamente per attirare la sua attenzione. Lui sembrò essersi appena svegliato da un dolce sonno e mi guardò stupito. Dico io, ti sembra questo il momento di rimorchiare?!
- Vedo che ti stai impegnando molto sulle indagini - dissi, incrociando le braccia al petto, con aria contrariata. Lui fece un sorrisetto ruffiano e disse:
- Beh, abbiamo terminato presto. Mentre ti aspettavo ho incontrato Odette. Non trovi che sia aggraziata come un cigno? -. Di nuovo quello sguardo da cretino, con gli occhi da pesce lesso. Ci mancava solo la bava alla bocca e poteva vincere il premio per la miglior faccia da demente della storia.
- Oh, e come se ho visto! Ho visto fin troppo bene...- risposi, e girai i tacchi per allontanarmi. Ne avevo abbastanza! Ero troppo irritata.
- Cherì, dove vai? - mi chiese, rimanendo di sasso. Ah, riesci ancora ad accorgerti che esisto anche io!? Complimenti! 
- Non sono affari tuoi! - risposi, mentre acceleravo il passo. Non volevo nemmeno voltarmi e guardarlo. Sentì che mi stava seguendo.
- Non andartene in giro da sola, lo sai che è pericoloso! - mi avvisò, aumentando il passo per starmi dietro.
- Non disturbarti! Posso badare a me stessa. Vai pure in giro a fare il barbagianni con le signorine...!-. Ormai non sapevo nemmeno io cosa stessi dicendo.
- Ehm, credo che si dica " Don Giovanni" - mi corresse, mentre mi seguiva a ruota. Gonfia le guance ed esplosi.
- Fa lo stesso!!!-. Cercai di sfuggirgli come potevo, ma lui mi rimase incollato come un ape su un fiore. Desideravo solo essere lasciata in pace. Tutta la mia buona volontà di poco fa era svanita del tutto. Perché dovevo impegnarmi tanto se alla fine era ovvio che era tempo sprecato? 
Per un attino, mi sembrò di non avvertire più i suoi passi, dietro di me. Aveva forse gettato la spugna?
- Cherì, aspetta! - mi urlò dietro, con il fiatone - ma che cos'hai? -. Quanto era insistente! Non mi fermai e continuai a camminare senza avere una meta.
- Non chiamarmi cherì...e poi cosa te ne importa di me?! - dissi, imboccando vicoli su vicoli. Ad un tratto sentì una mano afferrarmi il polso. 
- Smettila! - tuonò il giullare mentre mi tratteneva. In quell'istante non riuscivo ancora a guardarlo negli occhi. Ero troppo arrabbiata e frustrata.
- Perché ti comporti così? Ti ho offesa in qualche modo? - mi chiese, con una gentilezza che mi fece sentire in colpa. Era ovvio, non avevo motivo di essere gelosa. Ero solo la sua cara amica. Il mio comportamento, in teoria, non era sensato. Sentendo la ragione prevalere, scossi il capo, ma senza riuscire a voltarmi. Passammo qualche minuto senza dirci nulla, e per me sembrò un'eternità. Desideravo sprofondare giù nel sottosuolo e sparire.
- Ti era caduto questo - disse poi, e mi mostrò il costumino per petit Clopin. Dovevo averlo perso durante quella scenata. Il mio viso andò in fiamme per la vergogna. Il re dei giullari ammirò quel pezzo di stoffa con fantasie a rombi, e con tono soddisfatto affermò:
- L'hai fatto tu? Hai le mani d'oro, cherì - disse, e solo in quel momento ebbi il coraggio di guardarlo.
- Sono sicuro che al mio "collega" piacerà - aggiunse, e mi donò un sorriso solare. Tutto ciò mi diede la forza di rispondere.
- Sono felice che ti piaccia -. Poi feci un passo verso di lui, aggiungendo - Mi dispiace, per prima -. 
" Sì, sono gelosa di te. Ma purtroppo non sono la tua donna, e chissà se potrò esserlo un giorno" era ciò che volevo tanto dirgli. Ma non potevo. Durante quella mia confessione silenziosa, chinai la testa nuovamente, ma lui mi sollevò il mento e tornò a guardarmi.
- Che matta che sei! - disse, donandomi un sorriso beffardo. Quel gesto mi fece stare meglio, e scostando il viso con decisione risposi:
- Chi è più matto? La matta, o il matto che dà della matta alla matta? -. Quel giro di parole lo prese alla sprovvista, e dopo aver sbattuto le palpebre per due volte, scoppiò a ridere. Mi lasciai andare e mi aggiunsi alle sue risate. A quel punto, mandai al diavolo la mia gelosia, e decisi di godermi quel momento, solo nostro. Avevamo un intero giorno da passare assieme.
Gli proposi così di andare in giro a cercare prove e testimoni per il caso. Lui accettò entusiasta.
- Allora andiamo, Mademoiselle? - disse, porgendomi il braccio destro. Il mio fazzoletto rosso era ancora ben stretto, sulla ferita che il cane feroce gli aveva procurato la sera prima. Ebbi un attimo di esitazione.
- Sicuro che non ti faccia male? - gli chiesi, e ricordai che poco prima, Odette era appoggiata al suo braccio sinistro.
- Certo. Proprio perché sei tu, sono sicuro che starò bene - affermò, ammiccando. Un calore mi invase il petto, e con delicatezza accettai. Era così bello, stare sottobraccio con lui, come facevamo in passato. Per un attimo, finsi che niente fosse accaduto, che lui non avesse perso la memoria, e mi illusi che eravamo nuovamente la coppietta di giullari del piazzale. Volevo solo godermi quelle piacevoli sensazioni, anche solo per pochi istanti.
- Comunque, guai a te se scegli di nuovo il mio carretto per portare le tue nuove conoscenze - lo ammonì, cercando di non sembrare troppo dura.
- Ah, ora capisco! Hai ragione, in fin dei conti è pur sempre il tuo carretto - disse, passandosi una mano sul collo - Ma tranquilla, non ho fatto nulla di sconveniente. Solo chiacchiere. Sono pur sempre uno zingaro gentiluomo - terminò, facendomi un sorriso innocente. Ma tu guarda! Devo però ammetterlo: il pensiero che non fosse accaduto nulla con quella nuova conoscenza, mi diede un gran sollievo.
- Ma che bravo! Beh, per questa tua buona condotta, se capiterà un'altra occasione e mi chiederai il permesso, potrei anche cederti il mio teatrino per un "appuntamento speciale" -.
Era una battuta ironica, ma sperai che lui non l'avesse presa sul serio. Alla fine ci trovammo nei pressi del mercato, e Clopin cominciò a fare domande ad alcuni paesani. Dovevamo sapere se qualcuno di loro avesse visto il grosso cane inferocito. Bastava anche una sola testimonianza. Ma purtroppo nessuno aveva visto niente. Sembrava proprio che il misterioso animale fosse apparso dal nulla. Era così surreale. Con un sospiro, mi rivolsi al mio compagno.
- Che ne pensi?-. Stavamo camminando in una traversa ben illuminata dal sole, tanto che mi dovetti proteggere gli occhi con una mano.
- Sto cominciando ad avere dei sospetti. Una banda di criminali che provoca incendi. Un cane rabbioso che appare e scompare. Credo di sapere cosa stia succedendo - disse lui, grattandosi il mento. Le risate e le corse dei bambini che correvano vicino a noi non sembravano scalfirlo, tanto che era immerso nei suoi pensieri.
- Ma dovrei parlarne con Febo. Forse anche lui sta arrivando alla mia stessa conclusione - aggiunse, e solo in quel momento tornò a darmi attenzione. Osservai alcuni bambini che si divertivano a rincorrere un cagnolino. E pensare che a quell'ora dovevamo essere nel carretto per lo spettacolo. 
- Abbiamo saltato un giorno di lavoro, purtroppo. A te non dispiace? - gli chiesi. Sapevo bene quanto Clopin ci tenesse. Lui si passò la mano sul collo.
- In effetti sì. Odio quando non posso esibirmi. Spero che i bambini non ci siano rimasti male -. Una cosa positiva in quella situazione, è che potevamo stare tranquilli per il mio carretto, perché l'avevamo lasciato in piazza, ma ben osservato dalle guardie di Febo. Mentre continuavamo a passeggiare, mi tornò in mente l'argomento che aveva incominciato qualche giorno fa. Avevo sempre l'impressione che Clopin non fosse del tutto sincero con me. Se ero davvero la sua amica preziosa, 
poteva almeno confidarsi, anche solo un po’. Alla fine mi feci coraggio e mi feci avanti:
- Clopin, hai sempre desiderato fare il cantastorie, ed esibirti nel piazzale per i bambini? -. Avevo pronunciato la domanda in modo diverso, ma in fondo il quesito era lo stesso. Volevo sapere il vero motivo per cui era diventato giullare. Allora mi guardò con sguardo offuscato, come se non stesse davvero guardando me, ma una parte profonda del suo animo.
- Da piccolo sognavo di fare il re - mi rispose, allargando un mezzo sorriso. Rimasi un attimo interdetta. Fare il re?
- Mio padre era il capo di una grande carovana di zingari. A quei tempi vivevamo in Spagna, nella calda Andalusia - cominciò a raccontare. Ricordai che Esme mia aveva anticipato qualcosa sulla loro terra natale. La mia attenzione era tutta per lui. Si stava aprendo con me, finalmente.
- Mia madre morì quando avevo solo 5 anni. Mio padre, che era ancora giovane, si sposò con un'altra zingara, e dalla loro unione nacque Esmeralda - disse.
Ah, quindi Clopin ed Esmeralda erano fratellastri? Beh, era logico che Esme non lo avesse specificato, era un dettaglio di poca importanza. Anche se erano nati da due madri diverse, non era un ostacolo ed erano cresciuti amandosi come due fratelli affiatati.
- Quando ci siamo trasferiti qui, a Parigi, mio padre fondò la Corte dei Miracoli. Ero un bambino molto vispo e attivo. Beh, non che sia cambiato tanto da 
allora - disse, ridacchiando - La corte era per me un regno favoloso, come quello dei re e dei principi. Per me era un gioco pieno di fantasia, ma per mio padre era una triste realtà. Lui era diventato il re degli zingari per necessità, io sognavo di fare il re solo per divertimento. Quando lui morì, avevo 12 anni e il mio sogno si avverrò. Ma a quale prezzo... posso almeno dire che se oggi mio padre fosse ancora vivo, sarebbe soddisfatto del mio ruolo. O almeno spero -.
Rimasi a contemplare quel racconto. Percepivo un qualcosa di amaro in quella storia, vagamente chiara. Cominciai a pensare che Clopin non solo era cresciuto troppo in fretta, diventando il capo di un'intera popolazione. Ma che per via di quella realtà, la stessa che lui aveva ammirato da bambino, lo avesse schiacciato duramente, e che la maschera da giullare lo avesse aiutato a sopportare un tale peso.
- Ecco perché sei diventato un giullare? Per rifugiarti nel tuo mondo da fanciullo? - gli chiesi. Per un attimo rimase in silenzio.
- C'è sempre un bambino in ognuno di noi, cherì. Non c'è niente di male in tutto ciò - mi spiegò, senza però darmi una risposta concreta. Decisi di non insistere e intanto nella mia mente si stavano formando varie teorie. Forse, diversamente dalle apparenze, Clopin non era davvero felice della sua condizione. Essere il re degli zingari poteva sembrare un ruolo potente e invidiabile, ma di certo ti poneva davanti a tanti limiti, responsabilità e preoccupazioni. Inoltre, amava tanto i bambini, e lui stesso era un bambinone, per questo si sentiva a suo agio fare un lavoro simile. Con loro poteva essere completamente se stesso.
- E tu, ami tanto questo lavoro, o è solo per onorare la memoria di tuo padre? - mi chiese il re del piazzale. Che strano, era una cosa che nessuno mi aveva mai chiesto. Di solito le persone si interessano solo se lavori o come guadagni nella vita. Nessuno si era mai interessato se fossi contenta di quello che facessi.
- Ammetto che in primis è stato per onorare mio padre. Già ti ho raccontato la mia storia. Però ne sono molto felice. Mi piace. Sarà perché i miei genitori mi hanno trasmesso la passione per la musica e la recitazione. Quindi, sì, amo il mio lavoro - spiegai, con gran soddisfazione. 
- Fantastico - mi disse - questa sì che è una cosa che abbiamo in comune! - specificò, facendomi l'occhiolino. Era adorabile quando faceva così. Passammo parecchio tempo a perlustrare le zone, e ne approfittammo per comprare cibo e altre cose per la Corte. Clopin aveva anche questo compito; procurare le giuste provviste d'emergenza per la sua gente. Tutti loro lavoravano per guadagnarsi il pane, ma in momenti difficili, come quello che stavamo vivendo, bisognava essere pronti per i giorni di magra. A un certo punto ci trovammo in una piccola piazzetta, dove c'era un gran via vai di persone. Proprio vicino a una fontana, vi era seduta una vecchia signora, con un bambino che poteva avere 5 o 6 anni. Tutti e due avevano l'aria stanca e affamata. Un gran nodo allo stomaco mi fece star male, solo a vedere quelle due persone, così malnutrite. Notai poi, che ai loro piedi c'era un piatto di metallo per l'elemosina. Ma era vuoto, nemmeno l'ombra di una monetina. Clopin stava osservando la scena con me, e cominciò a frugare nelle tasche, ma si rese conto che non aveva altro denaro. In quel momento ebbi un'idea, ma mi ricordai che non avevo con me il violino. I miei occhi tornarono su quel piatto vuoto, e allora ebbi un colpo di genio. 
- Clopin, puoi prestarmi il tuo cappello? - gli chiesi con ansia. Lui alzò un sopracciglio, ma fidandosi me lo porse. Corsi subito verso la fontana. Mi avvicinai ai due poverini, presi il piatto e al suo posto misi sottosopra il cappello. Forse non era come un vero tamburello, ma potevo arrangiare. Ripensai alle danze di Esmeralda, così sensuali e leggiadre, e cominciai a far ondeggiare le mie curve. I cammei del mio pareo tintinnarono, e insieme al suono sordo del piatto contro le dita, producevo una musica insolita, ma molto accattivante. Non ero abituata a quel genere di esibizione, ma cercai di fare del mio meglio. Imitai una specie di danza del ventre, e volteggiai come una leggera farfalla, facendo aprire i veli della mia gonna. Il bambino, che era rimasto fermo vicino alla donna, fu attratto da quella strana musica, e incoraggiato dalla danza, si alzò e cominciò a ballare insieme a me, saltando come un capriolo di montagna. Ben presto, avvertì le prime monetine che finivano nel cappello. Evviva, stava funzionando! Quella situazione mi fece ricordare le domeniche del passato, quando mio padre recitava le preghiere prima del pasto, e alle prime luci del tramonto mia madre si esibiva per puro diletto nelle sue danze acrobatiche. Il mio ballo si fece sempre più frenetico, con piroette veloci, e salti larghi. Mentre tamburellavo sul piatto, alzai una gamba in senso orizzontale, mostrando così le cosce ben fasciate nella calzamaglia aderente. Mi stavo così divertendo che mi ero dimenticata del mio giullare. Rallentando un po’, incrociai il suo sguardo. Mi stava fissando con occhi spalancati e la bocca semiaperta. Che buffo! L'euforia mi portò ad allungare un braccio verso di lui, facendogli segno di unirsi a me. Lo zingaro sbatté le palpebre e rimase indeciso sul da farsi. Per fortuna, il bambino capì le mie intenzioni, e corse da Clopin, tirandolo per l'orlo della casacca. Ovviamente, il re delle feste non poteva fare a meno di seguirlo e presto ci trovammo l'uno di fronte all'altra.
Sorridendogli, gli cinsi un fianco con una mano, e sollevandomi sulle punte gli sussurrai: 
- Avanti, Vostra Maestà, non mi faccia fare brutte figure -. 

PV Clopin

Roxanne mi incoraggiò a prendere parte a quella danza, o meglio a quell'esibizione improvvisata. Sì, perché senza rendermene conto, grazie alle sue grazie e al suo talento, si era creata una notevole folla, che ci osservava e ci accompagnava con battiti di mani. Dopo aver lasciato i fagotti della spesa da una parte, mi lasciai trascinare da quella musica, fatta solo di tintinnii e battiti sul metallo. Io e Roxanne girammo su noi stessi, saltellando e alternando di lato. Era la prima volta che vedevo la mia collega e amica esibirsi in quella maniera. E dovevo ammetterlo: aveva una sensualità così esotica, ma anche giocosa.
Sembrava la seduzione e l'allegria al tempo stesso. Questo mi fece vibrare di un'emozione indescrivibile. Era come se in quel preciso istante, stessi scoprendo una parte di Roxanne che non avevo ancora visto. Forse, quella che avevo conosciuto in passato e che purtroppo non riuscivo a ricordare. Mentre ballavamo, ebbi la sensazione che avevamo già danzato in quel modo. Avevo uno strano senso di deja vù. Coriandoli dai mille colori e tendaggi che si aprivano sullo sfondo, mentre sul palco della festa dei Folli ci stavamo scatenando, tra applausi e grida festanti. Quella frenetica danza era così travolgente, che mi lasciai 
prendere dall'istinto. Afferrai la mia giullare ai fianchi, e la sollevai di peso. Era leggera come una piuma, e senza fatica, la feci volteggiare in tondo, e i suoi capelli corvini volarono nell'aria. Tra tintinni e risate, avvertì di nuovo quella sensazione familiare. Mi sembrava di rivedere me stesso, nei pressi di un ruscello, che faceva volteggiare una ragazza, allegra e folle quanto me. Un senso di vertigine mi martellò in testa, e mettendo un piede in fallo, caddi per terra. Ahi ahi, che male! Mentre mi massaggiavo la testa, sentivo il dolce calore delle candele, un tepore al petto, e aprì gli occhi. Roxanne era a cavalcioni sopra di me, nella mia tenda color porpora, alla Corte dei Miracoli. Mi guardava con occhi dolci e penetranti. Nell'arco di pochi secondi, lo scenario cambiò mille volte, ma ciò che rimaneva intatta, era l'immagine della violinista, in quella posizione. La testa mi stava scoppiando, e serrando gli occhi emisi un grido rauco. Cos'erano quelli? I miei ricordi che stavano tornando a galla...?

PV Roxanne

- Clopin, cosa ti succede? - dissi preoccupata al mio giullare, che si teneva la testa tra le mani. Non era la prima volta che gli accadeva, e mi chiesi se fosse un sintomo positivo o negativo. Cominciai a sentire l'ansia crescere, mentre mi sollevavo e lo aiutavo a rialzarsi. In quel momento, dato che avevamo smesso di ballare dopo quella caduta, avvertì applausi e schiamazzi. Clopin fu come destato da quel suono e guardandosi attorno sembrò stare meglio. Gli chiesi nuovamente se stesse bene, e lui mi guardò un po’ spaesato. Ma con un debole sorriso mi rassicurò:
- Certo, certo, e che tutto quel volteggiare mi ha fatto girare la testa -. Quella risposta mi calmò, ma avevo ancora qualche dubbio. La nostra attenzione fu catturata dal bambino che aveva condiviso con noi la danza. Ci stava mostrando il cappello violaceo colmo di monetine d'oro e d'argento. Io e Clopin fummo così felici di vedere che il nostro intervento era servito a qualcosa. Dopo aver raccolto il denaro in un sacchetto Clopin recuperò il cappello, e porse il denaro alla signora seduta, che aveva assistito alla scena. Inoltre, le donammo un po’ di frutta che avevamo comparto al mercato, e sul suo viso scesero delle lacrime di commozione e gioia. 
- Grazie, re Clopin - disse la signora, che lo aveva riconosciuto. Le sorridemmo, e il bambino, con una vocina dolce disse:
- Grazie...mamma e papà -. Io e il giullare ci guardammo stupiti, mentre la signora rise e intervenne.
- Sì, ha ragione il mio nipotino. Siete una bella coppia e dei bravi futuri genitori -. La mia faccia si fece rossa, e quando mi girai verso Clopin, mi accorsi che mi stava guardando, e giurai di aver notato del rossore sul suo volto dalla pelle ambrata. La cosa mi fece sorridere dolcemente. Dopo aver recuperato la nostra spesa, salutammo la signora e il bambino, decisamente più felici di quando li avevamo trovati. Stavamo superando le stradine per ritornare al piazzale di Notre Dame, e dato che c'era un silenzio fastidioso tra noi, decisi di prendere l'iniziativa.
- Beh, Vostra Maestà, non avremo fatto progressi nelle indagini, ma abbiamo reso possibile una buona azione, oggi - affermai, avvertendo ancora quelle piacevoli sensazioni, durante l'esibizione. Per un attimo, mi era sembrato di essere tornata alla festa dei Folli, dove tutto era iniziato.
- Ti sei divertito, vero? - gli chiesi, punzecchiandolo con il gomito. Ne ero sicura, l'avevo capito dalla sua esuberanza e da come mi aveva sollevata da terra, cogliendomi di sorpresa. Avrei ballato con lui per ore e ore, senza avvertire la minima stanchezza. Lui annuì, e mi prese una mano. Un nuovo tuffo al cuore mi fece quasi sussultare.
- Tutto merito tuo. E' stato un gesto davvero nobile e generoso - mi disse, mentre mi teneva la mano nella sua. Feci un sorriso nervoso.
- Nulla di che. Chiunque avrebbe fatto lo stesso - risposi, guardando altrove. Il re della piazza mi accarezzò i capelli, procurandomi un brivido sulla pelle.
- Ti sottovaluti troppo, cherì - mi disse, con un tono di voce serio, ma tenero. Fu un momento così raro e puro. MI chiedevo spesso cosa gli passasse per la testa, ogni volta che mi guardava in quel modo, che poteva dire tutto, ma anche niente. In quel momento avvertì un galoppare in mezzo alla strada. Una nuvola di polvere si alzò mentre un cavallo bianco si stava avvicinando. Il cavaliere fece fermare la cavalcatura proprio vicino a noi, e si tolse l'elmo dorato. Ovviamente era Febo, accompagnato da uno zingaro, anche lui in groppa a un cavallo.
- Clopin, meno male che ti ho trovato. Devi venire con me, subito! - disse il capitano con agitazione, e lo zingaro a suo seguito scese dal cavallo porgendo le redini al suo capo. Clopin non fece domande, come se avesse già capito tutto. Afferrò le redini e salì sulla sella del cavallo. Poi si rivolse a me.
- Torna al piazzale, cherì. I miei uomini ti condurranno col carretto alla Corte. Non avere pensieri per me, tornerò presto - disse, mentre guidava il cavallo verso la direzione opposta. Mi resi conto che in quella occasione non potevo fare altro che ubbidirgli. Non dovevo fare la testarda e oppormi, non mi sembrava né il caso, né tanto meno necessario. Così, dopo avergli assicurato che avrei fatto ciò che mi aveva chiesto, lui incitò il cavallo, e insieme a Febo sparirono dalla mia vista. Lo zingaro mi aiutò a portare le provviste fino al piazzale, poi dopo essermi accomodata nel mio carretto, fui riportata alla Corte, come una principessa che tornava al suo palazzo scortata dalle guardie. Per tutto il tragitto non feci altro che pensare al giullare, e sperai che sarebbe 
tornato presto. Quando arrivai alla Corte, ringraziai i due zingari con della frutta e chiesi loro di lasciarmi sola. Per ingannare l'attesa decisi di mettere in ordine il teatrino. Spolverai tutti gli accessori, rattoppai i buchi dei pupazzetti, e feci altre faccende che forse non erano necessarie. Dovevo mantenere la mente occupata. Era giunto ormai il tramonto, e di Clopin neanche l'ombra. Sospirando cercai di non pensarci. Roxanne, approfittane per rilassarti, dissi tra me. Così, mi recai alla fontana dove l'acqua veniva raccolta e usata per le necessità primarie, come cucinare e lavare vestiti. Ne riempì due secchi. In un pentolone sul fuoco riscaldai l'acqua, e mentre aspettavo, sciolsi i capelli che caddero come una cascata sulle spalle e sui fianchi. Li pettinai con cura e pazienza. Quando l'acqua fu pronta, la raccolsi con una ciotola e riempì man mano un grosso catino che potevo usare per il bagno. Dopo di ché, ci aggiunsi alcuni boccioli essiccati di rosa (le stesse che usavo per la mia pettinatura) e qualche goccia di oli profumati. Mi spogliai delle mie vesti, e andai dietro a un separé dove avevo sistemato il catino. Non era un granché, ma almeno riuscì a entrarci rannicchiandomi e piegano le gambe, con le cosce strette contro il seno. Mi rilassai, poggiando la testa sul bordo del catino, dove lunghe ciocche di capelli erano sparse intorno, come una gran ragnatela. L'acqua calda e il profumo di rosa mi cullarono e mi invitarono ad appisolarmi. 
Feci un sogno particolare. Lo facevo spesso nell'ultimo periodo. Il paesaggio maestoso a me tanto caro, i tramonti e le albe della bella Marsiglia. Un cielo stellato dove una luna nuova passava il suo ciclo di rinascita, da luna crescente a luna piena, fino a interrompersi nel suo stadio di luna calante. Fu allora che quella falce, così splendente, si unì a un altro astro, altrettanto potente. Un disco solare, dalle lunghe lingue fiammanti che lo circondavano, come una corona reale. Strano. Cosa voleva dire? Ad un tratto, sentì una voce flebile, come se provenisse da lontano.
- Cherì...cherì...-. Mi svegliai di soprassalto. L'acqua schizzò fuori dal catino, e con gli occhi ancora impastati dal sonno, mi guardai attorno. L'acqua era diventata quasi fredda, e capì che era passato molto tempo. Poi, il mio sguardo si posò di fonte a me. Dietro al separé faceva capolino la testa del mio giullare che mi guardava stranito. 
- Clopin! Sei tornato! - esclamai felice. Ma poi mi ricordai in che condizioni mi trovassi e arrossì come una fragola al sole. Anche se in quell'angolazione, in quel punto dove si trovava, non poteva vedere le mie curve scoperte, mi allarmai coprendomi con le braccia:
- Non guardarmi! - gli gridai contro, e lui si affrettò a tornare dietro al separé.
- Tranquilla! Non ho visto niente... - mi assicurò - Ho bussato varie volte alla porta, ma non mi hai risposto. E così sono dovuto entrare - mi spiegò, come se cercasse di giustificarsi per un brutto guaio commesso. Perché avevo sempre l'impressione che si comportasse come un bambinone, in quei momenti?
Mentre il rossore mi stava arrivando fino alla cute dei capelli, mi guardai attorno, in cerca di un telo per coprirmi. Niente teli ne vestaglie.
- Va bene, ma adesso passami un telo - gli dissi, con il tono di voce ancora imbarazzato. Lo sentì muoversi, un po’ impacciato per la stanza. Ma ben presto, vidi un suo braccio ondeggiare fuori, con il dito indice alzato che mi dava cattive notizie.
- Niente teli, da questa parte -. Oh, fantastico! pensai, alzando gli occhi al cielo. Avevo pensato a tutto, tranne che chiedere qualcosa per asciugarmi ad Esmeralda o a Michelle. 
- Torno subito, vado a prenderti qualcosa - disse, e vidi la sua ombra oltre il separé muoversi. 
- Aspetta! - lo richiamai - Non ho fretta. Rimani pure lì, mettiti comodo -. L'ombra del giullare si mosse nuovamente, ma questa volta si fermò sul pavimento. Rimanemmo in quella maniera, a parlare sulla situazione. Lui mi informò che le guardie di Febo avevano trovato un indizio. Sul muro di una casa, tra i vicoli più isolati del quartiere, era stata scritta una frase, di colore rosso, che recitava: “L’uomo non sarà mai libero fino a quando l'ultimo re non sarà strangolato dalle budella dell'ultimo prete ". Quella frase mi fece rabbrividire più dell'acqua fredda nel catino.
- Inizialmente sembrava un messaggio diretto al re di Francia, da parte dei soliti rivoltosi - cominciò a spiegarmi - Ma non è così. Quella scritta era rivolta a un altro re, senza corona e scettro. Anche Febo è arrivato alla mia stessa conclusione -. Fermandosi per un attimo, vidi la sua ombra avvicinarsi alla parete del separé che ci divideva. Anche io mi avvicinai di più, per cercare di diminuire quella distanza. 
- Cherì, ormai è così chiaro. Questi vandali, criminali, quel che sono, vogliono trovare la Corte dei Miracoli. E sono certo che non si fermeranno fino a quando non mi vedranno penzolare da una corda - mi rivelò, senza però dare accenni di paura o esitazione.
- Ne sei davvero certo? - gli chiesi, avvertendo un'ansia mai provata prima. Lui confermò, poi la sua ombra si mosse allontanandosi dalla parete.
- Cherì, è meglio che per un po’ di tempo non ci vediamo - disse all'improvviso, con un tono di voce spento e amaro. Il mio cuore si fermò di colpo, e non riuscì a credere alle mie orecchie.
- Cosa? Perché? - gli chiesi, fissando la sua ombra che sembrava allontanarsi man mano. 
- La situazione sta degenerando. Avrei dovuto capirlo da quella sera, quando il cane mi stava stanando per uccidermi. Capisci, mi stanno dando la caccia.  Se tu continuassi a starmi vicino...è troppo rischioso per te - mi spiegò con pazienza - Per alcuni giorni dovrò stare lontano dalla Corte, e devo cercarmi un altro posto per rifugiarmi. Ho bisogno di isolarmi per continuare le ricerche senza avere il timore che qualcuno si faccia male per via della mia presenza -. Mentre ascoltavo le sue parole un gran dolore mi attanagliava il cuore. Non riuscivo a sopportare quella notizia, non proprio ora che qualcosa si stava smuovendo tra noi.
- Portami con te! Ti giuro che eseguirò tutti i tuoi ordini, e ti sarò utile! - gli dissi, con voce alterata. Ma come temevo, lui mi rispose:
- Assolutamente no! Non posso esporti continuamente al pericolo. Questa è gente che non scherza, non lo capisci? -. I miei occhi si riempirono di lacrime, e seguendo l'istinto, mi alzai e uscì fuori dall'acqua. Mi precipitai e corsi verso di lui, che mi dava le spalle. Lo abbracciai da dietro, affogando il viso sulla sua schiena. 
- Sei tu che non capisci...non capisci niente! -. Soffocai il pianto sulla stoffa del suo vestito, mentre i capelli umidi ricadevano sulle mie curve bagnate. Per il pianto e la vergogna, avevo il viso in fiamme, ma non mi importava se ero ancora nuda. In quel momento, avrei voluto spogliarmi anche della maschera che mi ero imposta, e liberare i miei più profondi sentimenti.
- Cherì...ma che fai? - disse lui, evidentemente scosso dalla mia reazione. Le mie braccia avvolgevano il suo torace, il mio seno era premuto contro il suo corpo, e il mio cuore palpitava così forte, che anche lui stesso poteva udirlo.
- Tu...sei così importante per me - riuscì a dire. Il re del piazzale si mosse di poco, poi riuscì a svincolarsi dalla mia presa, e si voltò. Ebbi un sussultò da quel gesto improvviso, e non fui pronta per farmi vedere in quello stato. Ma con mia grande sorpresa, notai che aveva gli occhi chiusi, per evitare i guardarmi in quelle condizioni. Il suo rispetto nei miei confronti non era cambiato per niente. Con le mani coperte dai guanti, cercò il mio viso, come un non vedente. Quando lo trovò, mi asciugò le lacrime e mi accarezzò le guance. 
Rimanendo con le palpebre chiuse, lui allargò un sorriso.
- Oh, cherì. Proprio per questo, devi starmi lontano. Proprio perché tu mi sei così preziosa, che devo sparire. Sei così forte, coraggiosa, buona come la torta di mele, e bella... - mi disse, e si soffermò un attimo per far scivolare le dita sui miei capelli. Ne prese una ciocca e la portò sulle labbra, per poi baciarla.
- Non solo bella, ma tanto cara - e terminando, avvicinò il volto al mio. Vederlo così vicino, arrossì di più, e le sue labbra lasciarono un segno sulla mia fronte. Un bacio casto, puro, pieno d'affetto, e privo di malizia. Rimasi ferma, mentre lui si allontanava pian piano da me, accarezzando i miei lunghi capelli.
- Sono felice di averti conosciuta, Roxanne. Se tutto andrà bene, ci rivedremo presto - disse infine, e quella frase mi suonò come un addio. Poi, si voltò, aprì la porta sul retro, e uscì chiudendola alle sue spalle. Un silenzio, che era più oscuro della stessa morte, era calato nel teatrino e nel mio cuore.
 
La violinista, priva di tutto ciò che l'aveva tenuta in forze, come una guerriera in una battaglia, si lasciò cadere sui cuscini. Nuda e indifesa, spogliata di tutto il coraggio, la motivazione, e delle sue ultime speranze, non aveva neanche più la forza per piangere. Tutto era stato vano. Doveva arrendersi. Sapeva che fin quando il re degli zingari fosse rimasto con lei, forse c'erano ancora possibilità. Ma lontano, per molto tempo, di certo il miracolo non sarebbe mai avvenuto. E lei, non aveva altro tempo. Anzi, sapeva che era già scaduto. Mancava poco al 28essimo giorno che si trovava a Parigi. Il suo rito si sarebbe consumato, per poi risorgere come ogni mese della sua vita. 

Angolo dell'autrice

Mamma mia che casino! Sì, questo capitolo è stato più lungo degli altri, ma c'erano tante cose che volevo scrivere che non ho potuto farne a meno. Ammetto che le cose stanno diventando sempre più complicate, e che la povera Roxanne sta soffrendo moltissimo (mi dispiace per lei ç_ç). Eh, lo so, magari per qualcuno è snervante la situazione, e che sta aspettando che tutto abbia una svolta positiva per i nostri giullari, ma tranquilli ci arriveremo XD Non odiatemi ç_ç
Comunque fatemi sapere cosa ne pensate anche di Odette (nuovo personaggio, che devo decidere se farlo comparire di nuovo). La scena che mi ha divertito di più è stata quando Roxanne si è ingelosita a bestia, e quella botta e risposa con Clopin XD Ci farò di sicuro una vignetta. Detto ciò, alla prossima <3 
      
   
 
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