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Autore: Sandie    16/09/2019    3 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXIV

 

La corsa verso il sogno

 

 

 

 

 

Elena si trovava nella hall dell'Eurostars Gran Madrid, seduta in una poltroncina non lontana dalla reception.

Scorse la cartella "In arrivo" dell'applicazione e-mail del suo smartphone, e il suo dito si fermò su un messaggio ancora segnalato in grassetto e ricevuto in aprile. Di proposito non lo aveva mai aperto.

Perché era di Shiori. Non c'era un oggetto ad anticipare, seppur stringatamente, il contenuto della sua e-mail, probabilmente per indurla a leggerlo.

Ma lei stava preparando le Nazionali juniores oltre a studiare e temeva che leggerla potesse sconvolgere quell'equilibrio che era riuscita a costruire con tanta fatica.

Ora si riteneva pronta a scoprirne il contenuto. Con un lieve sospiro, toccò la scritta evidenziata e davanti ai suoi occhi comparve un testo non lunghissimo, ma denso di informazioni importanti.

 

Cara Elena,

Innanzitutto, voglio chiederti scusa.

Scusami per aver dubitato di te, del fatto che saresti rimasta accanto a Gianluca anche in quelle condizioni, anche dopo l'incidente.

Quella sera in quel pub mi sono comportata in un modo a dir poco vergognoso … rivolgere simili accuse a una ragazza che considero sorella più che amica e di cui dovevo conoscere la lealtà e la generosità. Purtroppo ho creduto alle maldicenze di persone di cui mi fidavo quanto mi fidavo di te. Anzi, evidentemente di più, per poi rendermi conto della loro ipocrisia e perfidia.

A volte vado a fare la spesa nel supermercato dove lavora tua mamma e lei mi racconta quello che stai facendo in Giappone, come ti trovi … so che lavori bene in quella palestra e che hai stretto delle nuove amicizie.

L'ho detto a Gianluca.

Sono andata a trovarlo all'ospedale e mi ha confessato che gli manchi, tantissimo.

Credo ti pensi ancora molto e non potrebbe essere altrimenti, sei l'unica ragazza che lui abbia amato davvero e in ogni caso, avete condiviso emozioni che con nessun'altra potrà più provare.

Ha lasciato Roma una settimana fa con i suoi genitori e ora è ricoverato a Montecatone, nel reparto di Unità Spinale. Non sappiamo quanto ci rimarrà. Cercherà di recuperare almeno parte della sua mobilità, anche se sarà molto difficile. Ma ha solo vent'anni, deve tentare.

Fino a poche settimane fa pensava che la sua vita fosse finita, ma con l'aiuto di uno psicologo ha cominciato un percorso che pian piano lo porterà ad accettare la sua condizione.

Ogni tanto andremo a trovarlo, compatibilmente con i nostri impegni di lavoro e di studio.

Riesce a leggere e scrivere con un computer apposito, qualche volta riesce anche a sorridere con i nostri racconti e battute. Il dottore ci ha avvertito che non sarà un percorso breve, né semplice e lineare.

Spero di rivederti quando tornerai a Roma.

Nel frattempo, una cosa voglio dirtela: non sentirti in colpa. Lui mi ha raccontato di come tu non l'avessi abbandonato un solo giorno, dopo l'incidente e di come non avessi nessuna intenzione di farlo.

Sono certa che ti ha allontanata perché temeva di diventare un peso per te.

Spero di avere presto tue notizie, ma se non dovessi rispondere capirò, ti ho trattata in un modo davvero orrendo.

Ti voglio bene.

Shiori

 

Emozioni che con nessun'altra potrà più provare …

Arrossì leggermente nel rileggere quelle righe.

Allora Gianluca non abitava più a Roma … aveva deciso di darsi una seconda possibilità e di farsi ricoverare in una clinica specializzata. Aveva scelto di reagire, alla fine.

Sorrise. La vita era ricominciata anche per lui o almeno ci stava provando.

Si sentì più sollevata.

Stava cominciando a guardare oltre lei.

E Shiori aveva capito e dalle sue righe traspariva il suo desiderio di riallacciare i rapporti.

Si ripromise di cercarla, una volta ritornata a Roma.

Il suo smartphone suonò e comparve un'icona simboleggiante un testo scritto: un sms.

Vediamoci al mio albergo tra un quarto d'ora.

 

Si incontrarono nella hall dell'hotel in cui alloggiava la Nazionale giapponese.

Elena arrivò in leggero anticipo rispetto a Genzo, che scese dopo pochi minuti.

Indossava la tuta e profumava ancora di bagnoschiuma e di shampoo.

«Libera uscita?»

«Sì, fino all'ora di pranzo. Giusto una boccata d'aria.»

Elena sorrise. «Sei pronto?»

«Ho giocato in condizioni peggiori di questa e ormai la spalla mi dà solo un po' di fastidio, una sensazione che sparirà non appena metterò piede nello stadio.»

«La Spagna è fortissima, gioca in casa ed è composta da diversi giocatori che militano nel Real o nell'Atlético, ma voi siete il peggiore avversario che le potesse capitare.» affermò convinta.

Genzo fece un cenno d'assenso. «Non sarò degno del soprannome SGGK per molto tempo, se dovessi prendere sei gol.» dichiarò, dopo un momento di silenzio.

«Non li farà anche a te.»

«Non esserne troppo sicura, Elena. Espadas è uno dei migliori portieri del mondo, per me è stato uno shock vederlo subire così tante reti! Non ho mai visto un giocatore come Michael … è apparso improvvisamente nelle giornate finali della Liga. Ha trascinato il Numancia alla salvezza mettendo sotto scacco squadre come Valencia e Real Madrid. Il Barcellona ha vinto il campionato anche grazie alle sue straordinarie prestazioni. E dà l'impressione di non aver ancora rivelato tutto il suo potenziale.»

Numerosi servizi televisivi e articoli di giornali e siti Internet erano stati dedicati alla stupefacente partita giocata dallo spagnolo dall'aspetto da cherubino, autentica rivelazione del torneo. Un personaggio sorprendente di per sé: non si sentiva parlare spesso di un calciatore con un passato da seminarista.

Genzo e i suoi compagni avevano rivisto più volte il quarto tra Spagna e Messico, cercando di carpire quanto più possibile di quel prodigio.

Elena fece una piccola smorfia. «Sai, io non me ne intendo granché, ma la partita contro il Messico l'ho vista dal primo all'ultimo minuto. E secondo me … il modo migliore per prepararsi ad affrontarlo è costringere i ragazzi a tirare in tutti i modi possibili, utilizzando tutte le loro tecniche. Specialmente i più tecnici e creativi come Tsubasa, Misaki, Misugi, Sano, Aoi e Sawada. E anche Soda che sa far cambiare direzione ai suoi tiri e Matsuyama che ha un tiro non fortissimo, ma insidioso.»

Genzo rimase a guardarla, con un'espressione indecifrabile.

Elena si strinse nelle spalle.

«Lo so, è un consiglio stupido. Del resto sono un'appassionata, ma non un'esperta.»

«In te non vedo proprio nulla di stupido.» sorrise, accarezzandole il volto. «Anzi, credo proprio che farò come mi hai detto. Sottoporrò i ragazzi a un ultimo allenamento intensivo.»

«Non massacrarli però, altrimenti arriveranno sfiancati.»

«In tal caso li ricaricherò a dovere, ma sono sicuro che non ce ne sarà bisogno.»

Tra una schermaglia e l'altra, non si accorsero di Kira che, giunto nel frattempo dietro a loro, fu costretto a schiarirsi la voce per richiamare la loro attenzione.

«Ragazzi, mi dispiace dover interrompere così il vostro incontro romantico» sogghignò, davanti alla loro espressione interrogativa «ma questa sera c'è una partita cruciale e non dobbiamo sgarrare nemmeno di un minuto.»

Elena sorrise, con un'alzata di spalle.

«Lo so, mister Kira. Mi consolerò andando a pranzo con Kumi, Yayoi e Yoshiko.»

«A sparlare dei vostri ragazzi, mi auguro.»

«Ovviamente!» replicò stando al gioco, strizzando un occhio a Genzo.

«Vado, non voglio farvi perdere un secondo di più.» si congedò poi, rivolgendo un sorriso a Kira e dando una lieve carezza a un braccio del portiere.

 

«Pensi anche a lei quando porti in campo i tuoi sentimenti, Wakabayashi?» gli chiese il c.t, dopo che Elena ebbe lasciato l'hotel.

Genzo fece un cenno d'assenso.

«Allora mi aspetto una grande partita da te. Scegliere tra legno e bronzo o tra argento e oro dipenderà anche dalla tua capacità di sventare gli attacchi degli avversari.»

 

L'attesa semifinale era cominciata da pochi minuti.

Il "Santiago Bernabéu" era pieno di un tifo fervido ed entusiasta, come se si stesse disputando el Clásico.

I giocatori di casa vennero accolti con incitamenti, cori e applausi, mentre a quelli della Nazionale giapponese erano riservati fischi e urla di disapprovazione.

Una situazione che Genzo, Tsubasa e in parte anche Kojiro e Shingo Aoi avevano già affrontato.

«Siamo qui perché abbiamo disputato una grande Olimpiade. Siamo tra le prime quattro Nazionali del mondo. Ora dobbiamo diventare una delle prime due, e poi la prima.»

Li aveva motivati Kira, negli spogliatoi.

La Spagna aveva però preso il comando del gioco, grazie alla sua nuova stella.

Michael dribblò con agilità tutti gli avversari che gli si paravano davanti.

Ingaggiò un duello sul possesso palla con Matsuyama, ingannandolo con una finta rapidissima.

Poi fu la volta di Tsubasa e Misaki.

Grazie a uno scambio con Raíl riuscì a raggirare entrambi e a farli scontrare mentre si dirigeva verso la porta difesa da Wakabayashi.

Genzo, fermo e concentrato tra i pali, osservò Michael avanzare palla al piede.

Doveva stare attento: anche un ottimo portiere come Ricardo Espadas aveva subìto sei gol.

Si era preparato a quel confronto ascoltando i consigli di Mikami, con cui aveva parlato molto, e anche quelli di Elena.

Il biondo centrocampista effettuò una triangolazione rapidissima con Raíl e Fersio Torres. Quest'ultimo lasciò scorrere l'ultimo passaggio, su cui piombò proprio Michael.

Genzo bloccò il tiro con sicurezza.

Il numero undici iberico fece una smorfia, ma poi sorrise.

Wakabayashi era davvero un osso duro.

Genzo piegò le labbra da un lato ed effettuò un lungo, potente lancio di destro verso Nitta, che stava correndo, velocissimo, verso la porta.

L'attaccante calciò al volo di sinistro, infilando il pallone all'incrocio dei pali, spiazzando completamente Callusias.

Shun protese una mano verso la telecamera.

Madoka, seduta davanti allo schermo del suo laptop nella stanza affittata a Tokyo, sorrise emozionata.

 

La Spagna cercò di reagire, ma la difesa del Giappone, sapientemente disposta da Genzo, aveva chiuso tutti gli spazi.

Finché Michael, approfittando di una distrazione dei difensori nipponici ingannati dal movimento degli attaccanti avversari, si liberò della marcatura di Soda e corse verso l'area di rigore.

Genzo, con la visuale coperta dai due attaccanti spagnoli, non riuscì a vedere con quale piede Michael calciò il pallone.

La sfera si insaccò alle sue spalle.

Le due squadre tornarono negli spogliatoi con il risultato in parità.

 

Il secondo tempo fu molto più arduo del primo, per entrambe le squadre.

La difesa spagnola era impeccabile e Callusias stava giocando allo stesso livello di Wakabayashi. Dopo l'uscita di scena di Espadas e Müller, si candidava, con lo stesso giapponese e con il brasiliano Salinas, a essere il miglior portiere del torneo.

La spalla di Genzo era ancora dolorante, non era guarita completamente ma non avvertiva dolore, grazie all'infiltrazione fattagli dal medico prima della gara.

La semifinale si decise nei minuti di recupero.

Hyuga sancì il passaggio del turno con uno dei suoi micidiali Tiger shot, al termine di una splendida azione partita da Misugi e portata avanti con una triangolazione tra Tsubasa e Misaki, Aoi e Sawada.

Il Giappone era in finale, certi della conquista di una medaglia e a un passo dalla realizzazione del sogno.

 

Elena e Genzo si trovavano nel locale in cui avevano deciso di trascorrere la serata insieme, quando lo smartphone del ragazzo cominciò a squillare.

Lo estrasse dalla tasca e sospirò leggermente. Era Günther … e stava sicuramente per comunicargli quella notizia che stava aspettando da alcuni giorni.

«Il tuo tempismo è sempre stupefacente.» non si trattenne dal dirgli. Elena al suo fianco, ridacchiò sommessamente.

«Siete già lì? D'accordo, vi raggiungo tra poco.»

All'udire quelle parole, la ragazza assunse un'espressione seria.

Genzo chiuse la chiamata e si rivolse a lei.

Sospirò e non solo perché stava per rinunciare a passare una buona parte del loro appuntamento.

«Vado in un locale a poca distanza da qui, dove incontrerò alcune persone.»

«Dirigenti del Bayern?»

Genzo annuì.

Elena sorrise.

«Cercherò di raggiungerti al più presto.»

«Pensa ad ascoltare e discutere la loro proposta. È una decisione importante per il tuo futuro.» gli disse, mettendogli una mano sul petto.

 

Si voltò e appoggiò i gomiti sul bancone.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter assistere alla discussione tra Genzo, il suo procuratore e i dirigenti del Bayern Monaco.

Tutti i cosiddetti "esperti di mercato" indicavano la squadra campione di Germania come favorita per l'acquisto di Genzo. 

Schneider spingeva per l'ingaggio dell'estremo difensore nipponico: che ne fosse il principale sponsor era un aspetto ormai conclamato e sottolineato in tutte le narrazioni giornalistiche.

«Vuole ordinare qualcos'altro, signorina?» le chiese il barista, con un sorriso cordiale.

Elena esitò prima di rispondere, al punto che un cliente appena arrivato pensò di precederla.

«Buonasera! Per me una sangria, per favore.» disse una profonda voce maschile, dallo spagnolo comprensibile anche se un po' incerto, con un accento americano un po' particolare.

Elena si voltò per vedere a chi appartenesse.

Un ragazzo dai tratti orientali - anzi, giapponesi - si era seduto sullo sgabello accanto al suo.

La sua figura la colpì. Era alto, con un corpo atletico e imponente che si intuiva sotto la maglietta bianca e i jeans blu. Il viso dai tratti decisi, su cui spiccavano occhi di un nero intenso. Se quel giovane si fosse tolto gli occhiali dalla grande montatura blu squadrata e non avesse avuto i corti capelli tagliati a spazzola tinti di biondo grano, l'avrebbe trovato decisamente simile a Genzo.

Il nuovo arrivato si appoggiò con i gomiti incrociati sul ripiano e si guardò intorno.

«Bel posto, questo. Sono qui da appena due giorni e questa città mi piace già parecchio.» commentò, guardandosi intorno. Poi il suo sguardo si posò su Elena.

Il ragazzo fece un ammicco e lei arrossì, rendendosi conto di non avergli staccato gli occhi di dosso nemmeno per un secondo da quando si era materializzato accanto a lei.

«Anche lei è qui come turista, signorina?»

«Più o meno.» rispose, cercando di dissimulare l'imbarazzo.

«Accidenti che maleducato sono, non mi sono nemmeno presentato: mi chiamo Keisuke.» disse, tendendole la mano.

Lei la strinse dopo un attimo di esitazione. «Elena.»

«Tedesca?»

«Per metà. Ma sono nata e cresciuta in Italia.»

«Io invece, sono giapponese.» replicò «Si vede che hai origini nordeuropee. Con quei capelli biondi … non sono mica finti come i miei!» scherzò, sfregando le punte con le dita.

Elena accennò una risata.

Quel ragazzo … sembrava simpatico, ma stava indubbiamente cercando di attaccare bottone.

«Sei parecchio disinvolto per essere giapponese.» constatò, più che altro nell'intento di far prendere alla conversazione una piega diversa.

Lui ammiccò. «Vivo da cinque anni negli Stati Uniti e ho imparato a essere diretto. Ora mi sento più spontaneo e meno ingessato. Non fraintendermi: amo il Giappone, è il mio Paese e lì certi valori sono tenuti ancora in grossa considerazione mentre non si può dire che lo stesso valga ancora qui in Occidente, purtroppo. Per altri aspetti però, la mentalità è reprimente: impone un eccessivo controllo delle proprie emozioni e non permette di esternare convinzioni personali.»

«Sono d'accordo.»

Lo sguardo di Keisuke si fece ancora più interessato. «Sei stata in Giappone?»

«Sì, per sei mesi, proprio quest'anno. Ho uno zio che vive e lavora nella prefettura di Shizuoka e che mi ha ospitata per quel periodo. È come dici, però ho conosciuto anche persone molto aperte e spontanee, con cui ho stretto amicizia.»

«In effetti, nelle zone rurali o comunque non troppo urbanizzate come quella da cui provengo anch'io è ancora possibile.»

Continuarono a parlare del Giappone, dell'Europa e degli Stati Uniti.

Quel ragazzo aveva viaggiato molto e conosceva bene soprattutto il mondo e la mentalità anglosassone.

Elena trovava piacevole la sua compagnia: continuava a trovare familiari certi tratti, anche se le sembrava un po' sui generis persino rispetto ai più baldanzosi tra i ragazzi che aveva incontrato durante il suo soggiorno. Ma l'idea di flirtare con lui non la sfiorava e non vacillò neppure per un secondo davanti alle allusioni garbate, ma sempre più frequenti.

«Sai Elena, trovo che tu sia una ragazza molto interessante. Mi piacerebbe conoscerti meglio. Sono troppo avventato se ti invito a cena per domani?»

«Sì.»

Keisuke ed Elena sgranarono gli occhi e si voltarono verso la persona che aveva appena pronunciato quel tetro monosillabo.

«Genzo, sei qui finalmente. Com'è andata?» reagì lei, dopo un attimo di silenzio.

«Mi sono preso qualche giorno per decidere. Ci sono alcuni dettagli del contratto che vanno discussi.»

«Non vi è bastata un'ora per venirne a capo?»

«A quanto pare no. Vedo comunque che hai trovato un modo per ingannare il tempo.» ribatté lui grave, lanciando uno sguardo al ragazzo accanto a lei.

Elena aggrottò le sopracciglia e schiuse le labbra per rispondergli, ma Keisuke fu svelto a intervenire.

«Pace, mettiamo fine alla pantomima. Io sono Keisuke Wakabayashi, il fratello di Genzo.» le rivelò, mettendo una mano sulla spalla del portiere, che per la prima volta dal suo arrivo accennò un sorriso.

Elena passò lo sguardo dall'uno all'altro. «Suo … fratello?»

Ecco perché glielo ricordava così tanto. Sapeva che viveva e studiava negli Stati Uniti, ma non si aspettava che si trovasse anche lui a Madrid.

«Sì. E a scanso di equivoci, era tutto concordato.»

Elena era ancora più basita. «Tutto concordato? Ecco perché non ti sei più fatto sentire.» disse, rivolta al suo ragazzo, che sorrise e scambiò un'occhiata con il fratello.

«Già.» replicò quest'ultimo. «Volevo conoscerti, senza filtri. Volevo parlare con una ragazza vera e non con una che cerca di fare buona impressione davanti al suo potenziale cognato.»

«E allora come sono andata?» chiese, incrociando le braccia e alzando il mento.

«Beh, dirlo dopo un'ora scarsa di conversazione è un po' prematuro, ma conosco mio fratello e, senza vanterie, la capacità di osservazione è una caratteristica distintiva di noi Wakabayashi, quindi solitamente capisco presto se una persona merita fiducia oppure no. E il fatto che tu abbia cominciato a essere un po' più rigida quando ho cercato di entrare più in confidenza mi ha convinto che ci tieni veramente, a mio fratello.»

Elena sorrise e scambiò un'occhiata con Genzo.

«Che tu fossi un tipo stravagante ormai è risaputo, ma un look del genere su di te non me lo sarei mai aspettato.» disse poi quest'ultimo.

«Ah, questi sono frutto di una scommessa fatta con i miei compagni di università. Avevo promesso che se mi fossi laureato con il massimo dei voti mi sarei tinto i capelli e avrei pagato una cena per tutti nel più raffinato ristorante di Boston, e così è stato.» spiegò, tastandosi le punte dei capelli.

«Immagino lo shock di mamma e papà.»

Keisuke scosse la testa.

«Ovviamente la tinta l'ho fatta dopo la partenza dei nostri genitori e di Hiroji. Sai però che mi hai dato una bella idea? Ora ci facciamo una foto insieme e la mando direttamente a papà. Mi dispiacerà solo non vedere la sua faccia.» rise, suscitando anche l'ilarità di Genzo ed Elena.

Prese il suo smartphone e si mise in posa con il fratello, scattando una foto.

La ragazza li guardò divertita.

Erano due fratelli che si punzecchiavano e si prendevano in giro, ma indubbiamente molto legati.

 

Erano seduti in un tavolo a parte, poco lontano da quelli in cui stavano cenando gli altri ragazzi.

Keisuke aveva salutato tutti con calore, a partire da Izawa, Kisugi e Taki fino agli altri ex giocatori della Nankatsu e aveva anche chiacchierato e scherzato con quelli delle altre squadre, rendendosi subito simpatico con la sua innata socievolezza.

«Ho avuto l'impressione che ti fossi immedesimato troppo nella parte.» disse Genzo, portando il discorso su Elena dopo aver parlato del lungo periodo passato negli Stati Uniti dal fratello maggiore.

Keisuke accennò una risata e scosse la testa.

«Ti dico solo una cosa, fratellino. Se non fosse già impegnata con te, ci avrei volentieri passato la serata insieme. È una ragazza interessante da ascoltare, oltre che piacevole da guardare. Non sarò certo io a fare obiezioni, ma non posso mettere la mano sul fuoco per Hiroji e soprattutto per papà e mamma. Anche perché ci sono di mezzo gli affari tra le nostre aziende.»

«Non manderanno tutto all'aria per questo.»

«Certo che no, ma i rapporti con gli Ujimori si incrineranno.»

Genzo strinse la mascella. Era certo che Asami sperasse ancora in una riconciliazione.

Non aveva detto a nessuno che l'aveva lasciata, i suoi genitori non sapevano ancora nulla.

«Mikami e Katagiri mi hanno detto che la Federcalcio ha intenzione di organizzare una festa, in caso di vittoria. Sarà i primi giorni di settembre, quando i campionati si fermeranno e le Nazionali saranno impegnate con le gare di qualificazione e le amichevoli. In quell'occasione, parlerò con papà, mamma e Hiroji.»

Keisuke gli mise una mano su una spalla. «Se hai bisogno di manforte, puoi contare su di me.»

 

Anche la serata della finale arrivò.

Si affrontavano Giappone e Brasile, come nel World Youth di due anni prima.

Una mite brezza estiva spirava sul "Santiago Bernabéu", il cielo stava ormai diventando scuro e una dorata falce lunare sembrava vegliare sullo scenario insieme alle stelle.

I calciatori delle due squadre andarono a prendere le rispettive posizioni in campo.

«Sono uno dei pochissimi giocatori che ti hanno segnato un gol da fuori area Wakabayashi, e stasera conto di darti un altro dispiacere. Anzi, più di uno.» gli disse Natureza.

«Attento a non sognare troppo Natureza, che poi i risvegli fanno male.» ribatté.

«In tal caso, sarò io a spedire il pallone dietro le tue spalle.» intervenne Santana.

«Per riuscirci dovrai giocare la migliore partita della tua carriera.» replicò Genzo con il medesimo tono, abbassandosi la tesa del berretto e avviandosi verso la sua porta.

Sugli spalti erano presenti molti tifosi spagnoli, tra i quali i fan di Natureza, ma non mancavano anche i tifosi del Barcellona divisi tra Rivaul e Tsubasa.

Proprio il fuoriclasse blaugrana era rimasto impressionato dalla bravura del portiere giapponese. Era giovanissimo ma aveva una mentalità e un carisma da veterano.

L'aveva seguito nelle precedenti stagioni e nel torneo asiatico. L'aveva impressionato, ma era anche vero che le Nazionali affrontate in quei mesi erano troppo modeste per costituire delle prove attendibili.

Era stato felice quindi di vedere inserito il Giappone nel gruppo più competitivo, anche perché Tsubasa e i suoi compagni sarebbero stati costretti a dimostrare fin da subito il loro valore.

E le partite disputate nei Giochi lo avevano convinto definitivamente della sua eccezionale bravura.

 

Fu una partita bellissima: le squadre si affrontarono a viso aperto ed era un continuo botta e risposta fra azioni, tiri spettacolari e ribaltamenti di fronte. I due portieri si dimostrarono entrambi all'altezza della situazione e i tempi regolamentari terminarono con il risultato di 0-0.

Nei tempi supplementari, entrambe le squadre accusarono la stanchezza accumulata nel corso dei primi novanta minuti, giocati a un ritmo frenetico.

I tiri finivano perciò per essere imprecisi e fuori misura.

E soprattutto, Salinas e Wakabayashi sembravano aver alzato una saracinesca.

Pur essendo stati entrambi impegnati per tutta la gara, non persero neppure per un attimo la loro concentrazione e lucidità.

L'arbitro soffiò nel fischietto per tre volte.

Sarebbe stata la lotteria dei rigori a decidere quale delle due squadre avrebbe conquistato una delle medaglie d'oro più contese di quell'edizione.

 

I calciatori delle due squadre si radunarono accanto alle rispettive panchine, dove si concessero alcuni minuti per prendere fiato e dissetarsi, mentre gli allenatori parlavano soprattutto con i ragazzi incaricati di battere i rigori.

«Vi ricordate quando, nella finale del World Youth, vi dissi che se fossimo andati ai rigori, per me sarebbe stata l'occasione di diventare l'eroe della partita? Bene, quel giorno sembra essere arrivato.» sorrise Genzo.

I ragazzi fecero altrettanto, di rimando.

«Non vedevo l’ora che arrivasse un momento così.» ribadì rinfilandosi i guantoni.

«Se paro i rigori, le mie quotazioni saliranno vertiginosamente e dovranno spendere fior di quattrini per ingaggiarmi.» sogghignò, strizzando un occhio.

Una dichiarazione simile a quella di due anni prima, al World Youth, che come allora fece ridere i suoi compagni e stemperò la tensione.

Sì, con un Wakabayashi in quello stato di forma, era imperativo essere ottimisti.

 

Santana fu il primo giocatore a presentarsi davanti al dischetto.

L'attaccante del Valencia cercò di sorprendere Genzo con il cucchiaio, ma lui non si fece ingannare e parò il tiro.

La sua opposizione non fu altrettanto efficace contro l'esperienza di Robecaro e Rivaul.

Nel primo caso era riuscito a intuire la direzione del tiro ma non si era buttato in tempo per fermarlo, nel secondo invece fu completamente spiazzato dalla finta del fuoriclasse brasiliano.

Soda, scelto a sorpresa, disorientò Callusias, che si aspettava un tiro a effetto, con un normale rigore calciato di potenza.

Matsuyama sbagliò inaspettatamente il suo tiro, calciando il pallone tra le braccia del portiere.

Serrò la mascella e raggiunse i suoi compagni, che tentarono di consolarlo con alcune pacche sulle spalle e parole di incoraggiamento.

Yoshiko sospirò e strinse le labbra. Yayoi e Kumi di fianco a lei tentarono di confortarla come meglio potevano.

Non era tutto perduto.

Hikaru si mise le mani sui fianchi e guardò Radunga dirigersi verso il dischetto.

Tiro potente e preciso, gol.

Stesso esito per i rigori di Tsubasa e di Hyuga.

Taro fu l'ultimo calciatore del Giappone a incaricarsi del tiro.

Stava per lasciare la metà campo quando sentì una grande mano posarsi su una sua spalla.

«Segnalo, Misaki. Poi parerò il tiro di Natureza.»

Detto da qualsiasi altro portiere, sarebbe sembrato un eccesso di sicurezza per non dire una spacconata. Ma Wakabayashi non affermava mai nulla con tanta decisione senza sapere perfettamente ciò che diceva.

A Taro non restò che fare un cenno d'assenso e dirigersi verso il dischetto.

Baciò la sfera e la posizionò sul piccolo tondo bianco.

Indietreggiò di alcuni passi.

La rincorsa fu breve.

Tiro angolato. Esito classico. Pallone da una parte, portiere dall'altra.

Ora toccava nuovamente ai verdeoro tenersi aggrappati a quel filo sottile.

Kumi alzò le braccia con i pugni stretti, ricevendo abbracci e pacche sulle spalle dalle amiche.

Per Elena, il momento di massima tensione si ripeteva a ogni rigore.

Natureza …

Toccava a lui tenere vive le speranze della Seleçao.

Genzo lo osservava con uno sguardo carico di sfida. Era sicuro di sé, determinato, perfino intimidatorio.

Il giovane campione dell'Amazzonia avvertì un senso di agitazione.

Scosse la testa. No, perché preoccuparsi? Per quanto eccezionalmente bravo, era pur sempre un essere umano. E in fondo, lui due anni prima gli aveva segnato un gol da fuori area, il pallone non lo aveva nemmeno visto! E non gliel'avrebbe fatto vedere nemmeno quella sera.

Collocò la sfera sul dischetto e lanciò un sorriso verso Genzo, che non cambiò espressione.

Natureza fece alcuni passi a ritroso, respirando profondamente.

Genzo piegò le ginocchia leggermente in avanti.

Partì poco prima che il piede di Natureza colpisse il pallone.

Era un tiro di una potenza e una rapidità micidiali.

Si era buttato un secondo prima, ma era in ritardo ...

Genzo strinse i denti, tendendo il braccio destro e le dita più che poté.

I calciatori giapponesi, quelli brasiliani e tutti i tifosi trattennero il fiato.

 

Nello stadio "Santiago Bernabéu" esplose un boato assordante.

Genzo venne letteralmente sommerso dai suoi compagni, precipitatisi in massa su di lui, rischiando di soffocarlo sotto i loro abbracci.

A pochi metri da quella montagna umana dalle maglie bianche e blu, il pallone fermo sull'esterno della rete. E Natureza steso supino accanto alla linea di delimitazione dell'area di rigore, con le mani sulla faccia, sul terreno del suo stadio, mentre alcuni suoi compagni si mossero dalla metà campo per raggiungerlo e cercare, per quanto possibile, di confortarlo.

Le immagini sul maxischermo mostrarono più volte la deviazione con la punta delle dita con cui il portiere nipponico aveva neutralizzato il tiro dell'attaccante del Real Madrid.

I supporter giapponesi erano troppo intenti a esultare per vederle, mentre quelli brasiliani assistevano con sguardi increduli e avviliti.

I ragazzi del gruppo dei supporter erano fuori di sé dalla gioia.

La signora Ishizaki strinse una dopo l'altra le sue giovani compagne di tifo in un incontenibile abbraccio, in attesa di riservare quello più traboccante di affetto a quel figlio spesso rimproverato, ma che amava come il dono più prezioso che la vita le avesse fatto.

Elena provò un sospiro di sollievo nel vedere Genzo riemergere finalmente da quell'ammasso di ragazzi in pieno tripudio.

Il suo portiere era stato abbracciato e travolto dalla gioia e dall'euforia dei suoi compagni come se fosse stato un attaccante che avesse segnato il gol decisivo.

Perché la parata di Genzo significava quel gol negato che era valso al Giappone la medaglia d'oro.

 

«Vieni, Elena!»

Vide Kumi correre verso Taro e abbracciarlo, Yayoi appoggiare le mani sulle guance di Jun per sussurrargli qualcosa e poi stringersi a lui, Hikaru e Yoshiko darsi un lieve bacio.

Persino Maki andò incontro a Kojiro per stringergli le mani.

E lei? Era ferma quasi a bordo campo, a pochi metri dalla panchina, intimidita da quella selva di telecamere che stavano riprendendo i ragazzi.

Avvertì una mano posarsi sulla sua spalla.

«Non vai da Genzo?»

Mikami le sorrideva con affetto.

«Non so se posso farlo.» mormorò.

«Lui vuole condividere questo momento con te. Perché rovinare tutto?»

Elena gli sorrise e fece un cenno d'assenso.

Si incamminò in direzione del portiere, che stava parlando con Tsubasa.

Gli toccò un braccio e lui si voltò.

«Ce l'hai fatta, Numero Uno.» sorrise.

Lui la attirò a sé, con un gesto rapido.

«Ehi!» gridò, ridendo.

Appoggiò la testa sul petto coperto dalla maglia sudata e sporca e afferrò delicatamente la medaglia.

«Chi l'avrebbe mai detto che ne avrei vista una da così vicino.» mormorò.

Ignorarono i flash dei fotografi, che si susseguivano l'uno dopo l'altro sui loro volti.

«Potrò mettere la medaglia d'oro al collo di papà.» mormorò Taro accanto a loro, gli occhi lucidi e il sorriso emozionato come quello di un bambino.

 

«Forza mister, l'astinenza è finita!» gridò Wakashimazu, versando del sake nella coppa ben salda tra le mani del suo ex mentore.

«Ehi Ken, piano! È quasi un anno che non bevo nemmeno un goccio, non vorrei mettermi a dare i numeri!» lo ammonì Kira, tra le risate dei ragazzi ma anche dei membri dello staff e persino di Mikami, Katagiri e Gamo.

Alla festa era presente anche Maki Akamine. Una conferma del legame che la univa a Kojiro Hyuga.

I due ragazzi si ponevano ogni tanto in disparte dal resto del gruppo, comportandosi con discrezione, ma la giovane giocatrice di softball, rivelazione della Nazionale vincitrice della medaglia di bronzo, familiarizzò anche con le altre ragazze e i compagni di Kojiro, dimostrandosi affabile e simpatica.

 

Era una serata perfetta.

Questo stava pensando Genzo, mentre abbracciava con lo sguardo il salone illuminato in mezzo al quale spiccava il grande tavolo su cui era rimasto ormai ben poco cibo, mentre le bevande continuavano a scorrere.

Aveva da poco terminato una lunga chiacchierata con alcuni compagni e ora stava cercando Elena con lo sguardo, ma non riusciva a scorgerla da nessuna parte.

Incrociò lo sguardo di Kumi che piegò leggermente la testa in direzione della portafinestra.

Genzo la ringraziò con un cenno del capo e vi si diresse.

«Ah, eccoti. Eri scappata sul terrazzo.»

Elena si voltò e gli sorrise, le mani ancora appoggiate sul parapetto.

«Non sono scappata. È solo che pur amando divertirmi con gli amici, dopo un po' di tempo passato in mezzo alla confusione sento il bisogno di uscire a prendere una boccata d'aria e starmene un po' per conto mio. Sono fatta così.» spiegò, con un'alzata di spalle.

Genzo fece un cenno del capo. «Sono l'ultima persona cui devi spiegare queste cose.» la rassicurò.

L'aria era mite, in cielo splendeva una mirabile luna piena.

Elena, con i capelli sciolti sulle spalle e lo sguardo reso più luminoso da quel riflesso lunare, era bellissima.

Indossava lo stesso abito blu della serata all'auditorium dell'Istituto Shutetsu.

Un intrecciarsi di contingenze che lo convinse che non era vero che la perfezione non potesse esistere, fosse anche per poco.

«In realtà, c'è anche un altro motivo per cui sono venuta qui.» disse, facendogli assumere uno sguardo attento.

«Lì dentro, tra i dirigenti, i giornalisti e gli amici, finiamo sempre per restare lontani. Alla festa di Ishizaki, quando ero da poco in Giappone, avevo notato che anche tu hai questa abitudine … così sono uscita, sperando che mi raggiungessi.» sorrise.

Gli parve di scorgere una punta di malizia nella sua espressione.

Ricordava bene quella serata … era stata la loro prima vera conversazione, per quanto breve.

Breve ma significativa, perché aveva dissipato gli ultimi dubbi sul suo ritorno in Giappone.

Nessuno dei due immaginava quello che avrebbe significato quel periodo.

Un periodo che, per entrambi, sarebbe dovuto essere lontano da lì.

La guardò e sorrise, pensando a come il destino si fosse divertito a giocare con le loro vite. L'attirò a sé e chinò il viso sul suo, esaudendo finalmente il desiderio di entrambi.

 

Le ante della portafinestra si spalancarono di colpo, facendoli sobbalzare mentre un euforico - e probabilmente anche alticcio - Takeshi Sawada irrompeva nel terrazzo.

«Ehi ragazzi, vi ho trovati finalmente! Sono tutti pronti per la foto collettiva, mancate solo voi!»

Poi si bloccò e sgranò gli occhi, fissandoli.

«Non volevo disturbarvi …» mormorò, imbarazzato.

Genzo dopo un momento di stupore misto a disappunto, scosse la testa e sorrise. «Non preoccuparti, Sawada. Arriviamo.»

Takeshi annuì e rientrò nel salone.

Genzo ed Elena si scambiarono un'occhiata, rassegnati ma anche divertiti dall'imbarazzo del giovanissimo centrocampista.

Quando entrarono, furono bersagliati da una raffica di occhiate maliziose e battute allusive che Genzo liquidò con la consueta ironia, consentendo a Elena di limitarsi a fare spallucce sorridendo.

 

Dopo aver scattato più volte la fotografia, tra persone assenti al momento della posa e da recuperare anche con ineleganti strattoni, scherzi e risate, Taro afferrò delicatamente un braccio di Kumi e la trasse un po' in disparte dal resto del gruppo.

«Sai, ieri ho ricevuto una notizia importante.» le confidò, davanti all'occhiata interrogativa di lei.

«Davvero? E di che si tratta?» chiese la ragazza, incuriosita ma già con un'intuizione in testa.

«Ho ricevuto un'offerta ufficiale da parte del Paris Saint Germain. Vogliono far valere l'opzione fatta l'anno scorso.»

I suoi occhi si illuminarono subito per l'entusiasmo. «È meraviglioso, Taro! Con Pierre Leblanc e J.J. Ochado formeresti uno dei centrocampi più competitivi a livello mondiale. E con un finalizzatore come Louis Napoléon, l'attacco diventa una macchina da gol. Sarete la squadra da battere in Ligue 1 e una tra le più competitive in Champions League.»

Taro fece un lieve sorriso. «Questo significherà stare lontani.»

Kumi scosse la testa.

«Sei troppo bravo per non attirare l'interesse del calcio europeo. Non ho pensato neppure per un secondo che dopo le Olimpiadi saresti rimasto allo Jubilo Iwata. Rimarremo in contatto e ogni tanto verrò a trovarti … o verrai tu a trovare me. Ce l'hanno fatta Tsubasa e Sanae, ce la stanno facendo Hyuga e Akamine, tu stesso ci eri riuscito con Hayakawa e paradossalmente vi siete lasciati proprio quando abitavate entrambi in Giappone. Metteremo alla prova il nostro legame: se è solido, resisterà.»

Taro la guardò con tenerezza e le passò un braccio attorno alla schiena.

«Misaki, la signorina Yamaoka Yoshiko ha chiesto di lei.» annunciò uno dei camerieri.

Il centrocampista si sciolse a malincuore dall'abbraccio e si diresse alla porta d'uscita.

Una volta sul corridoio, vide la sorella sorridergli entusiasta.

«Taro!»

Kumi si affacciò alla porta poco dopo.

Una ragazzina di circa dodici anni, dai capelli castani a caschetto e vivaci occhi nocciola stava abbracciando il centrocampista, complimentandosi ripetutamente con lui. Era vestita con un abito estivo bianco e rosa e molto graziosa.

Yoshiko notò la presenza della ragazza che li stava osservando e si scostò dal fratello.

«Ah, sei in dolce compagnia! Spero di non avervi disturbato.» sorrise, guardando Kumi.

La ragazza mise le mani dietro la schiena e alzò le spalle, con un gran sorriso.

«Non ti preoccupare.» la rassicurò. «Io sono Kumi.» aggiunse, inchinandosi.

«E io sono Yoshiko, la sorella di Taro.» si presentò a sua volta, ricambiando il saluto giapponese.

Furono raggiunti da una bella donna dai corti capelli castano ramati, a incorniciare un viso dai tratti delicati e dagli occhi nocciola. La dolcezza di quei lineamenti, di quel sorriso e l'espressione mite di quegli occhi erano identici a quelli di Taro e della stessa Yoshiko.

Accanto alla donna, un uomo di corporatura robusta, dai corti e lisci capelli neri dello stesso colore degli occhi, delimitati da un paio di occhiali dalla montatura grigia.

«Loro sono Yumiko e Taisho Yamaoka, mia madre e suo marito.»

«Mamma, Taisho-san, lei è Kumi Sugimoto. La mia ragazza.»

Yumiko la guardò e poi sorrise, facendole un inchino. Gesto imitato dal marito.

«Ciao Kumi. Sono contenta di conoscerti.»

«Anche per me è un grande piacere, signori.» disse la ragazza, ricambiando il loro gesto di saluto.

«Perché non andiamo a mangiare una torta o un gelato tutti insieme?» propose Yoshiko.

Yumiko esitò, perplessa. «Non so … forse volevate festeggiare con i vostri amici.» obiettò, rivolta a Taro e Kumi.

Il ragazzo scosse la testa con un sorriso. «Posso benissimo passare un po' di tempo con voi. Sono certo che al ritorno, li troveremo tutti ancora qui.»

Yoshiko batté le mani, entusiasta. «Splendido! Vieni con noi, Kumi?»

«Certo che verrà.» rispose Taro spegnendo sul nascere ogni esitazione, prendendole una mano.

La mangaka fece per obiettare, ma i sorrisi di approvazione dei genitori e della sorellina del fidanzato la convinsero che la sua compagnia era gradita, più di qualsiasi parola.

 

Non appena seppe dell'abilità di Kumi nel disegno, opportunamente rivelatale da Taro, Yoshiko chiese subito alla ragazza un ritratto di Sailor Moon, uno dei suoi personaggi preferiti.

Kumi la accontentò, tirando fuori dalla sua borsa il suo inseparabile blocchetto da disegno e una matita, eseguendo poi un disegno di notevole somiglianza.

«Wow! Sembra che l'abbia disegnato Naoko Takeuchi in persona! Sei bravissima!» cinguettò, mostrando la piccola opera anche ai suoi genitori, che annuirono.

«Hai già cominciato a collaborare con qualche casa editrice?» le chiese Yumiko.

«Sì, disegno manga e illustrazioni per una piccola casa editrice di Fuji. I miei genitori, specie mio padre, non sono molto entusiasti di questa mia scelta, ma si convinceranno prima o poi. Altrimenti pazienza. Il lavoro più bello è quello che faresti anche gratis.»

Yumiko assentì. «È solo questione di tempo: quando ti vedranno felice e realizzata, saranno orgogliosi di te più di quanto lo sarai tu di te stessa.»

 

Dopo una breve passeggiata, si fermarono in una gelateria.

Kumi e Yoshiko erano sedute su una panchina illuminata da un lampione collocato lì vicino e le stava facendo un altro disegno, sotto gli occhi curiosi e partecipi di Taisho.

Yumiko e Taro erano, invece, seduti a un tavolo poco fuori il piccolo edificio e avevano appena terminato di mangiare i loro coni alla crema e cioccolato: avevano scoperto con divertito stupore di avere gli stessi gusti.

Yumiko si pulì la bocca con una salvietta e poi la porse a Taro, che aveva teso la mano.

«Taro … tuo padre lo sa?» gli chiese, dopo che il figlio l'ebbe gettata in un cestino.

«Intendi me e Kumi?»

Yumiko fece un cenno d'assenso, voltandosi a dare un'occhiata alla ragazza che aveva, con ogni evidenza, già conquistato la simpatia della sua secondogenita.

«Glielo dirò al nostro ritorno in Giappone. La conosce già dai tempi del liceo comunque,

non credo avrà riserve su di lei.»

«Per quanto mi riguarda, mi piace. Ti sostiene e sta portando avanti i suoi sogni. Con una ragazza così hai la possibilità di costruire un rapporto importante.»

«Papà mi ha detto che una donna deve avere dei sogni propri, non deve dipendere da me.» le confidò.

«Sì … ha ragione.» gli disse, con un sorriso dolce, dopo un breve silenzio.

«Mamma … dieci anni fa non avevo capito. E non sapevo … ma ora sono contento che tu ti sia rifatta una vita. Taisho è un bravissima persona e hai avuto con lui una figlia splendida. Sono felice di aver recuperato il rapporto con te e aver conosciuto loro.»

«Mi sono sentita meschina per aver perso diciotto anni della tua vita. Ma sapevo che Ichiro sarebbe stato un ottimo padre. Tu hai avuto la bontà di perdonarmi, e ora ti prometto che per te ci sarò sempre, Taro.» disse, mentre un paio di piccole lacrime le solcavano piano le guance.

«Non devi piangere, mamma. Ora possiamo finalmente guardare avanti, mettendo da parte i rimpianti. E ho già detto a papà che il mio prossimo compleanno dobbiamo festeggiarlo tutti insieme.»

«Per me va bene. Spero ci sarà anche Kumi.» gli confidò, passandosi un piccolo fazzoletto sul viso.

Taro sorrise.

Yumiko ammiccò e gli passò un braccio attorno alla schiena, mentre il figlio le circondò le spalle con il suo.

 

La famiglia Yamaoka tornò nel suo albergo, Taro e Kumi si incamminarono verso l'Eurostars Madrid Tower.

«Un po' mi dispiace aver passato poco tempo con i ragazzi. Però capisco che tu abbia voluto stare con tua madre. A quanto pare, non vi vedete spesso.»

«Purtroppo meno di quanto vorremmo, ma il rapporto è ottimo. E sono contento che tu abbia avuto la possibilità di conoscere lei e una parte della sua e della mia famiglia.»

La ragazza roteò gli occhi, un po' dubbiosa. «Credevo fosse un po' troppo presto.»

«Mi fido delle mie sensazioni. Desideravo che vi conosceste. E in ogni caso, non potevo certo piantarti lì.»

«Effettivamente, ci sarei rimasta molto male.» ammise lei, tra il serio e lo scherzoso.

«Quasi quasi ti presento i miei, quando torniamo in Giappone.»

Taro ammiccò, mettendole un braccio attorno alle spalle. «Sono sicuro che tuo padre vedendomi con la medaglia d'oro al collo, non avrà nulla da criticare.»

«Ah, il signor Misaki è molto sicuro di sé …» esclamò Kumi, mettendogli una mano sul petto.

«Conoscere un ragazzo che ha vinto le Olimpiadi ha il suo fascino, devi riconoscerlo.»

Quando arrivarono nel salone in cui i ragazzi, come previsto da Taro, stavano ancora festeggiando.

«Ehi, dov'è Elena?» chiese Kumi, non vedendo l'amica nel salone.

«È tornata al vostro hotel poco fa, perché era stanca. Wakabayashi è andato via con lei.» rispose Urabe, con aria maliziosa.

 

«Io torno nel mio albergo.» annunciò Elena.

Genzo assentì e per alcuni istanti la guardò senza dire nulla.

«Vengo con te. Mi sembri molto stanca.»

«Effettivamente … stanotte ho faticato ad addormentarmi e le gambe potrebbero cedere da un momento all'altro. Volevo aspettare le altre ragazze, ma rischio di crollare.» ammise.

«Ragazzi, accompagno Elena al suo hotel.» avvertì Genzo, rivolto ai suoi compagni ancora intenti a scherzare e alcuni anche a mangiare e bere.

«Va bene, Wakabayashi! Se non torni, capiremo il perché.» ammiccò Taki, facendo arrossire lievemente Elena.

Genzo scosse la testa. «Che insolente. Ai tempi della Shutetsu non avrebbe mai osato parlarmi in quel modo.» commentò, mentre lasciavano il salone e aspettavano l'ascensore.

«Beh … in fondo, a quell'epoca eravate ancora dei bambini.» obiettò Elena, cercando di buttarla sullo scherzo.

Genzo sogghignò. «In effetti, hai ragione.»

Uscirono dall'hotel.

Un taxi accostò al marciapiede pochi minuti dopo e vi salirono.

Elena pronunciò il nome e l'indirizzo dell'Eurostars Gran Madrid.

Rimasero seduti a leggera distanza l'uno dall'altra. Gli occhi di Elena ogni tanto si socchiudevano, in un misto tra stanchezza e una leggera ebrezza.

Genzo guardava di sottecchi il suo volto illuminato a intermittenza dalle luci dei lampioni.

Giunsero davanti all'entrata dell'albergo, il ragazzo pagò la cifra del tragitto e uscì dall'auto, poi andò dall'altra parte dove Elena aveva aperto l'altra portiera e le tese la mano.

La ragazza scivolò fuori dall'abitacolo e la afferrò.

Era leggermente malferma sulle gambe. Genzo le passò una mano dietro la schiena e la sorresse mentre si incamminavano verso le porte automatiche.

Alla reception, chiese a Elena il numero della stanza e, alla sua risposta, si fece dare la tessera magnetica.

Entrarono nell'ascensore.

Una volta chiuse le porte, Elena si separò da Genzo e rimosse, uno dopo l'altro, i sandali dai suoi piedi.

«Ecco fatto. Non ne potevo più.» sospirò sollevata, appoggiandosi a una delle pareti laterali.

Genzo sorrise. «Sei meno abituata ai tacchi e all'alcool di quanto tu voglia far credere.»

In quel momento, l'ascensore raggiunse il piano in cui si trovava la stanza di Elena e le porte si riaprirono.

«Non ho mai detto di amare le scarpe con i tacchi alti né di essere un'ubriacona.» ribatté impermalita, tendendo la mano per farsi dare la tessera e precedendo il ragazzo.

«Un po' scontrosa sì, però.» la punzecchiò mentre lei, appena aperta la porta, gettava i sandali sul pavimento senza troppa attenzione.

Lei si voltò e lo fissò per alcuni secondi.

La guardava con quel sorriso accennato, come ad attendere la sua replica.

Avvertì il cuore accelerare i battiti e il flusso del sangue farsi più rapido.

Istintivamente arretrò, lasciandogli spazio a sufficienza per varcare la linea tra il pavimento del corridoio e quello della stanza.

La attirò a sé e chinò il viso sul suo, trovando subito le sue labbra.

Lei fece un altro passo indietro e lui richiuse la porta dietro le sue spalle.

Le circondò la schiena con le braccia, mentre lei gli passava le sue attorno al collo.

Elena percepiva solo le grandi mani di Genzo che avevano preso ad accarezzarle la schiena e il calore della sua bocca, fusa con la sua.

Il ragazzo fece scorrere le mani dalla schiena alle sue braccia.

La sua pelle era leggermente increspata per l'emozione.

La accarezzò delicatamente, dall'alto verso il basso.

Le mani di Elena disegnarono il largo contorno delle spalle del ragazzo, poi scesero ad accarezzargli le clavicole e il petto.

Si infilarono sotto i lembi della giacca e li sollevarono piano, iniziando a farglieli scivolare dalle spalle, fino a farla cadere sul pavimento.

Genzo trasalì e si scostò.

Si guardarono, ansanti.

Elena avvertì il contatto del legno contro le sue gambe. Aveva raggiunto la sponda del letto.

Gli occhi di Genzo erano accesi e brillanti, sembravano due braci ardenti.

«Avevi detto che eri stanca …» la provocò.

Lei sorrise. Senza staccargli gli occhi di dosso, gli mise una mano sui capelli, giocherellando con i fili di seta nera che si arricciavano alla base della nuca.

Lui cinse il fianco di Elena con una mano, chinando il viso a cercare la sua bocca.

La fece gradualmente sdraiare sul letto, mentre il loro bacio si faceva più profondo e passionale.

Le mani di Elena accarezzarono il viso di Genzo, per poi scendere sulle sue spalle.

Erano ampie, forti …

Le labbra di lui intanto presero a percorrere la mandibola e il collo.

Il suono sommesso dei suoi ansiti lo spinse a continuare … quella pelle nivea e liscia lo stava trascinando verso sensazioni di un'intensità mai provata.

Era la prima volta da quando stavano insieme, che si spingevano oltre qualche bacio.

Elena inarcò leggermente la schiena e infilò le dita tra i suoi capelli quando passò a baciarle le clavicole e la parte di seno lasciata scoperta dalla scollatura del vestito.

Socchiuse gli occhi, le labbra semiaperte.

Avvertì la sua mano scendere sul fianco e insinuarsi sotto l'orlo del vestito, percorrere la sua coscia fino a sfiorarle l'inguine.

Sussultò ed emise un gemito.

Erano sensazioni che la stavano sconvolgendo. Genzo la toccava e la baciava con delicatezza e ardore allo stesso tempo e lei sentì la sua femminilità risvegliarsi con prepotenza.

Stava perdendo il controllo.

«Genzo …» mormorò, posando una mano su quella del ragazzo.

Lui sollevò la testa e tornò a guardarla. Le accarezzò piano il volto e i capelli.

La pelle nivea leggermente arrossata, gli occhi azzurri che lo guardavano afflitti.

Le gambe che si erano istintivamente serrate.

«Mi dispiace …» mormorò lei.

Lui scosse la testa, con un sorriso gentile. «Non ti preoccupare. Posso capire. Ti desidero, ma non ti forzerò a farlo se non ti senti pronta.»

Si sollevò e si mise a sedere e lei fece altrettanto.

La guardò. Le spalline abbassate, il seno semiscoperto e i capelli biondi spettinati, che lei riavviò.

Strinse la mascella. Si alzò, dandole rapidamente le spalle. Recuperò la sua giacca e raggiunse la porta, che aprì forse con troppo impeto.

«Ci vediamo domani.» disse voltandosi appena e chiudendo con più calma la porta dietro di sé.

Elena abbassò gli occhi e si morse piano il labbro inferiore.

Sospirò.

Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, ripensando alle sensazioni vissute poco prima.

Avevano già scambiato effusioni, ma non aveva mai provato nulla di così intenso, di così eccitante.

Genzo ci sapeva fare … era evidente. E se non l'avesse fermato … avrebbe fatto ancora di più. Una parte di sé rimpianse di non averlo lasciato continuare, ma era iniziata da poco e voleva aspettare, prima di vivere anche quell'aspetto della loro storia.

Forse se non avesse letto quell'e-mail, se non le fosse tornata in mente quella frase sulle emozioni che Gianluca non sarebbe stato più in grado di rivivere, nemmeno se avesse trovato un'altra donna, il pensiero che lei invece stava quasi per farlo, con un ragazzo nel pieno del vigore come Genzo ….

Fu il suo ultimo pensiero, prima di cedere alla stanchezza e addormentarsi.

 

 

 

 

 

***Note***

 

 

El Clásico è l'espressione con cui è universalmente noto il confronto tra Real Madrid e Barcellona, le due squadre più blasonate di Spagna.

 

 

Un saluto a tutti.

Dopo una piccola riorganizzazione, i capitoli saranno infine 27.

Grazie come sempre a chi dedica un po' del suo tempo a leggere queste pagine.

Sandie

  
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