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Autore: _AnotherWorld_    17/09/2019    2 recensioni
yes, dear.
I do still think of you. you wont let me forget.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Not all the stories have a good ending

Not all the stories have a good ending


Non fa così caldo, pensò Kageyama cambiandosi la solita maglia nera da allenamento.

Fuori tirava una lieve brezza che portava un tono quasi autunnale alla stagione primaverile ormai alle porte. Kageyama si voltò di scatto verso lo specchio, attirato dall’improvviso rumore del borsone da allenamento che cadde dall'appendino sul quale era precariamente appeso.

Devo decisamente trovare un posto migliore”

Esordì sospirando mentre si avvicinava a raccoglierlo.
Avrebbe dovuto presto finire di prepararlo: buttare dentro i pantaloncini e la borraccia per gli allenamenti.

Si sentiva estasiato all’idea di tornare in palestra: il fischio della suola delle scarpe a contatto con il parquet della palestra, le grida dei suoi compagni di quadra, il suo compagno. Sì, ormai aveva preso l’abitudine anche lui di affibbiare quel piccolo aggettivo possessivo affianco al ragazzo dai capelli color carota. D’altronde, lui lo faceva sempre

Sei il mio Bakageyama

Sei il mio alzatore

Siamo invincibili, assieme

Non riusciva a dimenticare nulla di queste piccole frasi che gli vennero costantemente ripetute. Erano diventate la normalità, quasi fino alla nausea. Eppure, mai se ne sarebbe davvero stancato.

Con un po' di fatica tirò su la borsa da terra, gli allenamenti del giorno prima si facevano ancora sentire e i muscoli erano ancora lievemente doloranti. Kageyama mise ciò che mancava nel borsone e si avviò verso la stazione del treno.

Non ci mise troppo a raggiungere la banchina di attesa per il mezzo pubblico. Nell’attesa del treno, Kageyama rimase a fissare i binari del treno ancora vuoti perdendosi nei suoi pensieri ricorrenti. Decise di mandare un messaggio ad Hinata, una volta ridestatosi da quello strano incanto.

Ci vediamo in palestra, oggi proviamo qualche alzata nuova.

Nulla di particolare o troppo esaustivo, come suo solito, però era comunque un modo di fargli sapere che in quel momento lo stava pensando e, anche se lo avrebbe visto da li a poco, voleva comunque colmare la distanza che attualmente c’era tra i due.

In lontananza, il suono delle ruote del treno che sfrecciavano sulle rotaie iniziò a farsi più vicino: era arrivato il treno.

Pareva quasi interminabile il viaggio, forse perché l’ansia lo stava divorando. Voleva vederlo, voleva toccarlo, voleva vedere quella faccia sorridente mentre colpiva il pallone che egli stesso gli aveva meticolosamente fatto arrivare sulla mano. Quei minuti furono interminabili.

Da quando Daichi era riuscito ad ottenere il permesso per utilizzare una palestra più attrezzata di quella scolastica, Kageyama doveva percorrere un pezzo più lungo a piedi per raggiungerla dalla stazione.

Scese dal treno e iniziò una lieve corsa verso la palestra, almeno sarebbe arrivato già riscaldato almeno un po'.

Il vento tirava più del solito, ma Kageyama dietro la sua sciarpa e coperto dalla tuta d’allenamento non sentiva freddo. Il borsone dava fastidio, ma andava bene comunque perché presto sarebbe arrivato e avrebbe rivisto il ragazzo per il quale tanto perse la testa.

Gli vennero in mente molte scene passate assieme e non potè fare altro se non perdersi tra quei ricordi così nitidi nella sua mente: la prima volta che fecero l’amore assieme, non sesso come avvenne altre volte preso dalla foga e dalla frenesia. Amore. Fare l’amore.

Come si poteva creare e addirittura fare qualcosa di astratto e complesso come l’amore? Non lo sapeva, se avesse dovuto pensare ad una risposta per quei pensieri non gli sarebbe uscito nulla di neanche lontanamente concreto. Eppure sapeva, lui lo ricordava bene, che loro due assieme avevano fatto l’amore.

Il piccolo corpo di Hinata sotto il suo. Le goccioline di sudore che gli bagnavano il collo, la schiena, i fianchi. Gli occhi lucidi del ragazzo che ansimava sotto al suo peso, i capelli arancioni attaccati alla fronte sudata. Le gambe intrecciate attorno al suo bacino e il suo membro rigido che gli batteva contro l’addome.

Stava per avere un’erezione, già lo sapeva. Nonostante questo non riusciva a smettere di pensarci

Non ti fermare”

Gli sussurrò nelle orecchie il giovane mente si aggrappava alle sue spalle per tirare su il busto abbastanza da raggiungere le sue labbra e baciarlo con foga. Le lingue che si attorcigliavano tra di loro, i denti che sbadatamente si scontravano e i morsi che gli lasciava quando gli prendeva il labbro tra i suoi incisivi.

Sentiva sempre più caldo, ansimava e quasi dovette rallentare l’andamento mentre si lasciava pervadere da quei ricordi

Il suo membro eretto che entrava ed usciva dal corpo del suo compagno mentre i gemiti si facevano sempre più frequenti. La bocca lievemente socchiusa del ragazzo steso sotto di lui, quasi volesse chiamarlo. Quando quel richiamo si tramutava nell’urlo del suo nome non riusciva quasi mai a trattenersi e allora gli veniva naturale affondare le sue dita forti quanto esili nei suoi capelli arruffati e giacere su di lui. Appoggiandosi al contatto con la sua nuda pelle, perdersi in veloci tremolii e svuotarsi dentro di lui mentre Hinata, pervaso dal calore del corpo del moro e riempito del suo seme non poteva che abbandonarsi egli stesso al piacere provocatogli da tutto ciò.

Kageyama dovette fermarsi un attimo, stava ansimando decisamente troppo e non era per la corsa. Quei pensieri gli offuscavano spesso la mente, voleva possederlo ancora. Tuttavia, non erano i più frequenti. Oh no, quelli che lo facevano sussultare tutto il giorno e lo facevano perdere nel uo mondo erano altri.

Ricordi felici, momenti spensierati: la prima volta che andarono a vedere un film assieme dove dovettero alzarsi quattro volte solo durante il primo tempo per andare al bagno a causa delle troppe bibite e finirono per raccontarsi metà del film a vicenda; l’appuntamento al luna park dove fecero per lo più giostre per bambini visto che la madre di Hinata lo obbligò a portarsi la sorella minore; le passeggiate lungo la strada che al tramonto si tinge di fuoco e le loro mani intrecciate a parlare di nuovi schemi e cibo mentre tornano a casa esausti, ma mai abbastanza per non fare quel pezzo in più di strada l’uni per l’altra pur di passare anche quei minuti assieme, prima che la notte non li costringeva a separarsi.

Il petto bruciava, aveva ripreso a correre noncurante della tosse che gli era uscita a causa dello sforzo e della richiesta di più aria nei polmoni. Faceva tutto male: il petto, le gambe, la spalla dove il borsone ondeggiava avanti indietro incessantemente. Bruciava tutto: la gola, la pelle, gli occhi. Gli occhi bruciavano. Bruciavano come un fuoco acceso d’inverno e te sei da solo in un bosco freddo. Non era calore, era bruciore.

Le sentiva, come sempre, le lacrime. Non stavano ancora scendendo, erano ancora bloccate nelle iridi blu. La strada era completamente offuscata, come i suoi pensieri.

Non pensava più ai momenti passati, pensava ai fatti successi.

Tutto troppo veloce, troppo improvviso, troppo sbagliato. Sbagliato, ma cosa era giusto? Giusto non era ciò che era successo appena tre giorni fa. Non pensava molto a fondo alle cose che non fossero la pallavolo, Kageyama, eppure sapeva che ciò che era accaduto era sbagliato, quasi senza senso.

Tre giorni fa, solo tre, non pensava così tanto a tutte queste cose, questi momenti, perché poteva farli quanto voleva e poteva. Poteva stringerlo, poteva parlarci, poteva baciarlo.

Poteva.

Ora no.

Ora non poteva più.

Un autista ubriaco al volante in una strada troppo stretta perché Hinata potesse evitare gli anabbaglianti schizzare verso di lui e a sua bici.

l’unica sera che non potè fare la strada con lui, l’unica strada che fu costretto a rimanere alle lezioni di recupero, l’unica volta che gli disse “Non ti preoccupare, ci vediamo dopo

Dopo. Che poi quel dopo non sarebbe mai arrivato non poteva saperlo ancora.

Dopo. Ma dopo quando?

Dopo. Dopo. Dopo.

Si fermò, controllò l’ennesimo messaggio senza risposta. Come poteva rispondere? Come poteva rispondere il suo amato ormai? Come poteva una misera bici proteggerlo? Come poteva non esserci stato? Come poteva non averlo protetto lui stesso?

Non poteva arsi pace, la sua mente era piena di pensieri, piena di confusione, piena di risentimento. Non capiva, non sapeva, non provava nulla che non fosse dolore allo stato puro. Era successo tutto così in fretta, così di recente che ancora credeva che da un momento all’altro gli sarebbe arrivata una risposta, che lo avrebbe visto saltare in palestra, che lo avrebbe abbracciato di nuovo.

Invece no, nella sua mente stava iniziando a prendere forma l’idea che non avrebbe più potuto farlo. Fine, era tutto finito. Non sarebbe tornato, non ci sarebbe stato ancora, non lo avrebbe più sentito. È questo che succede quando qualcuno decide che la tua vita deve finire. In questo caso questo qualcuno fu un uomo, un uomo ubriaco che non avrebbe mai saputo ciò che gli aveva tolto. Tolto a lui, alla famiglia, ai compagni. A tutti.
Ormai gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime che tanto tentava di tenere imprigionate.

Non che senza di esse non si capisse come stesse Kageyama: gli occhi erano rossi, reduci dalle notti insonni a guardare lo schermo di quel telefono che non usava mai e ormai era diventato tutto perché solo la si trovavano le immagini di loro due, le parole che si dicevano, tutto la; le occhiaie ormai erano diventate di un grigio acceso, parevano lividi; la carnagione biancastra. Era così che la gente lo vedeva, lui ormai allo specchio non si guardava più, non voleva vedere ciò che era senza di lui.

Si sedette fuori dai gradoni della palestra, aspettando qualcosa o qualcuno.

Lo sapeva, lo sapeva che di domenica non si allenavano. Lo sapeva che nessuno sarebbe arrivato per lui, nessuno sarebbe arrivato a salvarlo questa volta. Era solo.

Posò il borsone che gli aveva ormai raschiato la pelle arrossata, si alzò, appoggiò le mani sulla ringhiera e urlò.

Strillò, urlò, ringhiò al cielo tutto ciò che aveva dentro. Piangeva e non lo sapeva, le lacrime ormai scorrevano copiose senza fermarsi. Non si curava del fatto che fosse fuori, non si curava delle persone che potevano essere in casa, non si curava più di nulla.

Urlò finché la voce non gli morì in gola, finché la laringe non si infiammò fino a non fargli più produrre un singolo suono, finché assieme alla sua voce, non si spense un po' anche lui.

Sudava, il torace si alzava e abbassava convulsamente, il cuore gli batteva all’impazzata e lui non sapeva cosa fare. Si sentiva perso, vuoto, senza una metà.

Andiamo a casa, Kageyama”

Il moro si girò verso quella voce familiare, amica.

Suagwara si stava avvicinando, mentre tutti gli altri componenti della Karasuno, della Fukurodani, dell’ Aoba, della Nekoma e perfino della Shiratorizawa erano riuniti dietro di lui.

C’erano tutti. Nessuno condivideva il suo stesso dolore, eppure ognuno era presente. Non sapeva chi aveva organizzato, come sapessero dove fosse. Non gli importava.

Iniziò a singhiozzare con quel filo di voce rimatogli. Si resse sulle gambe cedute in precedenza a stento. Si asciugò gli occhi, nonostante le lacrime non si fermarono, nonostante il suo cure battesse ancora troppo velocemente perché potesse essere normale, si trascinò verso gli altri.

Alcuni in lacrime, alcuni a stento le trattenevano, altri che usavano ogni muscolo facciale per sembrare composti, per dare la forza che loro stessi non avevano.

Trascinandosi verso di loro, Kageyama, ebbe quasi l’impressione di vedere un’ombra bassa e dai capelli arruffati stendersi sull’asfalto. Vicino alla corteccia di un albero, affianco all’ombra della folta chioma, era la.

Si morse il labbro, faceva davvero troppo male e le lacrime sembrarono scendere ancora più forte di prima, se ciò fosse stato possibile.

Sugawara, con il volto corrugato e gli occhi in lacrime lasciò il labbro che stava tanto stringendo per prendere fiato. Gli poggiò il braccio attorno al collo e lo aiutò a reggersi in piedi.

Era solo, non aveva la sua metà.

Ma sapeva che c’era qualcuno per lui, sapeva che un giorno se ne sarebbe davvero accorto.

NDA:

Ei, come posso scusarmi? Okay, non ne ho la più pallida idea. Non pubblico da una vita e la prima cosa che torno a pubblicare è una super sad storia dei miei due amori infiniti. 

SONO UNA PERSONA ORRIBILE, LO SO. Pensare che alle 5 del mattino mi metto a fare queste cose vi dovrebbe far capire che vita ttriste io abbia T^T. Comunque, bando alle ciance e ciancio alle bance, spero vi sia piaciuta almeni un pò. A me ha fatto morire dentro scriverla, però sentivo di voerlo fare dopo tanto tempo. 

Ve se ama, giuro. 

Spero di vedervi ancora in quakche mia stoeia, fatemi saoere cosa ne pensate con una recensione se vi va ♥

Un bacio, alla prossima

_AnotherWorld_



   
 
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