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Autore: Testechevolano    17/09/2019    0 recensioni
Una bambina viene abbandonata misteriosamente sulla porta di un monastero con una croce che sembra portare il peso di quell'azione. Viene chiamata Suryan, come il sole che sembra portare dentro.
Sembrava che quella croce le volesse cadere addosso ma era solo un'incisione, non poteva. Ma la donna sapeva che se avesse potuto l'avrebbe già schiacciata[...]Se lo meritava.
Ella viene allevata dalle suore del convento e segue le loro orme insieme alla sua inseparabile amica Judit.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne parola nemmeno fra di loro.
Il passato di Suryan però non ha niente di più lontano dalla chiesa, anzi. Il suo passato parla di perseguitazioni, di superstizione, mistero ma soprattutto di una profezia.
Beatrix fece volare il bicchiere con un solo gesto e lo face finire in grembo al cugino, che sorridendo lo fece fluttuare alzando semplicemente lo sguardo. Il contenuto del bicchiere tremò. I due cugini si guardarono negli occhi.
Bombe. Spari. Urla.
-Benvenuto all'inferno, cugino.

Coppie principali femslash ed het.
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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XI


Carol Sonya era chiusa nella propria camera e seduta sul letto a baldacchino ammirava il tramonto. La sua veranda dava su una parte non recintata dei grandi giardini e amava tremendamente questa cosa. Sapere che ci fosse qualcosa di non recintato vicino a lei la faceva sentire serena, quasi compiaciuta.
Delle volte, però, quella stessa sensazione si tramutava in dolore. Un dolore puro e accecante, così profondo e devastante che tutto intorno a lei sembrava essere il buio più assoluto.
Nonostante il castello fosse della stirpe del Sole, nonostante i colori, le luci, lei avvertiva l’oscurità dentro e fuori di lei.
-Ma sei ancora in vestaglia?
La Somma Kendra si avvicinò alla ragazza spingendo sul suo scettro. La stanchezza aveva segnato sul suo viso quasi una costellazione di rughe.
-Non sono molto dell’umore. Puoi prepararmi tu?
Senza aspettare risposta si sedette davanti alla specchiera; i capelli le ricadevano sulla schiena e il dorato sembrava quasi luccicare.
L’anziana donna prese la spazzola dal cassetto e iniziò a pettinarle i capelli, con dolcezza. Da quasi 16 anni a questa parte aveva dato tutta se stessa per quella ragazza: all’inizio era un obbligo, dopo divenne un bisogno.




La stanza delle cerimonie era agghindata ed elegante, la ringhiera delle scale era costernata da pietre luminose e il pavimento era rivestito di luci dorate. Le tende erano ben ricamate e rosse, come il tappeto che cadeva fluente sulla scala. Un grosso lampadario di cristalli si ergeva in mezzo alla sala e i tulipani erano disposti in ogni angolo della sala, sopra dei grossi vasi antichi.
Tutto sembrava perfetto e magnificente.
Carol sbirciava dall’alto gli invitati. Quel giorno era la prima volta che indossava un lungo e vaporoso abito rosso. La principessa si fermò davanti ad un lungo specchio e osservò i ricami elaborati del vestito, il trucco sul suo volto e i lunghi orecchini di cristallo che le sfioravano le guance.
Non era in ansia per il ricevimento, si sentiva solo stremata: sapeva già che varcata quella soglia tutti l’avrebbero squadrata. Doveva risultare perfetta come quello che la circondava.
Sapeva di avere molte qualità ma riconosceva dentro di lei anche quella parte oscura che a volte sembrava prendere il sopravvento, come se delle volte le mancasse l’aria e le piacesse sentirsi soffocare.
Si girò verso la dama di compagnia e la guardò dritta negli occhi:
-Sei pronta?
L’altra sorrise:
-Sono nata pronta.
Per questo le piaceva, aveva la sicurezza che a lei mancava.
Carol scese le sontuose scale. Il silenzio era sceso nella stanza; tutti gli ospiti, con buon gusto agghindati a festa, la osservavano in rigoroso silenzio. Si udiva solo il tintinnio dei gioielli indossati dalla ragazza.
La principessa si fermo sull’ultimo scalino, cercò per un attimo la madre con lo sguardo e, quando si rese conto che era assente, si vestì di un elegante e sicuro sorriso:
- Per me, Principessa Carol Sonya discendente diretta di Fiore e tesoriera dei grandi poteri... come Hidden vi dò il mio più caloroso saluto. Spero possiate apprezzare la magnificenza di questo evento.
Un fragoroso applauso riempì la sala, i più illustri e potenti guardavano con incontrollata devozione Hidden; le donne ben vestite e curate muovevano le loro mani in modo ritmico e perfetto; i ragazzi della sua età la guardavano come se fosse la creatura più bella, maestosa e potente della terra. E, forse, era proprio così.
Mentre Carol si faceva spazio tra la gente più influente, la sua mente sembrava quasi vorticare: tutto le apparve confuso e lontano.
La sua entrata in società sembrava segnare la nascita di una nuova epoca e di un nuovo regno, un nuovo e prezioso tempo da assaporare.
-Ha già dei piani per le organizzazioni criminali che ci fanno perdere uomini e soldi?
L’uomo sulla quarantina la guardava con un fare arrogante: voleva carpire tutte le informazioni necessarie per sapere se fosse adatta per i suoi piani.
Carol conosceva bene quel nobile, era una delle persone più potenti della famiglia reale, esclusa sua madre. Era stato comandante e lo spirito da capo investito dal potere sembrava non averlo mai lasciato.
Nonostante la sua età era un bell’uomo, alto, in forma e profondamente affascinante, non tanto forse per una spiccata bellezza quanto per il suo charme.
-Io e i miei consiglieri stiamo proponendo qualche soluzione ad un tale problema, tralasciato per troppi anni. Si ricordi, conte Maximo Ferres, che davanti a lei non c’è una semplice ragazzina.
Carol lo guardò dritto negli occhi. Come diceva sempre sua madre, l’arma per prendere il sopravvento su qualcuno che cerca le tue debolezze è sottolinearne le stesse.
Gli occhi azzurri della ragazza incontrarono quelli nocciola del conte, che abbassò, fingendo di doversi togliere un ricciolo corvino da davanti gli occhi.
- Non potrei mai dimenticarlo. Davanti a me vedo Hidden, una donna stupenda.
La principessa sentì le proprie gote arrossarsi e con un ingenuo sorriso si congedò.




Scalino dopo scalino, la tensione e l'eccitazione aumentavano insieme, dando a Judit sempre più l'impressione di essere fuori posto, ma di esserne contenta.
Si sentiva una di quelle principesse di cui la madre leggeva le vicende quando lei era piccola, con le mani guantate strette attorno ai meravigliosi abiti e il passo delicato e titubante. Certo, se non fosse inciampata quattro volte la sua visione sarebbe stata più credibile, ma i piedi ancora chiedevano riposo e il corpo un'altra doccia, fredda o calda poco le importava; avrebbe preferito un bagno, ma nei suoi appartamenti era chiedere troppo, doveva rimanere al suo posto con i piedi doloranti per terra.
Sceso l'ultimo scalino, si ritrovò in un ampio corridoio poco illuminato, la fioca luce delle Globisplendente gettava ombre ovunque, rendendo l'atmosfera quasi romantica. Se non fosse stata così stanca, sarebbe rimasta a godersi la piacevole aria che entrava dalle porte aperte, ma decise di incamminarsi verso la sala, poiché correva il rischio di addormentarsi.
La luce che della porta d'ingresso illuminava il muro opposto lasciava all'immaginazione le decorazioni della sala.
Quando entrò, dovette sbattere le palpebre più volte per abituarsi alla luce che inondava il luogo della festa.

La sala, gremita di persone, la abbracciava nella sua interezza, tra colori d'oro e d'argento, cristalli fluttuanti e arazzi le cui immagini prendevano vita.
Eppure, niente di tutto ciò le importava. Ciò che vedeva, che bramava, era lui. Il principe dei suoi sogni, il prigioniero che aveva rubato il suo cuore, che in quel momento le batteva forte.
Era così bello, nel suo abito elegante, che non poté fare a meno di fissarlo. Quando Hector se ne accorse, iniziò a dirigersi verso di lei. L'incantesimo che legava i loro sguardi accompagnò i suoi passi fin quando non arrivò a di fronte a lei.
-Buonasera, principessa.




-DOVE CAZZO È HECTOR QUANDO SERVE?!- sbottó Olivia, in preda ad una crisi isterica.
Kirk la guardò spaventato dalle azioni che avrebbe potuto compiere se non l'avessero calmata. -'Livia, Hector ha un altro ruolo in questa faccenda..-
-Non me ne frega un cazzo!
Daraen stava perdendo la pazienza. Erano travestiti da guardie del palazzo, eppure Olivia non voleva smettere di attirare l'attenzione su di loro.
-Siamo qui per liberare una ragazza, non per farci arrestare. Vi chiedo di collaborare-.
La giovane donna sbuffò, testarda nel suo malumore: - Siamo sicuri che questa ragazza sia Hidden?-
Kirk ci pensò su: - Secondo me Hector è solo uscito di senno-.
-Allora mi spiegate cosa stiamo a fare qui? Oh..-
-Olivia, basta così, dobbiamo...- quando si voltò, constatò che lei non c'era più e Kirk, con una faccia da ebete, stava facendo spallucce.
-Porca puttana-.




Suor Caroline era intenta a pulire la sala ricreativa quando sentì bussare all’ingresso. Aprì il massiccio portone in legno e sorrise all’uomo davanti a sé.
-Salve, desidera..?
L’uomo porse la mano verso la donna. La stretta era vigorosa e sicura. Le vene erano evidenti per tutto l’avambraccio.
-Piacere, sono Hugo. Con chi ho il piacere di parlare?
La donna arrossì per la gentilezza e premura del ragazzo davanti a lei. I capelli erano nascosti dal velo e un crocifisso sporgeva dalla scollatura della veste.
-Suor Caroline. Si accomodi nella stanza della ricreazione, ha la faccia di una persona che deve chiedere molte cose!
Hugo sorrise malizioso e seguì la donna fin dentro la sala appena lucidata, chiudendosi poi la porta alle spalle.





Suryan aveva appena finito di preparare un piccolo borsone, quando Beatrix varcò la sua, ormai, camera.
Con le dita attorcigliava i capelli mossi, segno di indecisione e agitazione.
-Tutto bene? Se sei arrabbiata per ieri mi dispiace, mi hai presa alla sprovvista…
Beatrix si sedette sul letto accanto al borsone nero, sembrava colmo di roba, nonostante all’arrivo dell’amica, quest’ultima non possedeva nulla.
-No, non voglio parlare di ieri. Volevo solo dirti che nonostante il tuo carattere, questi tuoi modi abbastanza discutibili…
Suryan inarcò un sopracciglio, pronta a rispondere a tono.
-Scusami, è l’abitudine. Non sono brava in questi tipi di cose, gli addii mi mettono abbastanza angoscia addosso. Ti volevo semplicemente dire che qui, come hanno detto gli Anziani, sarai sempre la benvenuta.
- Tutto qui?
Suryan sapeva che dietro tutta quella incertezza si celava ben altro che formule quasi di cortesia. Si avvicinò a Bea e appoggiò istintivamente la sua testa sulla sua spalla, come la notte prima, sul tetto, mentre le stelle dall’alto illuminavano quegli istanti.
- Mi mancherai.
Fu sempre Suryan a parlare, dandosi finalmente il permesso di lasciarsi andare e comunicare apertamente i suoi sentimenti. In quel momento si sentiva dentro una bolla appena scoppiata, tutto quello che vi era stato all’interno sentiva la necessità di uscire, mostrarsi e farsi capire.
Beatrix sospirò e cinse le spalle della ragazza con un braccio. Quel gesto valeva più di mille parole.
Tra di loro funzionava così: le parole le allontanavano, i gesti le rendevano estremamente vicine e vulnerabili.

Claudius fu incaricato di portare Suryan al monastero e di parlare con la suora che l’aveva trovata.
La ragazza guardò il gruppo di amici riunito attorno all’auto e le scappò una lacrima: li voleva realmente lasciare?
Jalice, Annabelle ed Helga si avvicinarono all’unisono, stringendola in un caloroso abbraccio. Annabelle le regalò un bracciale dorato con il ciondolo a forma di occhio, Jalice le porse un portapranzo stracolmo di cibo da un ottimo odore, ed Helga, che sembrava si fosse quasi dimenticata dei comportamenti ambigui che le aveva riservato negli ultimi giorni, le porse un libro dal titolo “Conoscere le piante che ci circondano”.
-Non si sa mai un giorno dovessi trovarti sola in montagna e…
Suryan non le fece finire la frase che le stampò un bacio sulla guancia.
Con gli occhi cercò Beatrix, Jasper e Theron. Nessuno di loro era presente.
Jalice capì dalla sua espressione i suoi pensieri e, districando i riccioli rossi con le dita, le mise l’altra mano sulla spalla:
-Bea odia questi momenti, i due uomini non so dove siano finiti ma sono sicura che ti mandano un caloroso saluto!
Un sorriso genuino le coprì il volto, infondendo la solita tranquillità che era in grado di trasmettere.
-Ora è il momento di andare, Sur?
Cludius aprì la portiera dell’auto e mise in moto. Suryan guardò per l’ultima volta i suoi amici ed entrò dalla portiera posteriore.
Appoggiò la testa sul vetro, i capelli le cadevano delicatamente sotto il seno, e per un attimo alzò lo sguardo verso il tetto. Beatrix era lì.

Il viaggio le sembrò durasse un’eternità, tutte le stradine percorse erano completamente nuove per lei, che non si era mai avventurata fuori dal monastero prima di quel momento. Claudius era piuttosto silenzioso e a lei non andava di parlare, si sentiva particolarmente giù di corda. Sapere che Beatrix non fosse scesa per salutarla la rammaricava, nonostante si fosse presentata nella sua stanza poche ore prima.
Non capiva perché stesse pensando particolarmente a lei, in realtà non riusciva a rendersi conto di quando si era così effettivamente legata a lei.
Sentiva un sincero affetto e ammirazione nei suoi riguardi, nonostante le differenze, i modi di fare, il suo orientamento sessuale che alle sue orecchie l’aveva lasciata così perplessa. Dentro di lei aveva già percepito questo suo aspetto ma non ci aveva mai realmente riflettuto. Era un problema? Era qualcosa da condannare?
Se glielo avessero chiesto sei mesi prima avrebbe risposto meccanicamente un sì. Ora però non ne era poi così convinta. Tutte le costruzioni che erano state erette attorno a lei, fin da piccola, sembrano solo, appunto, costruzioni. Ora sentiva la necessità di concretezza e apertura, non solo per tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, non per Judit o per la magia, ma per se stessa. Sentiva di essersi alzata una mattina e, guardandosi allo specchio, non essersi riconosciuta.





Le note musicali riempirono la sala da ballo. Judit diede uno sguardo a Carol scoprendola intenta a dialogare con un uomo. Tirò un sospiro di sollievo e si rivolse nuovamente al suo interlocutore, che sapeva essere Hector, ma decise di non rivelare la sua identità: voleva giocare con lui, essere per lui una dama di alta società per una notte.
-Visto che siete timida, vi andrebbe di comunicare con me nel linguaggio della danza?
Come un vero cavaliere, Hector le offrì una mano guantata che Judit accettò senza fiatare.
Rimembrò quando, da bambina, ballava con la madre a suon di musica. Poteva avvertire sulla sua pelle i tiepidi raggi del sole che illuminavano la loro piccola stanza, che ora venivano sostituiti da meravigliose luci artificiali che aumentavano o dimuivano la loro luminosità a ritmo di danza.
Incantata dagli occhi di Hector, li osservava illuminarsi ogni volta che la luce aumentava. Di un azzurro così intenso, come immaginava le fiamme del Purgatorio.
Fu un istante, lo scandire dei rintocchi di mezzanotte accompagnò Hector, che si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle: -Non dimenticarti di me, principessa-.
Judit rimase paralizzata da quella richiesta, da quella voce, da quella situazione che aveva già vissuto in sogno.
Hector era entrato nei suoi sogni ancor prima di entrare nella sua vita.
Fu con quei pensieri che rimase a fissare, al centro della sala, il punto in cui lui s'è n'era andato. Quando realizzò di essersi separata da lui senza avergli rivelato la sua identità, iniziò a correre rischiando di inciampare, cosa che avvenne al portone d'ingresso.
"Stupida, STUPIDA!"






-Carol Sonya è al ricevimento, mentre la madre sembra essere assente. Cazzo, per poco non mi ha scoperto! Credevo fosse all'ingresso a salutare gli ospiti. Un momento, dov'è Olivia?
Daraen e Kirk si scambiarono uno sguardo preoccupato ed esasperato insieme. Si trovavano all'ingresso delle prigioni, Daraen teneva le chiavi in mano, dopo averle ottenute da una guardia che Kirk aveva talmente esasperato da indurla a scappare.
-Ehm, ci raggiungerà. Perché non andiamo a cercare la ragazza?- disse Kirk, tentando di sviare il discorso.
Hector non sembrò tanto contento di come stessero andando le cose. Il suo piano iniziale prevedeva di rubare alcuni artefatti in sala mentre gli altri tre avrebbero dovuto liberare Judit. Invece Carol era in sala, Olivia si era persa e Kirk aveva molestato una guardia.
Di quel passo, al tempio, forse, sarebbero arrivate le loro ossa.
-Forza, andiamo-.
L'ultima cosa che Hector si sarebbe aspettato era una cella vuota.





La cena era servita. Judit osservava in silenzio gli ospiti che armeggiavano con le posate e chiacchieravano animatamente.
Carol era a capotavola, tra lei vi erano Judit e un posto vuoto. Tutti gli invitati non potevano fare a meno di osservare il vuoto che aleggiava attorno alla sontuosa sedia che sarebbe dovuta essere occupata dalla madre di Carol. Judit era grata della sua assenza, Carol invece sembrava impassibile.
-Come ti sembra la vita a corte?- domandò la bionda all'improvviso, facendola ridestare.
-Niente male- mentì, ancora seccata dal fatto che avesse perso di vista Hector. In realtà era tutto splendido, una perfetta gabbia dorata che ti proteggeva dalle ingiustizie del mondo esterno. Eppure, Judit non era sicura che di ingiustizie non ve ne fossero anche all'interno della gabbia.
-Vivi ancora un po' in questa realtà e vedrai come cambierai idea- sbuffò Carol.
Judit avrebbe preferito ritrovare Suryan ed Hector piuttosto che farsi prendere in giro a vita da quella strega, ma non poteva certo lamentarsi degli abiti e dei gioielli.
-La nostra Hidden è stupenda!
A quelle parole, Judit trasalì. Per un attimo pensava si stessero riferendo a lei, ma poi, quando scorse gli occhi di chi aveva parlato guardare Carol, tirò un sospiro di sollievo.
-Cos'è un'Hidden?- le domandò sottovoce.
Carol fece una smorfia prima di parlare: -Vivi davvero fuori dal mondo. Hidden è la ragazza della profezia, colei che racchiude i poteri delle due stirpi, discendente di Fiore la fondatrice, colei che unirà e porterà a prosperare il mondo delle streghe!
L'inquietudine dovuta al ricordo del suo sogno non volle lasciarla in pace. Qualcuno l'aveva chiamata proprio in quel modo, possibile fosse una coincidenza?
-Che hai adesso?
La guardò abbozzando un mezzo sorriso. -Nulla, mi sento solo fuori posto.
Carol distolse lo sguardo. -E lo sei, fidati.






Helga era intenta a disegnare un bocciolo di rosa, quando Jalice aprì la porta della sua stanza con un sorriso a trentadue denti.
-Non pensavo fossi così felice della partenza della suora.
-Ti sbagli, non avere Suryan con me mi rattrista, ma mi ha reso molto felice il tuo gesto! Se solo ci fosse stato Jasper..
Helga stropicciò il foglio. Non capiva perché Jalice fosse così interessata al suo rapporto con Jasper. Anzi, non capiva perché tutti fossero interessati. D'altro canto, c'era la questione Jonny che prendeva gran parte del suo tempo trascorso a rimuginare su quale fosse la scelta migliore per lei e per gli altri. Soprattutto per gli altri.
-A proposito, dove sono finiti quei due? Credevo che Jasper tenesse a Suryan.
Jalice la guardò ammiccando. -Certo e la cosa ti intriga.
La guardò male e i capelli si tinsero di nero. -Vuoi smetterla?
Jalice ridacchiò. -Comunque Suryan è troppo simpatica, l'avrei voluta qui con noi al pub.
Helga ci pensò su. Ogni volta che pensava a Suryan, le veniva meccanicamente in mente il suo rapporto con Jasper. Eppure, accantonando Jasper, era una brava ragazza.
-Chissà se la rivedremo.
Jalice sorrise. -La rivedremo, me lo sento.

Beatrix salì sul tetto, preferiva non scendere a salutare Suryan, non davanti a tutti. Odiava queste situazioni e allo stesso tempo quella volta non provava semplice fastidio ma anche tristezza. Vederla salire in macchina, sentire il rumore dell’auto sempre più lontana…
-Com’è possibile che le voglia già così bene?
La domanda sembrò quasi fluttuare nell’aria, come i globisplendenti di quel villaggio vicino al bosco.
La strega scese dal tetto e tornò in camera, senza neanche cenare.





-Non so voi, ma io questo lo chiamo un fiasco totale, in più Olivia è dispersa!
Mentre Kirk parlava, Hector sembrava pensieroso. Gli era parso stupito vedendo la cella vuota, ma forse era solo sollevato. O spaventato.
Daraen si chiedeva che cosa rappresentasse quella ragazza per lui. Era davvero solo la ragazza della profezia?
Mentre ci rimuginava, Hector si alzò di scatto e si avviò verso la sua camera, senza dire una parola.
-Ecco, ora è arrabbiato con noi!- tuonò Kirk.
Daraen lo guardò attentamente. Era il solito impacciato, dai grandi occhi marroni e i capelli disordinati, che tanto lo avevano colpito quando lo aveva salvato.
Ricordò le urla, gli incantesimi, la disperazione. E poi c'era stato Kirk, un raggio di sole in una tempesta.
-Non essere così serio, mi preoccupi.
Daraen sorrise. -Allora dovrai preoccuparti per me sempre.
Sbattè le palpebre e si diresse dietro il bancone. Versò un po' di aceto di mele nel boccale e lo tirò giù tutto in un sorso.
-So che per voi streghe è una bevanda alcolica. Vuoi ubriacarti adesso?
-Perché, non è un buon momento? Ho bisogno di riprendermi. Ne vuoi un po'?
-No, grazie. A noialtri fa male bere aceto.
Kirk fece spallucce e se ne versò dell'altro. Divenne rosso come un pomodoro in men che non si dica.
-Sai, sei carino- iniziò a farfugliare.
Daraen si portò due dita alla fronte, come per reggerla. -Sai, non dovresti dire queste cose ad un maschio.
-Ma sei carino- insistette.
Quella situazione iniziava a metterlo un po' a disagio. Fu quando Kirk si avvicinò al suo viso che arrossì, in preda ad un'emozione che non riusciva a giustificare.
-E non mi rimangio quel che ho detto- soffiò, vicino a lui.
I battiti del cuore di Daraen stavano diventando irregolari, quando la porta si spalancò rivelando la figura di Olivia con una sciabola dorata in mano.
-Oh, ho interrotto qualcosa?
Daraen riprese a respirare.





Il motore si spense e finalmente scese dalla macchina, che nonostante tutto aveva macinato chilometri senza farli sentire minimamente.
-Entriamo dall’ingresso principale.
Suryan fece strada verso la sua casa e per un attimo tutto attorno a lei sembrò sconosciuto. Ricordava ogni angolo di quel posto ma allo stesso tempo provava distacco.
Battè i pugni sul massiccio portone, sotto lo sguardo quasi severo dell’angelo, e subito si ritrovò davanti gente estranea agghindata in modo strambo: delle tute fluorescenti ricoprivano i loro corpi ed uno stemma a croce era posto in alto a sinistra delle loro giacche.
-Non potete entrare, nessuno può varcare questo edificio per adesso. Vi suggeriamo di passare nei prossimi giorni.
-Perchè? Che succede?
Claudius leggermente allarmato e stizzito si avvicinò all’uomo che aveva appena parlato.
-C’è stato un omicidio.

   
 
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