XI
Delle
volte, però, quella stessa sensazione si tramutava in
dolore. Un dolore puro e accecante, così profondo e
devastante che tutto intorno a lei sembrava essere il buio
più assoluto.
Nonostante
il castello fosse della stirpe del Sole, nonostante i colori, le luci,
lei avvertiva l’oscurità dentro
e fuori di lei.
-Ma sei
ancora in vestaglia?
La Somma
Kendra si avvicinò alla ragazza spingendo sul suo scettro.
La stanchezza aveva segnato sul suo viso quasi una costellazione di
rughe.
-Non
sono molto dell’umore. Puoi prepararmi tu?
Senza
aspettare risposta si sedette davanti alla specchiera; i capelli le
ricadevano sulla schiena e il dorato sembrava quasi luccicare.
L’anziana
donna prese la spazzola dal cassetto e iniziò a pettinarle i
capelli, con dolcezza. Da quasi 16 anni a questa parte aveva dato tutta
se stessa per quella ragazza: all’inizio era un obbligo, dopo
divenne un bisogno.
La
stanza delle cerimonie era agghindata ed elegante, la ringhiera delle
scale era costernata da pietre luminose e il pavimento era rivestito di
luci dorate. Le tende erano ben ricamate e rosse, come il tappeto che
cadeva fluente sulla scala. Un grosso lampadario di cristalli si ergeva
in mezzo alla sala e i tulipani erano disposti in ogni angolo della
sala, sopra dei grossi vasi antichi.
Tutto
sembrava perfetto e magnificente.
Carol
sbirciava dall’alto gli invitati. Quel giorno era la prima
volta che indossava un lungo e vaporoso abito rosso. La
principessa si fermò davanti ad un lungo specchio e
osservò i ricami elaborati del vestito, il trucco sul suo
volto e i lunghi orecchini di cristallo che le sfioravano le guance.
Non era
in ansia per il ricevimento, si sentiva solo stremata: sapeva
già che varcata quella soglia tutti l’avrebbero
squadrata. Doveva risultare perfetta come
quello che la circondava.
Sapeva
di avere molte qualità ma riconosceva dentro di lei anche
quella parte oscura che a volte sembrava prendere il sopravvento, come
se delle volte le mancasse l’aria e le piacesse sentirsi
soffocare.
Si
girò verso la dama di compagnia e la guardò
dritta negli occhi:
-Sei
pronta?
L’altra
sorrise:
-Sono
nata pronta.
Per
questo le piaceva, aveva la sicurezza che a lei mancava.
Carol
scese le sontuose scale. Il silenzio era sceso nella stanza; tutti gli
ospiti, con buon gusto agghindati a festa, la osservavano in rigoroso
silenzio. Si udiva solo il tintinnio dei gioielli indossati dalla
ragazza.
La
principessa si fermo sull’ultimo scalino, cercò
per un attimo la madre con lo sguardo e, quando si rese conto che era
assente, si vestì di un elegante e sicuro sorriso:
- Per
me, Principessa Carol Sonya discendente diretta di Fiore e
tesoriera dei grandi poteri... come Hidden vi
dò il mio più caloroso saluto. Spero possiate
apprezzare la magnificenza di questo evento.
Un
fragoroso applauso riempì la sala, i più illustri
e potenti guardavano con incontrollata devozione Hidden; le donne ben
vestite e curate muovevano le loro mani in modo ritmico e perfetto; i
ragazzi della sua età la guardavano come se fosse la
creatura più bella, maestosa e potente della terra. E,
forse, era proprio così.
Mentre
Carol si faceva spazio tra la gente più influente, la sua
mente sembrava quasi vorticare: tutto le apparve confuso e lontano.
La sua
entrata in società sembrava segnare la nascita di una nuova
epoca e di un nuovo regno, un nuovo e prezioso tempo da assaporare.
-Ha
già dei piani per le organizzazioni criminali che ci fanno
perdere uomini e soldi?
L’uomo
sulla quarantina la guardava con un fare arrogante: voleva carpire
tutte le informazioni necessarie per sapere se fosse adatta per i suoi
piani.
Carol
conosceva bene quel nobile, era una delle persone più
potenti della famiglia reale, esclusa sua madre. Era stato comandante e
lo spirito da capo investito dal potere sembrava non averlo mai
lasciato.
Nonostante
la sua età era un bell’uomo, alto, in forma e
profondamente affascinante, non tanto forse per una spiccata bellezza
quanto per il suo charme.
-Io e i
miei consiglieri stiamo proponendo qualche soluzione ad un tale
problema, tralasciato per troppi anni. Si ricordi, conte Maximo Ferres,
che davanti a lei non c’è una semplice ragazzina.
Carol lo
guardò dritto negli occhi. Come diceva sempre sua madre,
l’arma per prendere il sopravvento su qualcuno che cerca le
tue debolezze è sottolinearne le stesse.
Gli
occhi azzurri della ragazza incontrarono quelli nocciola del conte, che
abbassò, fingendo di doversi togliere un ricciolo corvino da
davanti gli occhi.
- Non
potrei mai dimenticarlo. Davanti a me vedo Hidden, una donna stupenda.
La
principessa sentì le proprie gote arrossarsi e con un
ingenuo sorriso si congedò.
Scalino
dopo scalino, la tensione e l'eccitazione aumentavano insieme, dando a
Judit sempre più l'impressione di essere fuori posto, ma di
esserne contenta.
Si
sentiva una di quelle principesse di cui la madre leggeva le vicende
quando lei era piccola, con le mani guantate strette attorno ai
meravigliosi abiti e il passo delicato e titubante. Certo, se non fosse
inciampata quattro volte la sua visione sarebbe stata più
credibile, ma i piedi ancora chiedevano riposo e il corpo un'altra
doccia, fredda o calda poco le importava; avrebbe preferito un bagno,
ma nei suoi appartamenti era chiedere troppo, doveva rimanere al suo
posto con i piedi doloranti per terra.
Sceso
l'ultimo scalino, si ritrovò in un ampio corridoio poco
illuminato, la fioca luce delle
Globisplendente gettava ombre
ovunque, rendendo l'atmosfera quasi romantica. Se non fosse stata
così stanca, sarebbe rimasta a godersi la piacevole aria che
entrava dalle porte aperte, ma decise di incamminarsi verso la sala,
poiché correva il rischio di addormentarsi.
La luce
che della porta d'ingresso illuminava il muro opposto lasciava
all'immaginazione le decorazioni della sala.
Quando
entrò, dovette sbattere le palpebre più volte per
abituarsi alla luce che inondava il luogo della festa.
La sala,
gremita di persone, la abbracciava nella sua interezza, tra colori
d'oro e d'argento, cristalli fluttuanti e arazzi le cui immagini
prendevano vita.
Eppure,
niente di tutto ciò le importava. Ciò che vedeva,
che bramava, era lui. Il principe
dei suoi sogni, il prigioniero che aveva rubato il suo cuore, che in
quel momento le batteva forte.
Era
così bello, nel suo abito elegante, che non poté
fare a meno di fissarlo. Quando Hector se ne accorse, iniziò
a dirigersi verso di lei. L'incantesimo che legava i loro sguardi
accompagnò i suoi passi fin quando non arrivò a
di fronte a lei.
-Buonasera,
principessa.
-DOVE
CAZZO È HECTOR QUANDO SERVE?!- sbottó Olivia, in
preda ad una crisi isterica.
Kirk la
guardò spaventato dalle azioni che avrebbe potuto compiere
se non l'avessero calmata. -'Livia, Hector ha un altro ruolo in questa
faccenda..-
-Non me
ne frega un cazzo!
Daraen
stava perdendo la pazienza. Erano travestiti da guardie del palazzo,
eppure Olivia non voleva smettere di attirare l'attenzione su di loro.
-Siamo
qui per liberare una ragazza, non per farci arrestare. Vi chiedo di
collaborare-.
La
giovane donna sbuffò, testarda nel suo malumore: - Siamo
sicuri che questa ragazza sia Hidden?-
Kirk ci
pensò su: - Secondo me Hector è solo uscito di
senno-.
-Allora
mi spiegate cosa stiamo a fare qui? Oh..-
-Olivia,
basta così, dobbiamo...- quando si voltò,
constatò che lei non c'era più e Kirk, con una
faccia da ebete, stava facendo spallucce.
-Porca
puttana-.
Suor Caroline
era intenta a pulire la sala ricreativa quando sentì bussare
all’ingresso. Aprì il massiccio portone in legno e
sorrise all’uomo davanti a sé.
-Salve,
desidera..?
L’uomo
porse la mano verso la donna. La stretta era vigorosa e sicura. Le vene
erano evidenti per tutto l’avambraccio.
-Piacere,
sono Hugo. Con chi ho il piacere di parlare?
La donna
arrossì per la gentilezza e premura del ragazzo davanti a
lei. I capelli erano nascosti dal velo e un crocifisso sporgeva dalla
scollatura della veste.
-Suor
Caroline. Si accomodi nella stanza della ricreazione, ha la faccia di
una persona che deve chiedere molte cose!
Hugo
sorrise malizioso e seguì la donna fin dentro la sala appena
lucidata, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Suryan
aveva appena finito di preparare un piccolo borsone, quando Beatrix
varcò la sua, ormai, camera.
Con le
dita attorcigliava i capelli mossi, segno di indecisione e agitazione.
-Tutto
bene? Se sei arrabbiata per ieri mi dispiace, mi hai presa alla
sprovvista…
Beatrix
si sedette sul letto accanto al borsone nero, sembrava colmo di roba,
nonostante all’arrivo dell’amica,
quest’ultima non possedeva nulla.
-No, non
voglio parlare di ieri. Volevo solo dirti che nonostante il tuo
carattere, questi tuoi modi abbastanza discutibili…
Suryan
inarcò un sopracciglio, pronta a rispondere a tono.
-Scusami,
è l’abitudine. Non sono brava in questi tipi di
cose, gli addii mi mettono abbastanza angoscia addosso. Ti volevo
semplicemente dire che qui, come hanno detto gli Anziani, sarai sempre
la benvenuta.
- Tutto
qui?
Suryan
sapeva che dietro tutta quella incertezza si celava ben altro che
formule quasi di cortesia. Si avvicinò a Bea e
appoggiò istintivamente la sua testa sulla sua spalla, come
la notte prima, sul tetto, mentre le stelle dall’alto
illuminavano quegli istanti.
- Mi
mancherai.
Fu
sempre Suryan a parlare, dandosi finalmente il permesso di lasciarsi
andare e comunicare apertamente i suoi sentimenti. In quel momento si
sentiva dentro una bolla appena
scoppiata, tutto quello che vi era stato all’interno sentiva
la necessità di uscire, mostrarsi e farsi capire.
Beatrix
sospirò e cinse le spalle della ragazza con un braccio. Quel
gesto valeva più di mille parole.
Tra di
loro funzionava così: le parole le
allontanavano, i gesti le
rendevano estremamente vicine e vulnerabili.
Claudius
fu incaricato di portare Suryan al monastero e di parlare con la suora
che l’aveva trovata.
La
ragazza guardò il gruppo di amici riunito attorno
all’auto e le scappò una lacrima: li
voleva realmente lasciare?
Jalice,
Annabelle ed Helga si avvicinarono all’unisono, stringendola
in un caloroso abbraccio. Annabelle le regalò un bracciale
dorato con il ciondolo a forma di occhio, Jalice le porse un
portapranzo stracolmo di cibo da un ottimo odore, ed Helga, che
sembrava si fosse quasi dimenticata dei comportamenti ambigui che le
aveva riservato negli ultimi giorni, le porse un libro dal titolo “Conoscere
le piante che ci circondano”.
-Non si
sa mai un giorno dovessi trovarti sola in montagna e…
Suryan
non le fece finire la frase che le stampò un bacio sulla
guancia.
Con gli
occhi cercò Beatrix, Jasper e Theron. Nessuno di loro era
presente.
Jalice
capì dalla sua espressione i suoi pensieri e, districando i
riccioli rossi con le dita, le mise l’altra mano sulla spalla:
-Bea
odia questi momenti, i due uomini non so dove siano finiti ma sono
sicura che ti mandano un caloroso saluto!
Un
sorriso genuino le coprì il volto, infondendo la solita
tranquillità che era in grado di trasmettere.
-Ora
è il momento di andare, Sur?
Cludius
aprì la portiera dell’auto e mise in moto. Suryan
guardò per l’ultima volta i suoi amici ed
entrò dalla portiera posteriore.
Appoggiò
la testa sul vetro, i capelli le cadevano delicatamente sotto il seno,
e per un attimo alzò lo sguardo verso il tetto. Beatrix era
lì.
Il
viaggio le sembrò durasse un’eternità,
tutte le stradine percorse erano completamente nuove per lei, che non
si era mai avventurata fuori dal monastero prima di quel momento.
Claudius era piuttosto silenzioso e a lei non andava di parlare, si
sentiva particolarmente giù di corda. Sapere che Beatrix non
fosse scesa per salutarla la rammaricava, nonostante si fosse
presentata nella sua stanza poche ore prima.
Non
capiva perché stesse pensando particolarmente a lei, in
realtà non riusciva a rendersi conto di quando si era
così effettivamente legata a lei.
Sentiva
un sincero affetto e ammirazione nei suoi riguardi, nonostante le
differenze, i modi di fare, il suo orientamento sessuale che alle sue
orecchie l’aveva lasciata così perplessa. Dentro
di lei aveva già percepito questo suo aspetto ma non ci
aveva mai realmente riflettuto. Era
un problema? Era qualcosa da condannare?
Se
glielo avessero chiesto sei mesi prima avrebbe risposto meccanicamente
un sì. Ora però non ne era poi così
convinta. Tutte le costruzioni che erano state erette attorno a lei,
fin da piccola, sembrano solo, appunto, costruzioni. Ora sentiva la
necessità di concretezza e apertura, non solo per tutto
quello che aveva vissuto fino a quel momento, non per Judit o per la
magia, ma per se stessa. Sentiva di essersi alzata una mattina e,
guardandosi allo specchio, non essersi riconosciuta.
Le note
musicali riempirono la sala da ballo. Judit diede uno sguardo a Carol
scoprendola intenta a dialogare con un uomo. Tirò un sospiro
di sollievo e si rivolse nuovamente al suo interlocutore, che
sapeva essere Hector, ma decise di
non rivelare la sua identità: voleva giocare con lui, essere
per lui una dama di alta società per una notte.
-Visto
che siete timida, vi andrebbe di comunicare con me nel linguaggio della
danza?
Come un
vero cavaliere, Hector le offrì una mano guantata che Judit
accettò senza fiatare.
Rimembrò
quando, da bambina, ballava con la madre a suon di musica. Poteva
avvertire sulla sua pelle i tiepidi raggi del sole che illuminavano la
loro piccola stanza, che ora venivano sostituiti da meravigliose luci
artificiali che aumentavano o dimuivano la loro luminosità a
ritmo di danza.
Incantata
dagli occhi di Hector, li osservava illuminarsi ogni volta che la luce
aumentava. Di un azzurro così intenso, come immaginava le
fiamme del Purgatorio.
Fu un
istante, lo scandire dei rintocchi di mezzanotte accompagnò
Hector, che si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle:
-Non dimenticarti di me, principessa-.
Judit
rimase paralizzata da quella richiesta, da quella voce, da quella
situazione che aveva già vissuto in sogno.
Hector
era entrato nei suoi sogni ancor prima di entrare nella sua vita.
Fu con
quei pensieri che rimase a fissare, al centro della sala, il punto in
cui lui s'è n'era andato. Quando realizzò di
essersi separata da lui senza avergli rivelato la sua
identità, iniziò a correre rischiando di
inciampare, cosa che avvenne al portone d'ingresso.
"Stupida,
STUPIDA!"
-Carol
Sonya è al ricevimento, mentre la madre sembra essere
assente. Cazzo, per poco non mi ha scoperto! Credevo fosse all'ingresso
a salutare gli ospiti. Un momento, dov'è Olivia?
Daraen e
Kirk si scambiarono uno sguardo preoccupato ed esasperato insieme. Si
trovavano all'ingresso delle prigioni, Daraen teneva le chiavi in mano,
dopo averle ottenute da una guardia che Kirk aveva talmente esasperato
da indurla a scappare.
-Ehm, ci
raggiungerà. Perché non andiamo a cercare la
ragazza?- disse Kirk, tentando di sviare il discorso.
Hector
non sembrò tanto contento di come stessero andando le cose.
Il suo piano iniziale prevedeva di rubare alcuni artefatti in sala
mentre gli altri tre avrebbero dovuto liberare Judit. Invece Carol era
in sala, Olivia si era persa e Kirk aveva molestato una guardia.
Di quel
passo, al tempio, forse, sarebbero arrivate le loro ossa.
-Forza,
andiamo-.
L'ultima
cosa che Hector si sarebbe aspettato era una cella vuota.
La cena
era servita. Judit osservava in silenzio gli ospiti che armeggiavano
con le posate e chiacchieravano animatamente.
Carol
era a capotavola, tra lei vi erano Judit e un posto vuoto. Tutti gli
invitati non potevano fare a meno di osservare il vuoto che aleggiava
attorno alla sontuosa sedia che sarebbe dovuta essere occupata dalla
madre di Carol. Judit era grata della sua assenza, Carol invece
sembrava impassibile.
-Come ti
sembra la vita a corte?- domandò la bionda all'improvviso,
facendola ridestare.
-Niente
male- mentì, ancora seccata dal fatto che avesse perso di
vista Hector. In realtà era tutto splendido, una perfetta
gabbia dorata che ti proteggeva dalle ingiustizie del mondo esterno.
Eppure, Judit non era sicura che di ingiustizie non ve ne fossero anche
all'interno della gabbia.
-Vivi
ancora un po' in questa realtà e vedrai come cambierai idea-
sbuffò Carol.
Judit
avrebbe preferito ritrovare Suryan ed Hector piuttosto che farsi
prendere in giro a vita da quella strega, ma non poteva certo
lamentarsi degli abiti e dei gioielli.
-La
nostra Hidden è stupenda!
A quelle
parole, Judit trasalì. Per un attimo pensava si stessero
riferendo a lei, ma poi, quando scorse gli occhi di chi aveva parlato
guardare Carol, tirò un sospiro di sollievo.
-Cos'è
un'Hidden?- le domandò sottovoce.
Carol
fece una smorfia prima di parlare: -Vivi davvero fuori dal mondo.
Hidden è la ragazza della profezia, colei che racchiude i
poteri delle due stirpi, discendente di Fiore la fondatrice, colei che
unirà e porterà a prosperare il mondo delle
streghe!
L'inquietudine
dovuta al ricordo del suo sogno non volle lasciarla in pace. Qualcuno
l'aveva chiamata proprio in quel modo, possibile fosse una coincidenza?
-Che hai
adesso?
La
guardò abbozzando un mezzo sorriso. -Nulla, mi sento solo
fuori posto.
Carol
distolse lo sguardo. -E lo sei, fidati.
Helga
era intenta a disegnare un bocciolo di rosa, quando Jalice
aprì la porta della sua stanza con un sorriso a trentadue
denti.
-Non
pensavo fossi così felice della partenza della suora.
-Ti
sbagli, non avere Suryan con me mi rattrista, ma mi ha reso molto
felice il tuo gesto! Se solo ci fosse stato Jasper..
Helga
stropicciò il foglio. Non capiva perché Jalice
fosse così interessata al suo rapporto con Jasper. Anzi, non
capiva perché tutti fossero interessati. D'altro canto,
c'era la questione Jonny che prendeva gran parte del suo tempo
trascorso a rimuginare su quale fosse la scelta migliore per lei e per
gli altri. Soprattutto per gli altri.
-A
proposito, dove sono finiti quei due? Credevo che Jasper tenesse a
Suryan.
Jalice
la guardò ammiccando. -Certo e la cosa ti intriga.
La
guardò male e i capelli si tinsero di nero. -Vuoi smetterla?
Jalice
ridacchiò. -Comunque Suryan è troppo simpatica,
l'avrei voluta qui con noi al pub.
Helga ci
pensò su. Ogni volta che pensava a Suryan, le veniva
meccanicamente in mente il suo rapporto con Jasper. Eppure,
accantonando Jasper, era una brava ragazza.
-Chissà
se la rivedremo.
Jalice
sorrise. -La rivedremo, me lo sento.
Beatrix
salì sul tetto, preferiva non scendere a salutare Suryan,
non davanti a tutti. Odiava queste situazioni e allo stesso tempo
quella volta non provava semplice fastidio ma anche tristezza. Vederla
salire in macchina, sentire il rumore dell’auto sempre
più lontana…
-Com’è
possibile che le voglia già così bene?
La
domanda sembrò quasi fluttuare nell’aria, come i globisplendenti di
quel villaggio vicino al bosco.
La
strega scese dal tetto e tornò in camera, senza neanche
cenare.
-Non so
voi, ma io questo lo chiamo un fiasco totale, in più Olivia
è dispersa!
Mentre
Kirk parlava, Hector sembrava pensieroso. Gli era parso stupito vedendo
la cella vuota, ma forse era solo sollevato. O spaventato.
Daraen
si chiedeva che cosa rappresentasse quella ragazza per lui. Era davvero
solo la ragazza della profezia?
Mentre
ci rimuginava, Hector si alzò di scatto e si
avviò verso la sua camera, senza dire una parola.
-Ecco,
ora è arrabbiato con noi!- tuonò Kirk.
Daraen
lo guardò attentamente. Era il solito impacciato, dai grandi
occhi marroni e i capelli disordinati, che tanto lo avevano colpito
quando lo aveva salvato.
Ricordò
le urla, gli incantesimi, la disperazione. E poi c'era stato Kirk, un
raggio di sole in una tempesta.
-Non
essere così serio, mi preoccupi.
Daraen
sorrise. -Allora dovrai preoccuparti per me sempre.
Sbattè
le palpebre e si diresse dietro il bancone. Versò un po' di
aceto di mele nel boccale e lo tirò giù tutto in
un sorso.
-So che
per voi streghe è una bevanda alcolica. Vuoi ubriacarti
adesso?
-Perché,
non è un buon momento? Ho bisogno di riprendermi. Ne vuoi un
po'?
-No,
grazie. A noialtri fa male bere aceto.
Kirk
fece spallucce e se ne versò dell'altro. Divenne rosso come
un pomodoro in men che non si dica.
-Sai,
sei carino- iniziò a farfugliare.
Daraen
si portò due dita alla fronte, come per reggerla. -Sai, non
dovresti dire queste cose ad un maschio.
-Ma sei
carino- insistette.
Quella
situazione iniziava a metterlo un po' a disagio. Fu quando Kirk si
avvicinò al suo viso che arrossì, in preda ad
un'emozione che non riusciva a giustificare.
-E non
mi rimangio quel che ho detto- soffiò, vicino a lui.
I
battiti del cuore di Daraen stavano diventando irregolari, quando la
porta si spalancò rivelando la figura di Olivia con una
sciabola dorata in mano.
-Oh, ho
interrotto qualcosa?
Daraen
riprese a respirare.
Il
motore si spense e finalmente scese dalla macchina, che nonostante
tutto aveva macinato chilometri senza farli sentire minimamente.
-Entriamo
dall’ingresso principale.
Suryan
fece strada verso la sua casa e per un attimo tutto attorno a lei
sembrò sconosciuto. Ricordava ogni angolo di quel posto ma
allo stesso tempo provava distacco.
Battè
i pugni sul massiccio portone, sotto lo sguardo quasi severo
dell’angelo, e subito si ritrovò davanti gente
estranea agghindata in modo strambo: delle tute fluorescenti
ricoprivano i loro corpi ed uno stemma a croce era posto in alto a
sinistra delle loro giacche.
-Non
potete entrare, nessuno può varcare questo edificio per
adesso. Vi suggeriamo di passare nei prossimi giorni.
-Perchè?
Che succede?
Claudius
leggermente allarmato e stizzito si avvicinò
all’uomo che aveva appena parlato.
-C’è
stato un omicidio.