Quando
arrivò a Trenwith, Ross cercò di guadagnare un po'
del tempo perduto a discutere con Dwight in ospedale affrettando il
passo fino
al portone principale della grande tenuta di famiglia. Oltre l’isolotto verde che
troneggiava nell’ombra
notturna del giardino, lo stava aspettando una Verity piuttosto
infreddolita e
avvolta in camicia da notte e vestaglia di lana color panna.
Le
gote di sua cugina avevano assunto
la caratteristica colorazione purpurea dovuta al freddo pungente, ma i
suoi
occhi brillavano emanando un calore che esprimeva gratitudine e gioia
nel vedere
il viso di Ross e soprattutto nel sapere che ora Elizabeth e il suo
bambino
potevano contare sull’assistenza
di un medico, “Non
immagini quanto siamo felici, Ross!”
“A
dire il vero mi aspettavo di trovarti in preda al panico. Dov’è Francis?” Ross le depositò un rapido bacio sulla
guancia.
Entrarono
lasciandosi il freddo alle
spalle, ma ora lo sguardo di Verity aveva assunto un’espressione triste e
antitetica rispetto al sorriso con cui lo aveva accolto. Prima di
raggiungere
le scale che portavano al piano di sopra, Ross fu costretto a fermarsi
e non
procedere oltre il lungo tavolo che ornava la maestosa sala da pranzo.
I
singhiozzi di un neonato furono sufficienti a chiarirgli la situazione:
Elizabeth aveva partorito pochi minuti prima del suo arrivo e tutto era
filato
liscio, ma di Francis non c’era alcuna traccia.
Verity
scosse la testa e provò a illustrare a Ross l’inspiegabile
situazione che stavano vivendo, “Non sappiamo che fine abbia
fatto. E’ irreperibile da ore
ormai e io non so se essere più triste perché non abbia
potuto condividere con noi questo momento di dolcezza infinita oppure più sollevata al pensiero
che forse sia stato meglio così.”
“Da
come ne parli sembra sia diventata un’abitudine per voi…”
“Non
lo riconosco più,
Ross. Temo si sia messo nei pasticci con i Warleggan ma non ho prove
che lo
dimostrino.”
“Cosa
te lo fa pensare?”
Chiese con una punta di preoccupazione.
Verity
cedette a un crollo emotivo,
abbandonandosi in un pianto disperato contro il petto del cugino. Ross
la prese
sotto la sua spalla, stringendola forte, e cercò di rassicurarla inducendola a
cambiare
prospettiva. Era a conoscenza del fatto che George e Francis si erano
avvicinati molto recentemente e che i Warleggan gestivano da tempo le
finanze
della famiglia Poldark, sin da quando Charles era ancora in vita, ma
non vedeva
il nesso con i problemi di cui gli aveva parlato Verity. Probabilmente
le incombenti
responsabilità
a lavoro e l’ansia
di potersi dimostrare inadeguato al ruolo che lo aspettava con l’arrivo di un bambino di
cui prendersi cura avevano provocato in Francis uno stato di stress
elevato.
“Ha
perso quasi tutto quello che ci ha lasciato nostro padre. Sono sicura
che ha
scommesso al gioco anche le sue azioni dell’Ospedale, perché due giorni fa è arrivata una notifica
dalla banca in cui ho potuto leggere chiaramente che George Warleggan è diventato il nuovo
proprietario delle sue quote nella società. Valevano tantissimo, perciò mi è sembrato strano che
le avesse vendute così
per puro capriccio. Inoltre, sono l’unica fonte di guadagno per la
nostra
famiglia. Perché
avrebbe dovuto gettarle al vento?”
Ross
rimase attonito di fronte a quella
notizia inaspettata. Si rimproverò della sua negligenza nei
confronti di
Francis, di aver reputato priortarie altre situazioni piuttosto che
accertarsi della felicità dei suoi cugini e della zia
Agatha. Se
le preoccupazioni di Verity si fossero rilevate fondate, ciò che attendeva Francis
e la sua famiglia sarebbe stata una vita decisamente diversa rispetto
a quella che avevano condotto sino ad allora. Vivere di rendita sarebbe
bastato
per poco: se Francis non si fosse deciso a tornare presto sulla retta
via,
nemmeno Trenwith poteva dirsi più al sicuro.
“Le
cose si sistemeranno, te lo prometto. Gli parlerò e vedrò cosa posso fare per arginare i
danni.”
Verity
mise da parte lo scoraggiamento,
si asciugò
le lacrime e tornò
a sorridere, “La
speranza è
l’ultima
a morire. Non è
così
che si dice?”
Ross
annuì, felice di essere riuscito a
infonderle un po' di fiducia. Successivamente si spostarono insieme
verso il
salotto tenuto al caldo dal camino accesso, presso cui sonnecchiava la
vecchia
Agatha con in testa la sua immancabile cuffia di pizzo e in mano ancora
il
bicchierino di liquore mezzo vuoto.
Appena
Ross le si avvicinò, Agatha spalancò gli occhi e si
riprese completamente dal sonno, “Alla buon’ora, ragazzo mio!”
Verity
allontanò il brandy dalla sua portata
prima che potesse vederla, mentre Ross tentava di distrarla facendole
il
baciamano.
“Perdonami
zia, ma sono sorti dei problemi piuttosto seri in clinica. Sono
riuscito a
venire soltanto ora, ma come intuisco dal pianto a pieni polmoni che
proviene dalla
camera di Elizabeth la mia presenza qui sarebbe stata superflua anche
trenta
minuti fa.”
“Non
che mi fidi degli uomini, però mi hanno detto che sei un medico
capace. Ora, vai a fare il tuo lavoro e portami il bel maschietto che i
miei tarocchi
hanno pronosticato!”
Evidentemente, non aveva capito granché né di quello che era successo prima
che
si addormentasse né
sentito con chiarezza il discorso appena fatto da Ross.
“Zia,
abbiamo già
un bel maschietto! È
nato mentre dormivi ed è sano come un pesce. Credo che
assomigli molto al suo papà…”
Agatha
sembrò leggermente confusa,
ma si riprese immediatamente, “Allora cosa aspetti, Ross? Vai su
a conoscere
tuo nipote!”
Lo esortò
a salire con un impaziente gesto della mano, “Sono sicura che Elizabeth
apprezzerà, soprattutto ora che
Francis non è
in casa.”
Ross
e Verity si scambiarono un’occhiata colma di
imbarazzo, entrambi perfettamente consci del fatto che la zia non si
fosse
allontanata poi così
tanto dalla verità.
A quel punto il momento non poteva essere rimandato ulteriormente.
“Forse
sarebbe meglio che tu restassi qui, cara.”
Verity
si fermò al primo gradino,
rivolgendo a Ross uno sguardo mortificato. Per la prima volta nella sua
vita le
sembrò
difficilissimo riuscire a controllare la rabbia nei confronti dei
patetici
tentativi di sua zia di lasciare che Ross ed Elizabeth rimanessero soli
e si
riavvicinassero dopo tanti mesi di lontananza. Ingoiò il boccone amaro facendo
finta di niente, “Aspetterò ostinatamente il
ritorno di Francis e mi occuperò di alcune faccende che avevo
lasciato
in sospeso. Ti raggiungerò non appena avrai finito di
visitarla,
non temere Ross.”
Gli
diede una lieve pacca sulla spalla e
scomparve nella sala da pranzo, ignorando gli insistenti richiami della
zia
Agatha affinché
si unisse a lei per giocare a carte.
L’ultima volta che Ross aveva
percorso
quel tragitto era stata durante il ricevimento in onore del
fidanzamento di
Francis ed Elizabeth, quando aveva trovato appropriato dirle addio
baciandola con tutta la forza e la passione di un amore che ormai
credeva di
non poter più
provare per lei. In quel momento aveva compiuto una scelta: guardare
avanti e
continuare a vivere senza di lei, fidandosi completamente di ciò che percepiva nei
confronti di Demelza.
Demelza
gli aveva dato una speranza, ricucito
le ferite più
profonde del suo cuore e riportato alla luce una parte di sé che probabilmente non
aveva mai pensato di conoscere. Come poteva essere messo in discussione
tutto
questo? Come poteva anche solo immaginare di riuscire a farne a meno
per spingersi
in un’impresa
rischiosa, recuperando dal passato una vita che non gli apparteneva più e che ormai gli sarebbe
andata fastidiosamente stretta?
Le
difficoltà affrontate da Francis
nel suo matrimonio aprivano uno spiraglio di luce, una possibilità che il vecchio Ross non si
sarebbe
lasciato sfuggire tanto facilmente. A ben vedere, però, il vero rischio sarebbe
stato inseguire un fuoco fatuo lasciando indietro il sole, il cui
calore aveva raggiunto finalmente il gelo del luogo in cui si trovava.
Se solo non
avesse conosciuto Demelza. Se solo non gli fosse entrata così dentro da far
dipendere la sua felicità dal sapere di poter contare
sulla sua presenza nella sua vita…
Prima
di entrare, bussò alla porta con un tocco
leggero in modo da non eccitare il bambino e concedere a Elizabeth
qualche
minuto di tregua per riprendersi dalla fatica. Quando raggiunse il
letto
matrimoniale, Bess uscì
silenziosamente dalla stanza portando via con sé le lenzuola sporche e
richiudendosi la
porta alle spalle.
Elizabeth
sembrava la principessa
addormentata di una favola, con i capelli che le cascavano sulle spalle
in
morbidi boccoli castani, le guance color cremisi piene di vita e gli
occhi
chiusi in un placido sogno che faceva vibrare come piume al vento le
sue lunghe
ciglia scurissime. Peccato che il suo principe non fosse Ross, ma un
cavaliere lontano
chissà
quanti kilometri da lì,
e che nessun bacio avrebbe potuto annullare il passato e rimediarvi
aprendo le
pagine di un nuovo capitolo. Ross le sfiorò un braccio, con l’intenzione di
svegliarla per poter controllare più scientificamente in che
condizioni l’avesse lasciata il
parto. A prima vista, sebbene fosse evidente il sudore sulla sua
fronte, un
estrano avrebbe descritto il suo aspetto incantevole come non mai e
avrebbe faticato
a credere che avesse partorito da appena trenta minuti.
A
contatto con la pelle di Ross,
Elizabeth venne presa da una debole scossa e dischiuse le palpebre
rivelando i
suoi occhi colmi di gioia, “Ti sono infinitamente grata, Ross.”
“E
per cosa? Non cercare di attribuirmi meriti che non ho.” Ross ricambiò il suo sorriso e si
voltò
per porre la borsa da medico sul comodino. Mentre le dava le
spalle,
Elizabeth si raddrizzò
sul letto quel tanto che le forze le consentivano e si sistemò i capelli in preda a
un forte imbarazzo al pensiero di quale opinione avesse suscitato in
Ross il
vederla in quello stato.
“Sai
perfettamente a cosa mi riferisco…”
Ross
alzò le spalle, provando a rispondere
in
modo non impacciato, “Se
ci pensi, questo è
il mio mestiere. Non c’è
nulla per cui essere grati. Rientra tra i miei doveri, anche se
comprendo come tu
possa sentirti ora…”
“Non
ti si addice affatto quell’aria da superiore, sai? Suppongo
che il
disagio provenga da entrambe le parti, anzi sono convinta che nemmeno
Demelza ne
sia entusiasta.”
Sentire
pronunciare il suo nome fu come
una coltellata al cuore. Perché aveva l’impressione di tradirla ogni
volta che
i suoi occhi indugiavano sul viso di Elizabeth? Prima di procedere con
la
visita, Ross sentì
la necessità
di sedersi per un attimo ai suoi piedi e mettere in ordine i
pensieri che gli affollavano la mente.
“Non
è
necessario che tu…
Insomma, che tu faccia questo per me. Sto bene, davvero.”
“Lo
vedo perfettamente.”
La osservò, questa volta senza nessun
pudore. Era splendida, quale senso
avrebbe avuto nasconderle la sua ammirazione?
Elizabeth
abbassò lo sguardo sul suo
ventre ancora gonfio, “Bess
aveva più
esperienza di quanto lei stessa non credesse ed è stata un angelo con me. Quando
Verity
mi ha detto che il dottor Enys non sarebbe potuto venire ho immaginato
subito
che avrebbe mandato Demelza.” Giocherellò con il suo anello di
fidanzamento, continuando a non guardarlo.
“Sicuramente,
ero l’ultima
persona che ti saresti aspettata di vedere e, ad essere sinceri, nessuno avrebbe potuto
darti torto.”
Scrutò
il suo viso, facendo particolare attenzione alle sue labbra, in quel
momento
incurvate in un sorriso.
“Spero
di non aver seminato discordia tra voi due. Deve essere stato difficile
per lei…”
Ross
scosse la testa, “Demelza è più altruista di quanto
immagini." Cercò di evitare di nominare ulterilomente il suo
nome, "Invece, cosa mi dici di Francis? Sarebbe stato capace di
accettare
una cosa del genere?”
Elizabeth si incupì all’improvviso, “Francis non è più felice con me. Credo
che si sia pentito di avermi sposata.”
“E
tu, sei mai stata veramente felice con lui?” Fino a quel giorno, Ross non
aveva la benché minima percezione che
Francis ed Elizabeth fossero in crisi, anche perché era da tempo che non
frequentava quella casa. Eppure, nel porgerle quella domanda, una parte
di lui conosceva già
la risposta. Una risposta di cui, in realtà,
era al corrente da
sempre.
Elizabeth
decise di non replicare, dimostrando
chiaramente l’intenzione
di spostare l’argomento
della conversazione su qualcos’altro. I suoi occhi erano
tornati raggianti, mentre si rivolgeva al piccolo che dormiva nella
culla posta affianco
a Ross.
“Vuoi
sapere qual è
il suo nome?”
Gli chiese con evidente trepidazione.
Ross
non fece in tempo a rispondere che Francis apparve sulla soglia della porta, sostenuto da Verity e con
il viso rigato dalle lacrime. Non riusciva a tenere l’equilibrio a causa degli
strascichi
della sbornia, ma l’aver
saputo della nascita di suo figlio, appena tornato a Trenwith, lo aveva
reso
completamente lucido e impaziente di conoscerlo. Neppure la sorpresa di
vedere
Ross, lì
dove avrebbe dovuto esserci lui, riuscì a smorzare la sua tracotante
felicità.