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Autore: Mari_Criscuolo    19/09/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marzo 2020
 
Le porte si chiusero appena prima che Ella riuscisse a salire sul treno.
 
Vivendo questa scena le sembrò di essere stata catapultata direttamente nel film "Sliding doors".
 
Se solo fosse arrivata un paio di secondi prima, adesso non avrebbe dovuto aspettare la seconda corsa che sarebbe passata, all'incirca, tra quindici minuti.
 
Non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se, al contrario di quanto accaduto, fosse riuscita a prendere la metro che aveva perso.
 
Sicuramente sarebbe giunta prima a casa e avrebbe avuto più tempo per riposarsi, rimettersi sui libri o, magari, guardare un film.
 
Le opzioni tra cui scegliere erano parecchie, ma, evidentemente, qualcuno aveva deciso che avrebbe potuto sopravvivere anche senza quel quarto d'ora.
 
Non avendo di meglio da fare se non aspettare, si sedette su una delle sedie vuote.
 
Piegò la testa all'indietro, quel tanto che bastava affinché la potesse poggiare sulle piastrelle scure che ricoprivano la parete dietro di lei
 
Chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un sospiro che la svuotò di tutta l'aria che riempiva i suoi polmoni.
 
Si curvò in sé stessa, accasciandosi come se fosse un peso morto.
 
Il mal di testa, causato dalla pesantezza della mattinata in università, stava iniziando a farsi sentire.
 
Per quanto si sforzasse, era difficile non pensare al fatto che la giornata non fosse ancora finita, perché quella sera avrebbe dovuto lavorare.
 
Doveva ammettere di essersi dimostrata più capace di quanto pensasse nel rapportarsi con i clienti e nel gestire le situazioni cariche di pressione che si verificavano, generalmente, nel fine settimana, quando il locale era molto più affollato delle altre sere.
 
L'impressione positiva che Ella aveva avuto su Massimiliano si era rivelata giusta e, una volta terminato il periodo di prova, si era complimentato per il lavoro svolto assumendola a tempo indeterminato.
 
Nonostante ciò, non osava immaginare in che condizioni sarebbe tornata dopo la fine del turno.
 
Lamentarsi non avrebbe cambiato la situazione, ma, sebbene la stanchezza fosse insopportabile, tenersi impegnata sia fisicamente che mentalmente, non solo la distraeva e la faceva sentire più utile, ma, ultimamente, aveva reso possibile ciò che aveva sempre considerato impossibile: tra lavoro e studio si addormentava quasi senza nessun problema.
 
Si ricompose e, guardandosi intorno, notò che le persone stavano iniziando ad arrivare, affollando la banchina.
 
Un rumore forte e assordante la riportò alla realtà.
 
La metro era in dirittura d'arrivo.
 
Il vento provocato dalla velocità con cui il tunnel veniva percorso, muoveva leggermente i suoi capelli ricci e disordinati a causa dell'umidità.
 
Entrò nel treno e, poiché i posti erano tutti occupati, si posizionò nell'angolo destro tra il corrimano e le porte.
 
L'aria satura di polvere si stava riempiendo di respiri, profumi, parole e cattivi odori.
 
Non soffriva gli spazi chiusi, però il senso di oppressione che trasmetteva la metropolitana era insopportabile.
 
Era davvero un posto incantevole, in particolar modo se si cercava una morte lenta e dolorosa, ma, soprattutto, nauseante.
 
La nota che rendeva il tutto più sopportabile, era la possibilità di impicciarsi delle vite degli altri.
 
In ognuno di loro si nascondeva una miriade di emozioni: felicità, tristezza, ansia, agitazione, rabbia.
 
Erano così tante le cose che si potevano comprendere osservando una persona con attenzione.
 
I dettagli erano la chiave per risolvere qualunque tipologia di problema o enigma, lo aveva imparato leggendo e guardando Sherlock Holmes o il detective Conan.
 
Dopo qualche minuto, ebbe la sensazione che qualcuno la stesse osservando.
 
Provò a guardarsi intorno, scorrendo il suo sguardo su tutti coloro che rientravano nel suo campo visivo.
 
Nessuno aveva puntato lo sguardo su di lei, probabilmente lo aveva solo immaginato o aveva visto troppi episodi di Criminal Minds.
 
Ma, a dispetto di ciò che pensava per allontanare da sé quella sensazione, un ragazzo la stava realmente rimirando da lontano.
 
Era in un punto che sfuggiva alla sua visuale, per questo motivo non lo aveva notato.
 
Per chi non la conosceva poteva sembrava una ragazza come tante, in piedi, con le spalle appoggiate alla parete dietro di lei, per mantenersi in equilibrio.
 
Se ne stava con le mani nelle tasche del suo pantalone a vita alta, in attesa della sua fermata.
 
Il suo sguardo era rivolto a qualcosa che sembrava esageratamente distante perché potesse essere raggiunto.
 
Era troppo sola per poter parlare e non aveva la musica con sé.
 
Una ragazza che si confondeva in quella palude piena di persone che oscillavano e si schiacciavano per trovare un po' di spazio, eppure lei non si muoveva.
 
Ferma e curiosa spostava la sua attenzione su tutti i presenti, ascoltando le conversazioni con sfacciataggine.
 
Non le importava che qualcuno potesse scoprirla, aveva solo bisogno di comprendere le vite altrui, di scoprire cosa si nascondesse dietro quella realtà che considerava tanto scontata.
 
Forse cinque anni fa era una ragazza come tante.
 
Quando aveva paura anche solo di alzare lo sguardo dal pavimento per scoprire che il mondo non era come l'aveva immaginato.
 
Quando non parlava, non urlava, non mostrava la sua rabbia.
 
Quando ancora non sapeva chi fosse e cosa volesse.
 
Lui conosceva quella ragazza invisibile che rimaneva in silenzio ad ascoltare.
 
Forse l'ultima volta che si erano visti era una ragazza come tante, ma adesso stentava a riconoscerla, eppure non aveva mai smesso di amarla.
 
L'aveva pensata spesso in quegli anni.
 
All'inizio era un tormento, la vedeva in ogni angolo, in ogni ciocca scura, nell'azzurro del cielo, nel profumo orientale che da sempre l'aveva contraddistinta, ma, con il tempo, il suo ricordo era diventato sempre più sbiadito, sempre più lontano.
 
Non avrebbe mai voluto dimenticarla, ma l'idea che, molto presto, di lei non sarebbe rimasto più nulla, lo spingeva a bramare il fantasma che lo aveva perseguitato per i primi anni.
 
Non avrebbe potuto arrestare il corso degli eventi, perciò accadde.
 
Fu accantonata in un angolino del suo cuore, diventando un pensiero nostalgico e dal sapore amaro del rimpianto a cui non avrebbe potuto porre rimedio.
 
A volte si dannava ancora per averla lasciata andare senza aver fatto nulla per tenerla con sé, anche a distanza.
 
A diciassette anni si era sentito sopraffatto da quel sentimento così nuovo, che non aveva mai provato per nessun'altra.
 
Avrebbe voluto mostrarglielo, ma temeva di ferirla.
 
L'aveva sempre vista come una ragazza fragile, tanto da credere che si sarebbe potuta spezzare se l'avesse guardata troppo.
 
Era così chiusa in sé stessa che era spaventato all'idea che, se avesse fatto un passo troppo audace, avrebbe perso qualunque cosa si stesse creando tra loro.
 
Aveva deciso di accontentarsi.
 
Aveva sbagliato.
 
Nessuno sapeva mai cosa pensasse realmente poiché parlava poco, eppure con lui si era aperta.
 
Tutte le lunghe telefonate scambiate per più di un anno erano state sufficienti per far sì che potesse notare un bagliore di unicità, che lo avrebbe attratto anche a distanza di tempo.
 
Conosceva molte cose di lei, eppure sembrava nulla al fronte di quelle che avrebbe potuto scoprire.
 
Solo ora che l'aveva rivista si rendeva conto di quanto, in realtà, la sua mente non avesse mai smesso di appartenere a lei.
 
Il cuore gli batteva così velocemente da arrecargli dolore in pieno petto.
 
Sudava e tremava.
 
Lei lo disorientava e si stupiva di come riuscisse a generare in lui lo stesso effetto di allora.
 
Il tempo aveva ripreso a scorrere esattamente nel punto in cui era stato interrotto.
 
Spesso, si era ripetuto che se le loro vite avevano preso quella direzione significava che non era mai stato un destino comune il loro.
 
Solo adesso si rendeva conto di quanto quella convinzione fosse patetica, poiché il suo solo scopo era far tacere il dolore.
 
Gli era stata data la possibilità di sostituire il punto, messo ad una storia che sembrava finita ancora prima che iniziasse, con una virgola, tuttavia perse la cognizione dei minuti e successe di nuovo.
 
Il treno si fermò e lui non se ne accorse.
 
Continuava a guardarla senza accennare a muoversi.
 
Per la seconda volta lui la lasciava andare e ogni passo che compiva creava una distanza che, fino a quel momento, credeva sarebbe stata riempita solo dai vecchi ricordi.
 
Avrebbe voluto fermarla per dirle tutte le cose di cui non era mai riuscito a parlare, ma come poteva sperare che lei volesse riallacciare i rapporti.
 
Riprendere ciò che lui aveva interrotto bruscamente.
 
Ripartire dopo che l'aveva lasciata senza più voltarsi indietro.
 
Quante volte era stato divorato dal senso di colpa e quante volte aveva cercato di sotterrarlo.
 
Era bastato il suo sguardo azzurro e limpido a far disseppellire ogni emozione, portandola alla luce.
 
Adesso si ritrovava con un carico ingestibile di sentimenti e, questa volta, non avrebbe potuto ignorarlo nemmeno se avesse voluto.
 
Ella non era capace di odiare, ma sapeva fare dell'indifferenza la sua arma migliore.
 
Forse lo avrebbe ignorato, forse era così cambiata che avrebbe potuto persino aver imparato a portare rancore.
 
Non lo avrebbe saputo fin quando non avesse risposto alla telefonata che era intenzionato a farle, fin quando non avesse udito il suono della sua voce.
 
Aveva paura, ma, questa volta, lui era diverso.
 
Più del suo perdono, voleva darle le spiegazioni che avrebbe meritato molto tempo prima e che adesso suonavano immensamente stupide ed immature.
 
Le voci delle persone che lo circondavano erano lontane, un lieve brusio di sottofondo incorniciava quello che avrebbe potuto essere la raffigurazione perfetta della malinconia.
 
La vide scendere a Piramide
 
Era la sua fermata.
 
Ella si incamminò, senza voltarsi indietro, senza sapere che se avesse guardato un po' più in là lo avrebbe intravisto e, in cuor suo, sperava non si fosse dimenticata di lui.
 
Quando risalì in superficie poté riprendere a respirare a pieni polmoni un'aria che, per quanto inquinata, era sicuramente più pulita di quella presente nella metro.
 
A coronare quel momento fu l'acquazzone che il cielo aveva deciso di scatenare su di lei.
 
Senza ombrello e senza alcuna voglia di aspettare che spiovesse, chiuse la cerniera del giubbotto fin sotto il mento e iniziò a correre sotto la pioggia.
 
In ogni caso, una volta arrivata a casa, si sarebbe fatta una doccia per ripulirsi da quella lunga mattinata e per prepararsi all'interminabile serata, quindi un po' di acqua non sarebbe stata una catastrofe.
 
Anche se i suoi capelli erano già intrisi, cercò, comunque, di camminare sotto i balconi dei palazzi, qualora ce ne fossero.
 
Non che avesse molto senso, ma le dava l'idea di non essere un caso totalmente disperato.
 
Prima di aprire la porta dell'appartamento si tolse il giubbotto, le scarpe e i calzini per provare ad eliminare l'acqua in eccesso, in modo da non allagare tutta la casa.
 
Entrata in cucina, vide Lorenzo e Sofia concentrati a studiare. Il tavolo era così pieno di libri, quaderni e fogli che non si riusciva a vedere più il colore della sua superficie.
 
Non si erano nemmeno accorti della sua presenza.
 
«La cucina si è trasformata in una biblioteca?» chiese entrando nella stanza.
 
Il suono della sua voce indusse Lorenzo e Sofia ad alzare lo sguardo, per rivolgerlo su di lei.
 
«Il tempo non offre molte alternative» rispose Sofia, per poi sbuffare sonoramente e scivolare in avanti sulla sedia, accasciandosi sullo schienale.
 
«Mi state facendo quasi venire voglia di unirmi a voi.» Ella si avvicinò al tavolo e, nonostante avesse cercato di non bagnare il pavimento, le gocce di acqua stavano inevitabilmente cadendo.
 
«Ti hanno buttato in piscina prima di tornare a casa?» chiese Lorenzo, inarcando un sopracciglio, mentre la osservava dall'alto verso il basso.
 
Si stava sforzando nel trattenere le risate, però ogni tentativo fu completamente inutile.
 
Era difficile rimanere impassibili davanti a quella scena, sembrava un pulcino bagnato e le donava un aspetto tenero.
 
«Che simpatico. Guarda quanto mi fa ridere la tua battuta.»
 
«Ella e gli ombrelli non hanno un buon rapporto. Anche se la notizia non dovrebbe stupirti, dal momento che è in costante conflitto con tutto e tutti.» Sofia aveva scelto il momento adatto per provare a spiegare con ironia il suo atteggiamento nei confronti dell'universo.
 
Ella la vide alzarsi dalla sedia per poi incamminarsi verso il corridoio.
 
«Oggi è la giornata: tutti contro Ella?» domandò, mentre cercava di allargare il maglioncino che si era attaccato alla schiena. Il giubbotto lo aveva risparmiato, ma adesso i capelli fradici lo stavano bagnando.
 
«Come si fa a litigare con un oggetto?» Lorenzo sembrava confuso, ma allo stesso tempo divertito, poiché era evidente il fatto che stesse cercando di camuffare un sorriso che avrebbe potuto diventare una risata da un momento all'altro.
 
«La nostra è una relazione complicata. Lo dimentico la maggior parte delle volte, ma anche se lo ricordassi non lo porterei perché mi scoccio ed è ingombrante. Insomma, è inutile scorrazzarlo in giro solo nell'eventualità che possa piovere.»
 
«Tu sei matta.» Mentre Lorenzo pronunciava questa accusa, iniziò a ridere ed Ella riuscì a cogliere una forte somiglianza con un tricheco asmatico.
 
«Può darsi. Di solito lo uso solo se quando devo uscire sta già diluviando.»
 
«Non ti lamentare se prima o poi ti verrà una bronchite.» L'amico ritornò serio, guardandola con apprensione.
 
Non era una bambina anche se spesso, per alcuni suoi comportamenti, poteva sembrarlo.
 
Un'affermazione del genere detta dai suoi genitori era comprensibile, ma da Lorenzo era piuttosto irritante, anche se era dettata dalla preoccupazione.
 
«Questa frase te l'ha suggerita mia madre?» Il sarcasmo e la serietà con cui aveva pronunciato quella domanda, fecero vacillare Lorenzo.
 
Dalla sua espressione era intuibile che non sapeva bene come rispondere.
 
Sofia rientrò in cucina con uno straccio per pulire il pavimento e un asciugamano, interrompendo quegli attimi di silenzio.
 
«Tieni. Almeno così non rischi di assorbire tutta l'acqua» disse posandoglielo sulle spalle.
 
Era abbastanza grande da potersi avvolgere dentro come in un bozzolo.
 
«Grazie.» Ella le sorrise riconoscente.
 
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto, effettivamente, fosse infreddolita.
 
In ogni caso non temeva si potesse ammalare poiché il suo corpo era abbastanza forte, il massimo che poteva succedere era che prendesse il raffreddore.
 
«Comunque, no. Tutta farina del mio sacco» intervenne Lorenzo, riprendendo il discorso.
 
«Però, devo ammettere che erano belli i tempi in cui, anche se ero senza ombrello, c'era Sofia che lo aveva sempre con sé.» Ella riusciva a passare dal tono più gelido ad uno più scherzoso in una frazione di secondo e, ciò che la divertiva di più, era osservare, con sguardo compiaciuto, lo smarrimento sul volto dei suoi interlocutori.
 
Molto spesso erano così spaesati che impiegavano più tempo del normale nel capire come risponderle.
 
Era difficile riuscire a starle dietro.
 
«Adesso capisco perché siete diventate amiche.»
 
«Secondo te poteva esserci un motivo migliore?» La situazione in cui si trovava era esilarante da qualunque punto di vista la si guardasse.
 
«Per lo meno il karma oggi mi ha vendicato.» Sofia si intromise nel loro dibattito, scuotendo la testa incredula per quell'assurda conversazione.
 
«Meglio che vada a lavarmi. Nemmeno la pioggia è riuscita a lavare via lo schifo che mi si è incollato addosso nella metro.» Ella pose fine al discorso voltando loro le spalle.
 
Entrò nella sua camera per prendere degli indumenti asciutti e, soprattutto, comodi per stare in casa.
 
Si diresse in bagno e, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, iniziò a spogliarsi.
 
Regolò la temperatura dell'acqua e, quando fu abbastanza calda, si infilò sotto il getto del soffione.
 
Solitamente non le piaceva spendere più tempo di quanto effettivamente ne servisse nella doccia perché, spesso, era soggetta ad abbassamenti della pressione se era costretta a stare troppo in piedi e in un ambiente eccessivamente caldo.
 
Nonostante ciò, era uno tra i pochi luoghi in cui riusciva a riflettere in tutta tranquillità e questa volta avrebbe fatto un'eccezione.
 
Ripensò a ciò che era accaduto negli ultimi mesi.
 
Matteo si era fatto sentire relativamente poche volte, anche se per lei rimanevano sempre troppe. Avevano parlato di come procedevano le loro vite e ogni qual volta il discorso prendeva una strada che Ella non gradiva lo troncava salutandolo il più velocemente possibile o ignorando i suoi insistenti messaggi.
 
Dopo circa quindici minuti chiuse l'acqua e, una volta asciugati i capelli, iniziò a vestirsi.
 
Quando fu pronta, posò lo sguardo sul suo riflesso nello specchio, posto sopra il lavandino.
 
Aveva l'aspetto di una ragazza che era appena scappata di casa.
 
I pantaloni della tuta grigi scendevano piuttosto larghi sui fianchi, la maglietta nera aderente la faceva sembrare più magra di quanto non fosse in realtà.
 
Prese il suo spillone per i capelli e appuntò, in modo disordinato, solo le ciocche ricce sul davanti che erano leggermente elettrizzate.
 
Uscì dal bagno e ritornò in cucina.
 
La prima persona su cui il suo sguardo si posò fu Luca, doveva essersi aggiunto al gruppo mentre lei si stava lavando.
 
Era da una settimana che non lo vedeva, perché aveva deciso di ritornare in patria per qualche giorno.
 
Negli ultimi mesi si erano avvicinati molto, diventando buoni amici. Ella non si sentiva più a disagio a parlare di sé in sua presenza, in quanto gli aveva raccontato pressoché tutto sulla sua vita o quantomeno ciò che era necessario conoscere per poter instaurare un rapporto d'amicizia.
 
Era sempre gentile e disponibile come la sera in cui si offrì di aiutarla, ma soprattutto si chiedeva come potesse essere sempre pacato tanto da non averlo mai visto arrabbiato.
 
«Quale peccato avrai commesso in un'altra vita per dover studiare con loro?» chiese Ella, rivelando a tutti la sua presenza.
 
«Sai che stavo iniziando a chiedermelo anche io» rispose Luca, reggendole il gioco.
 
Ella si avvicinò al tavolo e, chinandosi in avanti dal momento che era seduto, posò un bacio delicato e quasi impercettibile sulla sua guancia.
 
«Finalmente sei tornato, avevo terminato per la seconda volta il giro di persone da torturare. Tu hai saltato il turno, devo rimediare» disse Ella, poggiando il fianco destro allo schienale della sedia di Luca.
 
«Sai che se ammettessi semplicemente che ti sono mancato, non ti accadrebbe nulla?» chiese Luca, divertito dall'atteggiamento disinteressato assunto da Ella.
 
«Se lo facessi, non ci sarebbe divertimento e dal momento che sai leggere tra le righe sai anche che mi sei mancato. Non mi piace dire le cose quando gli altri se lo aspettano, ma per questa volta farò un'eccezione.»
 
«Ragazzi, credo di aver appena avuto un'allucinazione.»
 
«Ho la stessa sensazione quando dimostra affetto nei miei confronti» intervenne Lorenzo, appoggiando Luca nel suo finto stupore.
 
«Siete dei pivelli. Ella dimostra sempre affetto solo che voi siete troppo ottusi per cogliere determinate sottigliezze.»
 
«Grazie, Sofia. Quando mi difendi confermi che il mio volerti bene è la scelta migliore che potessi fare.»
 
«Non ci posso credere! L'avete sentita anche voi, vero? Praticamente un miracolo» esclamò l'amica.
 
«Ho creato dei mostri.»
 
«Scherzi a parte. Ti unisci a noi?» chiese Sofia quando la vide sedersi su una delle altre due sedie libere.
 
«Vorrei, ma se non mi riposo almeno un'ora sono sicura che stasera non mi reggerò in piedi e se sforzassi ancora il mio cervello credo potrebbe esplodere. rispose Ella portando gli indici di entrambe le mani sulle tempie.
 
Iniziò un movimento circolatorio nel tentativo di alleviare il dolore, che non cessava di martoriarle la testa.
 
«Ottime argomentazioni.» Lorenzo passò una mano tra i capelli scuri per tirarsi indietro il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi.
 
«Stai entrando troppo nella parte, avvocato.»
 
Dopo essersi laureato a gennaio, aveva iniziato il tirocinio in uno studio legale. Da qualche mese Ella non perdeva occasione per schernirlo in quel modo e, anche se non aveva assolutamente nulla di offensivo, era proprio quella la ragione che lo rendeva divertente.
 
Bastò uno sguardo fulgente per evincere quanto fosse stanco e stressato perché, oltre al praticantato e alle estenuanti sessioni di studio per superare l'esame di stato ed essere ammesso all'albo, era stato costretto a spostare il turno in pizzeria alla sera per poter continuare a lavorare, dal momento che il tirocinio è obbligato per legge solo al rimborso spese, mentre l'effettiva retribuzione è possibile ma non obbligatoria.
 
«Mi stai dichiarando guerra, strizzacervelli?»
 
«Non mi permetterei mai» rispose Ella, trattenendo una risata.
 
«Ella, sono curioso di sapere come sta proseguendo il tuo tentativo di iniziare Lorenzo al mondo del cinema.» La richiesta di Luca, interruppe quello scambio di battute.
 
«Dovevi proprio chiederglielo?» chiese Lorenzo, con tono esasperato.
 
«Sicuro, dato che tu non ne parli.»
 
«Diciamo che è passato dall'addormentarsi dopo cinque minuti dall'inizio di un film a un'ora. Facciamo degli enormi progressi» rispose trattenendo una risata, al ricordo di tutte le volte in cui si era accorta di parlare da sola, dal momento che il suo interlocutore non dava segni di vita mentre Ella gli forniva qualche spiegazione o curiosità sui film che sceglievano di guardare.
 
«Adesso capisco il motivo di tanta segretezza.»
 
«L'altra sera, quando sono tornata a casa, sentivo il suo russare da fuori alla porta» intervenne Sofia tra le risate.
 
«Però devo ammettere che almeno quello è di ottima compagnia. Non manca mai.»
 
«Guarda come si divertono a prendermi in giro. Riparliamone quando avrò superato l'esame e vedremo se non arriverò a conoscere più film di tutti voi messi insieme.»
 
«Se continui di questo passo l'unica cosa riuscirai ad imparare è la velocità con cui riesci ad addormentarti.» Ella non riuscì a trattenersi e iniziò a ridere per la sua stessa battuta.
 
«È colpa della stanchezza e dello stress» si giustificò Lorenzo.
 
«Guarda che noi non ti giudichiamo» affermò Luca, alzando le mani in aria per sottolineare la sua innocenza.
 
«Non ci avrei mai pensato. Ah, prima che mi dimentichi. Hai il turno stasera, giusto?» chiese Lorenzo, cambiando discorso.
 
«Sì, ma posso farmi dare un passaggio al ritorno se stacchi più tardi del solito.» Non sopportava infastidire le persone, per cui in tutto quello che faceva cercava sempre di disturbare il meno possibile, ma camminare per strada, da sola, di notte era decisamente poco raccomandabile.
 
Adesso Lorenzo lavorava tre volte a settimana, ma era riuscito a farsi assegnare almeno due turni nei giorni liberi di Ella, per cui nell'unico in comune si organizzavano come meglio potevano. Anche se gli orari coincidevano, capitava che la avvertisse che avrebbe tardato o, viceversa, che Ella avrebbe staccato prima, in questi casi si faceva dare un passaggio.
 
«Tranquilla. Rimaniamo che ti passo a prendere al ritorno, in caso di imprevisti ti mando un messaggio.» Le rivolse un sorriso gentile.
 
«Perfetto.» Ella incrociò le braccia e spostò lo sguardo dal lato opposto. «È meglio che vada e vi lasci studiare in pace e senza distrazioni. A dopo» disse per poi andarsi a chiudere in camera.
 
Si stese sul letto e, dopo aver chiuso gli occhi, cercò, nella sua mente, un ricordo felice in cui perdersi e trovare la tranquillità di cui aveva bisogno per conciliare il suo sonno.
   
 
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