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Autore: imoto    21/09/2019    1 recensioni
8.5 milioni di abitanti sparsi su 785 km quadrati: questa è New York.
Non sorprende che chi fugge dal passato decida di ricominciare proprio da qui. A sorprendere è, invece, l'incredibile storia di come otto ragazzi si sono trovati contro ogni statistica e previsione.
Ma forse non è così tanto sorprendente. Anche le norne a volte tessono arazzi meravigliosi, no?
Genere: Angst, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Jǫtunheimr

parte settima

 

"CONTATTATE LA POLIZIA SE AVETE NOTIZIE"

«Cazzo!»


Le parole rimasero impresse sullo schermo per tutta la durata del servizio. Il giornalista continuava a parlare, non che loro non potessero sentirlo. L'immagine cambiò passando a un reporter a una conferenza stampa. Un uomo sui cinquant’anni vestito elegantemente stava dietro al microfono, accanto a lui una donna di mezza età torturava un fazzoletto di carta tra le dita. Entrambi avevano gli occhi rossi.
Bucky ignorò i due coniugi -perché erano palesemente sposati- e le loro risposte mute, lo sguardo fisso sul riassunto della notizia che scorreva a fondo schermo.

"...foto su internet gli investigatori sono stati in grado di riaprire le indagini sul caso di Anthony Edward Stark, l'unico erede delle Stark Industries, scomparso da più di un anno. I genitori, Howard e Maria, hanno espresso la loro speranza che il figlio sia ancora vivo e in salute incoraggiando chiunque abbia informazioni a contattare la polizia. Sono ancora sconosciuti i ragazzi che appaiono insieme al bambino nella foto, ma gli investigatori hanno espresso la convinzione di poterli rintracciare in breve tempo. Chiunque possa aiutare è incoraggiato a contattare il numero..."

«Cazzo!» a Clint pareva quasi che il cervello fosse entrato in un loop, non riusciva a pensare a niente, le parole scorrevano intorno a lui come suoni sconosciuti e senza significato, le voci si sovrapponevano, mischiavano e confondevano in una cacofonia nauseante.

«Direi che non c'è più nulla di cui preoccuparsi, Steve. Sono sicura che la polizia li troverà.»
Il ragazzo scosse il capo passandosi una mano tra i capelli, le parole di Natasha che rimanevano appena un sottofondo insensato al rumore assordante del cuore che batteva forte -troppo forte, troppo veloce- nel petto. Bucky lo afferrò alla cieca per un polso, gli occhi ancora fissi sullo schermo.
«Dobbiamo andare.»
«Grande idea Bucky! Dove di preciso, uh
Clint si era girato di scatto buttando le braccia in aria, gli occhi spiritati e le guance rosse.
«Hai un piano B per le emergenze? Non penso proprio! Andare dove? DOVE? Non c’è nessun posto dove andare, non c’è-»
«Stiamo attirando troppa attenzione, datevi una calmata.»
Natasha era l'unica che pareva aver mantenuto un minimo di controllo, ma occhi che le saettavano da un angolo all'altro -da un viso all'altro- tradivano l’agitazione ben nascosta sottopelle.
«Dividiamoci. Ci incontreremo al parco una volta che la situazione di sarà calmata.»
«Ma-»
«Questa è una caccia all'uomo Steve-» lo interruppe velenoso Clint «E noi siamo le prede.»
Bucky strinse meglio il polso del biondo nella sua mano mordendosi la lingua–Clint era più piccolo quindi stava a lui mantenere la calma, non al biondino, anche se stava decisamente esagerando ed era più che convinto che un ceffone ben assestato avrebbe potuto fare miracoli.
Chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo, doveva calmarsi. 

«Nat?»

Con un cenno del capo Natasha e Clint scomparvero tra la folla, non provò nemmeno a seguirli preferendo portare tutta la sua attenzione a Steve.
«Steve?»
«Bucky, dobbiamo andare.»
Annuì incollando il suo sguardo a quello di Steve
«Rimani con me, okay? Uscì più come un affermazione e la voce infuse fin troppi sottointesi in quelle poche parole per i suoi gusti, ma non era il momento di pensarci
«Andrà tutto bene.» mormorò, più per istinto che alto, ma Steve sorrise.
«Ne sono certo.»

Attraversarono la strada e tornarono indietro di un paio di decine di metri infilandosi in una stradina, e poi in un vicolo, poi in un'altra viuzza. E in un altro vicolo ancora. Camminarono fino a perdere il senso dell’orientamento, fino a non sapere più i che quartiere erano, fino a quando la sensazione viscida di avere tutti gli sguardi di New York puntati addosso si attenuo -non scomparve, non sarebbe mai scomparsa.

«Dobbiamo creare un piano, rimanere nascosti fino a quando le acque non si saranno calmate e poi-»
«Poi cosa, Steve?» mollò il polso del ragazzo come se si fosse bruciato. Sentiva la rabbia iniziare a montare dentro di se, come se le parole dell’altro avessero acceso un interruttore «Andare al parco e aspettare Natasha e Clint come due bravi cagnolini ammaestrati?» solo in quel momento si rese conto di quanto inebetito era stato fino a quel momento. Si sentiva frastornato, confuso e stordito. Non riusciva a controllare il fiume di parole furiose che sentiva stava uscendo dalla sua bocca, nonostante sapesse fosse sbagliato. Si sentiva un prigioniero nel suo stesso corpo, si sentiva… i medici l’avevano chiamata dissociazione se ricordava bene. A volte dicevano era male, a volte dicevano era bene. Dipendeva da cosa volevano fargli fare «Siamo soli, Steve. Di nuovo! Non ci sarà nessun incontro al parco quando le acque si saranno calmate!» non che adesso importasse cosa pensavano i medici. Non era neanche sicuro fossero medici. Più scienziati pazzi, probabilmente. O nazisti. «Siamo soli! Ci hanno abbandonati! Non-»
«Lo so, Buck»
La voce rassegnata del biondo tagliò nei suoi pensieri come un bisturi e improvvisamente tutta la rabbia che lo aveva animato scomparve zittendolo
«Pensi davvero che io sia così ingenuo?»
Steve si passò una mano tra i capelli guardandosi intorno e sospirò
«Mi piacerebbe potermi fidare di loro, dirti con sicurezza che ti stai sbagliando, che saranno entrambi al parco ad aspettarci quando tutta questa storia finirà...»
«Ma non è vero.» completò Bucky. Steve annuì stanco e il moro lo strinse in un abbraccio. Rimasero fermi così per un po', in un groviglio di braccia e vestiti. Erano soli. Di nuovo. Ma almeno questa volta erano insieme. Da soli, ma insieme. Che ossimoro!
«Devo preoccuparmi per la tua salute mentale?»
«Mh?» si districarono dall'abbraccio e Steve gli riservo uno sguardo più divertito che preoccupato.
«Stavi ridacchiando in maniera isterica, Buck»
Sbuffò una risata.
«Sto bene, sto bene. Non ti devi preoccupare che perda la testa e decida di iniettarti una dose letale di antigelo nel sangue per poi imbalsamarti e tenerti con me fino alla fine dei miei giorni, fermo in un istante di eterna giovinezza.»
Steve sollevò un sopracciglio.
«Molto specifico per non dovermi preoccupare.» gli tirò un pugno sul braccio «Mi assicurerò che tu rimanga lontano da ogni tipo di siringa per il tempo avvenire.»
Le loro risate rimbombarono nella via per una trentina di secondi, una nota isterica che si nascondeva appena sotto la superficie.
«Quindi...» cantilenò avviandosi, non aveva una destinazione e nemmeno un percorso, ma era meglio che starsene fermi a ciondolare. Steve lo affiancò.
«Quindi?»
Sbuffò un'altra risata nervosa.
«Anthony Edward Stark? Pomposo.»
Il biondo scrollò le spalle e Bucky cercò di ignorare l'improvvisa tristezza e stanchezza che si insinuò nei tratti del viso.
«L'intelligenza c'è tutta.»
«Chi l'avrebbe mai detto che nel corso della nostra vita avremmo incontrato uno Stark!» provò a scherzare.
«Già, chi l'avrebbe mai detto.» 

Percependo che l'aria non aveva intenzione di alleggerirsi anche il moro fece cadere la maschera di forzata spensieratezza -un altro ossimoro, com'è che la sua vita si stava trasformando in una poesia di metà novecento?- per andare dritto ai discorsi importanti.

«Ci troveranno» mormorò. Steve fece la stessa faccia che fanno i bambini piccoli dopo aver assaggiato per la prima volta il limone: disgustata. Gli occhi esprimevano perfettamente il pensiero e la volontà di voler ignorare l'argomento, ma non si poteva. Era come provare a ignorare il cielo diventato viola o che la terra fosse tonda o -okay, era definitivo. La sua vita poteva essere una poesia, ma lui non era un poeta. Senza ombra di dubbio. Aveva provato ad arrivarci per gradi, scherzando e ridacchiando, ma Steve non gli aveva dato corda! Era colpa sua se adesso si trovava in quella situazione quindi che affrontasse il discorso in maniera matura!

«Dobbiamo proprio parlarne?»
Sollevò un sopracciglio.
«Sì?» gli tirò una spallata «Comportati da adulto, Steve.»
Di nuovo l'espressione disgustata.
«E Tony? Loki, Bruce, Thor? Li abbandoniamo così?»
Prese una svolta per evitare di tornare sulla strada principale e continuò a camminare per le viuzze secondarie e i vicoli sporchi che si incrociavano come in un labirinto.
«Non li stiamo abbandonando.»
Questa volta fu il turno di Steve di sollevare un sopracciglio e tirargli una spallata.
«Certo.»
Bucky storse la bocca in un'espressione che sapeva essere identica a quella disgustata del biondo di poco prima.
«Sono...» prese un respiro «Thor è maggiorenne e Loki è sveglio e più che capace di rendere entrambi autosufficienti. Bruce è con loro quindi è a posto. E Tony ha praticamente tutta New York alle calcagna, starà bene.»
Steve irrigidì la mascella e scosse la testa.
«Vorrei crederci, Bucky. Vorrei crederci davvero.»
«E allora fallo!»

Si era fermato di scatto in mezzo alla via. Steve lo aveva superato di qualche passo e adesso lo osservava da sopra la spalla.

«Non posso perché è una bugia! Loki è bravo, ma ha solo tredici anni! È sbagliato affidargli la sopravvivenza di Thor e Bruce! Soprattutto considerato che non lo sa, non gli abbiamo parlato, non sanno nulla! Li stiamo abbandonando senza nemmeno un avviso e senza voltarci indietro!»
«Thor è-»
«Thor è un adulto, lo so» interruppe poggiandogli una mano sulla spalla «Ma lo conosci. Thor è... Thor! Non conosce il mondo, è ingenuo, è...»
«Stupido?» sopperì Bucky alla mancanza di parole. Steve storse la bocca, ma annuì.
«Non nel senso brutto del termine, ovviamente, solo che... Thor non è come noi. E per quanto ci piaccia ignorarlo, nemmeno Loki! Ha tredici anni, è un bambino!»
Bucky annuì.
«Va bene, hai ragione.» ammise. Steve non parve nemmeno sentirlo.
«Per non parlare di Bruce e Tony!»
Il biondo gesticolava preso dalla foga del discorso. Bucky lo lasciò fare consapevole che l’amico aveva bisogno di sfogarsi, era il suo turno infondo.
«Bruce ha quanto? Sette anni? Per quanto sia intelligente è comunque un bambino, è da solo e noi lo stiamo abbandonando! O non ti ricordi come ieri sera si è attaccato alla tua gamba come se fosse l'unica salvezza?» fece una pausa aspettandosi una risposta e Bucky tentennò.
«Era spaventato.»
«Lo sarà anche adesso.»
Sospirò passandosi una mano tra i capelli.
«Oltre a essere praticamente impossibile trovarli -New York è immensa Steve!» il ragazzo incrociò le braccia sollevando gli occhi al cielo, annoiato perché aveva intuito la sua risposta «Anche ignorando questo enorme particolare, cosa conti di fare? Stai solo girando intorno al problema più grande.» lo fissò negli occhi «Ci sta cercando. La nostra faccia era in bella mostra su tutti i televisori nazionali! Pensi che gli sia sfuggito?»
Steve incassò la testa tra le spalle frustrato.
«Non che li voglio abbandonare, non li odio. Semplicemente è la cosa migliore da fare per non trascinarli insieme a noi sul fondo di questa fossa! La polizia li troverà e li proteggerà»
«Lo sai che se nessuno di loro si è mai rivolto alle autorità c'è un motivo, vero Bucky? Che se Tony non è mai andato in una centrale di polizia a identificarsi è perché c'è qualcos'altro sotto? Che se Bruce non ha mai detto nulla sul voler tornare dalla sua famiglia c'è un perché? Che Thor e Loki molto probabilmente non sono nemmeno registrati legalmente come cittadini degli Stati Uniti d'America? Che rivolgersi alla polizia equivale a un suicidio?»
«Lo so, Steve, lo so!» sbottò frustrato «Ma non c'è altro modo per tenerli al sicuro. Sopravvivranno.»
«Ne sei sicuro?» la voce si abbassò leggermente passando da irritata a insicura e gli ricordò quando da bambini all'orfanotrofio Steve gli chiedeva se sarebbero rimasti amici per sempre -anche se dovessimo venire adottati e ci separassero? Anche all'ora, Buck? 

Per sempre, Steve, per sempre. 

Ne sei sicuro?

Ne sono sicuro, Steve. E sai perché?

Perché?

Perché l'orfanotrofio si preoccupa per noi. 
Vogliono solo il meglio. E questa è
-

«-la cosa migliore!»
Natasha sollevò un sopracciglio.
«No, non lo è.»
Clint digrignò i denti irritato passandosi le mani tra i capelli e tirandosi alcuni ciuffi biondi nel frattempo.
«Sei testarda come un mulo!»
La rossa sbuffò una risata sciogliendo le braccia incrociate al petto.
«Potrei dire lo stesso di te.»

Si trovavano nascosti nel retro di una palestra, il vicolo era abbastanza sinistro e sporco da convincere i più a fare una deviazione e i pochi temerari cambiavano strada quando vedevano lo scintillio del coltello tra le mani di Natasha. Una pozza di capelli rossi era a terra intorno a lei. La chioma che poche decine di minuti prima le arrivava alle scapole, ora si era ridotta a sfiorargli il collo. Il taglio era palesemente malfatto, trascurato e casalingo -con uno specchio sarebbe venuto meglio- ma sarebbe andato bene. Le avrebbe guadagnato un po' di tempo considerato che cercavano una ragazza dai capelli lunghi, non di certo un ragazzo dai capelli corti. I vestiti di Clint le stavano larghi addosso e non aveva potuto permettersi la tinta per capelli, ma si fa con quel che si ha.

«Non voglio abbandonarti, Nat!»
Sollevò gli occhi al cielo.
«Non mi stai abbandonando, non sono una damigella in pericolo Clint! Sono più che capace di occuparmi di me stessa!»
«Ma-»
«E poi sono io che ti sto chiedendo di andartene. Quindi casomai sei tu quello abbandonato.»
Il biondo storse la bocca.
«Nat! Io...»
«Clint, ascoltami» con un sospiro il ragazzo chiuse la bocca «Questa situazione è pericolosa. La gente che mi cerca è pericolosa. Io sono pericolosa»
«Non è vero, tu sei Nat» borbottò sottovoce e la ragazza decise di ignorare sia la replica infantile che il nodo di calore che si stava formando come un macigno sul suo stomaco.
«Non voglio metterti in mezzo a tutto questo. Non fa per te, non sei pronto, nemmeno io sono pronta.»
«Allora lasciami venire con te! Fatti aiutare, Nat! Non devi fare tutto questo da sola!»
Scosse la testa.
«Vuoi aiutarmi, Clint?»
«Sì.»
«Allora c'è una sola cosa che puoi fare: stai al sicuro. Stai lontano da me, dal mio mondo» allargò le braccia «Stai lontano da tutta questa Дерьмо
«Non posso-»
«нет, выможете
Scosse il capo.
«Fallo per me, Clint.»
Scosse ancora testa e Natasha chiuse con uno scatto del polso il coltellino a serramanico nascondendolo nuovamente in tasca. Il ragazzo appoggiò la fronte sulla sua spalla e lei gli accarezzò i capelli. Non poteva seguirla, non poteva seguirla, non poteva seguirla.
«Sai, Clint?» mormorò abbastanza forte perché potesse sentirla, ma mantenendo comunque intatta la bolla di intimità che si era creata «Quanti anni hai?»
«Quindici.»
«Pensavo quattordici.» mormorò sorpresa.
Il ragazzo scosse le spalle.
«Ne ho fatti quindici la settimana scorsa.»
Natasha sorrise poggiandogli un bacio tra i capelli.
«С днемрождения, Милый
«Tanti auguri a me!» cantilenò sorridendo contro la sua spalla.
«Prima, prima di tutto questo, prima di arrivare in America, prima di conoscervi-» Clint si mosse appena, a disagio, non parlavano mai del passato, ma doveva convincerlo a tutti i costi, anche se significava rompere una delle loro regole, non poteva seguirla «Avevo un fratellino minore»

Il ragazzo si irrigidì tra le sua braccia e lei gli massaggiò la schiena. Riprese a parlare solamente una decina di secondi dopo quando i muscoli tesi iniziarono a rilassarsi

«Oggi avrebbe avuto quattordici anni»

Clint sospirò, il fiato caldo contro la pelle le mandò un brivido di freddo lungo la schiena, ma non si separarono.

«Davvero?»

Annuì.
«Davvero»
Non era una bugia. Non era totalmente una bugia.  Aveva un fratello -o una sorella? Non lo sapeva di preciso- che era nato morto. O almeno pensava, così le avevano detto. Non che importasse adesso. Non che fosse mai importato. Probabilmente non avrebbe nemmeno avuto quattordicianni e anche se fosse stato non ci sarebbe arrivato vivo. Non importava, ciò che importava adesso era convincere Clint, non poteva seguirla, non doveva seguirla.

Il ragazzo sollevò le braccia chiudendola in un abbraccio.

«Anche io avevo un fratello»

Natasha ignorò il battito improvvisamente accelerato del suo cuore, la sensazione viscida di aver giocato sporco, di aver tradito la fiducia di Clint

«Barney, si chiamava Barney.»
Le mani si aggrapparono al tessuto della sua maglietta e accarezzò la schiena del ragazzo per calmarlo. 
«Era il maggiore, ma non è mai stato il mio eroe» sbuffò una risata «Ma ci volevamo bene» le spalle si afflosciarono sotto un sospiro «O almeno, io glie ne volevo»
«Clint...»
Il ragazzo si allontanò dalla sua spalla e Natasha sciolse la stretta. I loro occhi si incontrarono e per la prima volta poté vedere negli occhi azzurri del biondo quel dolore che era sempre stato velato non più nascosto, ma prorompente, totalizzante.
«Va bene, Nat.»
Annuì -aveva raggiunto il suo scopo no?
«Promettimi solo che starai attenta, okay?»
Strinse le labbra prendendo un respiro convulso dal naso e annuì ancora una volta -non aveva fatto nulla di sbagliato, era per tenerlo al sicuro.
«Ho bisogno di sentirtelo dire»
Allungò una mano passandogliela tra i capelli e poi premendola sulla guancia –aveva fatto la cosa giusta.
«Te lo prometto, Clint. Proverò a stare attenta. E quando tutto questo finirà verrò a cercarti.»
Questa volta fu il ragazzo ad annuire, poi fece un passo indietro scompigliandosi i capelli e scuotendo la testa
«Non capisco la tua decisione, non la accetto, non la comprendo-»
«Clint...»
«-ma la rispetto.» prese un respiro profondo abbassando lo sguardo «è la tua vita, Natasha, non la mia. Se pensi sia la cosa migliore non posso obbligarti» sollevò la testa e incrociarono nuovamente gli occhi «Non la capisco, non la accetto, ma la rispetto. E sappi che io ci sarò sempre.»
Natasha sorrise sbattendo le palpebre un paio di volte per scacciare le prima lacrime che si stavano formando negli angoli degli occhi -aveva fatto la cosa giusta?
«Ti troverò.»
Clint annuì.
«Ti aspetterò.» 
Osservò il viso del biondo imprimendosi ogni particolare nella mente: gli occhi dello stesso colore del cielo di New York -dalla sfumatura grigiazzurra che non era mai la stessa-, la bocca sottile sempre piegata in un sorriso strafottente -ora rigida in una linea piatta-, la fronte alta, il viso squadrato nonostante la giovane età e la pelle scurita dal sole e segnata dalla vita, i capelli castani -che viravano molto più al biondo che al marrone- erano appena troppo lunghi e scompigliati si rese conto passandogli una mano tra le ciocche.
«Dovresti raggiungere gli altri, stare insieme» le parole suonavano deboli alle sue stesse orecchie e il consiglio era ancora più stupido di come se lo era immaginato nella sua mente. Clint scosse -fortunatamente? Sfortunatamente?- il capo.
«Starò bene» incrociarono nuovamente gli occhi «è più facile mantenere un basso profilo da soli»
Natasha sbuffò una risata e tolse la mano dai capelli del ragazzo. Rimasero a fissarsi, nessuno dei due riusciva a fare la prima mossa, i loro respiri l'unico rumore, la confusione della città ignorata e chiusa fuori dalla loro bolla. Come una tenda pesante le parole non dette, le frasi taciute, erano tese fra di loro. Sbatté le palpebre e forse tenette le ciglia unite un po' più del necessario schermandosi dal mondo esterno per trovare in se la forza necessaria. Quando li riaprì fece un passo indietro. Clint prese un respiro, l'inizio di una... una frase? Una supplica? Una preghiera? Non li avrebbe mai saputo. Il ragazzo si limitò a inclinare leggermente il capo in segno di saluto. Natasha accarezzò con due dita l'interno del suo polso -e quando aveva preso il polso di Clint tra le sue dita?- prima di lasciarlo andare, girarsi e iniziare a camminare.
Non si voltò indietro.
Non lanciò occhiare furtive da sopra la spalla.
Non si concentrò sul ricercare il respiro dell'amico per sapere se era ancora lì.
Si limitò a camminare.
E camminare.


E camminare.


Uscì dal vicolo mischiandosi nella folla multicolore e agitata continuando a camminare.

Si fermò alla luce rossa del semaforo.
Attraversò le strisce.
Uscì dall'isolato.
Poi dal quartiere.

Arrivò al limite del distretto e cambiò strada.

Svoltò varie volte.
Continuò a camminare fino a quando nemmeno la luce dei lampione era più abbastanza per potersi illudere fosse sera.
Fino a quando le gambe non fecero male.
Fino a quando i sensi non tornarono sotto controllo e si rese conto del tremore nelle ossa e del freddo sulla pelle.
E quando si girò non c'era nessun ragazzo dai capelli biondi e gli occhi griogioazzurri a seguirla.

Era sola.

 

-----N/A-----

Quiiiiiiiiindi... sono tornata. Di Sabato. Dopo più di due mesi. Cosa è successo? Tante cose, ma soprattutto 1) sono andata in vacanza e 2) mi si è rotto il pc, e continuerà a rompersi più o meno regolarmente ficnhè non lo cambio, il bastardo, ormai sta invecchiando e anche male. So che il capitolo non è un gran che per ricominciare, ma è dove ci eravamo lasciati, spero comunque vi sia piaciuto (magari fatemelo sapere con un commento!) e ancora di più ringraziate Jodie che mi corregge sempre tuttp; non è una beta, è un angelo. Comunque sappiate che nei prossimi tempi avrò problemi a pubblicare su Efp a causa dell'HTML, ma ptete trovare gli aggiornamenti (molto più costanti) su AO3 o su Wattpad. 
Passiamo alle traduzioni di rito, stavolta per Natasha:

«нет, выможете.» - «No, non puoi
«С днемрождения, Милый.» - «Tanti auguri, tesoro

Ci vediamo presto (spero).
Imoto ;*

  
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