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Autore: Il cactus infelice    22/09/2019    2 recensioni
Estate 2020. Il riscaldamento globale colpisce non solo il mondo Babbano, ma anche quello dei Maghi. La frenesia dei social, della tecnologia, sta travolgendo anche i maghi e le streghe. Bisogna tenersi al passo coi tempi.
Ma mentre queste questioni vengono lasciate ai Babbani - che se ne intendono di più - il Mondo Magico avrà un'altra gatta da pelare.
Harry Potter si ritroverà a dover risolvere un altro mistero, forse addirittura a combattere un'altra guerra e questa volta lo riguarda molto, molto da vicino.
Tutto inizia con un ritorno inaspettato una mattina del 10 Luglio 2020.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Potter, Famiglia Weasley, I Malandrini, Nimphadora Tonks, Teddy Lupin | Coppie: Bill/Fleur, Harry/Ginny, James/Lily, Teddy/Victorie
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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L’INCONTRO DEI LUPIN

 

“Ehi!” salutò Lily entrando nella camera di Albus e guardandosi attorno con circospezione. La stanza del ragazzo la attirava in una maniera che non avrebbe saputo spiegare; era così piena di vita e caratteristica, si capiva subito che chi ci viveva era qualcuno con personalità. E ogni volta che ci metteva piede notava qualcosa che prima non aveva notato: oltre al poster in cui capeggiava la scritta Star Wars, ce n’era un altro con scritto Il signore degli anelli - la compagnia dell’anello, accompagnata da alcuni personaggi tra cui un ragazzino in primo piano dal volto smunto e un uomo poco dietro di lui dai capelli e la lunga barba bianchi che un po’ le ricordava Silente. Su un altro poster, sopra uno sfondo tutto nero, Lily riconobbe il disegno di una di quelle famose cabine blu che la polizia inglese usava molto egli anni Sessanta. Sopra di essa si leggeva Doctor Who.
Sugli scaffali erano presenti più romanzi e testi di letteratura che libri di scuola e sulle mensole sopra la scrivania c’era anche il modellino di quello che Albus le aveva detto si chiamava Millennium qualcosa.

Anche il ragazzo la attirava in qualche modo. Era l’unico dei figli di suo figlio ad aver ereditato i suoi occhi, ma era anche quello più tranquillo e silenzioso, sempre in disparte come se fosse indifferente alle cose che gli accadevano intorno ma comunque un attento osservatore. Le ricordava un po’ il suo migliore amico, Severus. Forse non era un caso che portasse anche il suo nome. 

“Ehi!” ricambiò il saluto Albus. Era sdraiato sul letto a pancia in giù e guardava qualcosa sullo schermo di quell’aggeggio babbano che avevano visto utilizzare Ginny - il computer. “Ti serve qualcosa?” le chiese. 

“Volevo capire come funziona quell’aggeggio”, gli rispose lei indicando il computer con un cenno del capo. 

“Vieni qua”, le rispose Albus portando le gambe fuori dal letto e sedendosi sul bordo col computer in grembo.
Lei obbedì docile.
“Ci sono tante cose che puoi fare con un computer”, cominciò a spiegare Albus pazientemente, smanettando col cursore. “Puoi scrivere, giocare, fare i calcoli ma la cosa più interessante che puoi fare è cercare informazioni su Internet”.
Quando il ragazzo premette su una tonda icona verde, gialla e rossa si aprì una schermata su cui si leggeva Google. 

“Qui puoi scrivere quello che vuoi e internet ti trova tutte le informazioni. Poi, ovvio, c’è talmente tanta roba che a volte è un po’ difficile orientarsi e capire cosa è falso. Che cosa ti interesserebbe cercare?” Albus alzò uno sguardo dolce su Lily e attese.
La ragazza scrollò le spalle. “Non saprei”, disse titubante. Un’enorme piattaforma disponibile in cui poter cercare tutte le informazioni che si volevano, Lily sapeva bene che cosa cercare ma non le sembrava il caso di farlo davanti ad Albus. 

“Allora, proviamo con…”. Il ragazzo ci pensò un attimo e poi scrisse. “I Beatles. Conosci i Beatles?”
“Certo, li ascoltavo quando ero più giovane”.
Albus avvicinò lo schermo a lei e le fece vedere una schermata piena di titoli e scritte.
“La fonte che di solito si usa di più è Wikipedia. Ma ci sono anche articoli di giornali o blog o siti creati dai fan. Prova tu, con questo quadrante scorri col cursore e cliccando entri nella pagina”.
Lily si accomodò il computer sulle gambe e iniziò a smanettare anche lei, lentamente. 

“Come mai conosci i Beatles? Sono un gruppo vecchio”. 

“Teddy… ehm, il nostro fratellastro, ha delle cassette e ogni tanto li mette in macchina. Ha tutte queste cassette di gruppi e cantanti del secolo scorso”. 

Lily gli sorrise poi rivolse di nuovo lo sguardo al computer. 

“Comunque, col computer ci puoi anche guardare i film, sai, come quelli che fanno in Tv”. 

“Lo so. Ho visto lo sbarco sulla luna in tv quando ero piccola”.
Ricordava ancora - con strana chiarezza - quando suo padre aveva comprato un televisore nel periodo in cui quegli apparecchi erano in voga ma non tutti se li potevano permettere e con l’intera famiglia era rimasta affascinata davanti allo schermo a fissare le immagini trasmesse dagli astronauti americani che erano andati sulla luna. Solo sua sorella Petunia sembrava l’unica a non essere troppo affascinata dalla cosa, addirittura un po’ perplessa. Petunia era sempre stata difficile.
Petunia…

Anche sua sorella era una delle tante incognite per lei in quel momento, come Piton. Ma non aveva il coraggio di chiedere nulla ad Harry. Sapeva che Piton era morto nella guerra, non sapeva i dettagli, ma solo che alla fine si era rivelato essere uno dei buoni, anzi, addirittura una delle pedine centrali per la sconfitta di Voldemort. Ma lo aveva scoperto da uno degli operatori del Ministero, non certo da Harry. 

Harry, in quei pochi giorni in cui avevano frequentato la sua casa, li aveva come… evitati. Poteva comprenderlo, certo, ma faceva male ugualmente. Faceva male tanto quanto chiedersi se fosse suo figlio. Non in senso letterale: certo che era suo figlio, era identico a James, per Morgana!, e quegli occhi li aveva visti mille volte riflettendosi nello specchio, ma alla fin fine lei di Harry non sapeva nulla. E come poteva lei, che di anni ne aveva appena ventuno, pretendere di avere qualche diritto di maternità su un uomo di quasi quarant’anni con una famiglia, una vita, dei figli e tutto il resto?

Sì, faceva dannatamente male. 

Cercò di distrarsi da quei pensieri tornando con la mente alle televisioni. Quando era piccola le piaceva guardare i programmi che facevano. Ora che ci pensava, c’era un programma della BBC che si chiamava Doctor Who, proprio come era scritto sul poster di Albus, e parlava di una specie di alieno che viaggiava nello spazio e nel tempo con una astronave a forma di cabina telefonica della polizia. Forse anche il ragazzo ne era fan. 

Quando poi era partita per Hogwarts aveva un po’ abbandonato i televisori, le lavatrici, e tutte quelle cose che avevano caratterizzato il suo mondo babbano, anche se ci tornava tutte le estati. Ma era sempre difficile riuscire a dividersi tra questi due mondi, il magico e il non magico, specie quando sono così lontani. Sposando James, in seguito, era stato ancora più difficile. James era sempre stato aperto a tutto, a ogni dispositivo o tradizione babbana lei cercasse di insegnarli, ma lui era un po’ tardo. Non stupido, ovviamente, ma un po’ duro di comprendonio. Era comunque contenta di vedere quanto in questo mondo - be’, questo tempo - le cose fossero cambiate e i due mondi non erano più così separati, non come ai suoi tempi quantomeno. 

“C’è anche internet per i maghi”, disse a un certo punto Albus facendola quasi sobbalzare. “È tipo collegato a quello dei babbani, ma solo i maghi possono accedervi. Nel senso, che se cerchi informazioni su cose riguardanti il mondo magico, tu che sei una strega puoi trovarle, ma i babbani no. Credo abbia a che fare con il nucleo magico di una persona, non so esattamente, non chiedermelo. Lo ha fatto un mago che è un genio di queste cose tecnologiche”. 

“Quindi, se scrivo Incanto Patronus su questo Google me lo trova?” 

“Esatto”. 

Lily fece un tentativo e una schermata piena di informazioni sull’incanto Patronus le comparve davanti. 

“WoW!” 

“Sì, è una cosa pazzesca”. Albus si grattò una guancia prima di alzarsi dal letto con un colpo. “Senti, vado un attimo in bagno. Tu usalo pure”. 

“Grazie”. 

Prima che Lily avesse il tempo di aggiungere qualcos’altro, il ragazzo era già scomparso oltre l’uscio. 

In realtà la ragazza era grata di quel momento di solitudine; ora poteva cercare quello che veramente le interessava. 

Scrisse “Harry James Potter” su Google e cliccò con il cursore. 

Un sacco di informazioni le comparvero davanti, come prima. Persino alcune foto che ritraevano Harry da giovane e da adulto, con Ginny e con Ron ed Hermione. Persino con altre persone che lei non riuscì a identificare. 

Cliccò su quella pagina che si chiamava Wikipedia e scorse velocemente. Descriveva abbastanza in dettaglio tutta la vita di Harry, ma aveva paura di non avere troppo tempo per leggerla. Parlava di quello che era successo la notte di Halloween del 1981, degli anni di Harry a Hogwarts, del suo rapporto stretto con Silente, dell’Ordine della Fenice e persino di un altro gruppo che si chiamava Esercito di Silente. C’era addirittura un’intera sezione che parlava del Torneo Tremaghi e di come Harry ci avesse partecipato, cosa che aveva poi portato al ritorno di Lord Voldemort. Lesse più volte persino il proprio nome e quello di James e Sirius. La pagina spiegava anche della Battaglia Finale contro Voldemort, di come Harry lo avesse ucciso. 

Tornò indietro e sfogliò ancora un po’ tra i vari siti finché non incappò in una specie di articolo che associava il nome di Harry ad abuso di droghe.
Peccato che Albus scelse proprio quel momento per tornare nella stanza e Lily dovette chiudere tutto. 

“Ti ringrazio!” gli disse, appoggiando il computer sul letto. “Non è difficile”.
“No, devi solo prenderci la mano. Se vuoi ti farò vedere altre cose”. 

“Volentieri”, disse Lily con un sorriso e, dopo aver salutato il ragazzo, lo lasciò da solo nella stanza. 

Peccato che lei non avesse la minima idea di cosa fosse una cronologia né di come si cancellasse.

 

In salotto, anche James Sirius si stava improvvisando come insegnante, peccato che non fosse bravo tanto quanto il fratello e che i suoi allievi non avessero le stesse doti di apprendimento rapido di Lily.
L’altro James e Sirius cercavano di capire come funzionasse Facebook, ma erano piuttosto confusi. 

“Andiamo sul profilo di Teddy”, esordì James con il cellulare davanti. Questo Teddy stava diventando famoso ultimamente alle loro orecchie con tutte le volte che era stato nominato da ciascuno dei membri della famiglia. Si vedeva che in quella casa era ben voluto. Be’, era il figlio di Moony dopotutto, e tanto bastava.
Nella sua foto profilo su Facebook Teddy era seduto in mezzo a quello che sembrava essere un prato - o un parco - cosparso di foglie dai colori autunnali. Indossava una giacca rossa dallo stile scozzese, sicuramente adatta alle temperature, e sulle gambe reggeva una chitarra. Esibiva una specie di sorriso quasi timido, ma dolce, sotto i capelli biondo paglia e gli occhi erano rivolti in basso per cui non si riusciva a vederne il colore. James si perse tutta la spiegazione del nipote su come funzionava quel sosial, social - o quel che è - perché troppo impegnato a cercare di distinguere in quella foto dei tratti che potessero somigliare a quelli del suo migliore amico. 
Chissà chi gli aveva fatto quella foto così poetica. 

 

Teddy sentì la portiera del passeggero aprirsi e il suo padrino mettersi comodo accanto a lui nella sua auto. 

Appoggiò il telefono nello spazio vicino alla leva del cambio e fissò gli occhi sull’enorme casa dei Potter sospirando. 

“Allora?” fece Harry guardandolo con un leggero sorriso un po’ divertito. “Nervoso?” 

Teddy voltò il capo leggermente verso di lui e gli lanciò un’occhiataccia. “Secondo te?” 

“Devo infonderti un po’ di coraggio Grifondoro? Pensavo ne avessi a sufficienza”. 

Teddy sospirò e buttò le mani sul volante. Era rimasto nascosto nella propria macchina, parcheggiata nel viale della casa del padrino, per una decina di minuti buoni, fino a che non si era deciso a inviare un messaggio ad Harry per dirgli che era lì e che non riusciva ad entrare dentro. Era nervoso, agitato, terrorizzato… al diavolo il suo essere un Grifondoro.
Dentro casa c’erano i suoi genitori - quei genitori che doveva incontrare per la prima volta dopo aver rimandato troppe volte - e probabilmente lo stavano aspettando trepidanti. Era venuto fin lì apposta, si era messo una delle poche magliette pulite che gli erano rimaste e persino un profumo che aveva trovato in fondo allo scaffale del bagno. Ma ora si sentiva stupido, con quella maglietta dei Guns’n’ Roses e il profumo che aveva rubato a uno dei suoi coinquilini.
Si stropicciò un occhio con il dito sentendo Harry ridacchiare. 

“Non hai nulla di cui preoccuparti. Non vedono l’ora di conoscerti e saranno davvero felici di incontrarti. Sono delle brave persone, davvero, Ted”. 

Teddy si voltò verso il padrino guardandolo con un’espressione da cucciolo abbandonato. Si umettò le labbra con la lingua; sentiva persino la bocca arida. 

“Lo so, lo so… è solo che… Nessuno ti prepara mai per questo”. 

Harry gli poggiò una mano sul ginocchio cercando di calmarlo in qualche modo. “Lo so, piccolo. Non puoi prepararti, puoi solo farlo e basta”.

“Tu come hai fatto? Insomma, incontrare i tuoi genitori… come ti sei preparato?” 

Harry rise. “Non mi sono affatto preparato. Non sono pronto nemmeno ora. Ogni volta che li vedo mi viene quasi un mancamento. Però… Sono comunque contento che siano qui, che possano vedere quello che ho costruito. Per fargli capire che sono riuscito a fare qualcosa di bello della mia vita per la quale loro si sono sacrificati”. 

Teddy gli sorrise dolcemente e con una maggiore convinzione nello sguardo; gli piaceva quando i discorsi tra lui e il suo padrino diventavano in qualche modo più intimi - come una sorta di confessione dei reciproci sentimenti - e aveva come l’impressione di essere lui l’unico privilegiato. Nemmeno con i suoi figli Harry si apriva a quel modo. 

“D’accordo”, disse infine il ragazzo. 

“Se vuoi li chiamo qui fuori. Così potete parlare un po’ da soli. C’è un sacco di gente dentro casa”. 

“Mi piacerebbe, sì”. 

Grazie a Merlino Harry era uno che capiva. 

“Teddy!” chiamò ad un tratto il padrino mezzo fuori dalla macchina, come se si fosse ricordato all’ultimo di un’altra cosa.
“Sì?” 

“Non dire… Non dire ancora nulla ai tuoi genitori del tuo… Sì, insomma, della tua licantropia. Tuo padre ancora non lo sa e ho paura che potrebbe non prenderla bene”. 

Il ragazzo esitò per qualche istante poi annuì, gli occhi fissi davanti a sé. “Okay”.

Harry allora uscì dall’auto, seguito dal figlioccio che rimase leggermente più indietro. Poi Harry rientrò di nuovo verso casa e il suo sguardo vagò per la stanza finché non si poggiò su Remus e Tonks che se ne stavano più lontani dalla confusione che facevano i suoi figli con James e Sirius. 

I due capirono immediatamente che Harry voleva qualcosa e si avvicinarono.
“Potete venire un attimo qua fuori?” fece il moro senza aggiungere altro.
Remus e Tonks si guardarono leggermente preoccupati ma seguirono con calma Harry verso l’uscita. Potter spalancò la porta e si spostò dall’uscio per farli passare. 

Un ragazzo piuttosto alto comparve alla loro vista, fermo sui gradini del portico della casa, una mano appoggiata alla ringhiera e un sorriso un po’ timido e vagamente impaurito sul volto. 

“Ciao”, li salutò lui con voce bassa. 

“Vi lascio soli”, disse Harry rientrando velocemente in casa. 

Remus e Tonks lo osservarono per un po’, il fisico slanciato e sottile, coperto da un paio di jeans chiari e una maglietta nera con il logo e il nome di una band che Tonks conosceva molto bene. Aveva i capelli biondo cenere, corti, ma leggermente mossi, con alcune ciocche che gli coprivano la fronte sopra un paio di occhi di un colore particolare, marrone chiaro che rasentava il caramello. Ma quello che li incantò di più fu il sorriso, un sorriso dolce che faceva spazio a un paio di piccole fossette sulle guance che lo ringiovanivano ancora di più, e a un paio di canini leggermente più lunghi e appuntiti rispetto al normale. 

“Teddy”, sussurrò Tonks con voce spezzata, guardando il ragazzo con occhi spalancati. 

“Sì”, rispose lui titubante, indeciso se avvicinarsi o meno; i suoi piedi sembravano essere incollati al pavimento, ma la sua testa voleva fare tutt’altro e quindi esitava in equilibrio precario vicino alle piante di Ginny. 

“Quanto sei bello”, disse ancora Tonks, ora davvero sull’orlo delle lacrime. “Posso abbracciarti?” 

“Sì”, rispose nuovamente Teddy, incapace di dire qualsiasi altra cosa. Fu Tonks a superare quei pochi passi che li separavano e a stringere il figlio in un abbraccio stretto. Il ragazzo era decisamente alto, lei gli arrivava al petto e lui poteva tranquillamente appoggiarle il mento sulla testa. Invece si piegò per poter affondare il naso nel suo collo e inspirarne il profumo dolce. Tonks fece altrettanto e rimase quasi scossa quando notò quanto l’odore di Teddy le ricordasse quello di Remus. 

Teddy di abbracci nella sua vita ne aveva ricevuti tanti, da sua nonna, da Harry, dagli amici e da Vicky. Ma essere abbracciati dalla propria madre, quella che non si è mai conosciuta, è qualcosa che non avrebbe saputo descrivere. Stava provando tutta una serie di emozioni che gli diedero una sensazione di leggero mancamento. In primis, felicità. Poi... poi alzò lo sguardo da sopra la spalla della madre e incontrò il viso sorridente di suo padre. I suoi genitori erano esattamente come Teddy li aveva conosciuti in foto. 

“Papà”, sussurrò il ragazzo sentendo le lacrime pungere. Si stava sforzando di non piangere ma era una vera impresa; maledisse il suo carattere sensibile. 

Remus annuí leggermente, ancora fermo vicino alla porta. Poi Tonks lasciò andare il figlio e si spostò per fare spazio al marito che non attese un ulteriore secondo e lo strinse anche lui forte al proprio petto con le proprie braccia più grosse. I due erano della stessa altezza e fu più facile per Teddy nascondere il viso nell’incavo del collo del padre e lasciar andare le lacrime. Rimasero stretti così per qualche istante in più, in silenzio, come se si fossero dimenticati di tutto ciò che li circondava. Forse Remus si era accorto della commozione del figlio - il suo respiro pesante contro la sua pelle e quei singhiozzi che cercava di nascondere malamente non lo ingannavano - e voleva dargli qualche minuto in più per ricomporsi. 

Quando si separarono, Teddy tirò su col naso; i suoi occhi erano asciutti anche se arrossati. 

“Ti va se ci sediamo un attimo qua così parliamo?” chiese Tonks che sentiva le gambe molli e stava per cedere alle lacrime anche lei. Si avvicinò alla panchina posta vicino alla porta d’ingresso e si lasciò quasi cadere. Remus e Teddy la seguirono. 

“Allora?” fece lei in tono trepidante, prendendo le mani del figlio nelle proprie, e nel farlo sfiorò un sottile braccialetto con un ciondolo a forma di testa di lupo legato al polso del ragazzo, seduto in mezzo ai genitori. 

“La nonna ci ha detto che studi medicina”, disse Tonks.

“Si”. 

“Ed eri un Grifondoro”. 

“Si”. 

Forza, Teddy, sai dire qualche parola in più. 

Teddy voleva maledirsi da solo per quella sua improvvisa perdita di loquacità. Ma si sentiva incredibilmente a disagio. Tonks non smetteva di fissarlo, troppo incantata da quanto suo figlio fosse bello con quel viso così pulito e giovane, senza alcuna cicatrice che glielo deturpasse come al padre. Perché di certo era questo il pensiero di Remus, il fatto che a suo figlio fosse stata risparmiata la maledizione della luna che tutti i mesi lo obbligava a trasformarsi in un orribile mostro assetato di sangue, capace di fare del male a sé stesso e agli altri. Teddy non era così; il suo volto rifletteva soltanto una giovinezza leggera e spensierata. 

“Ti piacciono i Guns’n’ Roses”, disse a un certo punto Tonks notando la maglietta del ragazzo. 

Teddy sorrise. “Sì. Ho delle cassette a casa”.

“Li ascoltavo quando ero più giovane”. 

“Lo so. Credo che le cassette siano tue. Me le ha date la nonna”. 

Tonks gli sorrise raggiante mettendo in mostra tutto il suo essere di ragazzina e Teddy ebbe quasi un fremito quando si accorse quanto giovane fosse sua madre. Essendo tornata con l’età di quando era morta, teoricamente ora doveva essere solo qualche anno più vecchia di lui. Era completamente folle. Nemmeno suo padre era particolarmente vecchio ma quantomeno era ben più vecchio di lui. 

Sua nonna gli aveva detto che sua madre era molto giovane quando era morta nella Battaglia e che aveva più di una decina di anni in meno rispetto a suo padre, ma Teddy non ci aveva mai pensato concretamente, in termini numerici. Dopotutto, aveva sempre vissuto i propri genitori come delle figure astratte che aveva idolatrato a un certo punto della sua vita. Ma non era mai riuscito a concretizzarli davvero nella sua testa, nemmeno con l’aiuto delle foto. 

“Vogliamo sapere tutto di te. Cosa ti piace, cosa non ti piace, qual è il tuo piatto preferito”, disse Remus chinandosi in avanti per guardare meglio il viso del figlio. 

Teddy ridacchiò. “Ci vorrà un po’ di tempo”. 

“Ci prenderemo tutto il tempo di questo mondo”.

“D’accordo”. annuì il ragazzo stringendo di più la presa sulle mani della madre - forse senza quasi accorgersene, finalmente potendo godere di un contatto che non si era nemmeno accorto gli mancasse - e i genitori poterono finalmente assaggiare la voce del ragazzo, non più frantumata da lacrime o singhiozzi; era una voce chiara e fresca, giovane come tutto il resto della sua apparenza. 

 

I Lupin avevano perso qualsiasi cognizione di tempo e non potevano esattamente dire quanto fossero rimasti fuori sul portico, ma quando rientrarono vennero accolti da una serie di sorrisi cordiali. Teddy adocchio la nonna seduta al tavolo che gli fece subito l’occhiolino al che lui le sorrise impercettibilmente. Solo chi non conosceva il ragazzo appena arrivato, esitò con uno sguardo incuriosito sulla sua figura, ma capirono subito di chi si doveva trattare a giudicare dalle espressioni felici di Remus e Tonks. 

“Teddy!” sentirono a un tratto Lily Luna esclamare e la bimba gli corse subito incontro in uno svolazzo dei capelli rossi. 

“Ehi, Puzzola!” la salutò il ragazzo chinandosi per lasciarle un buffetto sul naso. “Ti sei di nuovo sbucciata le ginocchia?”

Lily scrollò le spalle con nonchalance. Le sue ginocchia sbucciate ormai erano parte del suo aspetto fisico. 

“Teddy, ti fermi a cena con noi?” gli chiese Harry con un sorriso, in piedi vicino al frigo. 

Teddy esitò, vagando con lo sguardo su tutti i presenti che sembravano pendere da una sua risposta, e poi rispose: “Ahem... okay”. 

“Birra?” gli chiese ancora il padrino passandogli una birra in mano prima che il ragazzo avesse il tempo di rispondere. Ma Teddy la afferrò come se non avesse atteso altro; aveva decisamente bisogno di alleggerire quella serata con dell’alcol. 

“Quindi tu sei il famoso Teddy?” gli chiese un uomo dai capelli scuri legati in un piccolo codino, gli occhi grigio azzurri e il pizzetto. Teddy lo riconobbe subito. 

“E tu devi essere...”. Ritorse subito esitando un istante sul nome. “Sirius”. 

Sirius si aprì in un sorriso sorpreso e compiaciuto. “Vedo che il ragazzo è preparato”, disse guardando verso gli amici. 

“Ovvio. Deve aver preso l’intelligenza da Moony”, pronunciò un’altra voce e Teddy individuò un giovane tizio quasi identico al suo padrino e ai suoi due figli, solo che questa versione portava gli occhiali tondi. 

James Potter. E quella vicino a lui doveva essere Lily Evans. 

“Ehi!” si lamentò Tonks dando un pugno sulla spalla di James mentre gli passava vicino. “Cosa sono io? Stupida?”

“Tu hai altre qualità, cugina”, la prese in giro Sirius pizzicandola sui fianchi perché si spostasse per permettergli di riappropriarsi della propria sedia. 

Teddy si fece posto vicino ad Albus, di fronte a quella che aveva riconosciuto come la madre del suo padrino che lo stava scrutando con uno strano sguardo che il ragazzo non riusciva a decifrare. 

In quel momento dei rumorosi passi si sentirono scendere velocemente le scale - come una mandria di Thestral - e una zazzera spettinata fece capolino in sala da pranzo. 

“Teddy Bear!” esclamò la voce di Jim che sfoggiava uno dei suoi soliti ghigni da cretino. “Finalmente ci fai l’onore di venirci a trovare”. 

“Non farmene pentire, James”. 

Jim ridacchiò e prese posto accanto alla sorella, quasi di fronte a Teddy.
Il resto della tavolata continuò a parlare del più e del meno, a passarsi il cibo e a prendere da bere, quando il maggiore dei fratelli Potter - che aveva preso a giocherellare con una forchetta - esclamò tutto ad un tratto, guardando in direzione del giovane Lupin.

“Vedi, Teddy, questa è una forchetta”. Sventolò l’utensile di fronte all’altro prima di poggiarlo sulla tovaglia. “E ora è posata”. 

Ci furono diversi istanti di totale silenzio - come se il tempo si fosse bloccato - prima che quasi tutti i presenti scoppiassero a ridere, soprattutto Sirius e l’altro James, seduti vicino dall’altra parte della tavolata. Harry e Ginny alzarono gli occhi al cielo celando un sorrisetto e Albus si batté una mano sulla fronte. 

“Per i coglioni pelosi di Merlino! Non posso crederci che lo ha detto veramente”. 

“Dai, era divertente. Lo devi ammettere, Teddy”. 

Tutti gli occhi si voltarono su Teddy che aveva stretto le labbra in una linea sottile e guardava il ragazzo con una certa gravità. Poi abbassò lo sguardo, si umettò le labbra, si schiarì la gola e disse: “Lo sentì questo suono, James?” 

James scosse la testa, gli occhi spalancati su Teddy. 

“È il suono che fanno i tuoi neuroni mentre si suicidano”. 

Altro scroscio di risate, questa volta più forti. Anche James Sirius rise, a bocca aperta e per nulla offeso. Il suo rapporto con Teddy era fatto di battute stupide e insulti, ma si volevano un bene dell’anima - anche se non se lo dicevamo mai -. Teddy voleva bene a tutti i figli del suo padrino e ad ognuno di loro voleva bene in modo differente, ma con James aveva questo legame particolare per cui i due sembrava che battibecassero sempre ma in realtà era solo il loro modo di dimostrarsi affetto. In particolare, quella sera, Teddy era grato a James per quelle battute e quell’occasione che gli offriva per prenderlo in giro perché lo aiutava a stendere i nervi. Era felice di aver incontrato i genitori ma era anche incredibilmente teso. 

“Allora, Ted, come è andata a Cardiff?” gli chiese Andromeda a un certo punto, deviando l’attenzione da James. 

“Bene”, rispose il ragazzo servendosi del purè. “Un po’ noioso a dire il vero”. 

“Cosa ci facevi a Cardiff?” gli chiese Lily. 

“C’era una conferenza sulle cellule staminali nel loro ospedale babbano”, rispose il ragazzo con nonchalance, ma quando si accorse di alcune occhiate confuse si affrettò a spiegare. “Si trovano nel corpo umano e quelle staminali hanno la particolarità di poter curare alcune malattie, come il cancro. Ma c’è ancora molto studio da fare”. 

Teddy non era sicuro quanto avessero capito, ma li vide annuire affascinati. 

“Sei un guaritore, quindi”, disse Sirius. 

“Medimago”, lo corresse Teddy. “I guaritori sono un gradino più in basso”, fece delle virgolette in aria su quell’ultima frase. “Nel senso che hanno meno studi da fare e non possono fare certi tipi di operazioni. Ma possono somministrare farmaci”. 

“WoW”!” esclamò James abbastanza stupito, ma in fondo era il figlio di Moony, non potevano aspettarsi di meno. 

“Teddy è un genio”, si intromise a quel punto Andromeda e il nipote la guardò con un sopracciglio alzato. Non era abituato ai complimenti di sua nonna; non che non gliene facesse, però non li faceva mai a caso. Il ragazzo immaginò che la presenza dei suoi genitori cambiasse un po’ le carte in tavola. 

“Ha preso tuti E nei suoi M.A.G.O. ed ha ottenuto uno dei punteggi più alti nei test di ingresso di Medimagia”. 

Teddy arrossì leggermente all’altezza degli zigomi e abbassò lo sguardo sul suo piatto imbarazzato. I suoi capelli improvvisamente cambiarono colore tingendosi di un rosso quasi rosato. 

“Sei un Metamorfomagus!” esclamò Sirius. “Quindi hai preso solo i migliori tratti dei tuoi genitori”. 

Se possibile Ted si imbarazzò ancora di più ma il suo sguardo indugiò quasi impercettibilmente sul padre mentre le parole di Harry gli risuonavano ancora nelle orecchie - che lui non avrebbe preso bene la sua forma di licantropia. Aveva sempre saputo che Remus era un lupo mannaro, non glielo avevano mai tenuto nascosto perché era uno dei tratti che lo caratterizzavano e che lo avevano reso l’uomo che era e Teddy non lo aveva certo amato di meno, né provato meno stima per lui. Dopotutto, era cresciuto in una famiglia che aveva accettato e accettava un sacco di cose e non discriminava mai nessuno. Ma nessuno si era mai aspettato che alla fine anche Teddy avrebbe contratto quel morbo, nemmeno Teddy lo aveva messo in conto. 

Come lo avrebbe detto al padre? Quel padre che non era mai riuscito ad accettare la propria condizione e che aveva avuto paura che potesse esserne infetto anche lui. Alla fine le sue paure si erano concretizzate. Come avrebbe rivelato una cosa del genere? 

“Il nostro Teddy ha tante doti”, concluse James Sirius alzandosi dalla sedia dopo aver svuotato il suo piatto. 

 

La cena proseguì fino al dessert e un altro paio di birre aperte per ciascuno. Albus e Lily si erano ritirati sul divano a giocare ai videogiochi mentre James Sirius si alternava tra loro e il tavolo e aveva già divorato due fette di torta, a cui Ginny aveva messo del dolcificante piuttosto che lo zucchero. 

Teddy raccontò del suo lavoro come Medimago - anche se era ancora uno specializzando -, di come la medicina magica avesse iniziato a sperimentare con la medicina babbana, dato che ora sempre più babbani venivano a conoscenza del mondo magico e alcuni Medimagi, figli di babbani o medici babbani con parenti maghi erano in contatto con gli ospedali magici, tra cui il San Mungo e si era deciso di provare a unire le due discipline. Alcune malattie babbane potevano essere curate con pozioni o incantesimi, mentre diversi maghi si ammalavano di malattie più “comuni” nei babbani ed entrambi si potevano aiutare a vicenda. Ovviamente senza infrangere lo Statuto di segretezza che comunque vigeva ancora. 

Teddy era piuttosto interessato a questo tipo di medicina, anche se ancora non era certo di quale sarebbe stata la sua scelta per la specializzazione. Gli piaceva anche la ricerca; scoprire qualcosa di fenomenale che avrebbe potuto aiutare molte persone lo attirava, ma era un lavoro troppo statico per i suoi gusti ed era più facile fallire in quell’ambito e dover ricominciare da capo. Invece si divertiva di più nel reparto delle emergenze dove si lasciava trascinare dall’adrenalina. Una volta, al primo anno, aveva fatto un turno di 25 ore in cui non aveva quasi dormito, se non un paio d’ore nelle stanzette adibite. 

“Come hai fatto?” gli chiese Lily che non aveva idea di come una persona potesse non dormire per 25 ore di fila. Lei era una persona mattiniera e non le piaceva rotolarsi troppo nel letto, ma aveva comunque bisogno del suo sonno.

Teddy scrollò le spalle. “Diciamo che quando stai soccorrendo un paziente dissanguato non ci pensi. E poi, l’adrenalina e il caffè aiutano”. 

Avrebbe potuto tranquillamente dire che alle volte l’adrenalina e il caffè erano la sua dieta, non perdeva molto tempo nel farsi da mangiare o nel mangiare. Di sicuro i suoi pasti non erano mai abbondanti come quando andava dalla nonna, da Harry o da Molly.

“E ce l’hai la ragazza?” gli chiese a un certo punto Sirius ammiccando. “O il ragazzo”. 

Teddy sogghignò. “Sì. Si chiama Vicky”. 

“Victoire. È la figlia di Bill e Fleur”, aggiunse Harry.

“E quindi hanno avuto una figlia”, fece Remus. 

“Tre a dire il vero”, lo corresse Ginny. “Due figlie e un figlio. Vicky è la maggiore. Poi c’è Dominique e infine Louis”.

“Chi è Fleur?” chiese Sirius. 

“Ti ricordi la ragazza di Beauxbatons che ha gareggiato con me al Torneo Tremaghi?” fece Harry. 

“Quella bionda? La Veela?” 

“Proprio lei”, rispose Ginny. “Lei e Bill si erano conosciuti quell’anno ma Fleur era tornata in Francia. Un paio di anni dopo però è tornata a Londra e lei e mio fratello hanno iniziato a frequentarsi”. 

“E dimmi un po’, Vicky ha ereditato le stesse fattezze di sua madre?” chiese di nuovo Black rivolgendosi di nuovo a Teddy e, se possibile, ammiccando ancora di più. 

Teddy non sapeva esattamente cosa rispondere. Non voleva blaterare in giro di quanto la sua ragazza fosse bella - cosa vera e poteva dirlo senza essere di parte - ma doveva anche in qualche modo renderle onore. Vicky era tante cose per lui, molto più che una bella ragazza con sangue di Veela. 

“Perché non gli fai vedere quelle foto?” disse a un tratto Jim con uno stuzzicadenti stretto tra i denti, passandosi una mano tra i capelli scombinati. 

“Che foto?” 

Harry ridacchiò. “Appena è diventata maggiorenne, Vicky ha fatto delle foto per una collezione di intimo. Ovviamente non lo ha detto a nessuno. Lo abbiamo scoperto quando il danno era ormai stato fatto”.  

“Immagino che Bill sia stato molto felice”, fece Tonks. 

“In realtà mio fratello l’ha presa con filosofia. Quella che si è arrabbiata di più è stata Fleur”. 

Bill era un padre bonaccione, che poteva incutere timore per le sue cicatrici e le spalle larghe- e questo Teddy lo sapeva bene - ma in realtà era dolce come un pane. Qualcuno avrebbe potuto dire che fosse un padre permissivo, ma la verità era che semplicemente sapeva ascoltare e aveva un ottimo rapporto coi figli, per cui si fidava lasciando fare loro quello che si sentivano di fare assicurandosi che sapessero sempre di potersi rivolgere a lui in caso di problemi. 

“Comunque è lei”, disse James passando agli ospiti il proprio telefono per mostrare le foto della cugina. 

Gli altri le guardarono con stupore e una certa meraviglia. Nessuno avrebbe potuto dire che quella ragazza - che fissava l’obiettivo con due occhi azzurri come il cielo e sembrava volesse penetrarti l’anima - fosse brutta. Le foto erano tutte statiche - babbane - e tutte la mostravano in biancheria intima di vario tipo e di vari colori. I capelli lunghi e biondi incorniciavano un volto perfetto, dai zigomi evidenti ma non troppo pronunciati e le labbra gonfie al punto giusto, proporzionate. Non era truccata ma completamente al naturale. Probabilmente non c’era nemmeno stato bisogno di modificarle. C’era persino una foto ritraeva due perfette natiche rotonde vestite solo di un paio di mutandine sottili che non avrebbero fatto alcuna differenza anche se non ci fossero state. Le braccia erano piegate dietro la nuca a tenere su i capelli.

James fischiò in approvazione e si beccò un’occhiataccia da Lily, però pure lei dovette ammettere che la giovane Weasley fosse bella.

“Bel colpo, ragazzo!” disse Sirius a Teddy facendolo ridere. 

“E da quanto state insieme?” gli chiese Remus dolcemente. 

“Quasi sei anni”. 

“Però! È tanto tempo”, commentò Lily. Era parecchio più tempo rispetto a quello che avevano avuto lei e James prima di sposarsi o... Be’, stare insieme. E lo stesso valeva per Remus e Tonks. I due ragazzi avevano sicuramente tempo di godersi la loro storia d’amore.

“Ce la farai conoscere?” gli chiese Tonks guardandolo intensamente coi suoi grandi occhi marroni. 

Il ragazzo annuì. “Certo”. 

La cena arrivò alla sua conclusione e Teddy infine dovette farsi forza e ritirarsi perché il giorno dopo doveva cominciare a lavorare presto e aveva bisogno di smaltire quelle tre birre prima del turno. Erano tutti dispiaciuti di vederlo andare via, ma il giovane Lupin promise che sarebbe tornato presto. Una volta salito in macchina, Teddy lasciò andare un sospiro. Nonostante tutta la tensione,  doveva ammettere a sé stesso che era felice, felice soprattutto di quel sorriso pieno di orgoglio col quale i suoi genitori lo avevano guardato per tutta la sera. 

 

Mentre guidava con calma verso casa propria, sul punto in cui la strada si divideva a un bivio, Teddy decise che prima di rannicchiarsi sotto le coperte avrebbe fatto una deviazione. Tanto avrebbe fatto comunque fatica ad addormentarsi, vista l’emozione accumulata durante la serata.

Quindi, arrivato alla sua destinazione improvvisata, parcheggiò la macchina non troppo vicino a Villa Conchiglia in modo da non essere visto, e a piedi si diresse verso l’abitazione di Bill e Fleur. Era sicuro che i due stessero dormendo, ma era abbastanza certo che Vicky sarebbe stata sveglia. Oppure sua sorella e lei di certo lo avrebbe fatto entrare. Cercando di essere meno rumoroso possibile, si materializzò sopra il terrazzo della stanza della ragazza e guardò dentro attraverso le tende spalancate. Come sospettava, era sveglia. Stava ferma in piedi di fronte a una pianola, impegnata probabilmente - come suo solito - a comporre qualche canzone o a fare qualche cover. 

Bussò al vetro ma lei non gli badò. Se aveva silenziato la stanza per non disturbare la famiglia non lo avrebbe mai sentito. Perciò rimase lì in piedi a osservarla, con lo sguardo intenerito - come se fossero ancora agli inizi della loro relazione e lui fosse innamorato perso, ma lei gli faceva sempre questo effetto e lui innamorato perso lo era - e aspettò che lei alzasse lo sguardo e lo vedesse.

Per fortuna non dovette aspettare tanto. Vicky alzò lo sguardo e Teddy la vide sobbalzare trovandoselo lì davanti. Ma si ricompose subito e andò ad aprirgli la portafinestra. 

“Che ci fai qui?” gli chiese lei mentre il ragazzo scavalcava agilmente il piccolo gradino che separava il terrazzo dalla camera da letto. 

“Avevo bisogno di vederti”, le rispose lui con voce bassa e subito le prese il volto tra le mani per baciarla.
Vicky lo lasciò fare ma si ritrasse poco dopo leggermente confusa; il bacio non era stato irruente, ma non era da Teddy lasciarsi andare in quei gesti. “Che succede, Teds?” gli chiese la ragazza guardandolo, stavolta, preoccupata. 

“Ho incontrato i miei genitori”, sospirò lui; cercava di mostrarsi il più tranquillo e indifferente possibile, ma faticava a nascondere il sorriso ebete che gli si era stampato in faccia. 

Vicky sbatté un paio di volte le palpebre come se dovesse mandare giù la notizia. Poi si aprì in un sorriso radioso. “Finalmente! E come è andata?” Andò vero il letto e si sedette appoggiata al cuscino, le ginocchia piegate sotto il sedere.
Teddy la imitò e si accomodò di fronte a lei con le gambe incrociate. 

“Bene”, esalò il ragazzo fissando gli occhi sulla coperta. Non sapeva esattamente cosa dire. Era venuto lì perché non poteva tenersi tutto dentro - e Vicky era un’ottima candidata per ovvie ragioni - ma ora era a corto di parole. Come poteva spiegare quello che provava? “Bene. Sì, insomma… Bene”. 

“Teddy”, fece lei senza nascondere una risata. 

“Voglio dire… Sono come me li immaginavo, come li ho visti nelle foto. Anzi, meglio. Mia madre è davvero bella e spiritosa e mio padre è gentile e… Mi ricorda un po’ tuo padre, sai, per le cicatrici”.
Vicky gli sorrise prendendogli una mano tra le proprie e massaggiandogli il dorso col pollice.
“E di cosa avete parlato?” 

“Di tante cose. Del mio lavoro, di quello che faccio… anche di te”. 

Questa volta la ragazza sorrise con leggero imbarazzo ma senza perdere la contentezza mostrata prima. Era davvero felice per Teddy.
“Vorrebbero conoscerti”. 

Lei annuì. “Certo”. 

Teddy si ritrasse all’improvviso e girò lo sguardo verso la porta come se volesse assicurarsi che nessuno stesse arrivando. Poi tornò a guardare Vicky e le sorrise malizioso. “Hai silenziato la stanza?” 

“Sì”. 

Con calma e senza mai perdere il contatto visivo con lei, Teddy le andò incontro carponi e si allungò per baciarle il collo. Vicky indossava solo una maglietta corta e le mutandine e fu facile togliere tutto. Teddy, dal canto suo, non ci metteva mai troppo a spogliarsi.

 

*** 

 

Eccomi qui e con un capitolo parecchio lungo. Spero lo abbiate apprezzato. Devo dire che mi è piaciuto molto scrivere dell’incontro tra i Lupin, mi sono commossa io stessa più volte. Non vedevo l’ora di farvelo leggere.
Quindi fatemi sapere che ne pensate. 

 

A domenica prossima,

C.

 

   
 
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