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Autore: Sandie    24/09/2019    3 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXV

 

Scontri e disillusioni

 

 

 

Una delle prime cose che Elena fece al suo ritorno a Roma, dopo la breve ma meravigliosa parentesi a Madrid, fu chiamare Shiori, come si era ripromessa.

La sua amica d'infanzia le aveva risposto con un tono di voce dapprima titubante, poi sempre più aperto e allegro. Si erano parlate per il tempo necessario a darsi appuntamento davanti alla loro palestra per l'indomani, nel pomeriggio.

 

La vide seduta sulla cima della scalinata antistante l'entrata del complesso sportivo, mentre scorreva, un po' annoiata, un dito sul suo smartphone.

Aveva appena messo piede sul primo gradino quando Shiori aveva alzato la testa.

Elena sorrise e con pochi, rapidi passi la raggiunse.

Si guardarono e si sorrisero. Si abbracciarono.

«Da quanto non fai ginnastica?» le chiese, semplicemente, come se si fossero viste per l'ultima volta pochi giorni prima.

«Da due mesi almeno.»

Dal suo rientro in Italia. Quanto le mancava …

«Andiamo a divertirci allora, come ai vecchi tempi!»

«Non vedo l'ora.»

 

«Elena, sei più brava adesso che prima dell'infortunio!» fu il sincero complimento che la giovane italo-giapponese le rivolse, dopo aver passato buona parte del pomeriggio a improvvisare esercizi.

Erano sedute sulla pedana, con ancora addosso le canottiere e i pantaloncini chiazzati, così come alcune parti del corpo, di polvere di magnesio.

«Grazie Shiori. Anche tu sei sempre bravissima.»

L'amica inclinò la testa.

«Dai, ora raccontami un po' della tua esperienza in Giappone. Ci sei stata più tu che io in tutta la mia vita.»

Elena la accontentò, mentre si alzavano dalla pedana e si avviavano verso lo spogliatoio.

 

«Hai fatto bene ad ascoltare tuo zio. Si vede che c'è una luce diversa nei tuoi occhi.»

Dopo aver fatto la doccia ed essersi cambiate, erano uscite dallo spogliatoio ed erano tornate nel perimetro in cui per tanti anni si erano allenate insieme.

Elena fece un cenno d'assenso. Il sorriso indugiò sulle sue labbra, al punto che a Shiori venne spontaneo chiederle se c'era qualcosa che tentennava a dire.

«Ho conosciuto un ragazzo. È giapponese, ma vive in Germania. E ora … stiamo insieme.» le confidò.

«State insieme?»

Un lampo di stupore passò negli occhi della ragazza e a Elena non sfuggì.

«Sì. Da poco prima del mio ritorno.» si strinse nelle spalle.

Dentro di sé avvertiva una sensazione sgradevole … quello sguardo, le sapeva di rimprovero.

«Così se riesci a entrare alla LMU, potrete frequentarvi con assiduità.» commentò, con un sorriso che agli occhi di Elena sembrava troppo tirato per essere sincero.

«Già … sarebbe importante, per consolidare il nostro rapporto e vedere se può funzionare.»

Shiori parlò di nuovo dopo alcuni istanti di esitazione. «Beh, prima o poi sarebbe accaduto. Certo, è passato relativamente poco tempo.»

«Shiori, Gianluca non è morto. Ha avuto un gravissimo incidente ma mi ha voluta allontanare da sé. E io, dopo mesi di depressione, ho deciso di riprendermi la mia vita. Non pensavo a un nuovo legame, figurati. Ma quando si cambia vita, si conoscono anche tante persone. E può capitare anche di incontrarne una che poi diventa speciale. E a me è successo.» spiegò.

Nel frattempo, erano uscite dal complesso sportivo e ora si trovavano nella strada antistante.

Le giornate stavano cominciando ad accorciarsi, e la luce del sole stava assumendo sfumature rossastre.

Shiori annuì lentamente, poi guardò il suo orologio da polso.

«Si è fatto tardi, a casa mi staranno aspettando per la cena. Ci sentiamo, prima che tu parta per Monaco.»

Elena assentì. Si salutarono e si avviarono ognuna verso la rispettiva abitazione, con la sensazione che qualcosa si fosse incrinato tra loro.

 

Nella tarda mattinata del giorno seguente, Angelina arrivò alla stazione di Roma Termini insieme a Mattias, il suo fidanzato. Erano già stati a Torino e poi a Milano, dove lui aveva concluso degli affari per l'azienda di Monaco per la quale lavorava.

Ora gli rimaneva l'ultimo, proprio a Roma, dove aveva programmato di fermarsi per tre giorni.

Poi lui e Angelina sarebbero rimasti in Italia, per trascorrere due settimane di vacanza sulla Costiera Amalfitana.

Elena li salutò entrambi con calore.

Ormai stavano insieme da tre anni ed erano una coppia affiatata.

 

Le due cugine decisero di passare il pomeriggio sulla spiaggia di Ostia, dove Elena provò a impartire alcuni rudimenti di ginnastica ad Angelina.

«Dai, vediamo se ti ricordi come si fa!» disse la più giovane delle due, con le mani strette attorno ai polpacci dell'altra.

«Ah, no! Sono passati anni, non riesco nemmeno più a tirarmi su!»

«Devi sollevare il peso del tuo corpo, Angelina!»

La ragazza, seppure a fatica, riuscì a compiere una verticale un po' traballante.

«E ora prova a stare in equilibrio!» la esortò Elena, staccando le mani dalle caviglie della cugina, che rimasta priva di sostegno, cadde in avanti con un tonfo, ritrovandosi distesa sulla sabbia a pancia in su.

«Ehi, ma sei impazzita?» protestò, irritata.

«Sei sempre una frana, Angelina!» rise.

«Ah, se ti prendo …!» disse, scrollandosi la sabbia dalle gambe e mettendosi a rincorrerla, tra gli scoppi di risa di entrambe.

 

«Ieri ho rincontrato Shiori.» le confidò, sedute sulla sabbia fine e scura del litorale, a contemplare l'andirivieni delle onde del mare, sospinte da un vento calmo.

Si erano avvicinate al bagnasciuga, abbastanza da sentire l'acqua fredda lambire i loro piedi.

«La tua amica della scuola di ginnastica? Avete fatto pace?»

Elena diede un'alzata di spalle. «Così mi era sembrato. Ma quando le ho detto che ho cominciato una storia con un altro ragazzo, ha avuto un atteggiamento più freddo. Mi ha detto che ci sentiamo, ma sono sicura che in realtà non intende rivedermi.»

Sospirò, con una piccola smorfia. Angelina la guardò senza intervenire.

«Ho avvertito un po' di impaccio tra noi, specie dopo che le ho detto che ho intenzione di trasferirmi in Germania, dove abita anche lui. È diventata più rigida … come se pensasse che stessi facendo un torto a Gianluca.»

«Era inevitabile che prima o poi ti saresti innamorata di qualcuno, a meno che tu non decidessi di farti monaca.»

Elena fece un mezzo sorriso.

«Purtroppo capita che le amicizie, anche quando sono lunghe e di vecchia data, finiscano … e che le strade si dividano. L'importante è andare avanti e ricordarsi che per una persona perduta se ne possono conoscere tante altre. Ed è quello che è capitato a te.» le ricordò Angelina.

«Piuttosto, raccontami qualcosa di questo ragazzo. È giapponese?»

Sua cugina era una delle poche persone di cui si fidava completamente, era sempre stata una specie di sorella maggiore per lei. A lei poteva raccontare tutto.

«Lo conosci, almeno di fama.»

Angelina alzò un sopracciglio. «Come, di fama? Mica sarà quel ginnasta, come si chiama … Uchimura?»

Elena sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.

«No, purtroppo non l'ho incontrato … però hai pescato nel settore giusto, perché è uno sportivo.» rispose, sibillina.

«Mah … hai detto che vive in Germania … mi viene in mente solo il portiere dell'Amburgo, Wakabayashi.» spalancò gli occhi. «No, non posso crederci … Wakabayashi?»

Elena annuì più volte, senza trattenere un gran sorriso.

«Accidenti … no dai, non è possibile.»

Elena, senza smettere di sorridere, le mostrò le fotografie scattate a Madrid e memorizzate nel suo smartphone.

«È proprio lui!» esclamò Angelina, sempre più stupita. «Ma da quanto vi conoscete? Non mi hai mai raccontato nulla!»

«A Nankatsu  vivono anche alcuni giocatori della Nazionale Olimpica, che in quel periodo stavano disputando le qualificazioni. C'era anche Taro, il ragazzo che ho conosciuto sei anni fa. Genzo faceva allenamenti di kickboxing con lo zio, così ci incontravamo spesso.»

«E da cosa nasce cosa.» concluse Angelina, con un sorriso.

«Siamo ancora all'inizio, servirà tempo per capire se può funzionare. Ma voglio provarci.»

«Lui com'è? Ha sempre un'espressione seria in foto, ma da alcune interviste mi è sembrato dotato di una certa ironia.»

«Lo è. Poi certo, è un ragazzo riflessivo e accorto, spesso sembra più vecchio dei suoi vent'anni, ma sa anche essere spiritoso.»

«Ed è anche bello.» aggiunse Angelina, strizzandole un occhio.

Elena fece un cenno d'assenso, senza trattenere l'ennesimo sorriso.

«Però vedi … a volte mi sento ancora colpevole.» le confessò, tornando seria.

«E perché?»

«Genzo è un ragazzo forte, robusto, vigoroso. È quanto di più sano potrebbe desiderare di essere un uomo ….»

«Fammi capire … se ti fossi innamorata di un altro disabile ti sentiresti meno in colpa?»

Elena sgranò gli occhi e la guardò interdetta. Angelina sorrise.

«Ti rendi conto delle stupidaggini che dici?» la rimproverò bonariamente.

«Elena, a diciannove anni la vita è ancora tutta da vivere. Deve averlo pensato anche Gianluca … dal suo punto di vista, costringerti a occuparti di lui era come condannarti a una prigionia.»

Elena ristette per alcuni istanti, perplessa.

«E chi ti dice che non l'abbia fatto perché non si fidava di me?»

«Non ne sono sicura, infatti. Forse è l'affetto che provo nei tuoi confronti, ma il fatto che so che tu gli saresti senz'altro rimasta accanto me lo fa credere. E a me piace pensare che sia così.» affermò, incoraggiante.

 

Il sole non aveva ancora cominciato a tramontare quando Elena disse ad Angelina che per lei era giunta l'ora di tornare a casa.

«Questa sera lavoro alla discoteca.» si giustificò.

Un paio di fermate prima della loro, Elena si sentì toccare sulla spalla.

Alzò la testa e vide Sara che, in piedi, si stava preparando a scendere.

«Ehi, collega! Sei stata al mare?»

«Sì. Questa è mia cugina, Angelina.» rispose, indicandole la ragazza dai lunghi capelli castani e occhi azzurri seduta accanto a lei. «Angelina, lei è Sara. Lavora alla discoteca con me.»

Le due si strinsero le mani e si sorrisero.

«Facciamo impazzire tutti i clienti, con il nostro "stile di danza".» disse, strizzandole un occhio.

Angelina alzò un sopracciglio, poi guardò Elena con aria interrogativa.

L'ex ginnasta strinse le labbra e rivolse uno sguardo di rimprovero alla sua collega, che però finse di non coglierlo.

L'autobus accostò poco dopo e Sara le dovette salutare subito, non prima di aver gridato un "A più tardi!" a Elena.

«Elena, che storia è questa? Gli zii lo sanno?»

«No, non lo sa nessuno. Ci servono soldi e sono stufa di andarli a chiedere a destra e a manca.»

«Mi manca poco per raggiungere la cifra necessaria a pagare la prima retta. Non sto facendo nulla di osceno, comunque. Ballo per qualche ora, e basta.» soggiunse, irritata dal volto accigliato della cugina.

«Questo lo chiami ballare?» ribatté Angelina, sarcastica.

Elena chiuse gli occhi e sorrise di rimando. «Non è l'Opéra di Parigi, ma in giro c'è di peggio, basta accendere la tv.»

Angelina socchiuse le labbra per ribattere qualcosa, ma sentì che qualunque cosa potesse dire, non sarebbe risultata convincente.

«Sei sicura di stare facendo la cosa giusta, Elena?»

«È una parentesi. Da settembre potrò tornare la ragazza di sempre.»

Angelina sospirò perplessa, anche se nel fondo del cuore sperava che l'ottimismo della cugina avesse davvero fondamento. Sperò che l'autunno avrebbe portato serenità e importanti novità nella loro vita.

  

Genzo scostò lo smartphone dal suo orecchio e lo rimise in tasca, contrariato.

«Non risponde?» chiese Taro, in piedi accanto a lui davanti all'ingresso dell'albergo in cui avevano preso una stanza ciascuno, a Roma.

«No… è già il terzo tentativo.» piegò le labbra in una smorfia.

«Forse è occupata.» buttò lì.

«Vorrei rivederla … e pensare che mi ha detto di lavorare come barista in una discoteca, e io non le ho mai chiesto come si chiama e in che zona si trova. Che stupido.»

«Abita nel Prenestino. Potremmo provare ad andare in una discoteca dei dintorni e vedere se è lì. Me ne ricordo una molto nota in quella zona.»

 I due amici avevano deciso di trascorrere in compagnia i pochi giorni di vacanza a disposizione prima di partire, rispettivamente per Parigi e per Monaco di Baviera. Trovandosi entrambi in Europa, la loro scelta era caduta su Roma e non solo per la sua importanza storica e le sue attrattive turistiche.

Entrambi erano attesi dall'inizio di un nuovo capitolo della loro carriera.

Per Taro era l'agognato approdo al calcio europeo e internazionale e per Genzo, il salto di qualità in una delle grandi del calcio mondiale.

Anche per questo, il portiere sperava di incontrare Elena … per poterglielo dire di persona.

 

Si trovavano nel salone da circa mezz'ora, seduti davanti a una birra.

La musica avvolgeva tutto l'ambiente e la pedana era piena di persone, giovani e meno, che ballavano.

«Mi è venuta fame. Vado a ordinare un dolce, ti va?» chiese Genzo, incontrando il cenno d'assenso di Taro.

Si alzò e si diresse verso il bancone.

L'aveva quasi raggiunto facendosi educatamente strada tra la gente, quando urtò contro una ragazza che in quel momento era scesa dal palco.

Stava per chiederle scusa ma le parole gli morirono in gola, non appena vide il suo volto.

Era molto truccata e indossava un succinto abito nero e fucsia, ma quel portamento e quello sguardo … ormai li avrebbe riconosciuti tra mille.

«Elena?»

«Genzo … cosa fai qui?»

«Dovrei essere io a farti questa domanda!» replicò sconvolto, alzando la voce.

«Non posso risponderti ora. Sto lavorando.» affermò, rigida.

Genzo rise incredulo, in modo sguaiato. «E tu questo lo chiami lavoro?»

La ragazza gli rivolse un'occhiata di fuoco, poi si voltò e si incamminò verso gli spogliatoi.

«Elena!» gridò, muovendo un passo per seguirla.

«Wakabayashi.» cercò di riportarlo alla calma Taro, avvicinatosi nel frattempo, mettendogli una mano su una spalla.

Ma il ragazzo si divincolò con un rapido movimento e si mise a correre nella direzione in cui era sparita l'ex ginnasta.

«Ehi! Non puoi andare là!» cercò di fermarlo Sara, ma Genzo sembrò non essersi nemmeno accorto della sua presenza.

«Accidenti! Dopo quella pazza, ci mancava questo!»

«Che sta succedendo?» Angelina comparve sul corridoio.

«Oh meno male! Cerca di parlare con quel marcantonio, tu che sei tedesca!»

«No Angelina, stanne fuori. È una questione tra me e Genzo.» la fermò Elena, con un tono che non ammetteva obiezioni.

Alla ragazza non restò che annuire. Allargò le braccia e rimase nel corridoio.

  

Si era sorpreso molte volte a fantasticare sul suo corpo nudo o scarsamente vestito, ma mai avrebbe voluto vederlo così, in quel contesto.

Pensò a quella notte a Madrid, quando lei lo aveva fermato.

E ora ballava in quel modo, con ammiccamenti allusivi e si lasciava sfiorare da chiunque come se niente fosse.

«Elena! Che razza di storia è questa?» chiese in giapponese.

La ragazza trasse un profondo respiro. Era arrivato il momento che sperava non avrebbe mai dovuto affrontare.

«Questo è uno spogliatoio femminile, non puoi stare qui!» replicò, dirigendosi verso la porta per invitarlo a uscire, ma lui la afferrò per un braccio.

«Guardati! Sei mezza nuda, e con quel trucco sembri una …» si fermò appena in tempo, ma Elena sorrise sarcasticamente, divincolandosi dalla sua presa.

«Cosa sembro? Dai Genzo, dilla quella parola. Puttana. Mi basta l'espressione dei tuoi occhi per leggerci il tuo disprezzo.»

Il giovane scosse la testa.

«Dovevi arrivare a questo? Con tanti lavori che avresti potuto fare?» chiese, seguendo Elena fuori dalla porta, da cui era uscita.

Sara picchiò con un dito sulla spalla di Taro e gli chiese cosa aveva appena gridato il suo amico.

Il centrocampista glielo rivelò e lei non si trattenne dall'urlargli ciò che pensava.

«Ahimè bel samurai, chi non ha mai avuto problemi economici non può capire che con certi mestieri si fa la fame o comunque si guadagna troppo poco e le agenzie per la riscossione delle tasse non sentono ragioni, specie con i comuni mortali.»

Genzo volse per un attimo lo sguardo verso la ragazza, poi tornò a guardare Elena.

Gli aveva urlato qualcosa, certamente in tono polemico, ma aveva afferrato solo pochi termini, insufficienti per comprendere tutto.

«Potevi parlarmene. Ti avrei dato una mano.»

«Certo! Così davo ragione alla tua deliziosa ex, convinta che punti solo ai tuoi soldi!»

«Asami fa parte del passato, non mi importa cosa pensa di te. Ma almeno avresti evitato di degradarti.»

Di nuovo quell'occhio scrutatore, che sembrava biasimarla.

Elena deglutì. Il suo sguardo si fece duro e carico di delusione.

«Vattene Genzo.»

Il ragazzo non accennò a muoversi. «Io non ti sto giudicando, Elena. Soltanto …»

«Ah, no? E allora perché mi hai seguita fin qui come una furia?» gridò, stringendo le mani a pugno. «Farò questo lavoro almeno fino a quando non conoscerò l'esito dell'esame di ammissione. Se non sei capace di sopportare questa prospettiva, lasciami in pace.»

Genzo strinse i denti, cercando di calmarsi. «Io non sono arrabbiato con te, Elena. È solo che … mi chiedo se era proprio necessario che arrivassi a questo.»

«Se ne avessi parlato con i miei genitori o con qualsiasi altra persona, avrebbero sicuramente fatto di tutto per dissuadermi, non certo per una questione economica ma perché effettivamente a chi fa piacere sapere che la propria figlia o ragazza o amica fa la ballerina in un locale? È consueto pensare che chi fa questo mestiere sia una poco di buono, una ragazza di facili costumi … la realtà è molto più complessa di come appaia e me ne sono resa conto conoscendo Sara e le altre.» gli spiegò risoluta, traendo poi un profondo respiro.

«Questo è un periodo di transizione e per me è soltanto una parentesi. Poi cercherò un lavoro come insegnante di ginnastica artistica o mi metterò a dare ripetizioni.» aggiunse, con voce più pacata.

«Insisto, potevi evitarlo. Non tutte le ragazze per guadagnare soldi, si mettono a ballare mezze nude.»

Elena alzò la testa e lo guardò, dura. «Andiamo, non essere ipocrita! Quante te ne sei fatte di "quelle", nei posti in cui sei stato grazie al tuo lavoro e al tuo status?» gli chiese provocatoria, calcando volutamente sull'ultima parola.

«Anche se fosse, non è la stessa cosa! Tu sei la mia ragazza. Ti avrei aiutata, se me lo avessi chiesto.»

«Ti ho già detto che non voglio la tua carità!» gridò, esasperata.

Genzo la guardò, sospeso tra rabbia e ammirazione.

«In ogni caso, ormai il più è fatto. E se non avessi avuto la brillante idea di venire a Roma a cercarmi, ora non sapresti niente.»

«Perché ovviamente non avevi alcuna intenzione di raccontarmelo.»

«Già. Vista la tua reazione, non avevo tutti i torti.» concluse lapidaria.

«E ora fammi la cortesia di andartene. Se ai tuoi occhi sono definitivamente "degradata", con un po' di fortuna potrai sempre incontrare una ragazza pura come un giglio, meglio se benestante. Una tipo la Ujimori, insomma.»

«Elena …»

«Voglio concentrarmi solo sullo studio e sul mio test d'ammissione. Cose su cui decido io e di cui non devo rendere conto a nessuno. Te lo ripeto Genzo: lasciami in pace.» scandì le ultime tre parole, prima di rientrare nello stanzino.

Il portiere rimase fermo alcuni istanti davanti alla porta che lei aveva chiuso dietro di sé, poi strinse la mascella e si voltò, incamminandosi verso il salone.

Alla fine del corridoio vide Angelina che, a braccia conserte, lo guardava con un mezzo sorriso.

«Per lei è un'esperienza temporanea. Una volta saldati i debiti e iscritta all'università, tornerà a essere la brava ragazza che conoscevi.» concluse senza celare una nota d'ironia, battendogli una mano sulla spalla e superandolo nella direzione opposta alla sua, per bussare alla porta dello stanzino, in cui entrò subito dopo.

 

Nel camerino, passò le salviette struccanti sul suo viso con energia e rabbia.

Voleva tornare a essere Elena e fingere che non fosse accaduto nulla.

Gran parte del mascara e del fard erano colati per via delle lacrime che avevano preso a scendere silenziosamente già durante il suo diverbio con Genzo.

«Su, non piangere. Era stupito: forse se gliene avessi parlato quando vi siete visti a Madrid, non avrebbe avuto quella reazione.» tentò di consolarla Angelina.

«Sono certa che ora mi crede una poco di buono, disposta a tutto.»

«Se è così, non avrai perso granché.» intervenne Sara, che stava finendo di vestirsi.

«Comunque per ora non me la sento di perdonarlo. Si è comportato come il ragazzo ricco che schifa le condizioni più umili. Per fortuna la mia scelta di studiare a Monaco è indipendente dal rapporto tra me e lui.» affermò, cominciando a rivestirsi.

 

Genzo e Taro rimasero fuori a pochi metri dal locale.

Si erano seduti su una panchina, Genzo con la testa abbassata e lo sguardo tra l'irritato e il costernato, le dita intrecciate sotto il mento. Taro lanciava ogni tanto delle occhiate verso la porta, da cui stavano uscendo gli ultimi avventori.

«Cos'è che mi ha gridato quella ballerina?» si decise a chiedere il portiere, dopo diversi minuti di silenzio.

Taro glielo riferì e lui accennò un sorriso. «Forse ha ragione. Per quante persone di umili origini possa conoscere, non ho mai vissuto questa situazione sulla mia pelle.»

«Diciamo che hai avuto una reazione impulsiva e poi le hai rinfacciato tutto come se avesse compiuto chissà quale crimine.»

«Se tu avessi beccato Sugimoto in quella situazione, come ti saresti comportato?» gli chiese, senza malizia.

Taro sospirò, tirò il busto indietro e allargò le braccia.

«Non lo so. Di certo, non ne sarei stato felice. Ma di una cosa sono sicuro: Elena ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, di tenere molto alla vostra relazione e di non stare con te perché le interessano i tuoi soldi.»

Genzo annuì. «Ho combinato un bel pasticcio.» mormorò, con un sorriso amaro.

 

Passarono almeno altri venti minuti, prima che Elena uscisse insieme a Sara e Angelina.

Notò subito i due ragazzi seduti sulla panchina a pochi metri da dove si trovavano.

Genzo si alzò e si avvicinò, lo sguardo sempre fisso nel suo, ma questa volta contrito.

Taro fece altrettanto, ma rimase indietro, a breve distanza.

«Perdonami per prima. Non ho mai pensato che tu fossi una poco di buono, nemmeno per un momento. Soltanto … avrei voluto che non me lo tenessi nascosto. Avresti potuto parlarmene a Madrid.»

«I giorni passati a Madrid sono stati gli unici in cui sono stata bene, da quando ho lasciato il Giappone. Volevo godermi quei momenti, sicura che con un altro mese di lavoro mi sarei assicurata il pagamento della quota d'iscrizione.»

Genzo la guardò.

La attirò a sé e le diede un bacio sulla fronte. Elena gli si accostò spontaneamente, avvertendo quel senso di calore e di protezione che lui sapeva darle.

«Elena, allora vieni? Sto crollando dal sonno!» gridò Sara, dal posto di guida della sua auto. Angelina era seduta sul sedile posteriore.

«Sì, arrivo!» rispose, voltandosi un attimo verso l'amica, poi di nuovo verso Genzo.

«Ti ho cercata perché volevo dirtelo di persona … domani parto per Monaco, dove mi aspettano le visite mediche. Se tutto va bene firmerò un contratto quadriennale e il club ufficializzerà lunedì il mio trasferimento.» le annunciò.

Lei lo guardò seria, senza proferire parola.

Aveva aspettato quella notizia per tanto tempo. Solo una settimana prima, gli sarebbe saltata al collo per la gioia. In quel momento però, riusciva a provare solo amarezza.

«Allora forse ci rivedremo in Germania, se passerò l'esame e se tollererai questa macchia nella mia vita.» gli disse con una vena di sarcasmo, scostandosi da lui.

Poi andò ad abbracciare Taro e gli rivolse un "in bocca al lupo" per la sua nuova avventura parigina.

I due ragazzi la guardarono salire sull'auto della sua collega, che li salutò con un sorriso furbo prima di mettere in marcia.

 

Il salone dell'hotel Peninsula, scelto come sede della festa organizzata dalla Federcalcio per celebrare la conquista della medaglia d'oro ai Giochi Olimpici, era pieno di personalità del mondo del calcio, dell'alta società, della politica e dell'imprenditoria.

I calciatori arrivarono in compagnia delle loro mogli o fidanzate, tranne Genzo e Tsubasa e pochi altri.

Sanae aveva partorito due splendidi gemelli, cui erano stati dati i nomi di Hayate e Daibu. Era a casa, a riposarsi e a prendersi cura di loro, con l'aiuto dei suoi genitori e di quelli di Tsubasa, oltre a quello di Yukari, quando era libera da altri impegni.

Lo stesso capitano annunciò che avrebbe presenziato per un paio d'ore, poi sarebbe tornato a Nankatsu per stare vicino alla moglie e ai figli.

Shun invece, si presentò raggiante tenendo per mano Madoka, che per i suoi studi non aveva potuto seguirlo in Spagna.

Per il resto, nessuna era voluta mancare: Kumi, Yayoi, Yoshiko, Maki e Yukari erano un po' impacciate per via dell'atmosfera formale, ma l'occasione di festeggiare un importante traguardo della carriera dei rispettivi fidanzati le faceva apparire radiose.

Maki in particolare sembrava esitante nel suo lungo abito di seta bianca, ma i suoi occhi si illuminarono dopo che Kojiro le ebbe sussurrato qualcosa all'orecchio, per poi sorriderle.

Genzo era arrivato a Tokyo dopo aver concluso il suo trasferimento a titolo definitivo al Bayern Monaco.

La Bundesliga era iniziata due settimane prima. Lui avrebbe preso posizione tra i pali del Bayern dopo la sosta per la Nazionale, anche per guarire definitivamente dall'infortunio alla spalla. Taro aveva invece già esordito in Ligue 1, in una partita terminata con un 2-0 del Paris Saint Germain sul Nantes. Non aveva segnato, ma aveva mandato in gol sia Le Blanc sia Napoléon, con due passaggi precisi al millimetro.

Il centrocampista e Kumi furono tra i primi ad andargli incontro, al suo arrivo alla festa.

«Elena non c'è?» chiese la giovane mangaka.

«No, è rimasta a Roma. Tra pochi giorni dovrà partire per Monaco e fare l'esame d'ammissione all'università.»

Lei fece un cenno d'assenso. «Sì, ne aveva parlato quando eravamo a Madrid. Ho sperato fino all'ultimo che riuscisse a venire. Le invierò l'immagine di un omamori via e-mail, sperando sia comunque di buon auspicio.»

«Credo di sì, e poi ha anche il suo maneki neko.» rispose Genzo, con un sorriso.

In fondo, in un certo senso era stato lui a regalarglielo.

Aveva guardato attentamente Kumi negli occhi, durante la loro breve conversazione.

No, non ne sapeva nulla.

Elena non aveva raccontato niente a nessuno, e probabilmente anche Angelina lo sapeva solo perché era stata a Roma. Taro, da vero amico, si era comportato in modo discreto e non aveva rivelato nulla di quell'episodio senza il consenso dei due diretti interessati.

 

A poco più di metà serata, il brusio delle chiacchiere tra i numerosi ospiti si interruppe.  

Nel salone era appena entrata una persona: una splendida ragazza dai lunghi capelli corvini, la cui figura leggiadra era fasciata da un lungo abito color lilla. Sul volto dai lineamenti gentili e dalla pelle candida spiccavano due intensi occhi neri.

Attirò l'attenzione di tutti i presenti, che la guardavano con ammirazione, ma lei sembrò quasi non accorgersene, concentrata com'era su Genzo.

Un particolare impossibile da non cogliere.

Dopo i saluti, i due giovani si spostarono in una saletta più piccola e appartata, tra gli sguardi incuriositi e i bisbigli degli astanti.

«Asami … che ci fai qui?»

«Sono venuta a celebrare la vittoria delle Olimpiadi. In fin dei conti ho condiviso gran parte del tuo percorso.»

Lui non replicò.

«E la tua bella insegnante dov'è?» chiese, con un sorriso sereno.

«Non è qui.» rispose, laconico.

La ragazza inclinò la testa, con un sopracciglio alzato e un lieve sorriso.

«È impegnata con il test d'ammissione a un'importante università di Monaco.» si affrettò ad aggiungere.

Per Asami fu un pesante colpo.

Aveva aspettato, convinta che sarebbe stato soltanto un fuoco di paglia, un'infatuazione destinata a finire una volta vissuto il "momento magico" e passato il periodo di esaltazione tipico delle relazioni appena cominciate.

A quanto pareva invece, quei due avevano deciso di abitare nella stessa città.

«Ma non hai ancora avuto il coraggio di dire ai nostri genitori che mi hai lasciata.»

«Mi aspettavo di vederti proclamare il tuo amore per la tua bella insegnante europea, ma hai preferito tacere.» insistette, davanti al silenzio dell'ex fidanzato.

«La nostra storia è ancora all'inizio e io voglio proteggerla.» replicò, infine.

Asami accennò una risata sarcastica. «Proteggerla. Lo ammetti anche tu che una ragazza come quella non è considerata degna di entrare in una famiglia appartenente al kazoku e stai pensando a come potresti far digerire la notizia ai tuoi.»

«I titoli nobiliari in Giappone sono stati aboliti nel secondo dopoguerra, Asami. Un'appassionata di storia come te dovrebbe saperlo.»

La ragazza non si lasciò smontare dal suo tono beffardo. «Certo, ma hanno continuato ad avere un peso nella società. E continueranno ad averlo. Inoltre se viene minata l'armonia tra le nostre famiglie, c'è il rischio che anche gli affari ne risentano.»

«È solo questione di tempo, Asami. Al mio ritorno in Germania comincerò una nuova vita, nella mia nuova squadra. A tutti voi non resterà che prenderne atto.»

«… e annuncerai al mondo il tuo fidanzamento con la studentessa originaria della periferia romana, che si mantiene agli studi insegnando ginnastica artistica alle bambine. Accidenti, Cenerentola esiste davvero.»

Genzo sospirò, cercando di gestire la crescente sensazione di fastidio.

«Asami, anche se non stiamo più insieme, hai ancora tutto il mio rispetto. Ora ti chiedo di rispettare Elena e di non ritenerla inferiore solo perché non è nata in una famiglia ricca. Spesso le gemme più preziose si trovano nascoste nella terra.»

La giovane piegò le labbra in una smorfia ironica. «Che frase romantica, Genzo. Non vorrei che un bel giorno tu scoprissi di esserti lasciato abbindolare da una ragazza che ha trovato un modo a dire il vero poco originale, ma sempre efficace per risolvere definitivamente i suoi problemi economici.»

«Te lo ripeto: evita di parlare così di una ragazza che neppure conosci. Stai basando le tue affermazioni su un pregiudizio.»

«Cerco soltanto di metterti in guardia, come fa un'amica.» esitò un istante, poi scosse leggermente la testa. «No, non un'amica. I sentimenti non cessano da un giorno all'altro. Anche se è finita, io ti amo ancora Genzo. E non voglio che tu debba soffrire per una che cerca soltanto di scalare posizioni nella società.»

Genzo mantenne un'espressione impassibile, anche se sentiva il petto in subbuglio.

Quelle insinuazioni su Elena lo stavano facendo infuriare per la malignità contenuta in esse e per l'immagine che Asami gli stava dando di sé.

Non poteva rivelarle quello che la sua ragazza aveva fatto per non chiedergli soldi e per potersi trasferire a Monaco, e neppure sentiva di doversi giustificare.

«È tutto, Asami? Perché tra poco la festa finirà.»

Lei gli sorrise, si avvicinò e cercò di toccarlo, ma lui la fermò.

I suoi occhi si spalancarono di fronte al suo sguardo ostinato.

«Asami, non c'è spazio per le illusioni. Anche se tra me ed Elena dovesse finire un giorno … io per te provo solo amicizia. Avrò un bel ricordo della nostra storia, ma è finita. Ora, il massimo che posso fare per te è chiederti di guardare avanti. Se poi saprai farlo smettendo di giudicare dall'alto chi non ha avuto la fortuna di nascere in una famiglia agiata, non avrai che da guadagnarci.»

L'ereditiera strinse le labbra e lo guardò contrita. «Genzo … ti prego solo di fare attenzione.»

Lui la scrutò con uno sguardo severo, che la mortificò.

Poi la oltrepassò e uscì dalla saletta, lasciando in Asami il sapore amaro della sconfitta e della disillusione. 

 

Kumi e Taro entrarono in una delle stanze dell'hotel.

Era tardi per tornare a casa e così avevano deciso di fermarsi lì a dormire. Era però rimasta libera solo una matrimoniale, che accettarono con una lieve esitazione da parte di lei, che lui seppe dissipare con una battuta.

Taro si sedette sul letto.

Il volto era stanco, ma gli occhi ancora brillavano per l'euforia.

Kumi sorrise e gli andò incontro, mettendosi di fronte a lui. Si avvicinò il più possibile, alzando una mano e passandogli le dita sui capelli.

Taro chiuse gli occhi, beandosi di quelle carezze. Poi le posò una mano su un fianco, inducendola ad avvicinarsi ancora.

Kumi trasalì nell'avvertire il contatto leggermente umido delle labbra del ragazzo sul suo ventre, attraverso la stoffa del vestito. Era un gesto tenero e sensuale allo stesso tempo.

Istintivamente strinse le dita attorno alle ciocche di capelli.

Taro alzò la testa e afferrò la mano libera della ragazza. La osservò, fremente.

Kumi smise di accarezzargli i capelli e sfilò lentamente le dita.

Dandosi una lieve spinta all'indietro, Taro si sdraiò sul letto e attirò Kumi sopra di sé.

Poteva sentire il cuore di lei battere forte, a contatto con il suo petto.

I loro visi erano vicini. Lui le accarezzò i capelli e portò alcune ciocche dietro le orecchie.

«Sei bellissima.» mormorò, guardandola con occhi quasi liquidi.

Lei trattenne il fiato, poi gli sorrise.

Stava scoprendo un nuovo lato di sé, quello seducente e malizioso. E man mano che lo sperimentava, si divertiva sempre più a giocarci.

Si avvicinò ancora, e le loro labbra si toccarono. Presto il contatto si fece più intimo.

Kumi aveva le mani sulle spalle di Taro, mentre il ragazzo le accarezzava lentamente la schiena, sfiorandole la pelle nuda.

Il loro bacio si faceva sempre più profondo, passionale. Per Kumi era una sensazione del tutto nuova. Per Taro … era bello ed eccitante, più di quanto lo fosse stato con Kinuyo.

Lei appoggiò una mano sul suo petto e cominciò ad accarezzarlo piano, spaziando sulle spalle e scendendo verso il suo addome, disegnando i contorni.

Avvertiva i suoi muscoli contrarsi sotto il suo tocco delicato.

La avvolse nel suo abbraccio, poi si sollevò e la fece sdraiare sotto di sé.

Kumi aprì le labbra poi le richiuse.

Poteva leggere una muta, appassionata richiesta nello sguardo del suo ragazzo.

«È la prima volta.» riuscì soltanto a mormorare, con una punta di imbarazzo. Le guance calde e arrossate.

Non aveva alcuna esperienza, ma la voglia era tanta …

«Lasciati andare, Kumi. Vedrai, non c'è nulla da temere.» le sussurrò. La voce calda, intensa, rassicurante.

Chiuse gli occhi e posò le labbra su quelle di Taro, invitandolo a continuare.

Incoraggiato da quell'iniziativa, mise le mani sulle spalline del vestito e le fece scivolare verso il basso, sfilandolo dopo che lei aveva inarcato la schiena.

Poco dopo la camicia di Taro cadde sul pavimento.

Poi fu il turno degli altri indumenti.

Taro accarezzò lentamente quella pelle chiara e liscia e si chinò su di lei.

Kumi lo arrestò a pochi centimetri, accarezzandogli le spalle, le braccia e il petto, tracciando con le mani i contorni dei suoi muscoli.

Taro stette al suo gioco, poi le afferrò piano i polsi e posò nuovamente le labbra sulle sue.

 

Kumi portò le braccia sulla fronte. La testa reclinata all'indietro, gli occhi chiusi, le labbra semiaperte.

La bocca di Taro si stava posando ovunque sul suo corpo e indugiava sulle zone più sensibili, donandole un piacere che stava attenuando i suoi timori e che le fece perdere coscienza del mondo circostante.

Si distese su di lei, le baciò il viso e i capelli e le accarezzò i fianchi e le gambe mentre entrava in lei, per alleviare la fitta di dolore che le fece emettere un piccolo grido soffocato. Continuò a muoversi delicatamente, affondando il viso nell'incavo tra spalla e collo.

 

Le labbra di Taro sulla sua fronte e l'abbraccio in cui la strinse, fu ciò che Kumi avvertì prima di chiudere gli occhi, accostandosi a lui.

 

 

 

 

***Note***

 

 

Kohei Uchimura è un ginnasta giapponese, attualmente il più forte al mondo. Nel suo ricchissimo palmarès ci sono sette medaglie olimpiche (tre d'oro, quattro d'argento) e diciannove mondiali (dieci d'oro, sei d'argento e cinque di bronzo). Nella sua carriera ha vinto due titoli olimpici consecutivi (Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016) e sei titoli mondiali consecutivi dal 2009 al 2015.

 

Il Kazoku (letteralmente "lignaggio illustre/floreale") è stato il sistema ereditario di nobiltà dell'Impero del Giappone in vigore tra il 1869 e il 1947.

Con il Peerage Act del 7 luglio 1884, il governo Meiji espanse la nobiltà ereditaria premiando con l'ingresso nel kazoku persone che avevano compiuto atti eccezionali al servizio della nazione. Il governo inoltre divise il kazoku in cinque ranghi basati sulla parìa inglese, ma con titoli derivati dall'antica nobiltà cinese:

Principe o duca (公爵 kōshaku)

Marchese (侯爵 kōshaku - con un carattere cinese diverso)

Conte (伯爵 hakushaku)

Visconte (子爵 shishaku)

Barone (男爵 danshaku)

Nel 1946 la nuova Costituzione del Giappone abolì il kazoku e tutti i titoli di nobiltà o di rango eccetto quelli della famiglia imperiale.

Nonostante ciò molti discendenti delle famiglie kazoku continuano a occupare ruoli preminenti nella politica, industria e società giapponese.

Fonte: Wikipedia

  
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