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Autore: Mary P_Stark    24/09/2019    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Apollo -1-
 
 
Agosto 2017 – Los Angeles
 
 
Passeggiando sulla Ocean Boulevard con andatura tranquilla, l’aria pacifica e le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni, Febo Apollo poteva apparire come un qualsiasi altro giovane e aitante californiano.

Certo, la sua indubbia bellezza e perfezione attiravano molti sguardi – sia maschili che femminili – e, in ambo i casi, lui dispensava sorrisi simpatici quanto distratti.

Sapeva cosa gli umani stavano vedendo e, pur compiacendosene, non era interessato a una scappatella di qualche ora per soddisfare i suoi appetiti sessuali.

Non disdegnava di mescolarsi con gli umani e lo aveva fatto, in passato, ma non ne sentiva il bisogno, in quel momento.

Ascoltare la storia di Hermes – e veder piangere il fratello contro la spalla di Athena – lo aveva sconvolto più del pensabile e, da quel giorno, molte volte si era posto il dilemma su cosa fare del proprio futuro.

Essendo una creatura immortale, poteva disporre di tutto il tempo che desiderava ma, alla fine dei conti, era proprio quello il problema.

Come dare peso – e valore – alle cose, quando il taglio di Atropo non avrebbe mai reciso il suo cordone vitale? (A meno di non scatenare le ire del Cosmo, ovviamente, e costringere Érebos o altre divinità Ctonie a porre fine alla sua vita).

In cuor suo, tremava già al pensiero di perdere le nipoti, così come aborriva il pensiero di dover vedere Artemide in lacrime per la perdita di Carlos e Anita, così come di Felipe.

Presto o tardi, in maniera lenta o subitanea, tutto ciò sarebbe comunque accaduto, che lui lo volesse o meno, e a quel punto avrebbe dovuto affrontare il dolore più puro e genuino della perdita.

Questa paura, però, rendeva più vivide le emozioni provate dalle sorelle, e lui stesso si sentiva più se stesso in seno al clan Rodriguez, piuttosto che tra le mura asettiche del suo tempio di Delo, o sull’Olimpo.

La mortalità umana lo rendeva consapevole dell’impermanenza delle cose, dell’ineluttabilità della vita vissuta sulla Terra e per questo ogni colore, ogni sapore, ogni odore assumevano più corporeità, più forza.

Tutto ciò gli era stato precluso per secoli dal suo autoisolamento dal mondo umano, secoli in cui ogni cosa aveva perso di interesse, per lui.

«A quanto pare, hai dei pensieri assai profondi che ti ronzano per la mente. Hai un’aria così seriosa!» chiosò qualcuno alle spalle di Apollo, sorprendendolo.

Sobbalzando, Febo si arrestò per voltarsi a mezzo, sorpreso che qualcuno potesse averlo preso alla sprovvista a quel modo. Quando però avvertì il tocco familiare di un potere divino nascosto dietro il volto di un uomo alto e bruno, sorrise sghembo e borbottò: «Ehi, zio… vuoi farmi prendere un colpo?»

Abbozzando una risata, Poseidone diede una pacca sulla spalla al nipote e celiò: «Dubito potrebbe venirti… ma mi incuriosiva il tuo peregrinare a vuoto, così mi sono avvicinato.»

«Come mai sotto mentite spoglie? Le tue chiome castane e gli occhi neri non vanno bene per passeggiare sulla Ocean Front?» domandò Apollo, indicandolo per intero nel suo completo di lino color crema.

«Oh… la faccia, dici? La usai quando mi avvicinai ad Athena la prima volta, nelle vesti di Morgan Dark, e l’ho mantenuta per tutte le mie visite sulla terraferma» gli spiegò lui, tirando leggermente un lembo della camiciola.

«Uh… nome evocativo, non c’è che dire» ammise Apollo, scrutando il volto abbronzato dello zio, gli occhi di un verde intenso e i neri e ondulati capelli tagliati all’attaccatura del collo. «Scommetto che fai strage di fanciulle più o meno giovani, con quello sguardo tenebroso e il fisico portentoso.»
Poseidone rise più forte e, nel proseguire la camminata, disse: «Diciamo che non mi lamento. E tu? In caccia a tua volta?»

«Per la verità, sono a riposo, per così dire. Ho alcune cose su cui pensare, in questo periodo, e l’idea di sollazzarmi non mi alletta» ammise il giovane dio, facendo spallucce.

Levando un sopracciglio con espressione sorpresa, Poseidone replicò: «Per tenerti lontano da del sano divertimento, deve essere successo qualcosa di grave.»

Ligio al patto stretto con Hermes di non parlare con nessuno di ciò che era avvenuto con Érebos, Apollo si limitò a dire: «Abbastanza. Ma ho risolto.»

Accigliandosi leggermente, il dio del mare mormorò: «Uhm… quanta segretezza! Beh, se a voi ragazzi serve una mano, io sono qui, d’accordo? So che c’è ancora la faida aperta tra Athena, Artemide e mio fratello, ma io non c’entro, sia chiaro.»

«Non temere. Nessuno di noi ti ha annoverato tra i dislike» assentì Apollo prima di volgersi un attimo a mezzo, sorridere appena e aggiungere: «Sai di essere seguito da una splendida fanciulla?»
Poseidone impallidì a quel commento e, bloccando subitaneo la sua camminata, sospirò contrito e si volse spiacente, mormorando: «Bimba, avvicinati. Sei così silenziosa che mi dimentico sempre che tu sia qui.»

La bellezza bruna sorrise timida e divertita al tempo stesso e, balzellando fino a raggiungere il fianco di Poseidone, lanciò un’occhiata curiosa ad Apollo con i suoi occhioni cerulei, sormontati da lunghissime ciglia nere, dopodiché sussurrò: «Stavate parlando con il divino Apollo, e non volevo disturbare.»

Febo la scrutò pieno di curiosità, chiedendosi chi fosse quella fanciulla dalla squisita bellezza e la parlata tanto delicata e Poseidone, avvolgendo le spalle della ragazza, disse: «Lei è Acaste, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.»

«Oh, …un’oceanina, dunque» esalò sorpreso Apollo. «Perdona se non ti ho riconosciuta, ma penso di non averti mai vista. Va anche detto che, di solito, non bazzico mari e oceani, e voi siete così tante che…»

Acaste sorrise timida e, ridacchiando, annuì. «Non c’è problema, divino Apollo. Solitamente, passo il mio tempo con Persefone, quando è nel mondo dei vivi, altrimenti sono sempre in mare aperto con mio padre. E’ normale che non mi abbiate mai vista in giro.»

«Solo Apollo, o Febo, Acaste. Il divino lasciamolo pure da parte, così come le forme di cortesia» ironizzò il dio, offrendole la mano.

Lei accettò di buon grado e Apollo, inchinandosi con grazia, ne baciò il dorso facendola arrossire fino alla radice dei capelli.

Poseidone, a quel punto, diede uno scappellotto al dio, borbottando: «Non fare il marpione con la ragazza. E’ sotto la mia custodia!»

«Ahia!» brontolò Apollo, raddrizzandosi con aria accigliata. «Sotto la tua custodia? Ma se la stavi perdendo per strada?»

Poseidone ebbe la decenza di non dire niente e Acaste, ridendo sommessamente, ammiccò divertita e replicò: «Oh, ma non mi sarei di certo persa. E’ difficile perdere di vista il sommo Poseidone.»

«Ciò non toglie che ti ha lasciata indietro – e in disparte – perciò credo che sarà meglio che io ti rimanga accanto, piccola Acaste, prima che questo buzzurro ti lasci su un autobus come un pacco postale dimenticato» celiò Apollo offrendole il braccio e guardando sarcastico Poseidone.

Il dio del mare fissò accigliato il nipote, mentre Acaste accettava il braccio della divinità solare con aria assai affascinata.

«Sei un giovane dio pestifero e irriverente, sappilo… e poi non mi dimenticherei mai Acaste in giro!» mugugnò Poseidone, proseguendo nella passeggiata quando Apollo e Acaste iniziarono a camminare dinanzi a lui.

«Come dicevo, non si può mai sapere, con voi vecchietti, perciò è meglio se, a occuparsi dei più piccoli, pensiamo noi giovani» sottolineò Apollo, schivando con agilità un secondo scappellotto di Poseidone.

«Comincio a capire perché Zeus abbia litigato con le figlie. Le vostre lingue stanno diventando biforcute, col passare del tempo» brontolò il dio del mare, pur lasciandosi andare a un sogghigno.

Acaste sorrise divertita di fronte a quel battibecco e, con tono allegro, chiosò: «Credo che sia un onore essere scortata da simili e potenti divinità. Sono molto grata a entrambi per il tempo che mi state dedicando.»

Apollo le sorrise cordiale e, rivolto allo zio, chiese più seriamente: «Scherzi a parte… avevate in programma di fare qualcosa, per caso?»

«Per la verità, Acaste voleva visitare la costa, visto che non c’era mai stata prima ma, in tutta onestà, a parte qualche localino in cui non la porterò mai e alcuni ristoranti rinomati, non conosco molto neppure io la zona di Los Angeles» ammise suo malgrado Poseidone.

Il nipote lo fissò con aria di sufficienza e, rivolto ad Acaste, domandò: «Cosa ti piacerebbe vedere, piccola?»

«Oh, non ho alcuna preferenza, divino… ehm, Febo» si corresse in fretta Acaste, ammiccando imbarazzata. «Ma non voglio rubarti altro tempo. Avrai sicuramente cose più interessanti da fare, che prestarti a farmi da guida per la città.»

«Contrariamente a quanto tu possa pensare, io amo bazzicare in giro per le città» ironizzò lui. «Se ti fidi, zio, posso portarla in giro io. Prometto di non comportarmi da zotico.»

Poseidone storse il naso, reclinò il capo a scrutare il volto tranquillo e pacifico di Acaste ma, alla fine, disse: «Se le torci un solo capello, dovrai vedertela anche con me, oltre che con i suoi genitori. Sia chiaro.»

Apollo rise pieno di divertimento, assentì e, malizioso, chiosò: «Se volessi farle qualcosa, torcerle un capello sarebbe davvero l’ultima cosa che farei

Il terzo scappellotto lo raggiunse, stavolta, e Poseidone ringhiò irritato: «Insomma! Parla bene! Acaste è giovane e pura! Non è una sciagurata come te o Hermes, è chiaro?!»

Fremendo interiormente nell’udire il nome del fratello, Apollo fu sul punto di difenderlo da quelle accuse gratuite ma, ligio al voto del silenzio, lasciò correre e si limitò a chiosare: «Da qualcuno avremo pur preso…»

Bofonchiando tra i denti un’imprecazione incomprensibile, Poseidone sospirò sconfitto e, nel rivolgersi ad Acaste, le domandò: «Tu sei d’accordo, bambina?»

«Se per Febo Apollo non sono un disturbo, sarebbe piacevole passeggiare per le vie di questa enorme città in compagnia di qualcuno che le conosce» replicò con candore l’oceanina.

Il dio del mare sospirò pesantemente ma non trovò nulla a cui appellarsi per evitare quell’uscita fuori programma così, data una pacca sulla spalla ad Apollo, dichiarò burbero: «Verrò a riprenderla stasera, proprio qui. Fatti trovare per le nove in punto, o ti manderò a cercare dai tritoni in assetto da battaglia, è chiaro?»

Apollo lo irrise con lo sguardo e replicò ironico: «Zio, …Acaste non è una bambina umana di due anni. Darle un coprifuoco del genere mi sembra davvero esagerato. Facciamo alle undici di sera… dalle almeno il tempo di godersi una cena.»

Accigliandosi, Poseidone fece per ribattere ma Acaste, sorridendo al dio del mare, chiosò: «Posso sempre scivolare via come acqua, divino Poseidone, se proprio mi dovessi annoiare. Non avrei problemi.»

«Anche questo è vero» sospirò sconfitta la divinità marina, fissandola apertamente preoccupato. «Non ti curare di insultarlo… se ti annoi, vieni via.»

«Grazie, zio! Troppo buono» bofonchiò Apollo, adombrandosi in viso.

Acaste si lasciò andare a un sorrisino e, dopo aver annuito al dio del mare, si rivolse a Febo, asserendo: «Sono pronta a scoprire le bellezze della città. Dove andiamo?»

«Sei mai stata a Disneyland?» le domandò a quel punto Apollo.

«No. Cos’è?» scosse il capo l’oceanina, sinceramente curiosa.

Apollo fissò malamente Poseidone e borbottò: «Siete degli incivili, nel regno dei mari. Non l’avete mai portata da Topolino?!»

«Vattene, nipote, prima che ti prenda a calci sul sedere» brontolò Poseidone, sospingendolo via per poi allontanarsi a grandi passi, lo sguardo adombrato quanto irritato.

Apollo ghignò per diretta conseguenza, sapendo di averlo punto sul vivo e, dopo aver ammiccato a una curiosa Acaste, dichiarò: «Ti farò fare un corso accelerato di divertimenti, mia cara oceanina. Conosci per caso Ariel la sirena, o Rapunzel?»

«Intendi i personaggi Disney?» domandò confusa Acaste, prima di aprirsi in un sorriso e domandare: «Oh, Disneyland, quindi, è dove vengono prodotti i film d’animazione delle principesse?»

«No. E’ dove i sogni di grandi e bambini diventano realtà, e dove puoi incontrare i tuoi eroi in carne e ossa» replicò Apollo, prendendola sottobraccio.

Sbattendo curiosa le palpebre, Acaste disse: «Avevo capito che fossero solo disegni. Almeno… Persefone mi disse questo, mentre li guardavamo al tempio di Demetra.»

«Tutto verissimo… ma ci sono degli umani che interpretano tali personaggi per far divertire i bambini. Anche se penso che pure gli adulti apprezzino lo sforzo» le spiegò Apollo, trascinandola docilmente verso un punto riparato dagli sguardi per potersi smaterializzare. «Per quel che mi riguarda, mi è piaciuto molto, visitarlo.»

«Sarei davvero curiosa di vedere questo parco dei divertimenti, allora, Febo» dichiarò a quel punto Acaste, balzellando allegra e piena di eccitazione.

«E io ti accontenterò… ti scoccia, però, se prima passiamo a prendere mio nipote Alekos? Credo che insieme ci divertiremmo molto di più, e tu avresti come compagno di avventura qualcuno più vicino alla tua età.»

Annuendo senza problemi, Acaste asserì: «Sarò lieta di passare del tempo con il figlio della divina Athena. Poseidone ci parla spesso di lui, perciò sarà bello dare un volto a ciò che so del giovane semidio.»

«Molto bene, allora. Si parte!» esclamò Apollo, sbattendo le palpebre per poi trasmutare al pari di Acaste, che lo seguì fiduciosa.
 
***

Non gli era ancora ben chiaro, ma doveva esserci qualcosa, nella geometria, che mal si addiceva al suo carattere.

La odiava in ogni sua forma, e pur avendo a disposizione una mente superiore e due divinità come genitori, Alekos si trovava nella difficile situazione di fissare un foglio bianco da ore, impossibilitato a terminare i compiti.

Accolse perciò con gioia l’arrivo di nuovi ospiti, perché questo avrebbe voluto dire interrompere almeno per un po’ quel tedioso lavoro di concetto che proprio non sapeva apprezzare.

Balzando dalla sua poltrona ergonomica, si catapultò fuori dalla stanza per raggiungere il giardino – dove avvertiva la presenza divina di un suo parente – e, quando vide Apollo insieme a una fanciulla, sorrise sorpreso ed esclamò: «Ciao, zio! Ben arrivato!»

«Alekos… ben trovato. Athena ed Érebos non sono in casa?» domandò Apollo, guardandosi intorno.

«Sono a casa di Artemide a fare da babysitter a Buffy e Xena, perché la zia e Felipe hanno un impegno con nonna Anita a San Josè» gli spiegò il ragazzo, sbirciando curioso in direzione della ragazza appresso allo zio.

Alekos era ormai un affascinante quindicenne e, seguendo le orme di madre e padre, era diventato piuttosto alto e minacciava di crescere ancora, nei prossimi anni.

Come Felipe e Miguel, aveva fluenti e nerissimi capelli, mentre gli occhi di colomba e la carnagione chiara e perfetta, erano retaggio della madre.

Molte ragazzine della sua classe avevano già chiesto – senza successo – di poter uscire con lui, ma Alekos si era sempre negato con estrema cortesia, preferendo pensare ad altro, piuttosto che al gentil sesso.

La sua testa era impegnata altrove, almeno in quel periodo, inoltre non si sentiva ancora molto sicuro a entrare in intimità con un’umana. Temeva che, grazie al suo dono così particolare, le reazioni della fanciulla in questione potessero essere distorti a suo favore, perciò aveva sempre preferito evitare.

Inoltre, memore della promessa fattagli un paio di anni prima, Alessandra si era fatta viva spesso per portarlo in pista con i go-kart, e Alekos aveva scoperto di amare immensamente il mondo dei motori. Complice anche Achille, Alekos si era quindi appassionato a quello sport, arrivando a dedicarvi un sacco di tempo.

Tempo che, inevitabilmente, lo aveva tenuto lontano dal genere femminile in generale.

Athena non aveva potuto che fare buon viso a cattivo gioco e, accompagnato ogni volta da Érebos, Alessandra o Achille, Alekos aveva dato spazio a questo suo nuovo interesse con il massimo impegno possibile.

La presenza di Acaste, però, riuscì a incuriosirlo notevolmente, soprattutto perché era ben difficile che Apollo si presentasse a casa loro con una ragazza.

Accorgendosi dello sguardo curioso del nipote, Apollo sorrise furbo e disse: «Scusa la scortesia, Alekos… lei è l’oceanina Acaste, e oggi le faccio da accompagnatore.»

Spalancando gli occhi per la sorpresa, Alekos assentì e disse con cortesia: «E’ davvero un piacere conoscerti, Acaste. Io sono Alekos. E’ la prima volta che incontro un’oceanina.»

Allungata una mano verso la giovane, il ragazzo strinse con delicatezza quella protesa di Acaste e, sorridendo, aggiunse: «Spero che mio zio sia stato una brava guida, finora.»

Sorridendo per un attimo a Febo, Acaste assentì e dichiarò: «E’ stato così gentile da offrirmi di portarmi a vedere Disneyland, visto che non ci sono mai stata.»

«A questo proposito, pensavo che tu potresti unirti a noi. Hai tempo, per caso?» gli domandò a quel punto Apollo, notando subito dopo l’espressione accigliata del nipote.

Storcendo la bocca, Alekos borbottò: «Dovrei terminare geometria, prima di poter uscire.»

«Ecco cosa succede a mandare un semidio a scuola» brontolò Apollo, scuotendo il capo. «Ma si può facilmente rimediare.»

Ciò detto, si avventurò assieme nella villa di Athena tallonato dai due giovani e, dopo aver vagato per i corridoi, raggiunse infine la stanza di Alekos. Lì, fissò burbero il quaderno del nipote, afferrò la sua penna e disse: «Non ho mai capito perché Athena si ostini a mandarti a scuola. Sai già quello che c’è da sapere del mondo. A cosa servono queste regole umane?»

Mentre continuava a brontolare, la sua mano veloce risolse in fretta i problemi di geometria di Alekos e il nipote, strabiliato, esalò: «Non sapevo fossi così bravo!»

«Nipote caro… vivi migliaia di anni in un tempio, con la sola compagnia di quattro mura e poco altro, e allora troverai piacevole persino i libri di geometria. L’arrivo della televisione e della radio sono stati la mia scialuppa di salvataggio dalla noia e dalla follia, sappilo» chiosò Apollo, terminando in pochi minuti il problema sul libro di Alekos.

Ciò fatto, lo chiuse con un secco schiocco e aggiunse: «Ora, andiamo da Athena per avvisarla. Dopodiché, uno di questi giorni, ti spiegherò per filo e per segno la geometria, così che non debba più metterti i bastoni tra le ruote.»

«Grazie davvero, zio» esalò Alekos, pieno di riconoscenza.

Lui ghignò soddisfatto e, nel trasmutarsi con i due giovani nella villa di Artemide, esclamò: «Ehi! Dove sono le mie nipotine belle?»

«Ciao, Apollo! Siamo in camera da letto!» lo informò Athena, a voce alta.

Assieme alla sua voce, giunse anche il gorgoglio infantile di una delle due bimbe e Apollo, tutto sorridente, si diresse verso la zona notte della villa, pronto a salutare le sue meravigliose nipoti.

Quando, però, aprì la porta della stanza, il suo volto divenne verde dalla nausea e, tappandosi immediatamente il naso, gracchiò sconvolto: «E’ esplosa una bomba chimica, qui dentro?»

Osservando la finestra aperta, Érebos sorrise divertito a uno schifato Apollo e replicò: «Qualcosa del genere. Credo che dovrebbero mettere i pannolini usati nella lista delle armi di distruzione di massa.»

«Poco ma sicuro» brontolò Apollo, rimanendo a debita distanza dalla fonte della puzza mefitica che stava ammorbando l’aria.

«Cercavi Arty, per caso? Perché è con Anita, impegnata a cercare di capire cosa indossare per il matrimonio di Claire e Phill» gli spiegò Athena, nominando una coppia di amici di Felipe. Tergendosi poi la fronte con il dorso di una mano, sollevò soddisfatta Xena tra le braccia, nuovamente pulita e profumata.

«Per la verità, volevo sapere se potevo portare Alekos con me. Oggi faccio l’accompagnatore» disse Apollo, indicando una sorridente e timida Acaste, che salutò con un elegante inchino.

Athena fissò il fratello con aperta sorpresa prima di riconoscere la giovane al suo fianco e dire: «Oh… sei un’oceanina, vero?»

«Sì, divina Athena. Stavo passeggiando con il sommo Poseidone in giro per Los Angeles, e lì abbiamo incontrato il divino Apollo… ehm, Febo, e così abbiamo concordato di passare la giornata assieme» spiegò la ragazza, sorridendo contrita ad Apollo per il piccolo errore, a cui lui però rispose con un sorrisone complice.

Sempre più sorpresa, Athena rimise nella culla Xena prima di poggiare le mani sui fianchi e dichiarare: «Mi sorprendi, Apollo. Come mai tanta disponibilità?»

«Mi andava. Allora, Alekos può venire con noi?» scrollò le spalle il dio, preferendo non scendere nei dettagli.

Athena, però, non mollò l’osso e gli domandò mentalmente: “Ci sono dei problemi, Febo? Perché non voglio rischiare che si scateni un secondo apocalisse. Visto che siamo appena usciti dall’incubo quasi mortale di Hermes, non vorrei ricaderci con te. Érebos ha ancora gli incubi, a causa di ciò che ha dovuto fare per salvarlo.”

“Niente di tutto ciò, Atty, ma è proprio a causa di Hermes se mi comporto così. Mi sono reso conto di aver dato per scontato il tempo e ciò che mi circonda, e ora desidero viverlo con maggiore attenzione e profondità. Sono stanco di subire lo scorrere del tempo… lo voglio gestire!

Sbattendo sorpresa le palpebre – Apollo non stava affatto scherzando – Athena assentì leggermente e, nello scrutare il figlio, domandò: «Hai finito geometria?»

«Tutto fatto…» cominciò col dire Alekos, sospirando subito dopo per poi aggiungere: «… grazie allo zio.»

Apollo lo fissò sconvolto mentre Athena, con un risolino, esalava: «Davvero non so che dire…»

«Ma non sai dire bugie, nipote?» esalò Febo, fissando Alekos con aria sorpresa.

«Non alla mamma» ammise suo malgrado Alekos.

«Che hai fatto a questo povero ragazzo?» gracchiò Apollo, fissando disgustato la sorella.

Fu Érebos a rispondere, mentre sistemava Buffy accanto alla sorellina e gettava via le due bombe chimiche che le gemelle avevano prodotto coi loro piccolissimi corpicini.

«Ha a che fare con il loro legame, perciò sarà sempre impossibile, per Alekos, mentire a sua madre.»
«Questa sì che è iella» chiosò Apollo, avvolgendo le spalle del nipote con fare consolatorio. «Comunque, gli ho promesso che gli spiegherò la geometria per filo e per segno, così non avrà più problemi.»

«Va bene… per stavolta lascerò correre» concesse Athena, facendo spallucce.

«Tradotto: se andrà a Disneyland, non sarà su un go-kart, perciò va bene» dichiarò con totale sincerità Alekos, sorridendo divertito alla madre, che ghignò in risposta.

Apollo rise di gusto, esalando: «Ancora, Athena? E dire che pensavo ti fosse passata, questa fobia! Lui è immortale!»

«Vedrai Arty, con queste due, quando cominceranno a gattonare. Ha già parlato di foderare la casa di gommapiuma» sottolineò sarcastica Athena, sbuffando contrariata.

Apollo scosse il capo per il divertimento e, lanciata un’occhiata colma di comprensione a Érebos, dichiarò: «Beh, noi andiamo, allora. Vi chiameremo più tardi per dirvi che va tutto bene, e che non ho portato vostro figlio in un luogo di perdizione, o a buttarsi di testa in un vulcano attivo.»

Acaste rise divertita assieme ad Alekos, mentre Athena bofonchiava: «Arrivi tardi. Ares lo ha già portato in uno strip club a mia insaputa, mentre Efesto gli ha fatto visitare la caldera dell’Etna.»

Levando entrambe le sopracciglia con estrema sorpresa, Apollo fece per commentare ma, ricordandosi di Acaste e del suo candore, si limitò a dire: «Io mi limiterò a Topolino e Minnie. Promesso.»

Ciò detto, prese per mano sia l’oceanina che Alekos e, in uno scintillio dorato, svanì dalla stanza, lasciando soli i due dèi.

Athena, a quel punto, lanciò un’occhiata a Érebos e, turbata, domandò: «Devo preoccuparmi anche per lui?»

«Ne dubito. Penso semplicemente che Apollo stia rivedendo le sue priorità. Il che non è un male e, almeno per quel che riguarda Alekos, è un bene. Stare con i suoi parenti è importante, e gli permette di aprire la mente a tutte le sfaccettature del mondo divino, non solo di quello umano» replicò la divinità Ctonia, giocherellando con una mano di Xena. «E uscire con una ragazza non guasta mai.»

La bambina si divertì a mangiucchiargli un dito, gorgogliando soddisfatta e Athena, sorridendogli nell’osservarlo, mormorò: «Vorresti un figlio? Nostro, intendo.»

Sobbalzando leggermente, Érebos la fissò pieno di sorpresa e, con un mezzo sorriso, asserì: «Come ho imparato a mie spese grazie alle mie care figliole, mettere il becco nelle faccende che non mi competono può risultare pericoloso, e non voglio andare da Cloto per ficcare il naso nella trama del nostro futuro insieme. Quel che verrà, verrà. Io sono già felice così, e considero Alekos mio figlio a tutti gli effetti.»

Athena assentì ma, quando un odorino particolare colpì le sue narici, borbottò e disse: «Arty deve dare da mangiare solo ambrosia, a queste bambine. Fanno una cacca mefitica.»

«Temo di sì» si lagnò a sua volta il dio, sospirando afflitto prima di alzarsi e aggiungere: «Prendo degli altri pannolini.»


 





N.d.A.: sono passati alcuni mesi dalla crisi di Hermes e la sua risoluzione, e questo evento più unico che raro ha lasciato i suoi strascichi tra gli dèi, e in special modo su Apollo, che si sente in dovere di rivedere e correggere tutta la sua esistenza.
In questo capitolo, inoltre, facciamo la conoscenza con una delle tremila oceanine figlie di Oceano (ne parlerò più ampiamente nei prossimi capitoli) e scopriamo come la vita sociale di Alekos sia stata, fino a questo momento, piuttosto blindata - per sua stessa decisione - sul fronte sentimentale.
Che dite? Succederà qualcosa a uno dei nostri due uomini? 
  
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