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Autore: Mispon_    25/09/2019    2 recensioni
I pokémon sono creature misteriose che vivono negli habitat più disparati: dalle impervie montagne innevate ai bui fondali oceanici, dalle foreste più selvagge alle grandi metropoli industrializzate. Questi esseri vivono in perfetta armonia con gli esseri umani e il loro legame viene a concretizzarsi nel fenomeno delle lotte tra pokémon.
In questo contesto uno scienziato, il Prof. Y. Okido, crea il Pokédex, un'enciclopedia multimediale che raccoglie i dati di tutti i pokémon della regione di Kanto. Il suo desiderio è quello di affidare il Pokédex a due giovani allenatori per testarne il funzionamento. Ma qualcosa va drammaticamente storto...
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blue, Red
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Videogioco
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Capitolo 1 - Svegliarsi!


Okido si svegliò prestissimo, alle 5:30 di mattina, come del resto faceva ogni giorno. Il suo piccolo appartamento era un vero disastro: polveroso e umido, con il pavimento ricoperto di vestiti sporchi, avanzi di chissà quale malsano cibo precotto e ciotole per pokémon semivuote; il letto non veniva rifatto da settimane. Ma in fondo cosa poteva importargliene? Non trascorreva se non poche ore in quella topaia e sicuramente non la sentiva come casa propria. Inoltre di certo nessuno avrebbe mai visto quel disordine apocalittico. Al contrario di come ci si potrebbe aspettare, però, Okido teneva molto al suo aspetto fisico: i pochi indumenti che indossava regolarmente erano gli abiti da lavoro, riposti con cura nell’unico armadio sulla parete di fondo. Si lavò con calma, pettinando attentamente i crespi capelli castani. Fatta colazione e dato da mangiare ad Eevee prese alcuni fogli e li ripose in una valigetta grigia; quindi uscì. Abitava al secondo piano di un palazzo nel centro di Yamabuki, a pochi passi dalla Sede Centrale della Polizia di Kanto dove lavorava. Giunto all’altissimo grattacielo di vetro poté constatare come fosse il primo del Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata ad arrivare. Erano le 6:20: tutto come al solito. Si sedette alla sua postazione, una scrivania sorprendentemente ordinata, e iniziò a lavorare su alcuni documenti che aveva ricevuto la sera prima. Erano pile e pile di faccende legali e burocratiche da districare, un compito che avrebbe richiesto ore ed ore di ricerche e di procedimenti meccanici. Non succedeva mai niente e Okido non poteva essere più felice. Pian piano arrivarono tutti gli altri membri della sezione: dapprima l’anziano Commissario Po con la sua tipica cravatta sgargiante e i suoi baffi chilometrici. Tra lui ed Okido non c’era un vero rapporto confidenziale; anzi: non c’era proprio un rapporto! Si parlavano solo di rado e solo in ambito lavorativo. Tuttavia il ragazzo provava un certo rispetto per quel vecchio omone possente. Qualche minuto dopo fu la volta di Doiru. Quel quattrocchi strampalato non gli era mai piaciuto: sosteneva di poter individuare un assassino soltanto osservando la scena del crimine per pochi secondi. Peccato che non lo avesse mai dimostrato (e che al dipartimento di rado si aveva a che fare con omicidi di quel tipo). Okido provava antipatia per chiunque non prendesse seriamente il proprio compito. Dopo l’arrivo di molte persone che non conosceva e non gli interessava conoscere, si presentò Christie con la sua solita ora di ritardo. Era una ragazza dai capelli corti e biondi, piuttosto bassa e originaria di una qualche regione dell’occidente di cui Okido non ricordava mai il nome (“Valar, Gatar,… qualcosa del genere. Non mi intendo di geografia, io.”). Essendo piuttosto taciturna era la persona, lì dentro, che il ragazzo era più propenso a sopportare. La giornata passò lenta. Il locale era silenzioso, privo di qualsivoglia interazione tra i suoi ospiti. Ogni tanto Doiru blaterava di “essere il migliore” e di “aver capito tutto”; era in quei momenti che Okido avrebbe voluto distruggere l’intero commissariato. Verso mezzogiorno giunse un rapporto che svelava alcuni dettagli sui collegamenti finanziari tra il Centro di Ricerca dell’Isola Guren e una piccola agenzia mineraria militante. Okido aveva per primo intuito che la quantità di fossili venduti al centro negli ultimi mesi era piuttosto sospetta; effettivamente si era scoperto che l’impresa da cui furono comprati i reperti non possedeva alcuna licenza idonea. Per forza di cose i malfattori li avevano estratti illegalmente dal Monte Otsukimi - unico giacimento fossilifero della regione - e sarebbero tornati lì a breve. La polizia avrebbe semplicemente potuto presidiare la zona e arrestare i colpevoli, ma per questioni burocratiche l’operazione avrebbe tardato di mesi. Bisognava prima dimostrare che l’agenzia fosse in malafede! Nonostante adorasse i tecnicismi, Okido riteneva che la tendenza a rallentare la giustizia a causa delle situazioni formali fosse disgustosa. Pensandoci sussurrò anche un “che schifo”, prontamente udito da quell’idiota di Doiru che lo guardò storto. Verso le dieci di sera tutti erano già rincasati, tranne Okido e il Commissario Po. Il giovane stava rimettendo a posto gli ultimi documenti e archiviando alcuni file. Fu in quel momento che notò qualcosa di molto strano: dal Database Centrale (che egli gestiva direttamente assieme ad altri tre individui al di fuori della sezione) era assente il file relativo all’Attentato di Tokyo. Essendo imparentato con una delle vittime quel fascicolo era sempre in primo piano. Si assicurò di essere connesso con il suo profilo e non riscontrò problemi: stavo accedendo proprio in qualità di Shigeru Okido. La cosa lo turbò parecchio e, non ottenendo risposte dall’ignaro commissario, se ne andò con l’amaro in bocca.
Tolse gli abiti da lavoro e si sdraiò sul letto sfatto. Eevee aveva già mangiato: oramai quel bizzarro incrocio tra un gatto e una volpe aveva imparato ad aprire da solo le scatolette di croccantini, non potendosi fidare dello sbadato padrone. Quella notte l’agente ebbe modo di riflettere su alcune cose. Mentre stava tornando nel suo squallido appartamento vide una bambina giocare con un Vulpix per strada. “È bello che, nonostante tutto, ci siano ancora persone che interagiscono con i pokémon nella vita di tutti i giorni”, si disse tra sé e sé, “Sette anni fa… l’attentato nel quale perse la vita mio nonno fu solo l’inizio di una serie di eventi catastrofici per la nostra società. Il Progetto Pokédex fallì miseramente e i dati inerenti alle ricerche del vecchio andarono perduti; chi ha rubato i due modelli a Tokyo aveva programmato tutto nei minimi dettagli e riuscì a impossessarsi anche delle copie presenti nel laboratorio a Masara. Da allora l’economia iniziò ad essere sempre più riluttante ad accogliere nuove idee di carattere scientifico. In fondo la Silph aveva investito un patrimonio per finanziare il progetto del nonno. La stessa produzione di Pokéball si arrestò in diverse regioni. Di conseguenza le persone hanno cominciato a disinteressarsi ai pokémon considerandoli sempre più vicini a semplici animali domestici. Nonostante istituzioni come la Lega Pokémon siano ancora in piedi si trovano in un periodo di crisi profonda. Sono addirittura sorte comunità di soli umani all’interno della Nazione. Si potrebbe quasi dire che quello stupido di mio nonno con il suo progetto del cazzo abbia portato il nostro mondo alla rovina. Già… era proprio uno stupido. Non mi interessa affatto che sia morto: figuriamoci se ho il tempo di traviarmi per queste cose. Ammetto che all’epoca, quando ero solo un ragazzino, ero piuttosto entusiasta di essere stato scelto come uno dei due beta-tester per il Pokédex. Mi piacevano le lotte tra pokémon, ero abbastanza portato. Mi chiedo cosa stia facendo Red adesso. Cioè, Satoshi (devo smetterla di usare quel soprannome ridicolo). Ma oltre tutto ciò e nonostante non mi importi nulla di lui, c’è qualcosa che non mi torna affatto. Quella strage fu troppo perfetta. Come hanno fatto i colpevoli a sigillare le porte, a introdurre gas tossici dal tetto, a causare un cortocircuito dell’edificio dall’esterno e a piombare dall’entrata secondaria senza essere colti in flagrante? Non ha nessun senso a meno che non si prenda in considerazione l’ipotesi di un complice interno. Ma quel filmato prelevato dal cellulare di una delle vittime è eloquente. Se solo non fosse per quello… E poi cosa diamine è successo oggi al fascicolo? C’è stata una violazione del sistema? Ma no, cosa dico?! Gli altri collaboratori avranno semplicemente trasferito il file ad un altro archivio in quanto il caso è stato archiviato da tempo. Sarà sicuramente così. Accidenti: sto parlando da solo da un bel po’, eh Eevee? Beh, alla fine sono solo chiacchiere futili. Di quel vecchio non mi interessa neppure quindi perché dovrei rimuginarci tanto? Ora voglio solo essere il migliore nel mio lavoro. Buonanotte!”

Okido si svegliò svegliò alle 5:30 di mattina, puntuale come sempre. Si lavò e come di suo solito stette una buona decina di minuti a pettinarsi in modo minuzioso. Gettò il “pigiama” sul cumulo di vestiti sporchi e indossò con garbo gli abiti da lavoro. Diede da mangiare ad Eevee, prese l’occorrente per la giornata e piombò fuori. “Oggi sarà una splendida giornata” - si diceva - “Ho delle divertentissime pratiche da archiviare, spinosissime come piace a me!” Proprio mentre mormorava quest’ultima frase entrò nella sala del dipartimento e notò con grandissima sorpresa che non era arrivato per primo: Po e Christie erano già lì che lo guardavano in maniera insolita. “Ma come?! Sono solo le 6:20! Christie, lei non è mai qui prima delle 7:45!” Disse Okido in modo seccato. La donna però non rispose e lasciò parlare il commissario.
“Agente Okido, dobbiamo comunicarle un risvolto degli ultimi minuti inerente a un caso molto particolare.” Quell’uomo riusciva ad emanare solennità dicendo le cose più banali.
“Ma certo, di cosa si tratta?” Disse un po’ intimorito.
“Okido, lei non ha acceso la televisione questa mattina. Non è così?”
“Esattamente. Ma come fa a saperlo?” Non ce l’aveva neanche una televisione.
“C’è stato un annuncio in diretta nazionale. Non autorizzato.”
“Sono riusciti a violare il sistema di sicurezza della Nazione? Ma quanto sono messi male a NTV?” Rispose in modo spavaldo. Stava morendo dentro quando si rese conto che l’aveva detto sul serio.
“La prego di essere serio, agente Okido! È stato un attacco terroristico in piena regola.”
“Va bene, mi scusi. Ma io cosa c’entro in tutto ciò? Non dovrei solo operare sul campo burocratico?”
Il confronto fra i due fu interrotto: “N-Non si tratta del suo lavoro…”
Era incredibile. Christie gli aveva rivolto la parola! Quella Christie! La cosa si faceva sempre più bizzarra e criptica e Okido iniziava a irritarsi seriamente: “D’accordo. Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?!”
Il commissario riprese: “Agente Okido. Visto che non sembra propenso a collaborare glielo dirò in maniera concisa. L’Attentato di Tokyo di sette anni fa è stato appena rivendicato in diretta nazionale da un’organizzazione malavitosa che si è identificata come Team Rocket. Ci tenevamo a constatare che la notizia le giungesse il prima possibile.”
Le pupille del giovane si dilatarono a dismisura. La sua mano destra cominciò a tremare evidenziando un lieve disturbo psicosomatico. Gli succedeva quando era particolarmente sotto stress. Ci furono alcuni minuti di silenzio durante i quali Christie raggiunse il culmine dell’imbarazzo.
“Vada avanti” disse in modo pacato Okido “C’è dell’altro, giusto? O non sareste qui.”
“Sì, è così. Due giorni fa tutti i file inerenti all’attentato sono andati cancellati. In tutto il mondo non vi è più alcuna prova dell’accaduto. Anche le banche dati più segrete e inaccessibili della capitale Tokyo sono state violate facilmente. Ci aveva già fatto caso ieri, non è vero?” Okido annuì senza dir nulla. “E non si tratta solo dei file: giornali, fotografie, registrazioni, qualsiasi cosa che possa anche solo vagamente ricondurre agli avvenimenti di sette anni fa si è dileguata nel nulla nell’arco di poche ore. Questo vuol dire che anche catturando i colpevoli non ci sarebbero prove sufficienti per incriminarli. E non è tutto: ricorda l’agenzia priva di licenza che commerciava fossili con il Centro di Ricerca dell’Isola Guren? Il Team Rocket ha confermato il collegamento anche con essa e questa notte tutti i membri dell’agenzia sono stati trovati morti avvelenati nei loro appartamenti. Ma la cosa più assurda è che anche i documenti relativi a questo caso sono andati completamente perduti. Il rapporto che ieri abbiamo avuto tra le mani non esiste più. Non sappiamo come questo Team Rocket sia riuscito a compiere una simile impresa così poco tempo ed eludendo qualsiasi misura di sicurezza. È un’impresa che sembra trascendere le normali facoltà di giudizio umane.”
Okido batté un pugno contro la parete della sala: “Si può sapere cosa c’entro io in tutto questo?! Non mi interessa del Team Rocket. Non mi interessa dei fascicoli che scompaiono. Non mi interessa di mio nonno! Io sono soltanto quello che archivia le pratiche. Quindi che cosa volete da me!? Cosa?!” Nella sua mente stava urlando fragorosamente quelle parole, ma in realtà non emise che un rantolo incomprensibile. Il tremolio alla mano si era accentuato. Stava piangendo, ma aveva abbassato lo sguardo per non farlo notare.
Il commissario continuò impassibile: “Per vie legali non potremmo fare nulla. Abbiamo le mani legate su tutti i fronti. Per organizzare un processo plausibile ci vorrebbero anni e nel frattempo ai vertici del Team Rocket, ammesso che questo sia il suo vero nome, tutti sarebbero fuggiti al di fuori della Nazione o avrebbero cambiato identità. Sappia che se deciderà di indagare in qualità di privato giustificherò la sua assenza in ufficio. Non c’è altro. Ora ho alcune faccende importanti da sbrigare.” Così l’uomo se ne andò, in maniera del tutto pacata e come se nulla fosse successo, seguito da una Christie attonita e spaventata. Okido si inginocchiò.
Quel giorno rincasò molto presto; non l’aveva mai fatto prima di allora. Restò alcune ore a riflettere. I suoi pensieri confluirono in un ghigno che poteva esprimere un unico concetto: “Nonno, io ti odio. Ma risolverò questo caso. Altrimenti le cose a lavoro si complicheranno. E io esisto solo per il mio lavoro.” Sapeva benissimo di mentire a se stesso.
   
 
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