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Autore: Cry_Amleto_    27/09/2019    0 recensioni
/Seguito di "Lost Creatures", preceduto a sua volta da "Lost Time". Ultimo capitolo della trilogia "Lost"/
[Stony!]
Tratto dalla FanFiction:
"Si amavano di un amore bugiardo, fatto di segreti, bugie e mezze verità.
Si amavano di un amore unico, carico di passione, affetto, preoccupazione, gelosia.
Si amavano, di quell'amore dal quale non sopravvivi."
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost'
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[...]I see you, you're in the darkness
Blinding lights right where your heart is[...]
[...]Ti vedo, sei nell'oscurità
Luci accecanti proprio dove si trova il tuo cuore[...]


Il letto in cui è sprofondato è enorme. No, un attimo, è lui ad essere piccolo. Sì. Giusto. Ha cinque anni e sette mesi. Questo è il quinto giorno in cui la febbre lo costringe a letto. Il medico di famiglia ha consigliato a suoi genitori di portarlo in ospedale, tre giorni fa. Howard ha detto di no. Maria ha abbassato lo sguardo. Sono quasi cinque giorni che non vede i suoi genitori, esattamente dal momento in cui sono usciti dalla sua stanza in compagnia del dottore. Jarvis viene di tanto in tanto a dargli medicine e misurare la febbre. Gli porta biscotti di nascosto e gli racconta le marachelle dei cani di Ana, sua moglie.

Ma il piccolo Anthony ha sentito anche altre storie durante le feste indette dai suoi genitori: ha sentito i bambini parlare degli splendidi regali che ricevevano quando venivano colpiti da un raffreddore, e che per avere l'ultimo modello di Hi!Robot gli sarebbe bastato sudare correndo un po' e sedersi tra due balconi aperti. Il figlio di Howard aveva ascoltato quei racconti rapito e sorpreso, non avendo mai ricevuto trattamenti simili. Questo però non lo aveva detto agli altri, aveva fatto un incerto cenno del capo quando gli avevano chiesto se anche a lui succedeva lo stesso. All'inizio aveva pensato che non avesse mai ricevuto giocattoli nuovi per un raffreddore perché non era un bambino sufficientemente bravo e a modo. Si era comportato al meglio delle sue possibilità per soddisfare e rendere fieri di sé i genitori, guadagnandosi tiepidi sorrisi da parte della madre e sguardi vitrei dal padre. Quando il fatidico raffreddore era arrivato, sei mesi prima quella terribile febbre, senza che lo facesse in alcun modo di proposito - si era addormentato per sbaglio nella vasca da bagno la sera prima -, era andato dalla madre a riferirglielo. Lei lo aveva guardato distrattamente allacciandosi lo splendido vestito blu che avrebbe indossato quella sera - sua madre amava quel colore - e gli aveva detto di parlarne con Jarvis mentre imbucava la porta. Il piccolo Anthony era stato deluso da quel comportamento ma si era detto che, probabilmente, un raffreddore era qualcosa di troppo banale rispetto agli importanti impegni della madre. Quindi aveva scrollato le spalle e continuato a mantenere un comportamento impeccabile. Aveva continuato a sperare.

Tony - come lo chiamano Jarvis e Ana di nascosto da sua padre - si sta contorcendo nel letto in preda a fortissimi dolori e allucinazioni causate dalla febbre. Si ritrova ad urlare, a volte sono semplici grida di dolore, altre invoca il padre e la madre. È durante uno di questi ultimi episodi che afferra la manica del maggiordomo impegnato a detergergli la fronte bollente con un panno umido. Il figlio di Howard lo sguarda con i suoi grandi occhi arrossati ed umidi, prima di mormorare timidamente: «Jarvis, voglio la mamma ed il papà.»
Ha capito infatti che non sono regali quelli che vuole in quel momento, non se ne farebbe niente. Vuole solo la sua mamma e il suo papà al suo fianco, perché Jarvis ed Ana non sono la stessa cosa e lui sente male ovunque. Tony non si lascia scoraggiare quando il maggiordomo gli comunica che Maria non tornerà prima del weekend successivo e che Howard è impegnato in importanti questioni.
«Per favore Jarvis» gli sussurra con un filo di voce. «Ho bisogno di papà...»
Quando dopo quindici minuti esatti - due per salire le scale e percorrere il lungo corridoio al quarto piano, dieci davanti alla porta chiusa dello studio del padre, come sempre accade, uno per ricevere la risposta e due per tornare indietro, conta mentalmente il piccolo - il maggiordomo ritorna, Anthony riesce a leggere la risposta alla sua richiesta nel suo sguardo impietosito.
«Signorino, suo padre la convoca nel suo ufficio» gli dice quasi con tono di scuse. «Ha dato istruzioni secondo le quali lei non si debba far aiutare da nessuno. Ma signorino, permettete almeno che io...»
Non gli permette di concludere la frase. Il giovane Stark stringe le labbra in una linea sottile. Sul suo volto di bimbo stona un'espressione troppo adulta. Con un gesto secco si sbarazza delle coperte e si drizza seduto. Un capogiro lo coglie facendolo appoggiare pesantemente alla spalliera del letto. Non accetta aiuti, non in quel momento, non mentre percorre le scale, il corridoio, nemmeno quando è costretto a restare barcollante difronte alla porta dello studio, aspettando i canonici dieci minuti, lì dove non c'è niente a cui appoggiarsi. Sente la testa girare vorticosamente, la vista appannata, lo stomaco stretto dalla nausea, un groppo alla gola per il nervosismo. Ed ecco che finalmente, dopo un tempo che sembra infinito, arriva l' "avanti" del padre. Anthony non ricordava ci volesse tanta forza a spingere la pesante porta in mogano.
Howard Stark è seduto alla sua ordinata scrivania, gli occhi concentrati su dei documenti che impugna. Non solleva lo sguardo su di lui per molto tempo e il piccolo inizia a sentirsi davvero, davvero stanco. Si avvicina alla sedia di pelle posizionata davanti alla scrivania e fa per occuparla, quando la voce del signor Stark interrompe l'opprimente silenzio.
«Ti ho forse permesso di sederti, Anthony?» lo apostrofa duro, mentre fa scorrere la penna in un'ultima firma. Solo a quel punto solleva gli occhi vitrei e severi su di lui.
Il silenzio si protrae ancora a lungo, e Tony sente sempre di più girargli la testa. Non sa quanto tempo ancora riuscirà a restare in piedi prima di crollare.
È quando le ginocchia molli lo portano quasi in ginocchio, che finalmente Howard parla: «Mi è stato riferito che trascorri tutto il tuo tempo a letto, facendoti servire e riverire dai domestici che ti imboccano, lavano, e portano al bagno. Non mi sembra di avere un disabile in linea di discendenza. Questo non è il comportamento degno di uno Stark. È biasimevole il tuo distogliere il signor Jarvis dai suoi compiti d'amministrazione con richieste simili a quella che mi ha inoltrato per tuo conto.»
Le parole di Howard sono dure e severe, fatte per distruggere ed annientare ogni possibile tentativo di ribattere. Il piccolo Anthony trema, annichilito, mentre il silenzio si protende ancora e Howard va a caccia della seppur minima imperfezione nel figlio. Dalla sua espressione, si direbbe che ne ha trovate fin troppe.
Poi c'è il suono di una cintura slacciata e quelle parole, quelle che non lasceranno mai più la sua memoria, quelle che gli verranno ripetute ancora ed ancora, quelle che continuano a tormentare i suoi incubi.
«Sei una vergogna per gli Stark. Togliti la maglietta, mani sulla scrivania. Non osare cadere.»

~o~


L'uomo che ha tutto e niente, così lo definisce Yinsen. Tony gli rivolge un sorriso storto, lo sguardo basso. Non commenta. Non dice che quella di non avere niente più che una scelta è l'unica opzione. Non può permettersi di rovinare altre cose, altri momenti, altre persone. È il Mercante di Morte. È troppo simile a suo padre. Non sa prendersi cura neanche di se stesso, come può essere degno di essere padre? Quest'ultima parola è un cubetto di ghiaccio che gli corre lungo la spina dorsale. Rimanere solo è misericordia, forse l'unico vero atto di gentilezza che un egoista, narcisista ed egocentrico come lui può compiere durante la sua esistenza.

~o~


Pepper vuole dei bambini. Non è una sorpresa per Tony. Lo vede nello sguardo della donna quando prende in braccio per la prima volta Nathaniel Pietro Barton, il giorno del suo battesimo. L'aveva visto anche prima, ogni volta che passeggiando nel parco si erano imbattuti in passeggini e bimbi che si arrampicavano sulle giostre. E l'espressione che la signorina Potts gli rivolge ogni volta è sempre così triste, rassegnata. Pepper non ha mai chiesto – non c'è stato bisogno – ma ha capito. È anche per questo che se ne è andata, Tony ne è abbastanza sicuro. Ma non può andare diversamente, pensa versandosi l'ennesimo doppio Scotch. Tony Stark non è fatto per essere padre.

~o~


Se avesse mai avuto un figlio, vorrebbe che fosse come Peter Parker. C'è questa luce nel suo sguardo, questa speranza nel domani che neanche un futurista come il Meccanico ha mai posseduto. E poi è un ragazzo intelligente, così intelligente. Ha capito molto prima di Tony la differenza tra giusto e sbagliato. L'ha visto, ha visto il vero lui, e nonostante questo continua a idolatrarlo, a credere in Iron Man. Stark sorride all'ennesima domanda curiosa di Spiderman, lì in laboratorio. Gli scompiglia i capelli, passandogli accanto. Peter sbuffa, rosso. Tony ride. L'ombra di Howard continua a incombere su di lui.

~o~


«E così sono diventato padre, eh?» La voce di Tony è distorta dal manico cacciavite che ha tra i denti. Con ultimo sbuffo, riesce a girare il bullone. Con un colpo di reni, scivola da sotto il motore dell'auto. Le rotelle della tavola su cui è steso stridono leggermente. Si alza a sedere, guardando Victoria. In risposta la ragazzina gli si avvicina con un panno umido, togliendogli le tracce dell'olio da motore dalla fronte e dalla guancia. Una volta fatto, gli rivolge un mezzo sorrisetto e scatta a sedere su di uno sgabello poco distante.
«Sì. L'hai fatto. Ci sei sempre stato, per me. Ci siamo presi cura l'uno dell'altra. Devo dire che non te la sei cavata affatto male. Guarda qui come son venuta su!» Vick ride. Tony non riesce ad unirsi. C'è qualcosa nell'espressione della ragazza che gli fa sott'intendere un "ma".
La risata della giovane Stark si spegne velocemente, cogliendo lo sguardo del padre.
«Non amavi la mamma, sai? Certo, le volevi un gran bene, questo lo so. Ma amore, di quello vero, non l'hai provato sul serio nei suoi confronti. Me l'ha detto lei, anche se non c'era veramente bisogno. Mi disse che un tempo avevi amato, amato intensamente. Poi le cose erano andate male e non c'era stato più molto amore che ti rimanesse, come se ti fossi scaricato. Le uniche batterie di riserva che avevi erano ciò che provavi per me, diceva. Ma non le importava molto, sai? Sapeva di essere l'unica che tu avresti mai potuto amare dopo di lui.»
Tony la guarda con occhi sgranati per tutto il racconto, è un cervo investito dai fari di un auto. Abbassa lo sguardo sulle proprie mani. Gli occhi d'ambra inciampano sulla base dell'anulare sinistro.
«È sempre stato lui, vero? È sempre stato Steve.» La piega delle labbra del genio è triste, mentre il sussurro scivola via.
Vick non ha bisogno di rispondere. Gli poggia una mano sulla spalla, un bacio leggero su una guancia, e scivola via.

~o~


Le nocche di Tony erano sporche di rosso mentre scavava tra i cumuli di calcinacci, ciò che è fino a poche ore prima era la sua casa, il suo nido sicuro. La gola gli faceva male ma non smetteva di urlare il nome di colei che, anche se da così poco, era sua figlia. Le braccia di Steve erano lì a sorreggerlo quando cadde, sfinito. Il Capitano gli posò un bacio sulla fronte, tenendolo stretto. Lo guardò fisso negli occhi, cercando di infondergli speranza.
«Tony» disse la voce di Steve.
Iron Man si irrigidì. Captain America si schierò davanti a lui, le gambe larghe e i pugni alzati, protettivo.
Lo sguardo ambrato di Stark non avrebbe potuto essere più inorridito.
Davanti a loro, un'altro Steve Rogers si erigeva tra le macerie, circondato da soldati. Un ghigno orribile si aprì sul volto così simile a quello amato.
«Tony, Tony, Tony.» Il proprio nome era veleno su quelle labbra carnefici. «Ecco dov'eri. Bisogna ritornare a casa.»

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