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Autore: Diana2333    27/09/2019    3 recensioni
Sono passati solo pochi mesi dall'assoluzione dal Wizegamot e Draco deve far fronte ai propri scatti d'ira e all'insostenibile situazione al Malfoy Manor, finchè un giorno non scappa e fa un incontro interessante. Uno spaccato sulla sua situazione durante e dopo la guerra e su come i suoi valori sono cambiati col tempo
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Blaise/Draco, Lucius/Narcissa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 Draco incontra i babbani
 






Draco non ce la faceva più 

“Vedrai, Narcissa, ho già individuato un potenziale candidato al ruolo di primo ministro. Uno con i giusti ideali, non ha fatto dichiarazioni ufficiali riguardo la sua visione su babbani e sangue sporco, non sarebbe saggio di questi tempi, ma sono piuttosto sicuro supporti la nostra causa, non appena salirà al potere e le acque si saranno tranquillizzate mostrerà da che parte sta realmente...” 

Suo padre aveva iniziato, ancora una volta, con uno dei suoi discorsi. Stupidi e sconsiderati monologhi sul prossimo esponente politico pronto ad appoggiarli e su come ritornare in auge supportando le persone giuste al tempo giusto. 

“...Ho giusto preso contatti con il suo segretario, si è dimostrato disponibile non appena ha saputo del mio nome e dell’oro di cui dispongo, ovviamente. Vedrai questa è un’ottima occasione...” 

La sua bocca si muoveva ma Draco aveva smesso di ascoltare i suoni uscirvi da tempo. Lo osservava distaccato e rassegnato, camminare avanti e indietro vicino alla finestra rimirando i pavoni beccare il prato. La luce penetrava dalle bianche tende illuminando i suntuosi adorni di pietra all’interno della villa. Sua madre sedeva composta in una delle poltrone vicina a suo figlio. Se Draco non fosse stato fin troppo cosciente di quanto miserabile fosse la loro condizione avrebbe potuto facilmente illudersi quella fosse una delle tante mattine vissute in passato, quando era poco più di un adolescente e le stesse parole di suo padre avrebbero avuto un senso. 

Passato, si perché solo in esso Draco avrebbe preso le parole del più anziano come l’ennesima dimostrazione di quanto suo padre fosse il più potente, il più scaltro. In un passato dove l’avrebbe guardato in ammirazione e annuito ghignando ad ogni sua frase. 

Ora invece sembravano solo l’ennesimo piano sconsiderato, come ne aveva fatti tanti Lucius, disperatamente incapace di accettare la sua sconfitta. Come poteva non vedere. Non vedere con quanta fatica e solo grazie alla testimonianza di Potter fossero riusciti a sfuggire ad Azkaban benchè con la reputazione completamente distrutta e il mondo pronto a sbatterli in cella al primo errore avessero ricommesso.  

Come poteva non rendersi conto che in una situazione talmente precaria la cosa più saggia fosse sparire dalla scena per una, magari due decine d’anni? Possibilmente sperando che la società si dimenticasse di loro o quanto meno credesse a quella miserabile farsa sul “essersi pentiti delle loro azioni” che suo padre aveva propinato in tribunale? 

Non che Draco non fosse sinceramente pentito di molti suoi sbagli,ma suo padre, con il petto infuori nei suoi abiti dorati mentre parlava di aiutare le “persone giuste” a salire al potere, di certo non lo era. 

“Draco” la voce dell’uomo lo distolse tutt’un tratto dai suoi pensieri. 

“Preparati, questo pomeriggio andremo a fare visita a Strickit in persona, sarà il primo passo per far vedere quanto ancora valiamo” 

Il figlio rimase per un secondo a bocca aperta, i tratti eleganti in un misto di stupore e preoccupazione. 

“Cosa c’è? Cos’è quell’espressione?” 

Draco sentiva la propria rabbia salire. Era così da un po’ di mesi ormai. La bocca si sigillava e la mente si affollava di pensieri, insulti che, incapace di esternare, si accumulavano, l’uno dopo l’altro. 

“Draco” fece sua madre in tono ammonitorio prevendo quello che sarebbe successo. 

Lucius lo guardava con un’espressione sdegnata “Non vorrai venirtene fuori con l’ennesima delle tue scenate. Ne ho abbastanza!” esclamò avvicinandosi al ragazzo, negli occhi un’espressione profondamente irritata con quella ormai abitudinaria punta di follia che era apparsa dopo il suo ritorno da Azkaban. 

“Come puoi non renderti conto di tutti gli sforzi che sto facendo per la famiglia? Sto tentando in ogni modo di ripristinare il nostro nome e tu sei...ingrato...con le tue bambinate” 

E come ogni volta che Draco sentiva quella rabbia accumularsi finiva sempre allo stesso modo: scoppiava 

“Ripristinare il nome della famiglia? Padre, c’è gente che fa le ronde tutti i giorni davanti casa nostra cercando il momento buono per coglierci indifesi e tu vuoi andare nel bel mezzo del ministero a mostrare a tutti i tuoi ideali, quanto sono-” 

“Quanto sono cosa?” fece l’altro sempre più furioso. 

E a quella risposta Draco perse ogni traccia di autocontrollo 

“Quanto sono pazzi! Ci farai uccidere tutti! Marciremo ad Azkaban se siamo fortunati per causa tua! E’ sempre stato così...è sempre stata colpa tua...” 

“Draco!” ripetè sua madre allarmata, avvicinandosì. 

Ma Lucius la precedette afferrando Draco per il colletto della sua camicia . 

“Come ti permetti di parlarmi così...come se non sapessi niente di come funziona il mondo” con una spinta lo allontanò “Adesso andrai in camera tua, ti vestirai e verrai con me senza fiatare, sono stato chiaro?”  

Lucius era furioso ma il figlio lo era di più. Quel senso di sconfitta, di smarrimento, gli incubi che faceva ogni notte, era tutto lì, più vivo che mai in quel momento. 

“No! Padre devi smetterla, sei andato completamente fuori di testa!” nella concitazione non si rese conto di aver a sua volta afferrato suo padre per le vesti e iniziato a strattonarlo. 

I suoi genitori sembrarono rendersene conto con lo stesso ritardo di Draco, quando sua madre lo fece emise un ansimo mozzato. Suo padre reagì più lentamente, abbassò lo sguardo con attontimento, quando lo rialzò aveva un’espressione piatta. Un secondo dopo il suo bastone era sulla guancia del ragazzo. 

Il più giovane nell’urto si spostò, col viso nella direzione opposta a quella dei genitori, incapace di processare quanto era successo. Suo padre aveva usato il bastone in pochissime altre occasioni, e ogni volta era stata memorabile. 

“Non” sentì suo padre aggiungere con voce fremente, ansimante dalla rabbia 

“ti permettere...mai più...di toccarmi” 

Sua madre non diceva nulla, probabilmente troppo sconvolta. 

Senza guardare nessuno in faccia Draco uscì nel giardino e corse, quanto più lontano poteva. 

Sentiva sua madre urlargli di non uscire dalla proprietà e per ripicca fu proprio quello che fece. Non gli importava più nulla, nella sua mente regnavano il verde degli alberi e il dolore allo zigomo. 

Non gli importava più nulla.  

Sarebbe scappato dalla sua miserabile vita, da quegli insani dei suoi genitori. Lontano dal suo passato e dalla consapevolezza di non avere un futuro. 

Corse finchè aveva fiato, finchè le barriere magiche della proprietà non furono oltrepassate da tempo e attorno a lui ci fossero solo colline sconosciute. 

Fu solo allora che sentì la rabbia finalmente scendere e si rese conto di avere le gambe in preda a fitte di dolore da quanto aveva corso. 

Ancora col fiatone si sedette su una roccia. 

Si toccò la guancia con le dita e le trovò insanguinate 

Quel bastardo... 

Suo padre lo aveva colpito molto di rado in verità. Era sempre stato più severo con le parole, facendolo spesso sentire incompetente ogni volta che perdeva una partita di Quidditch o veniva battuto dalla Granger. Molto raramente invece aveva alzato le mani, tanto meno il bastone. 

Draco sospirò, ripensando all’ultima volta che era successo. 

Aveva quattordici anni, in uno dei tanti gazebi nei giardini del Manor quando suo padre l’aveva sorpreso a giocare, o meglio, ad esplorare Blaise Zabini. La lezione era stata talmente incisiva che Draco non si era più permesso di fare, e nemmeno pensare, una cosa del genere. 

Con un ultimo brivido la sua mente si spostò sul motivo del loro recente litigio. Aveva perso il controllo, un’altra volta.  

Succedeva sempre più spesso da quando erano stati assolti dal Wigezamot. Sentiva la gola chiudersi e tutte le inutili parole dei suoi genitori rimbombargli nel cranio, sempre più forte finchè non perdeva la testa e con tutto il risentimento in corpo sfogava anni di ansia e terrore costante. 

Da un lato si sentiva profondamente in colpa nel rispondere ai suoi genitori in quel modo, si stava comportando come un ragazzino e se ne rendeva conto. Ma non poteva più far finta di niente, non dopo tutto quello che avevano passato, non poteva più approvare le idee suprematiste di suo padre. Erano pericolose, suo padre era pericoloso. Non era più stato lo stesso dopo la fuga dalla prigione, era sopravvissuto, contrariamente a quanto la maggior parte dei mangiamorte immaginava, ma l’esperienza l’aveva segnato profondamente ed era molto più incauto, a tratti, con un’energia inaspettata, si gettava in fanatismi che sua madre aveva la delicatezza di non ribattere. Ma non Draco, lui non aveva più la pazienza di sopportare nulla. 

Sopportare... 

I suoi pensieri s’incrinarono velocemente a quella parola...come spesso nell’arco di quei mesi flash improvvisi dell’anno passato gli apparvero davanti agli occhi. 

Sua zia, quell’espressione di scherno che gli riservava. I Carrow che ordinavano a Tiger di cruciarlo per punizione. Occhi lupeschi ed affamanti che lo guardavano con malizia. Occhi rossi... 

Con un fremito si alzò. Doveva fare qualcosa, subito. Qualcosa che non gli facesse pensare. 

C’era una tavola di lamiera lì vicino. Draco ignorava cosa fosse ma poco gli importava, cominciò a calciarla, con tutta la forza che aveva. E continuò anche quanto le scarpe cominciarono a sgualcirsi, il corpo guidato dalla furia. 

“Hey!” urlò una voce 

Il biondo smise di soprassalto. Chi era stato? D’un tratto si ricordò delle ronde di maghi che pattugliavano i confini del Manor, sembravano così insignificanti mentre scappava... 

Ma non erano dei maghi. Davanti a lui si avvicinavano degli strani individui. 

“Hey tu! Cosa pensi di fare? Quella roba è nostra!” una donna camminava nella sua direzione seguita da una ragazza più giovane che avrebbe potuto essere sua figlia. 

Preso dal panico il ragazzo fece quello che sapeva fare meglio: scappare. 

Non aveva nessuna conoscenza di babbani e non intendeva fermarsi a scoprire se fossero amichevoli o meno.  

Corse fino ad avventurarsi ai principi del bosco, continuando sarebbe tornato alla villa ma non lo fece. Quando vide che i babbani si erano allontanati si sedette su un tronco. Tornò a pensare a quello strano incontro. Un tempo ne avrebbe approfittato per prendersi gioco di quelle donne, non avrebbe fatto altro che imitare quello che suo padre di tanto in tanto faceva quando portava dei babbani nelle prigioni sotterranee di casa loro. Draco non aveva il permesso di andarci ma più di una volta aveva sentito le urla e mai una volta un babbano uscirne. Era una cosa che lo aveva sempre affasciato e allo stesso tempo spaventato. Cosa faceva suo padre la sotto? Li stava torturando? Per quanto avesse chiaro al tempo come i babbani fossero esseri inferiori per qualche motivo l’immagine di Lucius impegnato a infliggere dolori atroci alle sue vittime non lo faceva sogghignare come molte delle altre cose che suo padre faceva. Di certo non in quel quasi sorriso che vedeva stampato sul viso del più anziano ogni volta che usciva dalle segrete. 

Una volta Lucius gli aveva detto, trattenendo a stento l’orgoglio, che ‘quella feccia rumorosa che si appostava sempre davanti la loro proprietà per mangiare (per quanto i babbani ne fossero ignari non potendo vederla)’ non li avrebbero più infastiditi. Draco aveva sorriso, ma era un sorriso finto. 

“Eccoti qua!” ancora una volta il ragazzo fu sottratto in malo modo dai suoi pensieri. 

Erano la donna e la ragazza, di nuovo, fantastico... 

Questa volta Draco non aveva avuto la prontezza di scappare e prima che se ne rendesse conto le donne erano già a pochi metri da lui, accerchiandolo, non avrebbe potuto scappare neanche volendo. 

Preparandosi psicologicamente a una possibile morte violenta alzò lo sguardo con un’espressione diffidente in volto. 

“Siamo andate a prendere qualcosa da mangiare e dei cerotti” fece la ragazza sorridendo come se nulla fosse. 

“Sembravi parecchio spaventato ragazzo” continuò la donna “E ferito, tieni, ti abbiamo portato un panino. Chissà da quanto sei in giro”. Constatando infastidito che la signora gli ricordava un po’ Molly Weasley continuò a guardarle sospettoso. 

La più giovane, ignorando ogni conoscenza basica del linguaggio corporeo, gli si sedette a fianco sul tronco e, prendendogli il viso fra le mani, inizio a versarci del liquido da una strana bottiglia. Bruciava. 

Draco si spostò velocemente sfoderando quell’espressione omicida che spesso riservava per gli scontri con Potter. 

“Tesoro lo so che brucia ma serve per disinfettare. Chi ti ha fatto questo brutto segno?”  

Il ragazzo continuò a guardale sospettoso pur sentendo che i suoi tratti si erano addolciti. Quando la ragazza tentò nuovamente di bagnargli la ferita non si spostò. 

La donna continuava a fissarlo, evidentemente in attesa di una risposta. 

Draco non conosceva quei babbani, a lui i babbani non piacevano nemmeno. Non aveva nessun dovere di rispondere eppure lo sorprese quanto l’espressione della signora non fosse molto diversa da quella di sua madre. L'improvviso ricordo di come si fosse ferito gli fece abbassare gli occhi. 

Il gesto fece percepire qualcosa alla più anziana perché gli chiese “Sono stati i tuoi genitori non è così?”. Il biondo si chiese se i babbani leggessero nel pensiero, forse non erano così incapaci come suo padre li aveva sempre descritti. 

“Mh” continuò quella “Sei giovane, e a giudicare dalla tua faccia ho ragione. Dai, mangia” Fece perentoria e Draco trovò che la somiglianza con la matriarca Weasley fosse ormai innegabile. 

Quello che stava facendo era senza dubbio rischioso, accettare del cibo da babbani sconosciuti. Non sapeva nulla di loro e se erano anche solo la metà di quello che suo padre era con loro avrebbe fatto meglio a scappare, e subito. 

Alzò nuovamente il mento e osservò più attentamente le donne. La ragazza aveva finito di medicarlo (dopo un po’ di tentativi era riuscita a mettergli pure uno strano oggetto adesivo sulla ferita) e ora lo osservava con l’espressione di chi non immagina possa esistere il male nel mondo. La donna aveva un’espressione molto più seria, una bandana in testa, strani indumenti di cui riconobbe una gonna e le guance segnate da leggere rughe. Aveva gli occhi marroni, svegli e amabili allo stesso tempo. 

Ripensò agli occhi freddi e folli di suo padre e a quelli depressi di sua madre e realizzò che probabilmente non aveva poi molto da perdere. 

Con cautela prese il panino e fece un morso, era buono, constatò. 

**** 

 

Non è che non amasse i suoi genitori, pensò mentre la ragazza gli indicava la via per la loro casa. Sapeva che non sarebbero sopravvissuti alla sua perdita, sapeva di essere amato. Ma questi babbani sembravano innocui e avrebbe fatto volentieri a meno di quelle mura fredde piene di angosciosi ricordi per un po’. 

Suo padre aveva sempre detto che la casa dei Weasley era una topaia, anzi peggio, che nemmeno i topi avrebbe voluto stare in quella discarica traballante, piena di cianfrusaglie e povertà. 

Anche questa casa era disordinata e piena di ragazzi eppure Draco si rese conto che l’effetto era alquanto piacevole. 

Cresciuto come un vero Serpeverde ignorava il significato di parole come comodità e spontaneità nonostante ciò si sentì subito a suo agio in quella casa.  

La donna, una certa Mrs. Smith, lo fece accomodare e iniziò a versare della zuppa per lui e gli abitanti della casa. 

“Dimmi ragazzo come ti chiami?” 

Ora, era saggio dire il suo nome? C’era qualche possibilità che i suoi genitori venissero a sapere che stava socializzando col nemico? 

“Seamus”, era un mezzosangue. Un nome babbano giusto? 

“Non sei di qua vero? Non ti ho mai visto da queste parti” fece Mrs. Smith guardandolo con un’espressione pensierosa. 

Draco stava per rispondere ma quella lo interruppe, le sopracciglia corrucciate in volto. 

“E’ pericoloso sai, con le recenti sparizioni...” 

Il biondo deglutì. Sapeva molto bene chi fosse dietro i numerosi sparimenti di babbani avvenuti nell’ultimo anno. I mangiamorte si erano assicurati la propria dose di divertimento, dopo che il mostro li aveva convocati al Malfoy Manor. Draco li aveva sentiti spesso ubriacarsi e andare in giro per il villaggio seminando terrore o seviziando qualunque babbano gli capitasse sottomano. Qualche volta l’avevano anche costretto ad unirsi, aveva sempre fatto finta di bere per poi stare in disparte fino al termine della serata. 

Per fortuna era finito tutto da un paio di mesi. 

“Sono abbastanza sicuro che non riaccadranno” rispose con una voce flebile. 

Lei lo studiò per un po’ “Si può essere. Chiunque fosse quel pazzo sembra essere sparito dalla circolazione negli ultimi tempi” e iniziò a sistemare la tavola con l’aiuto delle figlie “Sperando di non sentire mai più parlare di lui, con l’incompetenza che la polizia ha avuto finora. Ci credi, mesi di indagini e nemmeno un sospettato, non funziona più niente di questi tempi” continuò lavando i piatti con troppa foga. 

Arrivarono anche i figli, erano piuttosto stretti tutti insieme nella cucina. C’erano le figlie minori, una bimbetta di un anno e un’altra di quattro che cercava in tutti modi di aiutare nel fare la tavola. Ora però si era fermata e lo guardava curiosa 

“Giochi con me alle bambole?” 

“Er-” 

“Lascia in pace Seamus, Penelope, ai ragazzi grandi non interessano queste cose” 

La bambina mise il broncio. 

Poi c’erano i fratelli maggiori, un ragazzino che non poteva avere più di dieci anni e un certo Mark, muscoloso e con un accenno di barba, quella degli adolescenti, quella di Draco. 

“Hey Seamus” fece quello con aria affabile. 

“E’ meglio che vada” Decise quando terminarono di mangiare. 

A quelle parole la madre gli si avvicinò e sussurrò in un orecchio “Sai, se quello te l’ha davvero fatto tuo padre probabilmente è ancora arrabbiato. Aspetterei un po’ fossi in te” e con un’ultima pacca sulla spalla si allontanò. Il ragazzo convenì che aveva ragione. 

Dopo quello iniziarono a giocare a pallone, perché a quanto pare era questo che i babbani facevano per passare il tempo. Non è che i maghi non conoscessero l’esistenza dei palloni, più che altro solitamente si trattava di palloni in cuoio (pregiati di Drago se eri Draco Malfoy) e raramente venivano preferiti al Quidditch. Questo invece era fatto di uno strano materiale. Sembrava cuoio ma di una diversa qualità, di colore bianco e nero. Fu per questo che Malfoy se la cavò a giocare. 

Si passavano il pallone senza impegno, ridendo fra finte e talvolta intricati passaggi solo per farsi vedere. Draco si rese conto di stare bene. Si sentiva rilassato come mai lo era stato negli ultimi anni. Lì nessuno prevedeva l’impossibile da lui o lo costringeva a fare cose che non voleva fare. La verità era che aveva cambiato la sua visione delle cose da molto tempo, non era stato un evento improvviso, quanto un lento risveglio, un doloroso rinvenimento dallo stato di piacevole torpore in cui aveva vissuto fino a quel momento. Quando ormai Silente era morto e la sua casa si era riempita di pazzi non aveva ancora cambiato la sua opinione sui babbani per il semplice fatto che vi era a malapena venuto a contatto. Quando però erano iniziate le ronde e razzie notturne Draco non era riuscito a guardare quelle povere babbane e babbani con odio e disprezzo, aveva invece scoperto di essere in grado di sentire qualcosa che, nell’egocentrismo in cui era vissuto, era quasi nuovo per lui: pena, aveva provato pena. E desiderio di fermarli, di rendere il mondo un posto migliore. Aveva inoltre capito che non sarebbe mai stato come quegli elitisti purosangue. Questo lo sapeva già da tempo ma fino a quel momento l‘aveva negato a sé stesso, cercando in tutti i modi di diventarlo. Era stato allora che aveva capito che non solo non lo sarebbe mai stato, ma non voleva esserlo. 

Mentre dava un calcio particolarmente mirato realizzò che proprio in quel giorno un altro impercettibile strano di nebbia era sparito dalla sua vista permettendogli di vedere più chiaramente. Da bambino aveva sempre disprezzato i Weasley, traditori del loro sangue. Col passare del tempo però si era reso conto di non odiarli più, anzi di invidiarli, per il coraggio che lui non aveva mai avuto. In quel giorno, in quella casa che così tanto gli ricordava i testa rossa, capì di invidiarli anche per la loro unità, per le risate, le feste rumorose, i mille maglioni colorati e la capacità di essere felici senza potere e senza denaro, cosa che i suoi genitori non sembravano in grado di fare. 

Mentre era sul più bello e la foga gli aveva scompigliato i capelli, altrimenti sempre impeccabili smorzando l’espressione seria in un sorriso, Penelope gli tirò la gamba dei pantaloni. 

“Adesso giochi con me” fece in un tono che non ammetteva repliche. 

Draco era talmente di buon umore, forse per il calcio o forse per la zuppa o per il semplice fatto di essere lontano da casa, che non potè che accettare. 

Fu così che passò il resto del pomeriggio a giocare con una bambola, nascondendo a stento l’imbarazzo, finchè il sole non cominciò a tramontare. 

“Grazie di tutto, adesso è davvero meglio che vada” fece infine il biondo alla signora Smith. 

“Oh Seamus, sei stato dolcissimo a giocare con la piccola. Sai vuole sempre tutte le attenzioni per sé" disse quella sorridendogli gioviale. 

“Va bene caro, spero i tuoi genitori si siano calmati” disse con solo una punta di preoccupazione, dissipata poi subito da un sorriso “Torna quando vuoi”. 

***** 

 

Rientrato nei giardini della villa sentì l’energia attorno a sé mutare. L'aria era più spessa, più pesante, immobile qualcuno avrebbe potuto dire. Come tante delle tradizioni purosangue, una lastra di ghiaccio pronta a bloccare qualsiasi emozione. 

Non senza soffrire si tolse l’adesivo dal viso e lo mise in tasca. Farsi vedere con un oggetto palesemente babbano sarebbe stato estremamente stupido. 

Sua madre lo raggiunse quasi subito, ponendo le mani sul volto del figlio, la preoccupazione ad increspare i suoi tratti aristocratici. 

“Dove sei stato? Sono ore che ti cerco. Sei uscito dal Manor non è vero?” 

Draco si chiese se coloro che erano dentro la proprietà potessero percepire qualcuno uscirne, a quanto pare no. Inoltre i giardini erano abbastanza grandi da nascondersi per giorni. 

Ancora una volta sentì l’antica rabbia salire, decise che era meglio andarsene prima di perdere nuovamente il controllo. Amava sua madre, non si meritava le sue urla. 

Con un gesto sbrigativo scansò quelle mani che lo tenevano dolcemente e puntò verso la villa. 

“Draco rispondimi!” Narcissa suonò perentoria “Sei stato nel villaggio? Cosa hai fatto lì?” 

Il figlio proseguì senza nemmeno voltarsi. Quando varcò la porta di casa suo padre sedeva sulle poltrone. 

“Draco.” lo chiamò seriamente. C’era qualcos’altro nella sua voce oltre la serietà, tentennamento, era paura forse? O senso di colpa? 

Non si fermò a pensarci e finalmente arrivò alla sua stanza. Con l’ultimo gesto solenne sbattè la porta (cos’è un Malfoy senza un po’ di teatralità?) e si buttò nel letto. Avrebbe dovuto sentirsi al sicuro in quella stanza, finalmente in uno spazio suo, ma non era così. 

Non era per lui un posto sicuro da molto tempo, da quando i ricordi infestavano le pareti. Immagini di mangiamorte festeggiare sul suo letto e prendere ogni oggetto che fosse di proprio gradimento. Memorie di sua zia varcare la porta in piena notte e sfiorare le sue vesti. Non aveva mai avuto rispetto per lui, mai, neanche quando non aveva ancora dimostrato di essere un codardo. Draco aveva sempre pensato che quella donna fosse ripugnante, con i suoi denti marci dagli anni di reclusione e lo sguardo folleEppure non aveva potuto fare a meno di notare come avesse uno straordinario intuito. Poteva fiutare chi eri già dal primo incontro, Bellatrix, non importava quanto ti nascondessi. in Draco aveva fiutato la paura. Non si era mai fidata neanche di Piton e alla fine il tempo le aveva provato ragione. 

Gli aveva mancato di rispetto in tutti i modi possibili e quando si era permessa di mettere quelle sue luride mani sulla sua veste da nottetrattandolo come un oggetto, per poco non l’aveva cruciata sul colpo. Non l’aveva fatto perché lei era stata più veloce e con la bacchetta sul suo collo gli aveva ricordato, ancora una volta, che era un codardo senza nessuna autorità. 

Per fortuna dopo poco aveva perso la voglia e se n’era andata senza degnarlo di uno sguardo.  

Era successo altre volte ed in ogni occasione si spingeva più oltre, le vacanze però erano finite prima che la situazione degenerasse completamente. Mai come allora era stato felice di tornare ad Hogwards. 

Si rigirò per ore nel letto, incapace di prendere sonno. Infine, esausto, con la bacchetta estrasse il cerotto dai pantaloni e se lo rimirò fra le dita, illuminato appena alla luce della notte. Forse sarebbe scappato ancora, in un posto dove nessuno sapeva chi era, dove nessuno lo chiamava codardo o assassino, dove non era nemmeno un purosangue ma solo quello che si sentiva di essere, un ragazzo.  

Un diciannovenne con dei sogni, tanti pensieri stupidi per la testa e pochi ideali. Qualche cotta e la leggerezza di non conoscere il volto più oscuro del mondo. 

Forse l’avrebbe fatto, forse sarebbe scappato davvero. 

 

 

   
 
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