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Autore: Duncneyforever    02/10/2019    0 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Il suo è uno sguardo che vorrei non aver mai visto prima ma che, purtroppo, tante altre volte mi aveva riportato alla mente il giorno dal quale tuttora rifuggo disperatamente. Credo nel soldato, nel soldato che mi ama e che ama la sua patria forse anche più di me; ma questo l'ho accettato ormai, la sua vita segue un flusso che non posso far sfociare altrove se non nell'infinità in cui lui stesso ha deciso di immettersi; sogni di speranze giovanili, di codici d'onore cameratesco, di glorie passate e venture. Quel giorno, però, non vidi un soldato, ma un assassino: gli occhi del colore delle commeline rilucevano di cieco fanatismo, di una crudeltà impropria per un comune soldato. 

La notte è tiepida, soffocante, completamente buia. L'umidità prende di mira la gola e come un tappo la ostruisce. Che ne è stato della frescura delle notti polacche? La natura asseconda i gusti di Rüdiger; più in là corpi sudati si dibattono in un'accanita lotta per il predominio. Una rissa destinata a durare poco, scatenata da una gelosia. Gli effetti collaterali dell'alcol rimedieranno al peccato di lussuria; al loro risveglio nessuno più si ricorderà con chi si è rotolato durante la notte. Gli uomini riporteranno a casa donne gravide del figlio di qualcun altro e loro non sapranno mai dei bastardi che hanno disseminato durante l'uno o l'altro rapporto promiscuo. 

Ernst è in cerca di uno di questi, un'avventura che possa distrarlo per un istante dai doveri della vita coniugale, da una moglie che, seppur giovane e piacente, non lo soddisfa più. 

Non mi stupisce che questa gente conosca Rüdiger, perché sono proprio come lui; libertini, esaltati, seguaci di ciò che viene definito " misticismo nazista ". Si comportano come una setta, come proseliti di un ordine occulto. Il sole nero risplende al centro della villa; i raggi, controluce, sembrano allungarsi, volerti acchiappare per le caviglie e trascinarti via.

Una notte senza tregua, anche per me, che l'ho sempre amata e preferita al giorno. Aspetto l'alba, quando il timido sole del mattino galleggerà in lontananza, in uno strato di batuffoli rosa cielo e arancio.

Ernst barcolla, poco lucido, ma Reiner non si smuove di un millimetro. Il capitano è una foca che nuota verso la riva; non sa dello squalo in agguato sotto la superficie del mare. Mi appoggio contro il braccio del comandante, teso all'indietro. 

- Reiner, no, non vedi che è ubriaco? - Sussurro, facendogli da contrappeso dopo aver intercettato un tremito nervoso. Riesco a spostarmi in tempo, dopodiché scatta come una molla, buttandolo per terra e sovrastandolo con i suoi cento chili di muscoli. Resto seduta, non sapendo bene cosa fare; se aspettare che si rialzi di sua volontà, o intervenire prima che gli metta le mani al collo per soffocarlo. 

Il capitano, stordito, alza la testa per capire cosa sia successo e, vedendo l'altro sopra di sè, rompe in una strana risata, simile ad un gridolino acuto e stende le braccia ai lati. 

- Herr Von Hebel, quale veemenza! Mi fate male così... - Giace tranquillo nella posizione in cui si trova, arrendevole. Non si agita, non cerca neppure di spingerlo via. Le poche energie che aveva, o che gli erano rimaste, le avrebbe risparmiate solo per sollecitare il bacino. 

Il colonnello appare frustrato; i suoi istinti sadici non sarebbero soddisfatti nel recare danno ad una persona completamente inerme. Si rialza, lasciandolo supino, sdraiato per terra come se cercasse di assorbire luce lunare. 

È una situazione assurda; mentre lui soggiace ridente nell'erba, meditando sull'infinità del cielo o sulla quantità di stelle nello spazio ( o su qualunque altra forma di filosofia sconnessa derivante dall'annebbiamento dei sensi ), Reiner si genuflette di fronte a me, irradiato dal chiaro di luna. Ciò che abbiamo, è una pianta carnivora; il suo amore è carnivoro ed un sentimento puramente platonico non è più contemplato. Anche lui vorrebbe gettarmi tra le commeline; in tempo di pace avrebbe atteso mesi, anni prima di farsi avanti ma ora, con l'ansia di non rivedermi più, mi rincorre come se ancora fosse ragazzino e approfitta di ogni momento, illudendo me e ancor prima sè stesso, che non sia tra i suoi ultimi. Ha paura, come ne ho io e, paradossalmente, è proprio la paura ad annullare l'inibizione: siamo giovani, siamo vivi; il pensiero della morte non dovrebbe neppure toccarci. 

Il " tempo delle mele " è giunto anche per noi.

Non possiedo nulla, lui tutto ciò che desidera, nonostante questo, ciò che abbiamo, è quanto di più prezioso ci sia. 

La notte si tramuta in giorno e una distesa infinita di papaveri rossi prende il posto delle magre betulle. Non è il sole a riscaldarmi, ma le sue mani che si avventurano risalendo lungo le cosce scoperte. Mi attira a sè, rude, troppo rude. I legamenti delle ginocchia fregano tra loro, cigolando sinistramente. 

- Scusami, non intendevo farti del male. - Mi accarezza verso l'interno, scostando l'orlo del vestito. Le guance bruciano, come erose dal Sole, rosse come la superficie rocciosa di Marte. Mi contraggo contro la patta dei suoi pantaloni e gli metto le braccia attorno al collo, sporgendomi involontariamente al di là delle spalle. Ernst è ancora là, caduto in una sorta di trance.

- Di cosa ti preoccupi, Süße... - La verità, è che non riesco a rilassarmi. Non completamente, perlomeno. Aspetto solo che Rüdiger abbia finito per poter finalmente dimenticare questa serata.

- Non qui, non ora. Dobbiamo tenerlo d'occhio. - Aggiungo, parlandogli all'orecchio, baciandogli il collo per non destare sospetto. Eppure non riesco, non riesco a controllarmi. Tra le sue mani mi faccio modellare e rimodellare a piacimento. 

- Non mi dici di no, però. - Mi rimetto con la schiena dritta, quasi indignata, tirandogli una pacca sul petto. - Du, Arschloch! - Lui sorride dolcemente, sollevando le guance fino agli zigomi. Sono sicura che " Arschloch " voglia dire " stronzo ", Rüdiger lo usa spesso, solo non capisco cosa lo faccia sorridere così tanto. 

- Hai una lingua così morbida... Non sembra neppure tu mi stia insultando. - Incrocio le braccia, indispettita, ammorbidendomi soltanto dopo aver capito il perché di quella sua brusca interruzione. Sapeva che, a lungo andare, mi sarei pentita di non aver reso speciale un momento così importante. In un luogo come questo, senza privacy, seppur con sentimento, non ci si può avvicinare più di tanto, anche se ciò che ne verrebbe, andrebbe comunque al di là di un semplice bisogno fisiologico. 

- Così me la rendi difficile... Potrei persino convincermi di poterti amare. - Ammetto, trovando ancora una volta la prova di quanto frustrante sia, per lui, dover rinunciare a me. Esiste una correlazione tra anima e corpo che, nel suo caso, viene negata affinché una delle due parti non prevalga del tutto sull'altra. 

Non è banale come può sembrare; è un sacrificio e riconosco che sia un atto d'amore. 

- In passato hai dichiarato di non amarmi, ma ogni tua azione ti ha smentita inequivocabilmente. Dunque non è vero che non mi ami, eppure sarebbe altrettanto sbagliato affermare il contrario. Mi sbaglio? - Parlo piano e poco, cercando di giustificare ciò che ormai è diventato ingiustificabile. Perché vivo i miei sentimenti con irrequietezza? Forse non sono liberi, forse qualche riaffioro di principi di ordine morale, di senso comune su ciò che è " bene " e ciò che è " male ", mi impedisce di trasgredire quelle regole autoimposte che minano il nostro rapporto. " ¡Qué pena! " In questo contesto avrebbe poco a che fare con la traduzione più logica, bensì esprimerebbe più un senso di tristezza che gli spagnoli associano al dispiacere, alla " pena " vera e propria. 

- Potresti andare tu a controllare Rüdiger. Gli altri ospiti hanno di meglio da fare, il capitano è fuori combattimento e, comunque, basterebbe poco per mandarlo al tappeto. È un posto riparato, dubito mi verranno a cercare, soprattutto perché gli hai ringhiato contro per tutta la serata... - 

- Sì, è una buona idea. - 

Sono colpita.

Non credo abbia mai opposto così poca resistenza da quando lo conosco e non solo! È persino d'accordo con me! 

Come si dice: " domani piove "? 

- Ich bringe dich weg, sobald ich züruck bin. / Non appena tornerò, ti porterò via. - Non mi tocca, ma mi fa comunque una carezza, con lo sguardo, così dolce che mi vien quasi voglia di rimangiarmelo. Slitto giù dalle sue gambe, lisciando il vestito spiegazzato sul bordo e riportando le bretelle al loro posto. 

- Ich warte auf dich. / Ti aspetto. - Sento il cuore leggero, spensierato ed è vero che durerà poco, ma non potendo pensare al futuro, questo è tutto ciò che mi resta. 

" Sarei fortunato ad averti per moglie " aveva detto e, da quel momento, me lo ha ripetuto ogni notte, risucchiandomi le labbra come a volermele mangiare, accarezzandomi il pancino che, dopo il matrimonio, sarà troppo piatto per i suoi gusti; così mi disse, sognando, immaginando i nostri bambini. Mi vien da sorridere a ripensarci: gli chiesi se avrebbe preferito un maschio o una femmina e lui aveva risposto: " es wäre das gleiche, Törtchen ", ma mentiva; aveva dichiarato che sarebbe stato uguale per lui, ma quando gli confessai che avrei preferito un maschietto i suoi occhi brillarono di stupore e di gioia. Che poi, " pasticcino "... Pensa sempre ai dolci quel crucco, persino nel dare nomignoli! Risi la prima volta che lo sentii e, scherzando, statuii che il bambino lo avrei chiamato Aléxandros, se avesse ereditato il suo carattere impetuoso e il gusto per l'eterodosso. L'idea, però, gli piacque e disse che, in caso, avrebbe cercato il ricordo di entrambi in quegli occhietti vispi e scuri e che gli avrebbe spettinato i capelli, sperando di riuscire a vedere " l'adorabile broncio " anche sul suo viso. 

Così lo sogna, con caratteri ben precisi. Desidera un bambino mio, che mi somigli. Pensare che, una volta rientrato in Germania, lo avevano preso ad esempio; avevano sfruttato il suo successo in ambito militare e il suo bell'aspetto, nordico, per dimostrare l'importanza della conservazione della " razza "; già me lo immaginavo: gli occhi di una trama preziosa, come il riflesso del cielo sulle acque del Danubio, un motivo di vanto, così pensavo... E invece dei suoi caratteri salverebbe il colore dei capelli, che comunque si figura di un'altra gradazione, un biondo caramello o un castano chiaro. Sembra quasi che riesca a vederlo quel bambino, come se ai suoi occhi fosse qualcosa di tangibile; a volte sorride intenerito e per fare ironia ammette di non essere ancora tagliato per fare il padre, ma altre volte è serio e, se non si commuove immaginandolo, poco ci manca. 

Il mio istinto materno non è così spiccato come in altre ragazze della mia età, tuttavia, quando lui me ne parla, pare anche a me di riuscire a vederlo, quasi a toccarlo, dopo averlo creato nella mia mente in base alle sue descrizioni. Quando ritorno alla realtà, mi sento improvvisamente sterile; ripenso a quella creatura, uccisa ancora prima che potesse essere concepita e mi incupisco; quando questo accade, lui mi abbraccia e smette di parlarne, come se... Come se avesse capito. Il suo silenzio mi svuota il cuore. 

Mi afferro le ginocchia, infreddolita nonostante la cappa che fa sudare. Osservo il profilo ombroso delle betulle, le fronde statiche. Il loro fruscio assente a causa dell'aria piatta e tiepida. Non si sente che suono umano; la natura ci biasima ammutolita, da lontano, mentre noi, rinchiusi in una palla di vetro, condannati a vivere nel peccato. 

Il mio guardo pietoso ricade su Ernst; dalla mia posizione sembra addormentato, ma mi basta alzare di poco il collo per accorgermi che i suoi occhi siano aperti, anche se visibilmente stanchi. 

- Capitano, cosa fate? - Mi oso, notando un cambiamento radicale rispetto a prima. Mentre chiacchierava con gli altri uomini, più che mai mentre ballava con me, era ricolmo di presunzione ed era proprio quell'atteggiamento sprezzante a renderlo viscido ai miei occhi. Adesso è una figura sola, non più tra tante, ma ben differenziata, che emana " Wehmut ", malinconia e, come il poeta romantico che annega nell'assenzio per ispirarsi, egli è ricorso ( in modo involontario ) all'alcol per riprendere coscienza di sè. 

- Penso, Fräulein. - Replica, scandendo bene le due parole per assicurarsi di esser stato capito. - Nemmeno da fidanzati siamo stati così felici, come lo siete voi. - 

- F-elici? - Balbetto, incredula. 

- Vorrei avere ancora vent'anni e innamorarmi anche io, di una straniera, così che possa sposarmi per amore e non per convenzione. La sola cosa che ti può salvare dall'omologazione è la trasgressione, anche se questa potrebbe condurti alla morte. Ne vale la pena... Un attimo di vita in cambio di un'esistenza indegna. -

I bambini e gli ubriachi dicono sempre la verità e, proprio questa sua verità, mi fa capire che non sia una macchietta, ma un uomo con un suo pensiero, anche se nascosto molto, molto in profondità.

È ingiusto che paghi lui soltanto per migliaia di altre " pecore nere ".

Sotto accusa potrebbe essere arrestato, giustiziato persino ed i suoi beni verrebbero confiscati. Non è un circolo vizioso questo? 

- Concedetemi la vostra compagnia, Fräulein. Dopodiché potrò morire in pace. - Biascica come prima, come in preda ad un delirio, ma non nego che queste parole, che sembrano quelle di un pazzo, mi abbiano toccata. - È dispiacere quello che provate? - Mi affretto a ricompormi, fuggendo poco più in là. Poggio la schiena contro il tronco di una betulla, piegandomi in avanti e portando i palmi sulle ginocchia. Lui si è alzato, barcollando; è inciampato su un tenero oleandro dai fiori rosa, importato e destinato ad appassire in poco tempo a causa del clima rigido e piovoso; cade sui sottili rami verdi, spezzandone alcuni e spingendo con le braccia per rimettersi in piedi. 

- Perché non lottate per la vostra vita? - 

- Il mio onore è perso. Non ne ricaverei nulla. - Replica, singhiozzando tra una frase e l'altra. Si finge impavido, ma trema come un bambino. Quel luccichio non è dovuto a qualche bicchiere di troppo, bensì ad una paura dannata, che gli causa una serie di tremiti nervosi. 

- Allora scappate. - Propongo, impietosita. 

- Se riuscissero a catturarmi, sapete cosa mi attenderebbe... - 

- Non posso suggerirvi di togliervi la vita! - Dopo averlo quasi urlato, gli afferro la mano, cercando di placarne il tremore. - Forse non è troppo tardi... Se vostra moglie non ha parlato con Rüdiger, voi siete ancora innocente. - 

- Ho male alla testa. - Si libera dalla mia presa e si pressa le tempie, uggiolando  per mitigare il dolore. - Ho tanto male. - 

- Non vi arrendete proprio adesso! - 

- Lascia stare. È tardi. - Avevo sentito i suoi passi, ma avevo deciso di ignorarli. Il capitano perde l'equilibrio, cadendo a terra, sconfitto. Resto ferma, guardando il capo chino, il viso in ombra, poi alzo gli occhi verso quelli di Reiner, che sono crudeli se messi a confronto con i miei. 

- Era destino, Fräulein. Il destino non si può cambiare. - Intuendo che il comandante voglia condurmi altrove, lontano da lui, lo inchioda, apostrofandolo, in modo tale da infastidirlo. - E tu, ragazzino, prenditi cura di lei e bada di trovarle una persona per bene che se ne occupi quando non ci sarai più. - Non deve averlo detto sperando di ferire me, tuttavia, trattenermi è stato molto duro. Pare che la morte sia impressa sul suo viso; l'ho captata io, l'ha captata persino lui, che potrebbe esserne prossimo. Scivolo sulla manica di Reiner, inumidendogliela. 

- Dann werden wir uns dort wiedersehen, Kapitän. / Allora ci rivedremo là, capitano. - 

- Vi prego, scappate. - Reiner si allontana. Io, invece, resto, per un senso di responsabilità o forse per compassione, ma Ernst mi spinge a raggiungerlo con un cenno della testa, mormorandomi ancora qualcosa... Che gli dispiace. 

Accetto le sue scuse, un dono pressoché insignificante in cambio dell'amnistia che non riceverà mai. 

Inspiro velocemente, voltandomi dall'altra parte e correndo, riuscendo a riprender fiato solo dopo aver raggiunto il comandante. 

- Non voglio vederti piangere per un nazista corrotto. - Mi dice, assicurandosi che i miei occhi siano asciutti. 

- Cos'hai visto là dentro? - 

- Questo - risponde, indicando un arbusto scosso da strani movimenti, come se al suo interno stessero duellando due tassi. - Schneider, Hoffmann e la moglie del capitano. - Mi copro la bocca, temendo un rigurgito. Provo così tanto disgusto nei loro confronti da aver dimenticato quello per Ernst. Lui avrà anche sbagliato, ma essere tradito in questo modo infame, venduto anzi, da suo nipote, sangue del suo sangue, è ancora più sbagliato. E sua moglie? Se davvero fosse stata così fedele, sarebbe andata a letto con il futuro assassino di suo marito? Non ha alcun senso, per quanto mi riguarda, potrebbero anche averla drogata. 

- Come fai a sapere che lei abbia già... - 

- Al colonnello piace trattenersi con una donna. In quelle condizioni non avrebbe avuto la pazienza di aspettare la sua confessione fino a domani. - 

- È già domani. - Obietto, avendo notato che l'orologio al polso del capitano segnava le due passate. - Che cosa facciamo, adesso? Dove andiamo? Sac lo hai visto? - Il suo volto, liscio e giovane, prende una brutta piega. Non può nemmeno sentirlo nominare; quella venuzza sulla tempia ha l'aria di poter " scoppiare " da un momento all'altro. Scuoto vigorosamente la testa, scacciando quell'immagine e sbattendo addosso al suo corpo rigido un'onda di capelli sfatti. 

Non importa quanto sia arrabbiato, non mi farebbe mai del male. 

Mi struscio con fare dolce su di lui, facendogli presente di essere speciale, unico ed inimitabile per me. Non ho bisogno di fingere: le moine da gatta morta sono quanto di più fastidioso ci possa essere agli occhi e alle orecchie di un uomo e, per questo, non intendo seccarlo con false lusinghe. 

Lui si rilassa, anche se non completamente.

- Torniamo su. Hai ancora bisogno di riposare. - Mi accompagna, facendomi da scudo per non lasciarmi guardare quelle scene troppo esplicite che, per una mia puerile curiosità, avrei sbirciato e assimilato alla mia quasi nulla esperienza in campo. - Anche tu hai delle perversioni, allora. - 

- Non sono perversioni! - Salto gli scalini di corsa, troppo imbarazzata per curarmi del dolore alle gambe. - Sono solo curiosa... E poi a chi vuoi darla a bere: tu hai guardato, ti ho visto! - 

- Te lo dissi qualche tempo fa, che sono un perverso. Non mi dà più alcuna soddisfazione però. Pensa al fatto che ti abbia voluta portare di fronte a me e saprai cosa mi stimola. - Il piede non raggiunge il piolo; le mie mani si spostano all'indietro, verso la cortissima gonnella da cui fanno capolino le natiche. Mi rigiro lentamente, imbarazzatissima. 

- Non sei poi così cavaliere, sai?! - Borbotto, raddrizzando grezzamente gli slip, oltre che il vestito. 

- Come non lo era Hoffmann. Preferirei che tu pensassi a me, anche in questo modo, piuttosto che a lui. Lo riconosco quello sguardo, quell'espressione mortificata. Sapeva che sarebbe successo; aveva la facoltà di scegliere ed ha deciso di presentarsi, pur sapendo ciò a cui sarebbe andato incontro. Tu non hai alcuna responsabilità, smetti di pensarci. - " Sì, sì " balbetto, sovrappensiero, affacciandomi sul corrimano smerigliato. - L'ungherese, eh? -

- Non dormirò sogni tranquilli fin quando non sarò assolutamente sicura che sia salvo. - In realtà " sogni tranquilli " è una perifrasi eufemistica per " nulla ", visto che non ho memoria di un singolo sogno bello, né adesso e né mai. L'altra notte, ad esempio, ho chiuso occhio solo per ritrovarmi con le mani di Reiner sulle spalle, la vista appannata e il suo sguardo preoccupato addosso. Gelavo, ma sentivo gocce di sudore scendermi lungo la schiena e le tempie, tremavo, ma, allo stesso tempo, mi sentivo prigioniera in una gabbia infuocata. Ero distesa in una buca ricolma di moribondi; le ossa aguzze degli altri mi facevano male. Le sentivo contro le costole, contro le cosce. Ero sommersa. Non riuscivo a muovermi; provavo ad alzarmi, ma quelle braccia mi tiravano sul fondo; si allungavano verso di me e mi trattenevano là, con loro. Non c'era via di scampo. La polvere mi finiva negli occhi e mi graffiava la gola. Non respiravo. Mi sentivo persa, avevo paura, così paura che sono scoppiata a piangere. Mi sono ritorta contro il braccio di Reiner e mi sono addormentata tra le lacrime. Me lo ricordo ancora e nel sogno era presente quell'uomo che mi fissava, con gli occhi fuori dalle orbite e il polpaccio ridotto ad un fascio sanguinolento. 

- Ti sei affezionata - mormora, velando un tono di rimprovero. Temendo di intravedervi delusione, evito il suo sguardo, andando avanti senza di lui. 

Quando Reiner mi chiama, ad un certo punto, in mezzo al corridoio, non oso volgermi indietro, tanto che, più che cercare Isaac, pare più che stia scappando dal comandante. 

Non so spiegare razionalmente perché non ho ridisceso le scale sapendo delle regole ferree della casa ( che vedono il piano superiore totalmente precluso alla servitù ) ma così è stato; ad istinto, non ho saputo seguire ciò che la testa mi aveva consigliato. 

Attraverso l'ala sinistra del corridoio, soffermandomi sulle varie stanze, cercando di identificare i soggetti al loro interno, di fatto, seppur per necessità, impicciandomi anche dei loro " affari " più intimi. Mi rallegro di trovarne un paio vuote... Almeno un paio di invitati, evidentemente i più " stoici ", sono rimasti di sotto, estraniandosi dagli altri. In effetti, avevo trovato una coppietta che parlottava sull'entrata: forse coppia non lo erano, fatto sta che li trovai affiatati, mi fecero tenerezza. Lui si atteggiava da vero gentiluomo, ma so bene che le apparenze contano poco e lo dico parlando di esperienza personale; certi uomini che si rivolgevano a me con garbo, per riportare un esempio, si sono poi dimostrati per ciò che erano quando li vidi in veste di aguzzini... tuttavia, non sapendo nulla di quest'uomo, non mi perdo in giudizi. 

Mi avvicino ad una delle porte, troppo, poiché dopo aver riconosciuto il suono inconfondibile di un ceffone, sobbalzo, turbata, finendo sui piedi di Reiner, che si era giusto accostato per richiamare la mia attenzione. 

- Hai sentito? - Gli faccio cenno di spostarsi, prima di piegarmi davanti alla fessura della porta, sgombra, senza chiave al suo interno. Lo notai tempo fa, quando vidi Schneider tenere tra le mani un mazzo di chiavi, un bouquet di chiavi oserei dire, visto che non è dotato di una concezione propriamente detta di " privacy ": in casa sua nulla deve essergli all'oscuro, nessuno può permettersi di fuggire o di prendere le distanze da lui. Fu una sciagura affidare quel mazzo alla governante. Quando conobbi Reiner, il rosso mi ritirò la chiave e quei due per poco non si ammazzarono quando il comandante pretese di averla indietro e non solo: lo forzò a consegnargli anche la sua e quella del bagno più prossimo alla mia stanza, che ora utilizziamo solo noi. 

Ciò che trovai realmente assurdo furono proprio le serrature delle camere, tutte diverse l'una dall'altra. 

Dapprima pensai ad una sorta di precauzione in più; in seguito constatai sulla mia pelle quanto limitante fosse questo sistema, che fece somigliare sempre più il mio soggiorno, tutto sommato confortevole fino a quel momento, ad una prigionia. 

Non sarebbe una sorpresa per me scoprire che, in realtà, abbia la copia di tutte e che questa apparente concessione sia solo parte del suo sadico gioco. 

- Cosa vedi - l'intonazione del tutto piatta non la fa sembrare una domanda, ma un'affermazione. Lui lo sapeva, sapeva che avrei trovato... questo. Non ho molte parole per definire ciò che vi è al di là di questa sottile barriera, se non che mi ritrovo estremamente indignata. La toppa, proiettata direttamente al centro della camera, mi fa scorgere poco, tuttavia, riconosco una delle ragazze che aveva sparlato di me, con una parte del viso completamente arrossata; non vedo il suo bel vestito di tulle, lasciato chissà dove, non vedo il volto dell'uomo che le sta davanti, ma vedo chiaramente la sua mano abbattersi violentemente sul volto non più perlaceo della giovane. Mi sfioro istintivamente il collo vedendo il modo in cui glielo ha stretto, gettandosi su di lei. 

- Le sta facendo male - dal collo passo al volto, oscurandolo, ritrovandomi a guardarlo, come una creatura smarrita in un labirinto troppo vasto, che mendica carità in ginocchio, davanti alla porta. 

Credevo che reagisse, che dicesse qualcosa o che facesse qualcosa, ma nulla. " Ad alcune persone piace così " non è sufficiente, non per me. Non può costituire una motivazione logica. 

Come si può trarre piacere dal dolore... Sapevo che esistessero simili feticci, mi basta guardare Rüdiger che ne è un esempio lampante, però da donna non lo concepisco, o meglio, lo concepisco ma non lo capisco. 

- Mi hai lasciata guardare - constato, tirandomi su. 

- Anche ciò che ripudi fa parte del nostro mondo. Volevi che ti rendessi più forte, o sbaglio? - Raramente aveva mostrato tanta durezza ed è per questo che  ne sono scioccata. 

Se non avessi menzionato Isaac, non avrebbe cambiato atteggiamento. 

La correlazione è ovvia. 

- Tu sai che l'ho fatto. Svariate volte sono stato egoista e, come per quell'uomo, il mio piacere veniva prima di tutto. Ho dato il peggio di me... Cose che non si possono dire. Ma tu ora hai paura e questo non posso accettarlo. - Con una manovra tattica riesce a raggirarmi, a spingermi dietro di sè. - A te voglio dare tutto ciò che ho, il meglio che ho da offrire, per cui troviamo quel... ragazzo, dopodiché avremo tutto il tempo per parlarne. - Si accorge anche lui di quanto poco lo stia seguendo e mi lascia allontanare, cosicché il mio sguardo possa esser volto altrove. 

Ho così tanti pensieri, così tanti... 

Non arrivo nemmeno fino in fondo; quell'animale di Rüdiger ha lasciato la porta aperta, completamente. Nel corridoio semibuio spicca il fascio di luce calda che va scagliandosi contro la parete opposta. Come in un rito tribale, la scena è alla mercé di tutti; basterebbe passarci di fronte per avere piena veduta del suo baldacchino barocco, troppo massiccio per cigolare. I gemiti, i grugniti animaleschi provenienti dalle altre stanze, in sottofondo, non lasciano comunque molto spazio all'immaginazione. Si sente tutto, si sente la voce della moglie di Hoffmann invocare il nome di Dio, ansimare, come se non ci fossero il colonnello e Peter, suo nipote! ( seppur non carnale ) in camera da letto insieme a lei. 

Arretro dopo un minuto di stordimento, scansando Reiner, che si era fermato davanti alla camera del sadico e della sua conquista remissiva. 

- Da questa parte non c'è. - Commento, ingoiando un groppo di saliva amarissima che, probabilmente, conteneva una parte del rigurgito che ho cacciato in gola. 

Mi spingo verso l'altro lato. L'orchestra, al piano di sotto, suona ancora, ma senza di lui.

Potrei chiamarlo per nome e finirla qui; lui verrebbe fuori da sé ( o questo è quanto spero ) senza che io debba origliare a tutte le porte tentando di riconoscere la sua voce. Ci sono almeno due problemi però: se mi mettessi a urlare " Isaac " tutti saprebbero delle sue origini ebraiche, mentre se usassi l'appellativo " Sac ", Rüdiger capirebbe il vero motivo della sua presenza qui ed essere presi di mira dal colonnello è una sorte peggiore della morte.

Isaac sbuca fuori da una porta, o meglio, salta fuori da una porta, cadendo di schiena sul pavimento. Striscia fino alla parete, tutto trafelato, con i pantaloni sbottonati e i boxer rimessi su alla buona. Reiner corre sulla soglia della porta, tappando la bocca alla ragazza che, altrimenti, avrebbe gridato come una forsennata. 

- È stata lei, lo giuro, lo giuro - balbetta, temendo che il comandante lo avrebbe picchiato a sangue se avesse dedotto il contrario. - Ha chiesto aiuto ad un uomo e quello mi ha portato qui e... e non potevo rifiutarmi! Lei ha voluto che io... - Mi piego per mettergli una mano sulla spalla, rivolgendomi a lui con gentilezza e comprensione.

- Lo so... Io ti credo. - La giovane ci fissa con occhi spiritati, mugugnando contro il palmo di Reiner. 

È la stessa che lo andava inseguendo per tutto il soggiorno, litigandoselo con quell'altra. Dev'esser stata lei ad essersi aggiudicata il " giocattolo ", poiché della mora neppure l'ombra. 
Ha saputo che era ebreo dalla circoncisione, senza neppure notare il tatuaggio, che una volta scoperto l'avambraccio, sarebbe dovuto essere evidente.
Sac avrà avuto paura di negarsi alle sue " attenzioni ", chissà poi l'uomo di cui parlava che cosa gli avrà detto... 
Forse sospettavano che fosse un prigioniero, anche se consideravano assurda l'ipotesi che fosse giudeo. 

Ahi, che casino! Tutte a noi devono capitare! 

- E adesso? Come facciamo? - Reiner la guarda negli occhi, constatando che sia comunque un po' alticcia, anche se non del tutto ubriaca. 

- Non lo è abbastanza per dimenticare tutto - afferma, provocandomi un brivido. Ho un brutto pensiero, ma decido di non dargli peso fin quando lui stesso non viene fuori con la stessa trovata. 

- C-cosa... - Balbetto, singhiozzando. Lui, che le aveva accarezzato un fianco per testare la sua reazione, si è fatto un'idea di quali fantasie abbia su di lui e mi guarda ora dritto negli occhi, addolorandosi nel vedermi piangere, priva di ogni remora. - No... Ti prego. Ci deve essere un'altra soluzione. - Elemosino la sua compassione, devastata da quel flusso incontrollabile di lacrime, ma la realtà mi viene brutalmente sbattuta in faccia dalla stessa evidenza. 

Bisogna abbindolarla; è tanto ricca da portare un collier di diamanti, è tedesca, è ariana. Non si può toccare. E lo vuole, così tanto da risultare patetica, almeno agli occhi miei disperati che devono assistere ad un totale ribaltamento rispetto alla posizione iniziale: sarei dovuta essere io " l'oggetto del desiderio " designato per intrattenere l'ospite, io e non lui, che dovrà invece vendersi ad una sconosciuta per una " causa superiore ". 

" Per una vita, qualsiasi cosa " ma, interiormente, sto sanguinando.

Un sacrificio spinto dal bene che vuole il nostro male. 

Assento grevemente, mentre le lacrime corrono giù. Incontro il suo sguardo; è come se non lo facessi. Occhi scuri che piangono, occhi azzurri che si spengono, come prostrati ad un’agonia cronica. 

Lo lascio entrare, con lei, perché, a costo di farmi del male, voglio vedere, voglio vedere se anche il suo cuore si strugge nel guardarmi un'ultima volta prima di consegnarsi. 

Le stelle non sono buone con noi: come con Friederick, ci hanno illuso, ci hanno donato ciò che più desideravamo, per poi sottrarcelo a tradimento. È vero, soffriamo fino a morirne, ma la porta si chiude e tutto ciò che resta è solo malinconia. 
 

 

 

  
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