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Autore: Mispon_    02/10/2019    2 recensioni
I pokémon sono creature misteriose che vivono negli habitat più disparati: dalle impervie montagne innevate ai bui fondali oceanici, dalle foreste più selvagge alle grandi metropoli industrializzate. Questi esseri vivono in perfetta armonia con gli esseri umani e il loro legame viene a concretizzarsi nel fenomeno delle lotte tra pokémon.
In questo contesto uno scienziato, il Prof. Y. Okido, crea il Pokédex, un'enciclopedia multimediale che raccoglie i dati di tutti i pokémon della regione di Kanto. Il suo desiderio è quello di affidare il Pokédex a due giovani allenatori per testarne il funzionamento. Ma qualcosa va drammaticamente storto...
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blue, Red
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Videogioco
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Capitolo 3 - Il cammino dei bambini


“27 febbraio 1996: durante un convegno scientifico al Centro di Ricerca di Tokyo perdono la vita centosettantadue persone. Le vittime inalano un gas tossico introdotto tramite il condotto di areazione principale, mentre le uscite vengono sigillate dall’esterno. Non vi sono sopravvissuti e le uniche informazioni sull’accaduto sono ricavate tramite il telefono cellulare di un malcapitato. Tutte le telecamere di sicurezza vengono messe fuori uso da un cortocircuito che interessa il solo edificio. È stato possibile determinare che un numero non precisato di uomini abbia fatto irruzione in un secondo momento facendo saltare in aria l’ingresso secondario e trafugando dell’importante materiale di ricerca. L’avvenimento, ricordato come Attentato di Tokyo, non fu inizialmente rivendicato. Ad oggi è impossibile determinare alcune dinamiche dell’accaduto, come i metodi che i criminali hanno usato per eludere la sorveglianza o per sigillare indisturbati gli ingressi.”
“14 novembre 2003: 5:50 di mattina; viene trasmesso un messaggio non autorizzato in diretta nazionale. L’Attentato di Tokyo di sette anni prima viene rivendicato da un gruppo terroristico chiamato Team Rocket. Durante la diretta l’organizzazione conferma anche il proprio legame con un traffico illegale di reperti fossili ad opera di un’agenzia militante che operava sul Monte Otsukimi. Poco dopo i documenti relativi all’attentato scompaiono dai database di tutto il mondo; la stessa sorte è riservata ai fascicoli inerenti al caso del contrabbando di fossili. Inoltre, i presunti membri dell’associazione militante decedono nei loro appartamenti in seguito all’assunzione di sostanze velenose. Questo parallelismo permette di poter affermare senza ombra di dubbio che le due vicende siano collegate e che la rivendicazione di entrambi i reati non costituisce una falsa pista. La Nazione ha deciso di non divulgare nulla in merito alla scomparsa dei file e all’attacco dei database mondiali, anche in funzione dell’assenza di prove a sostegno del fatto. Ho deciso di tenere questo diario per avere le idee più chiare durante le indagini da privato e per avere almeno un documento tangibile che riporti gli avvenimenti in maniera fedele.”
Era mattina presto e Okido stava scrivendo queste pagine su un mezzo pubblico. Per la prima volta dal momento della sua assunzione non si era presentato in ufficio! Aveva deciso di andare a controllare di persona la situazione al Monte Otsukimi. In realtà non si aspettava grandi risultati: dal momento che i trafficanti di fossili erano stati eliminati era probabile che quello del contrabbando fosse soltanto un modo per dare credibilità alla rivendicazione. Era piuttosto inverosimile invece che il Team Rocket utilizzasse il giro come fonte di guadagno: un’organizzazione tanto potente da mandare in crisi il sistema di sicurezza mondiale e capace di far volatilizzare come per magia milioni di fonti cartacee non punta di certo a trarre qualche misero profitto dal mercato nero - considerando anche la rarità della merce! In ogni caso Okido si era deciso a dare un’occhiata: avrebbe magari incontrato qualche testimone (“non potendo più contare su documenti e cronaca, la memoria umana è l’unica fonte sulla quale affidarsi”, pensava). Per giungere al monte da Yamabuki era prima necessaria una sosta nella città di Hanada a nord, per poi deviare verso ovest e giungere alla catena montuosa che separa la metropoli da Nibi. Nonostante il tragitto fosse breve, la strada percorsa era piuttosto tortuosa e l’arrivo a Hanada era previsto per non prima di un’ora. Nell’attesa a Okido balenò alla mente qualcosa di buffo: si ricordò di quella volta che andò in gita a Johto con la classe della Scuola dell’Obbligo. All’ora avrà avuto dieci o undici anni e non aveva memorie nitide di quel giorno; tuttavia ricordava perfettamente che per scacciare l’immensa noia che provavano durante il viaggio in treno lui e l’amico Red (il cui vero nome era Satoshi, ma tutti utilizzavano quel soprannome per riferirsi a lui) si erano divertiti a inventare una storia con ognuno dei passeggeri del loro vagone. All’epoca Red era un gran chiacchierone e adorava perdersi nelle sue bizzarre fantasie: i due bambini così fecero comparire su quel treno un coraggioso e astuto agente segreto con un grosso cappello a cilindro e un innato senso della giustizia; si trovava lì con il suo fidato assistente, un omaccione paffuto e tutt’altro che sveglio che probabilmente aveva solo una gran voglia di addentare un panino, ed era diretto in una città lontana allo scopo di ottenere dati riservatissimi da qualche uomo particolarmente potente. Non sapeva però che un altro passeggero, un’anziana ed elegante signora vestita di rosa, era in realtà una spia nemica pronta comunicare le informazioni a un’organizzazione malvagia! A quel punto… com’è che continuava la storia? Okido non lo ricordava, ma gli venne istintivamente da sorridere. Chissà come mai si era messo a pensare all’infanzia proprio ora che aveva deciso di mettersi in viaggio!
Perdendosi in quei pensieri non si era neanche accorto di essere già arrivato a Hanada: il tempo era letteralmente volato. Si trattava di una serena cittadina percorsa da un bellissimo e limpido fiume di cui gli abitanti andavano particolarmente orgogliosi. Nonostante fosse un centro mediamente popolato non si sentiva parlare molto del posto. L’ultimo avvenimento degno di nota si verificò alcuni anni prima, quando un’immensa fonte di energia venne rilevata in una grotta vicina; non fu mai determinata la causa di quel picco e ancora oggi quell’evento resta avvolto nel mistero. La cultura popolare però ricorda Hanada per un altro motivo: la capopalestra della città, Kasumi, era infatti un’abilissima nuotatrice. In poco tempo aveva polverizzato ogni record in cinque specialità differenti ed era riuscita addirittura ad ottenere un permesso per competere nei tornei maschili (vincendo ogni singola volta). Di lì a poco avrebbe dovuto partecipare ai campionati mondiali dei “400 metri misti” e i riflettori del mondo sportivo erano puntati su di lei.
Okido decise di fare un giro per alcuni quartieri di Hanada prima di incamminarsi verso il Monte Otsukimi. La sua intenzione era quella di partire nel primo pomeriggio, ma fu inaspettatamente rallentato: pochi minuti dopo aver messo piede in città si sentì chiamare da una voce impastata e fastidiosa. Si voltò e notò un uomo dalla stazza enorme, all’incirca della sua età. Aveva occhi minuscoli e dei capelli neri tirati all’indietro che emanavano un’aria sudaticcia. Il collo era sommerso dagli strati di grasso che quello strano soggetto aveva accumulato. “Shigeru! Vecchio amico, da quanto tempo!” Disse l’uomo in tono amichevole. Okido non ricordava neanche chi fosse, ma stava male al solo pensiero di dover conversare con un altro essere umano al di fuori delle questioni lavorative (”una perdita di tempo”, si era sempre detto). Inoltre detestava chi si prendeva la confidenza di chiamarlo per nome; “Shigeru” non lo metteva affatto a suo agio. Dopo alcuni attimi di silenzio la cosa iniziò a farsi imbarazzante e fu costretto a replicare: “Ehm… buongiorno. Perdonami ma al momento ho molti pensieri per la testa e mi sfugge il tuo nome. Quando ci siamo visti?” Sì, non sembrava esageratamente sgarbato.
Il grosso omone cominciò a ridere di gusto: “Ma come, Shigeru? O forse preferisci che ti chiami Green? Sono Rikakei! Rikakei Otoko!”
Okido si illuminò, ma adesso era furioso per quello stupido soprannome. Lo odiava, era iniziato come un gioco tra ragazzini e nel giro di poco tutti quanti i suoi conoscenti cominciarono a chiamarlo Green. Cercò di calmarsi e rispose: “Ma certo, Otoko! Eravamo in classe insieme durante gli anni della Scuola dell’Obbligo, giusto?”
“Esattamente! Non ci vediamo da così tanto. Dimmi, sei ancora bravo nelle lotte tra pokémon come un tempo?” Sembrava entusiasta di rivedere una persona con la quale non aveva praticamente nessun rapporto. Okido non lo capiva per niente.
“No, ho smesso anni fa. Ho ancora alcuni pokémon con me ma li utilizzo soltanto in caso di autodifesa. Faccio parte del Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata e potrebbero servire; ma per il resto sono stufo di lottare.” Lo disse con un tono piuttosto malinconico. Non era da lui.
“Non avresti mai parlato così quando ci frequentavamo! E Red invece come sta?”
Okido preferì sorvolare sul fatto che non si erano mai frequentati. Tutta quella confidenza lo stava facendo implodere d’ira; cercò comunque di mantenere il suo solito tono distaccato: “Intendi Satoshi? Non lo vedo da un po’ in realtà. Ma sai perfettamente cosa successe quella volta, quando… beh, quando smise di parlare.”
“Capisco, allora farò meglio a non tornare sull’argomento. Piuttosto: cosa ci fa un poliziotto in questo posto? Qui non succede mai niente degno di nota.”
Ovviamente Okido non poteva specificare che stava investigando in qualità di privato né che cercava di arrivare al Team Rocket; per questo si limitò a dire: “Devo condurre alcune indagini presso il Monte Otsukimi. Contrabbando di fossili, roba piuttosto noiosa.” Sperava con tutto il cuore che quell’insolito personaggio replicasse con un saluto e che ognuno proseguisse per la propria strada. Ottenne esattamente l’effetto opposto: “Ahahahahahah! Incredibile! Assurdo! Strabiliante! Beh Green, sappi che questo è il tuo giorno fortunato. Si dà il caso che io sia uno dei paleontologi più illustri della regione e che proprio domani debba condurre alcune ricerche sul Monte Otsukimi. Non posso di certo permettere che tocchino i miei preziosi reperti. E chi meglio di me potrebbe aiutarti in un compito simile? Mi ci vedo bene sai? Il colto e bellissimo assistente dell’Agente Green! Ma sì, è deciso: stasera vieni a dormire da me e domani mattina ci incammineremo verso il monte!” Aveva fatto tutto da solo. Okido aveva letteralmente voglia di morire. Il solo pensiero di passare un secondo di più con quell’individuo gli faceva venire la nausea. Tuttavia la sua parte razionale prevalse: se Otoko era un ricercatore come diceva, si sarebbe potuto trovare presso il giacimento fossilifero più volte e - per quanto sembrasse stupido fino al midollo - potrebbe essere stato testimone dei malaffari dell’agenzia. Inoltre avrebbe potuto dargli qualche informazione sulla dinamica degli scavi illegali. Per finire, affiancato da un ricercatore aveva un alibi inattaccabile nel caso qualcuno gli chiedesse perché un agente di polizia stesse indagando senza un mandato o un’autorizzazione di alcun tipo. Con immenso dolore e quasi piangendo, soffocando un urlo in un sospiro, rispose: “Va bene. Credo che possa essere funzionale alle indagini. Ma non chiamarmi Green.” Otoko sorrise compiaciuto: “Bene Green, seguimi: prima svolgiamo alcune faccende e poi ti porto alla mia umile dimora.”
Il paleontologo viveva in un trilocale piuttosto squallido nella periferia di Hanada. L’illuminazione era pressoché nulla e senza un orologio era impossibile determinare anche approssimativamente l’orario lì dentro. Vi erano vari fogli sparsi ovunque che trattavano di questioni anatomiche degli organismi preistorici. In una teca piena d’acqua vi era un bizzarro organismo blu all’interno di una conchiglia. “Cos’è questo coso?” chiese incuriosito Okido. “Quello è un Omanyte, un pokémon estinto che un giorno evolverà in Omastar. L’altro invece è Kabuto, anche lui organismo preistorico e riportato in vita grazie al potere della scienza; evolverà in Kabutops.” Disse Otoko cercando di emulare - con pessimi risultati - il tono dei presentatori dei documentari naturalistici che chiunque ha visto per sbaglio almeno una volta nella vita. “Aspetta… l’altro?” Okido non fece neanche in tempo a formulare la domanda che avvertì un dolore lancinante alla gamba: un piccolo pokémon piatto dal dorso marrone gli stava mordicchiando la caviglia. Con un calcio scaraventò la creatura contro il muro e questa tornò nell’acquario assieme al cugino. “È un tenerone, non trovi?” Aggiunse ingenuamente il ricercatore. Okido preferì non rispondere.
Quella sera mangiarono alcuni avanzi e della carne di pessima qualità. Tutti prodotti a cui Okido era abituato. Nonostante non sopportasse per niente la persona che aveva di fronte trovava confortante l’idea che ci fossero altri nella sua stessa condizione. Tendeva sempre a nascondere il suo collasso, ma la sua disordinatissima stanza rispecchiava perfettamente il caos che da alcuni anni aveva in testa. E la casa di Otoko gli ricordava irrimediabilmente la sua. Gli venne da pensare che forse oltre quel sorriso ingenuo e quell’atteggiamento da sempliciotto i due non fossero poi così diversi; semplicemente tendevano a nascondere i propri problemi in maniera differente. La notte passò tranquilla; il padrone di casa dormì nel suo grosso e comodo letto mentre Okido fu relegato al divano in salotto (che era anche la cucina e la camera da pranzo).
La mattina seguente l’agente era già sveglio dalle cinque: evidentemente la concezione di “mattina” che Otoko aveva era diversa dalla sua, visto che dovette farlo alzare a suon di Kabuto. Verso le sette i due ultimarono i preparativi e presero un autobus che li avrebbe condotti direttamente alle pendici del Monte Otsukimi. Era passata circa mezz’ora dalla partenza quando Okido ricevette un aggiornamento dal dipartimento di polizia tramite il telefono del lavoro. Sobbalzò in un primo momento, ma poi si rese conto che finalmente aveva una pista e non poté che ritenersi avvantaggiato dalla notizia: sembrava che il capopalestra Takeshi di Nibi fosse stato assassinato la sera prima da un misterioso sfidante ricollegabile al Team Rocket. Cinque delle sei telecamere della Palestra erano state neutralizzate; l’unica intatta era posta in modo da non riprendere mai in volto l’assassino. Tuttavia video e audio erano stati perfettamente conservati e Okido poté esaminare l’accaduto dal telefono stesso. Guardata la registrazione gli si gelò il sangue; non per la brutalità estrema della scena, ma perché aveva notato un particolare che lo fece arrivare ad una conclusione per lui ripugnante. Sussurrò qualcosa come: “L’omicida non ha detto una parola. Non sarà… Che diamine stai combinando, idiota?” Poi impallidì una seconda volta. Dal fondo dell’autobus udì una voce femminile, anziana ma ferma: “Arcanine, attacca con Lanciafiamme!”
   
 
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