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Autore: Mannu    30/07/2009    0 recensioni
"L’unica cosa che Gambrath era riuscito a fare era stato rinchiudersi nella taverna più economica che fosse riuscito a trovare, dove con una moneta al giorno mangiava e dormiva insieme alla schiava, in uno stanzino piccolo e buio, puzzolente di muffa e col soffitto basso. Si era rassegnato ad aspettare che l’ira del centurione sbollisse e, vista la gente che frequentava quelle parti, dormiva con un occhio solo col terrore di essere derubato e con il coltello sempre a portata di mano."
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'I libri della grande Taliba'
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Libro Terzo - Il mercante e la vendicatrice - 1
1.

Gambrath era un mercante solitario. Con il suo carro a due ruote girovagava per tutte le terre vendendo le sue merci, a volte barattandole con altre, a volte riuscendo a ottenere in cambio metallo giallo o pietre preziose. Il suo aspetto umano lo facilitava con la maggioranza delle popolazioni: suoi clienti fissi erano il popolo Minuto, sempre bisognosi di nuove sementi, innesti per i loro alberi da frutto e di metallo nero per gli attrezzi. Commerciava volentieri anche con i furbi candriani, con i quali era sempre un piacere concludere affari quasi sempre profittevoli per entrambi. Mentre i rehn, avari acquirenti di ogni genere di bene che lui riuscisse a trasportare, erano i più difficili. Poi, ma meno frequentemente, aveva occasione di barattare con i nolga: le loro lunatiche cavalcature rappresentavano un pericolo costante anche per il loro stesso cavaliere e più di una volta erano riuscite a spaventare a morte Oslob, il bue grigio dalle lunghe corna ritorte che trainava il carro di Gambrath, accompagnandolo in ogni suo viaggio.
A cassetta, riparato dalla pioggia sottile da un telo reso impermeabile dal sudiciume, Gambrath teneva saldamente le redini del vecchio Oslob, che un passo dopo l’altro faceva avanzare il carro semivuoto nel fango molle. Il mercante era preoccupato: con due giorni di viaggio aveva lasciato alle spalle una città del popolo Minuto, dove aveva appreso della sfida che il Guardiano aveva lanciato a Vorgo, delle migliaia di morti e feriti che c’erano stati senza che Vorgo subisse una sconfitta. Aveva sentito della liberazione dei berserker, e già questa come preoccupazione bastava e avanzava. Si era informato sul luogo della battaglia e gli era stato detto che doveva essersi svolta a parecchie giornate di marcia dalla città, poiché nessuno si era reso conto di niente fino a quando i messaggeri del popolo Minuto non avevano portato la notizia della sconfitta del Guardiano dall’una all’altra delle loro città. La seconda più grossa preoccupazione per Gambrath era l’inasprimento delle tasse che Vorgo, incollerito per la rivolta, avrebbe certamente inferto alle popolazioni ribelli che avevano osato seguire il Guardiano. Più tasse voleva dire meno soldi in tasca; pochi soldi in tasca voleva dire meno affari per chi come Gambrath viveva vendendo tutto quello che gli capitava tra le mani. L’ultima preoccupazione, ultima solo per ordine e non per importanza, era il suo carro semivuoto: aveva trovato poca collaborazione nella città del popolo Minuto che aveva appena abbandonato. Aveva venduto poco, comprato quasi niente e barattato ancora meno: i cittadini gli erano apparsi spaventati anche se nessuna minaccia incombeva direttamente su di loro. Aveva chiesto se c’era qualche accampamento o guarnigione lì nei dintorni, ma gli era stato risposto che erano mesi che non si vedeva uno sgherro di Vorgo da quelle parti. Ma quella gente aveva paura lo stesso e la paura rende parsimoniosi.
Gambrath sporse la testa da sotto il telo e si guardò intorno: il grigiore della pioggia limitava la visibilità nella grande pianura che stava attraversando da due giorni senza aver incontrato anima viva, come sempre. Ma da quando aveva sentito pronunciare la parola berserker, Gambrath dormiva con un occhio solo e scioglieva malvolentieri il giogo di Oslob. Tornò al coperto senza aver visto nulla, ma si ripromise di continuare a guardarsi intorno maledicendo la pioggia e la nebbia che gli impedivano di vedere. Guardò sotto la cassetta dove aveva nascosto il risultato di un baratto che si era affrettato a concludere prima di partire: un lungo fucile dal calcio di legno lavorato. Era in grado di lanciare la sua palla a grandissime distanze, almeno così gli aveva garantito il Minuto che glielo aveva dato in cambio di un’anfora di ottimo vino dolce, che Gambrath aveva riservato per scambi migliori, e di un sacco con fichi essiccati. Gambrath voleva qualcosa per difendersi che non fosse il suo corto pugnale che non abbandonava mai e aveva accettato suo malgrado lo scambio, chiedendo però anche la polvere e il metallo per produrre altre palle. Guardò quell’ingombrante arma e si chiese se fosse in grado di fermare un berserker.
In quel mentre Oslob volse il muso all’indietro piegando il suo collo muscoloso e brontolò piano, in un modo che fece trasalire Gambrath. L’unico modo per far muggire così Oslob è la vicinanza di qualche nolga con la sua cavalcatura, pensò Gambrath, sporgendosi nuovamente. Invece le grida che sentì provenire dalla pioggia, alla sua sinistra, non erano certo quelle dei nolga o dei basran, il nome che loro stessi usavano per le bestiacce puzzolenti che cavalcavano.
Lo spirito bellicoso di Gambrath si disciolse come neve al sole alla vista di tre cavalieri semiumani, armati di lance e spade e mazze ferrate, che puntavano dritto verso di lui: il fucile rimase nascosto sotto il sedile e per poco le briglie di Oslob non sfuggirono dalle tremanti mani del mercante, che non aveva mai sfoderato il suo coltello se non per tagliarsi il cibo.
In breve i tre furono davanti al carro: uno di loro, un mostruoso essere dalle sembianze di una lucertola color del fango, afferrò con una mano dotata di quattro dita il morso del bue grigio e fermò il carro. Gli altri due, un muscolosissimo umano vestito di nero e un goffo ma pericoloso glohr addomesticato, circondarono il carro stando alle spalle del mercante terrorizzato dalle loro armi lucide per la pioggia e per l’uso frequente.
- Cosa porti, mercante? Bada, non mentire! - abbaiò l’uomo nero, coperto di pelli, metallo e armi. Anche il suo cavallo era bardato con piastre di metallo e con i trofei di guerra del suo cavaliere.
- Eccellenza, ho molto poco… poco cibo, delle pelli e sementi per i contadini… - balbettò Gambrath con voce appena udibile. Si era alzato in piedi esponendosi alla pioggia sottile e fredda, non sapendo se tenere d’occhio il rettile umanoide che guardava con occhio malvagio e affamato il povero Oslob oppure i due che con le loro corte lance avevano già sollevato il telo che proteggeva la sua mercanzia.
- Vedremo, pidocchio! Se ci hai mentito farai una brutta fine! - disse l’uomo. Un sibilo dell’orribile glohr accompagnò il saettare della sua lingua biforcuta.
I due gettarono il telo nel fango esponendo la merce di Gambrath alla pioggia.
- Vi prego, signori! È tutto quello che ho, se la pioggia rovina le sementi non avrò di che vivere!
- Halle! Khuelli kame fe hanno ssemfre la horsa hiena h’oro! - sibilò il rettile che sceso dal suo ronzino teneva per il morso Oslob. I suoi freddi occhi a fessura sporgevano dalla testa triangolare e una opaca membrana nittitante li ricoprì per un attimo per ripulirli dalle gocce di pioggia.
- Giusto - disse l’umano coperto di nere pelli ispide e bagnate di pioggia, abbandonando la perquisizione del carro - se il carro è vuoto vuol dire che hai venduto tutto e che la tua borsa è piena di monete. Vero, pidocchio?
- Ma signore… eccellenza, c’è carestia, la guerra… le tasse sono sempre alte… - azzardò Gambrath vedendosi perduto. La sua borsa non stava male, era vero, ma aveva in progetto di acquistare nuove mercanzie con quel denaro.
- Sì, sì… dicono tutti così… prima di morire! - ringhiò impugnando la sua scure bipenne.
- No, vi prego! - disse Gambrath cercando di fuggire. Riuscì a saltare giù dalla cassetta, ma l’essere simile a un enorme rettile lo afferrò per le vesti e lo trattenne, spingendolo con forza nel fango. L’essere aveva già impugnato la sua arma, una pesante mazza ferrata dotata di grossi e acuminati aculei di metallo quando la voce dell’uomo fermò la sua mano già alzata sopra la testa.
- Aspetta! A volte nascondono l’oro per non farselo rubare! Se lo uccidi, potremmo non trovarlo mai!
Il lucertolone abbassò la sua arma e sollevò di peso il mercante dal fango. L’umano, che lo sovrastava di parecchio in altezza, lo afferrò e lo scosse come fosse una bambola di pezza.
- Parla, figlio di un cane! Dove hai nascosto l’oro?
La gola di Gambrath era paralizzata dal terrore. L’oro l’aveva addosso, non si fidava a lasciarlo da nessuna parte. Ma non riuscì a proferir parola.
- Dov’è? - sbraitò ancora più forte il colosso.
- Lasciatelo!
La voce parve arrivare dal nulla. Una voce forte ma acuta, femminile, risoluta. Tutti cercarono di individuare chi potesse essere a sfidare quei tre assassini di professione. Dal grigio della nebbia apparve una figura, piccola e scura. Gambrath poteva vedere bene poiché la figura emerse dalla pioggia alle spalle del gigante cupo che lo stava scrollando. Era una donna, la chioma corvina e ribelle appiccicata dalla pioggia al volto pallido e al collo bianco, i seni protetti da due coppe di metallo legate con pelle, la vita cinta da un gonnellino fatto di innumerevoli strisce di cuoio e di placche di metallo legate tra loro da ampi anelli. I piedi erano coperti da curiose calzature sporche di fango dall’aspetto molto robusto, che arrivavano all’altezza dei polpacci. La pelle del volto era dipinta di nero intorno agli occhi, spesse righe scure che partivano dalla fronte, scendevano sugli zigomi e finivano a punta sul mento. Altri grossi segni neri ornavano le braccia sottili, il ventre un po' sporgente e le cosce grosse e rotonde. Lo sguardo fiero e le due lunghe lame dritte che impugnava non lasciavano dubbio alcuno sulle sue intenzioni.
Riavutosi dalla sorpresa, il gigante nero lasciò andare il mercante che ricadde nel fango. Impugnando la sua pesante scure bipenne con una sola mano fece un passo avanti verso la nuova arrivata, che si era fermata a qualche passo da lui.
- E tu chi saresti?
- Quella che ti farà passare la voglia di ammazzare gli indifesi, letame!
- Non credi di essere un po' piccola per queste cose? - disse l’uomo con un ampio sorriso di ghiaccio sul volto.
La ragazza non rispose e si mise in guardia, puntando in avanti le sue lame.
- Sei proprio decisa, eh? E va bene. Ho voglia di divertirmi anch’io: la tua morte sarà una liberazione per te, te l’assicuro!
Così dicendo fece un passo in avanti e fece volteggiare improvvisamente la sua scure come se avesse avuto tra le mani un rametto. La ragazza fece un passo a lato temendo un attacco, ma dopo che il gigante ebbe riportato la scure in posizione di guardia si rese conto che non era stata sua intenzione colpirla. Il gigante nero esplose in una fragorosa risata, deridendola. Poi passò all’attacco, sicuro di sé. La scure volteggiò di nuovo e la guerriera la schivò d’un soffio, avendola vista arrivare solo all’ultimo momento. La scure affondò con un tonfo nel fango dove un attimo prima c’erano i piedi di lei: se non fosse stata più che svelta, quel colpo veloce e potente le avrebbe spaccato il cuore dopo averle diviso in due la testa e il petto.
Pensò di avere un attimo di respiro e di poter contrattaccare, ma il gigante aveva già estratto dal fango la sua arma e la stava aspettando. Egli fintò un attacco, lei si ritrasse spaventata dalla velocità che quel colosso aveva e menò un fendente per coprirsi la ritirata. Quando tornò in guardia vide la sua lama sporca e l’espressione sul volto scuro dell’uomo era cambiata. Dopo qualche interminabile istante vide il sangue luccicare attraverso il cuoio lacerato.
L’attacco seguente fu di una furia e di una velocità sorprendenti. La guerriera saltò indietro quanto più poté, ma la carica del gigante urlante era tale che la raggiunse e la travolse gettandola a terra nel fango. Aveva avuto appena il tempo di schivare un fendente che le avrebbe staccato la testa, ma non si perse d’animo: con una faticosa piroetta si rimise in piedi e si trovò a guardare le spalle del suo avversario. Approfittando del tempo che il colosso ci mise ad arrestare la sua carica e a voltarsi, le lame scomparvero lasciando il posto a un'arma che Gambrath non aveva mai visto prima. La guerriera misteriosa, rivelatasi anche una potente strega, attese che il possente avversario si fosse voltato, poi gli sorrise e fece tuonare la sua arma. Quattro volte scaturì il lampo, quattro esplosioni secche, prima di veder cadere il gigante immobile a terra. Poi si voltò di scatto, appena in tempo per freddare con una scarica il glohr che si era lanciato su di lei. Il rettile umanoide, l’ultimo dei tre assassini, la guardò con occhi inespressivi, sibilò brevemente e con un rapido scatto saltò a cavallo e si diede alla fuga. La strega guerriera appoggiò l’arma contro la spalla, prese bene la mira nonostante la pioggia che la infastidiva e lasciò partire due brevi raffiche. La vampata del fucile fece risplendere di una balbettante luce bianca le goccioline di acqua. Gambrath vide la sagoma dell’uomo rettile cadere dal cavallo con un urlo disumano, rotolare a terra un paio di volte e poi non rialzarsi più. Il mercante non aveva perso tempo: quando la sconosciuta guerriera aveva ucciso con quella strana e potentissima arma il glohr a cavallo un attimo prima che le saltasse addosso, lui era scattato verso il suo carro e aveva raccolto il telo da terra per coprire le sue povere mercanzie. Poi con un breve schioccare delle redini aveva incitato Oslob a partire a tutta velocità. Quando aveva visto cadere il terzo bandito si era reso conto di non essere ancora fuori tiro, ma la guerriera era già diventata un’ombra nella pioggia.

- Bella riconoscenza… - disse a mezza voce la guerriera ansimando per la fatica - ma tu guarda che gente!
Afferrò il fucile per la maniglia e ritornò sui suoi passi lasciandolo dondolare. Camminò fino a quando il carro del mercante scomparve nel grigio di quella orribile giornata, fino a quando i tre cadaveri furono lontani e dimenticati, camminò sotto la pioggia strizzando gli occhi per le gocce che le davano fastidio. D’un tratto si fermò, in mezzo al niente, in mezzo alla brulla pianura battuta dalla pioggia, come se fosse arrivata a destinazione. Lasciò cadere a terra l’arma e cercò di raccogliere con le mani i capelli ricci fradici di pioggia per scostarli dal viso e dal collo. Fece quasi annoiata e distratta un passo avanti e sparì, dissolvendosi nell’aria.
   
 
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