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Autore: Ghost Writer TNCS    05/10/2019    1 recensioni
Da quando la sua famiglia è stata uccisa, Tenko ha combattuto ogni giorno, decisa a sopravvivere solo per compiere la sua vendetta. Ma il suo nemico è il Clero, la più potente istituzione del mondo, fondata dagli dei per garantire pace e prosperità a tutti i popoli.
Vessata dal destino, Tenko dovrà affrontare i suoi sbagli, le sue paure così come i suoi nemici, per scoprire che – forse – un modo esiste per distruggere il Clero: svelare le vere origini del loro mondo, Raémia.
Ma dimostrare le menzogne degli dei non sarà facile. Il Clero è pronto a schierare tutte le sue forze per difendere la dottrina, e gli dei stessi non si faranno scrupoli a distruggere chiunque metta in dubbio la loro verità.
La sua è una guerra persa, un suicidio, o peggio. Ma che importa? Quando ti tolgono tutto, non hai più nulla da perdere.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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35. Condanna

Rispetto all’interminabile marcia nella gelida foresta, il viaggio verso Theopolis fu talmente rapido che Persephone si sentì completamente spiazzata quando avvistarono la Città degli Dei, una delle più grandi e ricche metropoli al mondo. Aveva portato a termine la sua missione, ma aveva ancora troppi pensieri per la mente, troppi dubbi: come poteva fare rapporto al suo dio in quelle condizioni?

I grifoni atterrarono in un apposito cortile, grande abbastanza da consentire l’arrivo e la partenza di almeno una dozzina di draghidi in contemporanea.

Ad attenderli c’era un nutrito gruppo di guardie che prese subito in carico i due demoni. Di sicuro il Clero non aveva voluto correre rischi: con così tanti uomini a sorvegliarli, era impossibile per i due eretici anche solo pensare di poter fuggire.

Una volta che la scorta si fu allontanata, Ramses si avvicinò a Persephone. «Andiamo, mio padre è impaziente di vederti.»

Al solo sentire quelle parole, la metarpia venne attraversata da un brivido. «Intendete di persona?»

Lui sorrise, ma era difficile capire se fosse un sorriso sincero. «Esatto. Hai catturato le due persone più ricercate al mondo, te lo meriti.»

L’inquisitrice si sforzò di mantenere la calma. Di sicuro Ramses sapeva fin dall’inizio che Horus l’avrebbe incontrata di persona, eppure non aveva detto nulla in proposito: come al solito si divertiva a prendersi gioco di lei.

«Sarà un onore» affermò la metarpia una volta ritrovata la compostezza.

Il semidio la condusse alla villa dove risiedeva il padre, un edificio tanto grande quanto sfarzoso. C’era oro ovunque e le rifiniture dovevano essere opera dei migliori artisti al mondo. Era davvero una residenza degna di un dio.

I due inquisitori entrarono in una stanza dal soffitto altissimo e lì trovarono Horus in persona, circondato da servitori e da donne bellissime pronte a soddisfare ogni suo capriccio. L’intero spazio era inondato di luce grazie alle ampie finestre, così da sottolineare la maestosità del dio sole.

«Padre, è un onore e un piacere incontrarvi» affermò Ramses piegandosi in un inchino.

Persephone, ammutolita, si affrettò a inginocchiarsi, il capo verso terra.

Horus si alzò dal suo ampio divano, posto alcuni gradini sopra il resto della stanza. Era più alto della maggior parte degli uomini, aveva un fisico scolpito e la caratteristica testa da falco pellegrino. Tutto il suo corpo sembrava emanare un’aura di mistica magnificenza, come se brillasse di luce propria.

«Figlio mio, hai fatto presto.» Il dio si rivolse poi ai suoi servitori: «Lasciateci.»

In un attimo tutti quanti svanirono nei corridoi laterali; nella maestosa stanza rimasero solo Horus e i due inquisitori.

«Mio signore, è un onore troppo grande essere in vostra presenza» affermò Persephone, lo sguardo incollato al pavimento di marmo.

«Ci hai messo più tempo del previsto, ma hai compiuto la tua missione» le disse la divinità.

«So di avervi deluso, non ci sono scuse per la mia inefficienza.»

Mentre parlavano, Ramses si avvicinò al padre, fermandosi subito prima dei gradini.

«Se non altro sei riuscita a catturare gli eretici. Mi assicurerò che abbiano una punizione esemplare. Pagheranno anche per ciò che ti hanno fatto, mia leale servitrice. Ciò non toglie che la tua ferita sia un disonore. Un inquisitore non dovrebbe lasciarsi ferire da dei volgari criminali.»

«Sono mortificata, mio signore. Ho commesso un errore, ma non accadrà più.»

«Ne sono convinto. Se dovessero ferirti di nuovo, non perdere tempo a tornare.»

Persephone si sforzò di mantenere la calma. Nonostante tutto, la vergogna di aver deluso Horus la stava schiacciando. Sentiva i suoi occhi su di sé, il suo giudizio severo, e faticava a non tremare. Serrò le palpebre, sforzandosi di reprimere le lacrime.

«Hai trovato altri ribelli a sud?» le chiese Horus.

La metarpia esitò. Sapeva di dover dire la verità: che senso aveva mentire a un dio? D’altra parte aveva promesso ai teriantropi che non avrebbe rivelato a nessuno della loro esistenza. Cosa sarebbe successo se avesse parlato? Horus si sarebbe infuriato con lei per non averli uccisi subito e poi avrebbe mandato una squadra a sterminali, ne era certa. I teriantropi vivevano fuori dall’influenza del Clero, questo era vero, però non facevano del male a nessuno. Era davvero sbagliato volerli lasciare in pace?

«Ebbene?» Il dio si stava spazientendo.

«No, nessuno» esalò Persephone. Pregò Horus che lo stesso Horus non si accorgesse della sua menzogna, talmente spaventata da non rendersi conto dell’assurdità del suo pensiero.

Dopo un lungo silenzio, il dio falco riprese a parlare: «Bene. C’è nient’altro che vuoi dirmi?»

Subito la metarpia pensò ai misteriosi artefatti e al ricordo contenuto nella goccia, ma qualcosa dentro di lei la indusse a mentire ancora: «No, niente, mio signore.»

«Allora puoi andare. È tutto.»

«Grazie, mio signore.»

Sempre a capo chino, Persephone si alzò, fece qualche passo indietro e poi si voltò, diretta verso l’uscita. Era così spaventata che lasciò la villa quasi di corsa, senza guardare in faccia nessuno, senza rispondere agli ossequiosi saluti che riceveva.

L’aveva fatto: aveva mentito al suo dio. Horus non sembrava essersene accorto, eppure sentiva un nodo allo stomaco che la faceva sudare freddo. Ne era sicura, sicura come non lo era mai stata in vita sua: si era appena scavata la fossa da sola.

Una volta che la metarpia si fu allontanata, Ramses si voltò verso Horus, l’espressione stranita: «Ma, padre…»

«Non ora, figlio mio» lo interruppe il dio. «Non ora che indossa quell’uniforme.»

***

Essendo una delle più grandi città al mondo, Theopolis poteva vantare ogni tipo edificio, incluse delle possenti e impenetrabili prigioni. Quella dove stavano conducendo Tenko e Zabar era a due piani ed era fatta interamente di pietra; aveva addirittura una cinta muraria propria, con tanto di guardie sul cammino di ronda.

Appena i due demoni la videro, si sentirono subito persi. Era la prima volta dalla loro cattura che non erano più sotto la sorveglianza di un inquisitore, tuttavia la dozzina di uomini armati e i pesanti ceppi alle mani erano sufficienti a dissuaderli da ogni velleità di fuga. La giovane in particolare aveva il cuore che batteva all’impazzata: l’istinto le diceva di fare qualcosa, ma cosa?

Superato il portone esterno e il piccolo cortile, le guardie li condussero attraverso degli angusti corridoi quasi privi di finestre. Già lì l’odore era molto forte: un misto di sudore ed escrementi che fece venire la nausea a entrambi.

I militari li spinsero in una cella libera, un cubicolo angusto con una minuscola finestra sbarrata, e il comandante di turno si premurò di chiudere a chiave. «Mettetevi comodi» aggiunse, «gli dei hanno in mente qualcosa di speciale per voi.»

Appena le guardie si furono allontanate, Tenko prese le sbarre e provò a strattonarle, ma ovviamente quelle non si mossero di un millimetro. Si guardò intorno, cercando un modo per uscire, ma era più facile a dirsi che a farsi. Come se non bastasse, il fatto di essere di nuovo in cella stava facendo riaffiorare il ricordo degli abusi subiti, e questo non faceva che gettarla ancora di più nella disperazione.

Guardò Zabar, e per un attimo si pentì di non aver provato a fuggire da sola quando ancora ne aveva la possibilità.

«Mi dispiace di averti trascinato in tutto questo.» La voce del chierico era triste, ma soprattutto rassegnata. «Se non fosse stato per le mie idee, ora non saresti qui.»

Lei gli si sedette accanto. «Probabilmente hai ragione. Forse sarei in giro da qualche parte, ancora accecata dalla vendetta, o magari due metri sottoterra. O… O peggio…» Un singhiozzo le ruppe la voce. Sentì le lacrime sulle guance, ma si affrettò ad asciugarle con la mano. «Scusami, è solo che… io… io non voglio morire.»

Zabar appoggiò la propria spalla contro la sua, così da farle sentire la propria vicinanza. «Neanche io voglio morire.»

***

Stesa sul suo confortevole letto, Persephone osservava con occhio spento il bracciale che aveva sequestrato all’eretico. Dopo il suo arrivo in caserma, un servitore si era premurato di portarle dei vestiti puliti, ma per il resto non aveva avuto contatti con altri. Questo in realtà era stato un sollievo: in quel momento non voleva vedere nessuno.

D’un tratto qualcuno bussò alla porta. «Persephone Sialia, siete in camera? Aprite subito.»

La metarpia si affrettò a riporre il bracciale in un cassetto e poi andò ad aprire. Fuori dalla sua stanza c’erano delle guardie, ma non erano soli: con sua grande sorpresa, c’era anche Ramses.

«Persephone Sialia, siete in arresto per eresia.» La voce del capitano delle guardie era seria, marziale. «Non opponete resistenza, la benedizione del divino Horus non può più assistervi.»

Come paralizzata, l’ormai ex inquisitrice non oppose resistenza quando i militari le misero un collare anti-magia e le bloccarono le mani con un ceppo.

«Perquisite la stanza» ordinò il capitano. «Portate le sue cose nel deposito con tutto il resto.»

Prima che le guardie la portassero via, la metarpia rimase un momento davanti a Ramses. Probabilmente era venuto per deriderla un’ultima volta.

«Mio padre ti ha dato così tanto. Come hai potuto tradirlo così?» Il semidio sembrava sinceramente stupito e disgustato. «E per cosa? Non ti bastava ciò che ti ha dato? Sei una plebea, eppure ti ha resa un’inquisitrice! Cosa volevi di più?»

Persephone si era ripromessa di rimanere in silenzio – in genere era la cosa che le riusciva meglio – eppure in quel momento sentì il bisogno di parlare: «Non l’ho fatto perché volevo di più. La mia unica colpa è stata dubitare della sua onnipotenza.» Alzò lo sguardo e fissò Ramses con il suo occhio giallo. «A questo punto comincio a pensare che gli eretici abbiano ragione.»

Lo schiaffo arrivò fulmineo, pieno di rabbia e sdegno. «Prendete l’altro e portateli via.» Prima che le guardie eseguissero l’ordine, Ramses lanciò un’ultima occhiata stizzita alla metarpia. «Dato che sei così amica di quegli eretici, sarai felice di sapere che verrete giustiziati insieme.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Persephone ha finalmente portato a termine la sua missione, ma qualcosa è andato irrimediabilmente storto. Sarà stata la ferita all’occhio? Il ritardo nel catturare gli eretici? O più probabilmente il fatto che ha mentito a Horus in persona? L’unica certezza è che il dio ha deciso di punirla in maniera esemplare.

Tenko e Zabar sono già in cella, tormentati dalla consapevolezza della loro fine imminente, ma la metarpia li raggiungerà presto.

Cosa ne sarà adesso dei nostri eroi?

A presto con il prossimo capitolo!


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