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Autore: edoardo811    05/10/2019    3 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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19

Fiducia

 

 

«Q-Quel gatto…» mormorò Stephanie, cadendo a sedere sconvolta. «Q-Quel gatto ha parlato?!»

«“Quel gatto ha parlato?» ripeté il felino in falsetto, leccandosi una zampa. «Come se questa fosse la cosa più strana che voi semidei abbiate mai visto…»

Tommy era troppo sconvolto per dirgli che sì, era una delle cose più strane che avesse mai visto.

Il gatto mi ha mangiato la lingua, pensò. Ecco, ora doveva anche resistere all’impulso di darsi un pugno da solo.

«Digli di liberare anche noi!» esclamò qualcun altro. Thomas si voltò, questa volta verso la teca con dentro il serpente grassoccio, che fece vibrare la lingua tra i denti appuntiti. «Voglio andarmene da qui!»

All’improvviso, il gatto parlante non era più la cosa più strana che Tommy avesse mai visto.

«O-Ok…» proseguì Stephanie, questa volta inorridita. «Ora… ora gradirei delle spiegazioni…»

«Sono degli yōkai» mugugnò Edward. «Come Milù.»

«Esattamente» concordò il gatto. «Io sono un bakeneko, gatto mutaforma, e il mio nome è Shinjiro. Lui invece è Chono, uno tsuchinoko, un serpente parlante.»

Mentre il gatto parlava, la donnola bianca saltò sulla spalla di Tommy, facendolo sussultare per la sorpresa, mentre le altre due si misero ai suoi piedi. 

«Loro tre, invece…» proseguì Shinjiro. «Sono tre kamaitachi, Nagata e Sato, quella marrone e quella grigia, e Kensuke, quella sulla tua spalla.»

Sentendo il proprio nome, la donnola bianca fece un inchino.

«Molto strano che abbiano deciso di aiutarvi» commentò il bakeneko, accucciandosi di nuovo a terra. «Dev’essere perché hanno notato tra di voi uno spirito affino.»

Stephanie ed Edward si voltarono verso di Tommy, che rimase senza parole. «Ehm…» borbottò, mentre Kensuke si arrampicava sulla sua testa e gli annusava i capelli senza troppi complimenti.

«Sì, decisamente è così» osservò Shinjiro, mostrando i denti affilati in quello che doveva essere un sorriso divertito.

«Che cos’è successo tra loro e Milù?» domandò Thomas, mentre Kensuke continuava a zampettargli tra i capelli.

«Milù ha provato a catturarle per aggiungerle alla sua collezione, e la cosa ha portato al combattimento in cui loro le hanno tagliato la coda. Come ci si potrebbe aspettare, lei non l’ha presa molto bene. Le ha imprigionate, sfamandole appena e strappandogli gli artigli uno ad uno.»

Malgrado Tommy avesse già immaginato che quello fosse il motivo, saperlo gli fece ribollire il sangue nelle vene. Si sentiva in debito con loro, e avrebbe voluto riuscire a restituire il favore, in qualche modo. Anche se forse quel favore gliel’aveva già fatto liberandole.

«Oh, io non sarei così dispiaciuto per loro, se fossi in te» disse il gatto, intuendo il suo stato d'animo. «Le kamaitachi sono tra le creature più spietate e sadiche che esistano. Per tua fortuna gli sei simpatico, altrimenti avrebbero affettato te e i tuoi amici nel momento esatto in cui le hai liberate.»

Tommy schiuse le labbra e osservò Nagata e Sato, le quali replicarono con un’alzata di spalle.

«La smettete di blaterare?! Fateci uscire!» protestò Chono, dimenandosi dietro la teca della sua gabbia.

Edward osservò assorto il serpente per alcuni istanti, poi tornò a rivolgersi al felino. «Non sei stato molto chiaro, prima. Hai detto che le kamaitachi hanno strappato l’anima di Milù. Cosa vuol dire? E… che cos'era Milù?»

«Milù era una kitsune, uno degli yōkai più potenti, con sembianze di volpe che però può anche trasformarsi in un essere umano» spiegò Shinjiro. «Ma non è solo quello il loro potere. Possono creare illusioni di qualsiasi genere, così reali da farti credere che siano vere, e hanno molti altri poteri come telecinesi, pirocinesi e invulnerabilità. Non hanno alcun punto debole, a parte uno: la loro anima è racchiusa dentro una sfera, che può prendere le sembianze di gioielli e perle, in questo caso la collana che Milù aveva al collo. Separando l’anima dal corpo per abbastanza tempo, la kitsune muore. Ed è questo quello che le è successo.»

«Capisco…» Edward strinse i pugni, facendo un verso di sdegno. «Se solo l’avessi saputo prima…»

Il felino emise uno strano suono, che forse doveva essere una risata. «Che cosa avresti fatto, semidio? Nemmeno con la Spada del Paradiso sei riuscito a scalfire Milù. Certo, una volpe a cinque code non è un avversario semplice, ma se è davvero Orochi il tuo nemico, allora posso dirti già adesso che non hai speranze. Siamo sicuri che sei davvero tu il famoso ladro di cui tanto ho sentito parlare? Devo dire che sei stato una discreta delusione.»

«Cos’è, prima ci ringrazi per esserci sbarazzati di Milù e poi ti prendi gioco di me?» sbottò il figlio di Apollo, adirandosi.

«Mh, sì, hai ragione. Forse avrei dovuto ringraziare solo il tuo amico per aver liberato le kamaitachi» ribatté il felino. Se voleva stuzzicare il ragazzo, ci stava riuscendo in pieno. Ma prima che Edward potesse replicare, Kensuke fece uno strano squittio, probabilmente il proprio verso, e Shinjiro ridacchiò di nuovo. «Hai proprio ragione.»

«Cosa?» Edward squadrò la donnola. «Che ha detto?»

«Meglio evitare la traduzione letterale…» borbottò Shinjiro, facendo rabbuiare ancora di più Edward. «… comunque, ha detto che non sei riuscito a vedere attraverso l’inganno di Milù.» Shinjiro tirò fuori un artiglio dalla zampa, per poi esaminarselo. «Non proprio una cosa degna di uno che spera di essere un grande eroe.»

Edward lanciò un’occhiataccia a Kensuke, che però non parve affatto preoccupato. Giustamente, tra l’altro. Edward non avrebbe dovuto guardare in quel modo il loro salvatore. Soprattutto non dopo la festa che aveva fatto a Milù. Kensuke, Sato e Nagata avrebbero potuto farli a pezzi in un battito di ciglia.

«Non ho mai detto di voler essere un eroe» borbottò il ragazzo, tornando a osservare il felino. «Voglio solo liberarmi di questa maledetta spada. Il resto non conta.»

Il gatto piegò la testa. «Beh… questo spiega molte cose.»

«I-Inganno?» domandò Stephanie titubante, intromettendosi. «Quale inganno?»

«Lo sai di cosa parlo, mia cara. Milù stava solo fingendo di esservi cordiale. Vi stava ingannando, ma per vostra fortuna le persone oneste possono vedere attraverso la natura subdola della kitsune. Per questo motivo sei riuscita a scoprirla. Non è stato per via del thè.» Shinjiro lanciò un’altra occhiatina a Edward. «Sembra però che tu abbia avuto qualche problemino…»

Stephanie e Tommy osservarono il compagno, confusi. Il figlio di Apollo si incupì ancora di più. «Che… che cosa vorresti dire?»

«Oh, non saprei… che cosa vorrei dire, secondo te?»

Le dita delle mani di Edward formicolarono. Tommy ripensò a poco prima, a cosa l’amico avesse detto a Milù. Edward… stava davvero nascondendo qualcosa?

«Forse… forse si riferisce a quando ci hai tenuto nascosto il tuo passato…» suggerì Stephanie, anche se non sembrava molto convinta. Oltretutto non funzionava molto come ragionamento, perché Edward non era certo stato l’unico ad essere restio sul condividere la propria infanzia. Ma il ragazzo sembrò essere d’accordo, perché annuì. «Può darsi. In ogni caso, qui abbiamo finito. Andiamocene prima che…»

«Ehi, voi tre!» protestò ancora Chono, distraendoli. «Mi liberate o no?!»

«Sì, sì!» esclamò Tommy, esasperato. «Ora ti libero, basta che chiudi la bocca!»

«Io non lo farei se fossi in te» lo fermò Shinjiro, mentre apriva da solo la porta della sua gabbia e usciva con uno sbadiglio. I ragazzi lo osservarono esterrefatti, ma lui non sembrò dare loro alcun peso. «Fallo uscire, e quello correrà da Orochi per spifferargli tutto. Gli tsuchinoko non sono famosi per la loro affidabilità.»

«Non è vero, non lo farei mai! Certo, a meno che Orochi non mi offra un po’ di buon sakè, allora in quel caso potrei anche…»

«As… aspetta, potevi uscire da lì fin dall’inizio?!» domandò Stephanie al gatto, ignorando bellamente il serpente.

«Certo. La magia delle kitsune non è molto diversa da quella di noi bakeneko.»

«E perché non l’hai fatto prima? Anzi, perché non ci hai aiutati?!»

Shinjiro piegò il capo, come se quella domanda lo confondesse per davvero. «E perché avrei dovuto?» 

Si alzò sulle zampe posteriori e il suo aspetto cominciò a mutare, come quello di Milù quando aveva mostrato la sua vera natura. Ma questa volta accadde l’opposto. Dalla forma animale, il bakeneko passò a quella umana. La figura si ingrandì, le zampe posteriori si allungarono, la schiena si distese e il pelo si ritirò, scoprendo chiazze di pelle che man mano andavano ricoprirsi con dei vestiti. Tommy osservò la scena a bocca aperta.

A trasformazione conclusa, il gatto diventò un uomo con capelli corti, neri e ordinati, un filo di barba del medesimo colore sulle guance e occhi verdi e penetranti come smeraldi. Il suo vestito era un completo a tre pezzi, pantaloni e giacca neri con una cravatta rossa e una camicia bianca. Era elegante e di bella presenza, ma con uno sguardo freddo e stoico, di fatto non discostandosi molto rispetto a quando era un felino. 

«Dopotutto, noi gatti viviamo a lungo proprio perché ci facciamo gli affari nostri, no?» disse ancora, mentre dava loro le spalle e si avvicinava al bancone del negozio.

«Comunque, ho sentito cosa avete detto a Milù, prima della sua sgradevole trasformazione.» Shinjiro aprì il registratore di cassa ed estrasse una manciata di banconote mortali. «Questi credo che fossero suoi. Di tanto in tanto faceva affari anche coi i mortali. Non penso che questi soldi le serviranno ancora. Sono cinquecento dollari. Prendeteli pure» e porse la mazzetta ad Edward, che prima di accettare la osservò con scetticismo. 

L’uomo sogghignò, e Tommy constatò che i canini affilati non erano affatto spariti. «Qualche problema?»

«Non saprei…» borbottò Edward. «Hai appena detto che non volevi aiutarci, e ora ci stai dando quello che volevamo. Dov’è la fregatura?»

Shinjiro ridacchiò. «Mi piace come ragioni. Nessuna fregatura, comunque… a parte il fatto che prenderò io possesso del negozio. Non che la cosa vi riguardi.»

«Aspetta, cosa?!» esclamò Stephanie, facendo un passo avanti. «Vuoi dire che non intendi liberare questi animali?!»

«COSA?!» urlò Chono. «TRADITORE! MALEDETTO TRADITORE!»

«Che volete che vi dica, è un mondo difficile, questo. Posso assicurarvi, comunque, che gli animali staranno meglio qui con me, rispetto che li fuori. In ogni caso, ripeto che non sono affari vostri. Avete avuto quello che volevate, ora sparite. Non vorrete mica combattere anche con me…» Shinjiro aprì il palmo della mano, che iniziò a brillare di una luce violacea. Osservò loro con i suoi occhi penetranti. «… vero?»

Edward serrò la mascella. Sembrava volesse fermarlo, ma lo scontro con Milù lo aveva conciato piuttosto male, e nemmeno Stephanie sembrava in forma. Inoltre, il bakeneko aveva detto di non essere molto diverso dalla kitsune, e se questo voleva dire che erano simili anche in quanto a forza, allora c’era poco che loro tre potessero fare. Forse le kamaitachi avrebbero potuto aiutarli, ma nessuna di loro sembrava interessata alla faccenda. Dopotutto, era con Milù la loro disputa, non con Shinjiro.

«Sbaglio, o eravate un po’ di fretta?» Shinjiro indicò l’orologio appeso sul muro dietro al bancone. Non appena i ragazzi si accorsero di essere lì dentro da più di un’ora, sussultarono. Il bakeneko sorrise nuovamente. «Si sta facendo tardi, come potete vedere. Non vorrete rimanere qui tutto il giorno, giusto? Il treno vi aspetta.»

I tre semidei si guardarono tra loro. Stephanie avrebbe voluto fare qualcosa per quegli animali, era evidente, ed Edward… beh, lui sembrava solo desideroso di potersi sfogare su qualcosa, su Shinjiro in particolare. Ma purtroppo, il bakeneko aveva ragione. Avevano avuto quello cercavano, non c’era altro che potessero fare in quel luogo. Tommy si sentì un codardo, ma era più forte di lui. La kitsune, il bakeneko… erano avversari ben oltre la loro portata. E anche Edward sembrò arrivare alla stessa conclusione, perché rivolse un’ultima occhiata carica di odio allo yōkai.

«Non finisce qui» rantolò, stringendo con forza le banconote nella sua mano.

«Io invece credo proprio che sia appena finita, caro il mio ladro bugiardo. Ma comunque, potrete tornare a trovarmi, in futuro. Se sopravvivrete.» Fu con un ultimo sorriso provocatorio che Shinjiro li salutò. 

Un istante più tardi, il gruppo si ritrovò catapultato fuori dal negozio, sul marciapiede, kamaitachi comprese. I tre animaletti precipitarono addosso a Tommy, e per fortuna erano senza artigli, altrimenti avrebbero trasformato la sua faccia in un mosaico di tagli. Si alzò a sedere, massaggiandosi la schiena dolorante. Si augurò di non essere più scaraventato in giro contro il proprio volere, quel giorno, altrimenti avrebbe anche potuto arrabbiarsi. Si rimise in piedi, afferrando lo zainetto che gli era stato lanciato accanto.

Edward aiutò Stephanie a tirarsi su, osservando il banco di pegni di Milù, che ora per qualche bizzarra coincidenza si chiamava “Banco dei pegni di Shinji”. 

«Maledetto» ringhiò, mentre il gatto mutaforma li salutava con un cenno della mano da dietro la vetrina. Dopodiché abbassò le saracinesche, che scesero a coprire la facciata del negozio, mentre il cartello con scritto “Aperto” sulla porta si girava dall’altra parte.

Alcuni pedoni di passaggio lanciarono diverse occhiate perplesse ai tre ragazzi, e fu quello ciò che permise al trio di ridestarsi del tutto. Non potevano rimanere lì, non con tutta quella gente attorno, e soprattutto non con Lisa e Konnor che, ignari di tutto, li stavano ancora aspettando alla stazione. Avevano un treno da prendere, e avrebbero fatto meglio a sparire dalla scena prima che qualcuno chiamasse la polizia. Con i suoi lividi e la cicatrice, Edward non aveva un aspetto molto rassicurante, e Tommy… beh, lui aveva tre animali selvatici aggrappati ai vestiti. Non era certo un bel vedere.

Le tre donnole scesero a terra. Per un momento, Tommy pensò che sarebbero rimaste con loro, e a lui la cosa non sarebbe affatto dispiaciuta, nonostante l’indole sadica di cui Shinjiro aveva parlato. Invece, Kensuke rivolse un altro inchino al ragazzo, il quale, incerto sul da farsi, decise di ricambiare goffamente, ottenendo altre occhiate stralunate dai passanti. Più rosso dei propri capelli, biascicò: «G-Grazie per averci aiutato, ragazzi.»

«Sì, grazie» fece eco Stephanie, chinandosi a sua volta. «Non posso esprimere a parole quanto vi siamo debitori.»

Edward annuì, ma non disse nulla.

Kensuke piegò il capo e strizzò loro l’occhio, facendo di nuovo il suo verso, forse il suo modo di dire: «Non c’è di che.»

Un istante più tardi, tutte e tre le donnole erano scomparse in una folata d’aria. Alcuni passanti fecero dei versi sorpresi, stringendosi nei cappotti o afferrandosi i cappelli prima che volassero via. Thomas rimase a bocca aperta per lo stupore. Non si sarebbe mai abituato alla loro velocità. E, in cuor suo, si augurò di incontrarle di nuovo, un giorno.

Mentre si allontanavano, il peso dell’umiliazione continuò a schiacciare i tre ragazzi. Certo, erano ancora vivi, e avevano i soldi, ma avevano perso su tutti i fronti. Milù li aveva fatti a pezzi, e poi Shinjiro aveva rincarato la dose. Se non fosse stato per Kensuke e i suoi compagni… Tommy non voleva pensarci.

Edward non disse più una parola per tutto il resto del viaggio fino alla stazione. Osservandolo chiuso nel suo silenzio, Tommy ripensò a quello che Shinjiro aveva detto, ma non trovò il coraggio di farne parola con il figlio di Apollo o con Steph. Si limitò soltanto a rivolgere una domanda muta alla figlia di Demetra, la quale annuì. Dal suo sguardo, intuì che la ragazza ne avrebbe parlato con Edward in futuro.

Una volta tornati alla stazione, Konnor non ci mise molto a notare i loro aspetti trasandati, ma qualunque domanda avrebbe voluto fare venne stroncata sul nascere quando Stephanie scosse con forza la testa. Lisa, dal canto suo, rimase in disparte senza dire una parola. Sia lei che il figlio di Ares sembrarono sollevati di rivederli, ma forse era solo perché così almeno non erano più costretti a rimanere da soli. Se non altro, sembravano entrambi stare bene, e soprattutto nessuno li aveva riconosciuti.

Si divisero in due gruppetti sia per prendere i biglietti che per salire sul treno, e questa volta Thomas rimase con Edward. Quando il ragazzo si sedette sul divanetto della loro cabina, si rese conto di essere ancora più esausto di quello che aveva creduto.

Guardò fuori dal finestrino mentre il treno ripartiva e si allontanava dalla Union Station. Non erano rimasti molto a lungo a Kansas City, forse solo un paio di ore, ma era lieto di riprendere il viaggio così presto. Tre giorni di treno si preannunciavano una sfida difficile, ma almeno avrebbero potuto riposarsi e prepararsi meglio per qualunque sfida li attendesse a San Francisco.

Edward si addormentò senza dire una parola. Tommy non sapeva più cosa pensare di lui. Forse Stephanie aveva ragione, forse Edward nascondeva qualcosa del proprio passato, ma rimuginarci sopra in quel momento non aveva senso. Il viaggio sarebbe stato lungo, ci sarebbe stato tempo per ritornare sull’argomento. Thomas chiuse gli occhi, prendendo esempio dall’amico, e lasciò che il sonno lo raggiungesse.

 

***

 

Era tarda sera, ma all’anfiteatro del Campo Mezzosangue il fuoco continuava a brillare, penetrando il buio con le sue fiamme. Un gruppo di ragazzi, malgrado l’ora e le regole sul coprifuoco, si trovava seduto sugli spalti più in basso, intenti a osservarne due che invece si trovavano in piedi. 

Tommy li riconobbe tutti quanti. Paul, Derek, Simon, Xavier, ogni capocasa del campo, con l’eccezione di Jonathan, Seth, Kevin e Sarah, si trovava radunato lì, a osservare Buck e Jane. A giudicare dalla scena, riuscì a immaginare perfettamente di quale argomento stessero discutendo.

Qualcuno scese i gradini dell’anfiteatro, raggiungendo gli altri. Gli sguardi si spostarono sul nuovo arrivato, un ragazzo alto, con i capelli lunghi e vestito come il cattivo di un film dell’orrore, con un’inquietante maschera antigas nera sopra il volto e un machete di bronzo celeste appeso alla cintura. Anziché spaventarsi, i semidei si comportarono come se fosse tutto normale. Dopotutto, quello era il marchio di Seth. Il figlio di Nemesi adottava la tattica che consisteva nell’intimorire i propri avversari durante i combattimenti, tattica che funzionava bene perfino con i mostri.

Si stravaccò sugli spalti e si sfilò la maschera. Non sembrava molto felice. «Sarà meglio che tu abbia un buon motivo per avermi convocato, Buck. Ero di ronda.» 

«Suvvia, Seth.» Buck congiunse le mani sorridendo accomodante, anche se era chiaro come perfino lui si sentisse a disagio in presenza del capocasa di Nemesi, soprattutto se quest’ultimo era di cattivo umore. «Sei rimasto sveglio a pattugliare il campo tutte le sere da quando quei cinque sono partiti, e non si è vista alcuna traccia di quei mostri. Non credo proprio che torneranno.»

Seth grugnì, ma non disse altro. 

«E anche le vostre trappole…» proseguì Buck, ora rivolgendosi a Derek, seduto poco distante. «… hanno mai beccato qualcuno?»

Derek rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò. «No. Nessuno.»

«E quegli strani spiriti della foresta? Dove sono finiti?»

«Sono spariti quando Stephanie e gli altri sono partiti.» Paul incrociò le braccia, osservando cupo il figlio di Ares. «Dove vuoi arrivare, Buck? Perché ci hai convocati tutti qui, di nuovo?»

Buck sorrise, un sorriso che non parve per niente sincero. «Mi sembra ovvio, no? Da quando quel figlio di Apollo se n’è andato, non è successo più nulla da queste parti. Chiaramente, è stata la sua presenza ad attirare i mostri qui. Ma ora che non c’è più, non saranno più necessari tutti i nostri sforzi per proteggere il campo.»

«I nostri?!» domandò una voce. I semidei si voltarono verso Kevin e Sarah, sopraggiunti in quel momento. Il figlio di Efesto era sporco di cenere, trucioli e grasso per motori. Aveva delle occhiaie da far spavento, e pure da sotto il cappello a visiera si notavano i capelli spettinati. «Da quanto ne so, sono io quello che ha passato giorno e notte al Bunker Nove a lavorare! Tu che diamine hai fatto, Buck, oltre che startene qui a blaterare?»

«Datti una calmata, troglodita» sbottò Jane, affiancando il capocasa di Ares. 

«Ha ragione, invece» si oppose Sarah, affiancando Kevin e posandogli una mano sulla spalla. «Ho dovuto minacciarlo per riuscire a farlo uscire dal bunker. Kevin sta lavorando come un disgraziato, e lo stesso stanno facendo gli altri. Voi due, invece, non fate altro che cercare di distrarci. Siamo davvero sicuri che siete dalla nostra parte?»

Jane ignorò la domanda, concentrandosi sulla mano della figlia di Ebe appoggiata al ragazzo. Sorrise provocatoria, indicandola. «E da quando tra voi due c’è così tanta confidenza?»

Sarah avvampò e allontanò la mano, mentre Kevin sogghignò. «Cerchi di cambiare argomento, gallina?»

La figlia di Afrodite squittì indignata, mentre Buck fece scrocchiare le nocche. «Rimangiatelo subito, o ti gonfio come un pallone.»

«Sono terrorizzato» replicò il capocasa di Efesto. Sembrava davvero pronto a fare a botte, e con tutta probabilità sarebbe successo se Simon non fosse intervenuto. 

Il capocasa di Atena si alzò in piedi, schiarendosi con forza la gola, intanto che Sarah cercava di trattenere Kevin dallo scatenare un putiferio. «Vogliamo rimanere qui a litigare tutta la notte, e credetemi, visto l’andazzo delle cose non sarebbe difficile come eventualità, oppure ci sbrighiamo con questa buffonata? Ho di meglio da fare che starmene qui a perdere tempo con voialtri.» 

Alyssa posò la sua monetina e fece schioccare la lingua. «Ma guarda, il figlio di Atena che osserva gli altri dall’alto verso il basso. Questa sì che mi è nuova…»

Prima che Simon potesse rispondere alla capocasa di Tyche, Buck riprese la parola, alzando la voce: «Quello che cerco di dire è che difendere il Campo Mezzosangue non serve più a nulla. Non ha alcun senso piazzare trappole, pattugliare i confini o costruire sistemi di allarme. Quello che ci serve adesso è prepararci per la guerra.»

Ogni traccia di ostilità presente nell’aria cessò di esistere in un istante al suono di quelle parole. Ora gli sguardi rivolti a Buck, da diffidenti o rabbiosi, si tramutarono tutti in stupore. 

«Come scusa?» domandò Simon, sollevando un sopracciglio. 

«La guerra?» fece eco George, riprendendosi proprio in quel momento da una pennichella.

Buck sorrise e annuì soddisfatto, come se avesse appena detto che dovevano prepararsi per un picnic. «Sì, la guerra tra gli dei che sta per arrivare. Ormai non ci rimane molto tempo.»

I capicasa si scambiarono degli sguardi confusi. 

«Cosa vorresti insinuare?» domandò Derek.

«Mi sembra ovvio. Quei cinque non riusciranno mai a riportare la spada, o quello che è, a San Francisco. Hanno perso l’aereo e la polizia li sta inseguendo. Ora sono chissà dove a fare chissà cosa, ammesso e concesso che siano addirittura ancora vivi. Non possiamo più contare su di loro. Quello che occorre, adesso, è assistere i nostri genitori nella guerra contro gli dei orientali.»

Di nuovo, sguardi stupidi passarono tra un semidio all’altro. Le parole di Buck sembravano sempre più irreali. L’unica persona che sembrava essere d’accordo con lui era Jane, che stava annuendo soddisfatta.

«Aspetta, fammi capire bene» disse ancora Simon, massaggiandosi le tempie. «Tu… credi che noi, dei semidei, possiamo combattere una guerra contro degli dei veri e propri?»

«E che ci sarebbe di strano? Abbiamo affrontato Titani e Giganti, perché non Dei?» Si intromise Jane, sorridendo melliflua. «E poi, lo avete sentito il Signor D. Gli dei giapponesi non fanno uso di semidei, a differenza dei nostri genitori. Se noi li aiuteremo, allora avremo un vantaggio non indifferente. Quella che secondo gli dei orientali è la più grande debolezza degli dei occidentali, sarà invece la loro carta vincente. Sarà tutto merito nostro. A nessuno di voi piacerebbe essere considerato un vero Eroe? Perché lo potremo diventare.»

Le parole di Jane sembrarono riuscire ad avere qualche effetto sul gruppo, perché alcuni di loro si grattarono la testa, confusi. 

«Certo» annuì Buck. «Ma questo succederà solo se inizieremo a lavorare come una squadra.» 

A quel punto, i semidei tornarono in sé. 

«Mi prendi in giro?» sbottò Derek. «Non hai fatto altro che intralciarci da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme per proteggere il campo! E ora proprio tu vieni a dirci che dobbiamo essere una squadra?»

«Non vi stavo ostacolando» rispose Buck, lanciando uno strano sguardo al figlio di Ermes. Non sembrava felice del fatto che proprio lui avesse avuto da ridire, ma rimase comunque calmo. «Però ho bisogno che capiate che un gruppo non può lavorare come stiamo facendo adesso. Occorre qualcuno che guidi gli altri. Serve un capo.»

Udendo quelle parole, Tonya esplose in una grassa risata. La capocasa di Nike si posò le mani dietro la testa, accavallando le gambe. «E suppongo che quel capo debba essere tu, giusto?»

«Questo starà a voi deciderlo» rispose Buck, con noncuranza. «Ognuno di noi voterà per eleggere un capo. Se sarò io a vincere, sarò ben lieto di ricoprire questo ruolo.»

«Il voto sarà anonimo, ma io personalmente voterò per Buck» aggiunse Jane, volgendo una mano verso di lui. «Come figlio del dio della guerra, mi sembra quello più adatto per il ruolo. Io non voglio mica che a guidarci sia qualcuno che di battaglie non capisce nulla. E voi, invece?» domandò con molta enfasi, lanciando un rapido sguardo verso Paul e Derek. 

«Non state considerando una cosa, però» asserì la capocasa di Iride, Sunry. Non parlava quasi mai, perciò fu strano udirla con quel tono così serio. «State dando per scontato che l’impresa fallirà. Ci sono ancora quattro giorni di tempo.»

«Beh, perché non prepararsi con un po’ di anticipo? Non è forse la cosa più saggia da fare?» insistette Jane, sempre con quell’aria noncurante che stava davvero cominciando ad irritare Tommy. 

Per l’ennesima volta, i semidei sembrarono confusi dalle sue parole. Stava succedendo qualcosa di strano, perfino Tonya e Simon, che anche se per ragioni diverse erano quelli che più di tutti avrebbero avuto da ridire, rimasero in silenzio, a meditare su quelle parole. 

«Perché non fare così, perché non fare colà…» cantilenò Xavier, facendo cambiare colore al falò con la sua magia, per poi osservare adirato la figlia di Afrodite. «Lo scherzo è bello quando dura poco. Che ne dici, raggio di luna, magari ti taglio via quella maledetta lingua ammaliatrice?»

Diversi versi di sorpresa si sollevarono in aria, mentre le espressioni di Buck e Jane cambiarono del tutto, assomigliando a quelle di due bambini scoperti dopo una malefatta. 

Il figlio di Ecate sogghignò, osservando le loro facce sbigottite. «Davvero pensavate che non me ne sarei accorto? La magia non è forse la mia specialità?»

Ora tutti quanti osservarono furibondi i due semidei. Perfino Thomas era sorpreso. Jane non aveva mai usato quel potere, prima. Non che lui sapesse, almeno. Forse aveva cercato di tenerlo nascosto, magari per non farsi scoprire nei momenti in cui ne aveva davvero bisogno. 

«Oh, grandioso!» sbottò Kevin. «Quindi ci stavi pure ipnotizzando. Perfetto! Per quale motivo non vi abbiamo ancora sbattuti fuori dal campo?»

«Non è ipnosi, imbecille» sbottò Jane. 

Sarah fece un passo avanti, e ora un putiferio sembrava davvero stare per scoppiare, ma questa volta fu Seth a riportare l’ordine. 

«Fatela finita!» intimò, alzando la voce. 

Tutti quanti si ammansirono all’improvviso. Il capocasa di Nemesi ora si trovava al centro dell’attenzione. Si alzò in piedi, incrociando le braccia. «Smettetela di litigare. Anche se ci hanno imbrogliati, Buck e Jane hanno sollevato una questione importante. Se l’impresa dovesse fallire, che cosa ci succederà?»

Il silenzio cadde tra i capicasa. Seth lo interpretò come una risposta più che sufficiente, perché annuì. «Bene, allora. Io direi di fare così. Avremo una votazione, ma non sarà per eleggere un capo, sarà per dare la fiducia all’impresa dei nostri compagni. Se la maggioranza darà la fiducia, allora possiamo anche finirla di discutere. Se invece non ci sarà la fiducia, potremo proseguire con l’idea di Buck e Jane e iniziare a prepararci per quello che dovrà arrivare, senza giochetti e senza imbrogli, oppure la faccio pagare a qualcuno. Tutto chiaro?»

Nessuna obiezione. Di nuovo, Seth annuì. «Bene, allora. Per alzata di mano, chi ritiene che l’impresa fallirà?»

Buck e Jane furono i primi ad alzare le mani. Ovviamente. Per un attimo sembrarono essere gli unici a crederlo, per sollievo di Thomas, ma purtroppo aveva cantato vittoria troppo presto. 

Per sua enorme sorpresa, il capocasa di Ipno fu il primo, dopo gli altri due, a esprimere la sua sfiducia. A seguirlo ci furono Tonya e Xavier, con quest’ultimo che tuttavia lanciò un’altra occhiataccia a Jane. Simon fece un pesante sospiro, poi anche lui alzò la mano. «Sono tutti e cinque senza esperienza. Mi dispiace, ma non credo che ce la faranno» cercò di giustificare, più a sé stesso che agli altri.

Nessun altro alzò la mano, al che Seth chiese l’opposto: «Chi dà la fiducia?»

Derek e Paul furono i primi, questa volta, subito seguiti da Sunry, Sarah e Kevin, che nel mentre non si fece scrupoli a fare un gestaccio a Jane. A Tommy venne da pensare che il figlio di Efesto avesse dato loro fiducia giusto per andare contro ai capicasa di Ares ed Afrodite, ma andava benissimo così.

L’ultima ad alzare la mano fu Alyssa. E con anche la capocasa di Tyche dalla loro, la situazione era in parità, sei voti contro sei.

«Ma… siamo pari?» domandò Paul, sorpreso. 

«No, manco io» replicò Seth, che osservò tutti i presenti uno ad uno prima di proseguire. «Io do la mia fiducia.»

Diversi sospiri di sollievo si sollevarono tra i semidei favorevoli all’impresa. Pure Thomas l'avrebbe fatto, se fosse stato presente. E soprattutto, non riusciva a credere che Seth fosse dalla loro parte. Però, ora che ci pensava, anche la sera del Consiglio era stato uno dei pochi a non deridere lui, Stephanie ed Edward quando si era deciso che loro tre sarebbero partiti.

«Dobbiamo anche considerare che Jonathan non è qui, perché sono certo che anche lui sarebbe stato favorevole» aggiunse ancora il capocasa di Nemesi, lanciando un ultimo sguardo a Buck. «Ci hai provato, Buck, ma hai sentito gli altri. Nessuno qui vuole un capo. E di certo non vogliono te.»

Buck ringhiò di rabbia, poi si allontanò da loro, con Jane al seguito. Non sembravano affatto felici dell’esito di quella serata. Thomas ebbe il timore che la loro presunta sconfitta non avrebbe fatto altro che spronarli a rompere ancora di più le scatole, ma per il momento potevano godersi quella piccola vittoria. E soprattutto, ora sapeva che doveva dare ancora di più il massimo per portare a termine quell'impresa. Il campo dipendeva da loro, anzi, il mondo intero dipendeva da loro. Non poteva deluderli. Non poteva deludere nessuno.

«Com’è che anche tu hai votato per la sfiducia?» sbottò Derek, avvicinandosi a George. 

Il figlio di Ipno sussultò. «E-Ehi, i-io pensavo solo che...»

«Basta» esordì Seth. «George ha tutto il diritto di non fidarsi di Edward e gli altri. Dopotutto, a quest’ora sarebbero già dovuti tornare, ma la situazione si è incasinata inutilmente. Tutti noi abbiamo fatto un azzardo a dare la nostra fiducia, se devo essere sincero. Ma tutti si meritano una possibilità.»

«Hai ragione.» Derek si ammansì, tornando a guardare George. «Scusa, amico. Ma sai com’è, c’è anche mio fratello nell’impresa e… George? George!»

Derek scosse il capocasa di Ipno, che trasalì. «Eh? Sì, sono sveglio!» 

«Ma ti sei addormentato mentre ti parlavo?!»

«N-No! Certo che no!»

«E allora che cosa ti ho detto?»

«Eh… ehm…»

Mentre Derek inveiva contro George, Sarah si avvicinò a Seth, sorridendogli. «Pensavo che voi figli di Nemesi sapeste solo covare rancore. Non credevo aveste certe capacità diplomatiche.»

«Già, amico» aggiunse Kevin, dandogli una sonora pacca sulla schiena. «Hai zittito per bene quei due fessi!»

Mai nessuno si sarebbe sognato di fare un gesto del genere a Seth, ma Kevin… beh, lui era diverso. E comunque Seth non sembrò nemmeno accorgersene, perché sorrise. «Nemesi significa anche equilibrio. Ho solo riportato la situazione in ordine.»

«“Ehi Xavier, grazie per esserti accorto della lingua ammaliatrice!”» borbottò Xavier, avvicinandosi e gesticolando come un burattinaio. «“Oh, di nulla ragazzi! È stato un piacere!”»

«Ma certo, Xavier. Grazie mille» convenne Seth. 

«Oh, sì!» esordì Alyssa, stringendo le mani e poggiandole contro la sua guancia. «Ma grazie, mio bel baldo giovane figlio di Ecate! Dove saremmo ora senza di te?»

Gonfio di orgoglio, Xavier aprì bocca per replicare, per poi interrompersi ed osservare confuso la ragazza. «Mi prendi in giro, giusto?»

«E chi lo sa?» rispose lei, ottenendo come risposta un’espressione da pesce lesso di prima classe.

Tonya scoppiò in un’altra delle sue tonanti risate, contagiando un po’ tutti gli altri e per fortuna, almeno per quella sera, tutto quanto sembrò concludersi per il meglio.

La visione di Tommy però non si concluse lì, perché lo scenario cambiò, spostandosi proprio nella casa Undici, più precisamente nella camera delle sue sorelle. Leyla dormiva serena nel suo letto, mentre Natalie era sveglia, seduta sul bordo del materasso, e osservava il cielo stellato dalla finestra. Sospirò, stringendosi nelle spalle, e si mordicchiò un labbro.

Sembrava angosciata. Parecchio angosciata. Tommy non l’aveva mai vista così. Era… preoccupata per lui? Gli sarebbe venuto da pensare di sì, dopotutto anche Derek lo era, però… c’era qualcosa di strano. La sua non sembrava proprio la preoccupazione che una sorella nutrirebbe per un fratello. Sembrava esserci qualcosa di più profondo, e intimo, di quello. Qualcosa che forse Thomas non avrebbe dovuto vedere.

La ragazza si alzò senza fare rumore, e aprì la porta per la camera dei ragazzi. Senza svegliare nessuno, si limitò ad osservare un letto vuoto. Tommy lo riconobbe subito. Era… era il letto di Edward. Nessuno lo aveva più usato da quando se ne era andato dalla casa Undici. Nessuno lo aveva nemmeno rifatto. Lo avevano lasciato lì, come un segno indelebile del passaggio del figlio di Apollo nella loro vita quotidiana. Thomas credeva che sua sorella fosse felice del fatto che Edward se ne fosse andato. E allora perché osservava quel letto con quello sguardo così triste e preoccupato? Che cosa le passava per la mente? Poi pensò a come lui si era comportato quando aveva creduto che Rosa fosse scomparsa, ed ebbe un tuffo al cuore. Poteva... poteva davvero essere che Nat...

La ragazza abbassò lo sguardo, tornandosene in camera sua. La porta che si richiudeva alle sue spalle fu l’ultima cosa che Thomas vide prima di svegliarsi.

 




Per chiarire rapidamente: 

Paul Birch: capocasa di Demetra

Buck O'Neal: capocasa di Ares

Simon Miller: capocasa di Atena

Jonathan Shine (che però non compare): capocasa di Apollo

Kevin Bolt: capocasa di Efesto

Jane Curtis: capocasa di Afrodite

Derek Murphy: capocasa di Ermes

Lisa Castella (su un treno verso San Francisco): capocasa di Dioniso

Sunrise Dusk: capocasa di Iride

George Roll: capocasa di Ipno

Seth Mest: capocasa di Nemesi

Tonya Smith: capocasa di Nike

Sarah Young: capocasa di Ebe

Alyssa Fortuny: capocasa di Tyche

Xavier Bravo: capocasa di Ecate

 

So che sono molti nomi da ricordare, ma in caso di dubbi, potete consultare la lista. Grazie per aver letto, alla prossima!

 


 
 
 
p.s. Un minuto di silenzio per TinyPic. Addio TinyPic. Riposa in pace vecchio distributore di avatar per EFP.

   
 
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