Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    20/08/2019    3 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

18

La volpe a "cinque" code

 

 

Tommy avrebbe dovuto dare retta al suo istinto più spesso. Il fatto che una donna tanto bella quanto misteriosa fosse comparsa sul loro cammino, per offrire loro proprio ciò di cui avevano più bisogno, avrebbe dovuto fargli capire che stavano per ficcarsi in un guaio, eppure non aveva agito, e come uno stupido aveva lasciato che lui e i suoi amici entrassero nel negozio di quella schizzata assurda donna volpe.

E se non fosse stato per Stephanie, avrebbe perfino bevuto quella brodaglia ipnotica, o quello che era. Qualcuno avrebbe dovuto consegnargli un premio per la stupidità.

E ora eccoli lì, lui, Edward e Stephanie, di fronte a quel mostro ibrido che mai aveva visto. Milù sogghignò, mostrando una generosa panoramica dei suoi canini affilati.

«Che cosa vuoi da noi?!» Stephanie, senza che gli altri se ne rendessero perfino conto, si era messa a capo del gruppo, quasi a fare da scudo ai due ragazzi. Il figlio di Ermes si accorse in quel momento che Edward, più che arrabbiato o intimorito, pareva quasi… stordito. Il suo sguardo passava dal concentrato allo smarrito, mentre osservava la donna-volpe. E anche Tommy cominciava a sentirsi in quel modo. L’unica che pareva immune, era Steph.

Era come se il mostro emanasse un’aura di energia, qualcosa che annebbiava le menti dei due ragazzi, proprio come Afrodite faceva con tutti gli uomini. Erano i suoi poteri? Era per via del suo fascino, per quando particolare? Malgrado l’aspetto animale, alcuni tratti di Milù non erano cambiati rispetto a quando era ancora una semplice donna, gli occhi, i lineamenti e, soprattutto, la voce.

«Che cosa voglio io?» domandò lei, distendendo il sorriso. «Assolutamente nulla. Voglio solo tenervi qui, nel mio bel negozietto e, se tutto va bene, prima o poi troverò un acquirente interessato a due semidei in buona salute come voi due.» E indicò Stephanie e Tommy, ma non Edward.

Quelle parole sembrarono confondere Stephanie al punto che schiuse le labbra, senza però dire una parola, mentre Edward sembrò riuscire a riscuotersi dopo quei minuti interi di trance. «Aspetta… cosa?»

«Oh, proprio così! Questo non è solo un banco dei pegni, miei cari, e ora lo capirete.»

Milù sferzò l’aria con una mano, e ogni cosa in quella stanza cominciò a tremolare. Per un momento Thomas pensò che la donna avesse causato un terremoto, ma in realtà non era così. Realizzò che ogni cosa all’interno di quel negozio non era reale. Le pareti e gli addobbi si dissolsero nell’aria, permettendogli di capire che tutto quello che avevano visto in realtà era un’illusione, e lasciarono posto a qualcosa di molto più angusto da vedere.

Dove prima si trovavano souvenir, ricordini ed elettrodomestici, erano apparse gabbie incavate nel muro e teche di vetro, ognuna contenente animali tra i più disparati.

Vide un gatto nero, grosso almeno quanto un pastore tedesco, che dormiva beato nel suo cubicolo, un cane con il pelo azzurro che emanava scintille, in tutti i sensi della parola, un piccolo tapiro con la proboscide viola, una tartaruga con una stranissima lunga coda che sembrava fatta di alghe, e così via. Tutti gli animali parvero rendersi conto che l’illusione che li nascondeva fosse sparita, perché cominciarono a dare di matto, come il cane, che cominciò a sprizzare elettricità dal pelo e ad abbaiare – o meglio, emettere rumori simili a tuoni – come un forsennato, fino a quando Milù non puntò una mano verso la sua gabbia, facendolo schizzare lontano dalla teca con un guaito.

«A cuccia!» lo ammonì, con un ghigno. Restii a fare la stessa fine del cane, gli altri animali si ammansirono. Il gatto nero sbadigliò, continuando a dormire noncurante.

«Che… che razza di posto è questo?» domandò Stephanie, inorridita.

«Non è ovvio? Questa è la mia collezione di creature preziose. Qui troverete animali provenienti da ogni angolo del mondo e, per una modesta cifra, potrete assicurarvene. E sono certa che due semidei faranno gola a molti dei miei contatti.»

«L’hai già detto prima» gracchiò Edward, gli occhi incollati su una teca contente un serpente marrone dalla forma stravagante, molto corto e con la parte centrale del corpo più larga della testa, quasi come se fosse in sovrappeso. Il figlio di Apollo si voltò verso Milù. «Due semidei. Loro due, ma non me. Perché?»

Milù gettò la testa all’indietro, ridendo di gusto. «Ma quanto sei ottuso, ladro? Non ci arrivi? Tu hai già un acquirente!»

«Io… cosa?» Edward batté le palpebre, confuso. «Ma non ha senso! Credevo che…» si interruppe di scatto, accorgendosi di essere osservato dai suoi due compagni. Serrò i pugni e si ricompose. «Tu… lavori per lui? Per l’uomo serpente?»

«Io? Lavorare per qualcuno?» Milù scoppiò in un'altra risata. «Pensi davvero che io possa prendere ordini da uno come Yamata no Orochi? Ma hai una vaga idea di cosa io sia?»

«Non lo so, e non me ne importa» rantolò Edward. «Facci subito uscire da qui, o giuro che…»

Non riuscì a finire la frase. Milù sollevo la mano ed Edward venne catapultato al fondo della stanza, contro la vetrata del negozio, che però rimase intatta. I pedoni che camminavano sul marciapiede all’esterno non sembrarono nemmeno accorgersi dell’incredibile tonfo che Edward aveva fatto. Tra l’orrore e la preoccupazione per le condizioni dell’amico, Thomas intuì che tutto quel negozio doveva essere avvolto da uno strato di magia, non solo le gabbie. Un’altra cosa che notò, fu la scomparsa della porta d’ingresso. Non c’erano più vie di fuga.

«Edward!» gridò Stephanie, correndo verso di lui. Gli si accovacciò e lo aiutò a rimettersi in ginocchio. Il figlio di Apollo tossì, ma sembrava essere ancora tutto intero.

Tommy tirò un sospiro di sollievo, poi si voltò di nuovo verso Milù, la quale era uscita da dietro il bancone. Potendola vedere dalla vita all’ingiù, si accorse del groviglio di code che spuntavano da sotto la sua schiena. A un tratto, Thomas si ricordò di alcuni cartoni che aveva visto in passato, e l’identità della donna gli fu più chiara.

«Tu sei una volpe a nove code!» esclamò, puntando il dito verso di lei e indietreggiando in contemporanea. Malgrado la sua inesperienza in materia, sapeva che quelle creature non erano affatto da sottovalutare. E ciò che Milù aveva appena fatto ad Edward ne era la dimostrazione.

«Oh, caro!» Milù si posò una mano sulla guancia, distogliendo lo sguardo con fare imbarazzato. «Così mi lusinghi! Mi dispiace deluderti, ma sono ancora troppo giovane per essere una volpe a nove code. Al momento le mie code sono solo cinque. E comunque il termine esatto è kitsune.»

«K-Kitsune» borbottò Thomas, osservando le code come in trance, accorgendosi che, sì, non erano nove. Ma non erano nemmeno cinque. «Ma… ma ne hai solo quattro…» mugugnò. L’espressione di Milù cambiò radicalmente, trasformandosi in pura rabbia. Lo sguardo che lanciò a Thomas fu peggio che essere scaraventato per la stanza, cosa che con tutta probabilità sarebbe accaduta da lì a poco.

«Io. Ho. CINQUE CODE!» urlò la kitsune, afferrando tra le code il moncherino della suddetta quinta coda, per mostrarglielo. L’espressione furiosa di Milù si trasformò in un sorriso da psicopatica. «Una mi è stata tagliata, come puoi vedere. Ma non preoccuparti, i responsabili sono stati puniti a dovere. Occhio per occhio, come si usa dire. E nonostante per una kitsune sia inaccettabile perdere una coda, io ho deciso di fare tesoro di questa esperienza, così da impedire che succeda ancora. Non sono affatto arrabbiata per questo.»

Tommy avrebbe voluto dire che invece sembrava arrabbiata eccome, ma decise di non parlare. Ci pensò Edward a farlo, passandogli accanto proprio in quel momento, zoppicando. «Ora mi hai proprio rotto» gracchiò, per poi sollevare i pugni. «Fai ricomparire la porta e facci uscire, o pagane le conseguenze. A te la scelta.»

Un’altra sonora risata fuoriuscì dalla gola di Milù. «Ladro, sei davvero incredibile! Quanto vorrei non doverti consegnare a Orochi e tenerti tutto per me! Ma ahimè, gli affari sono pur sempre affari, quindi temo di non poterti accontentare.»

Edward sogghignò. «Era quello che speravo di sentire.» E senza perdere altro tempo, si lanciò al combattimento.

«Edward aspetta!» gridò Stephanie, anche lei di nuovo in piedi, ma ormai era troppo tardi.

Senza Veloce come il Vento e senza la Spada del Paradiso, Edward provò a fare l’unica cosa che poteva fare, ossia sferrare un pugno. Purtroppo, non andò molto bene.

Milù lo schivò con facilità e respinse Edward con un colpo della mano, spedendolo a terra.

«Ora vi propongo io una scelta» sibilò Milù, torreggiando su Edward e voltandosi verso Stephanie e Thomas. «Vi infilate tutti e tre in una delle mie celle sul retro senza fare storie, e io non vi torcerò un capello. Non preoccupatevi, mi prenderò buona cura di voi. Avrete da mangiare e da bere quanto ne vorrete, e starete benissimo… fino a quando non verranno a comprarvi. A quel punto come verrete trattati non sarà più affar mio.»

«Non… non succederà…» rantolò Edward, rimettendosi a fatica in piedi. «Stai commettendo un errore, Milù. Tu non sai cosa vuole veramente Orochi. Se ci catturi commetterai uno sbaglio enorme.»

«Vuoi dirmi che invece tu lo sai? E allora illuminami, sono tutt’orecchie!» esclamò la kitsune, appiattendo le orecchie da volpe.

Edward strinse i pugni e abbassò la testa. Ancora una volta, sembrò entrare in conflitto con sé stesso e Tommy non ebbe nessuna idea di che cosa diamine pensare. Quando Edward diceva di conoscere il piano di Orochi, alludeva a quello che tutto loro già sapevano, ossia che voleva rovesciare gli dei? E se davvero era quello, allora perché stava dicendo a Milù che catturarli sarebbe stato un errore? Forse bluffava, magari voleva farle cambiare idea, ma non sembrava per niente che bluffasse. Sembrava sincero. Sembrava davvero che conoscesse qualcosa che loro non conoscevano.

Quando Edward si decise a schiudere le labbra, una potente forza invisibile scaraventò lui, Stephanie ed Edward contro le pareti della stanza, facendoli gridare di dolore. Stephanie sbatté contro la vetrina del negozio, per poi crollare a terra senza più muoversi, mentre Tommy finì contro una gabbia, battendo una craniata sulle sbarre. Non vide la fine che fece Edward, ma non poteva essere migliore della loro.

«Se pensi che mi farò distrarre da te, ti sbagli di grosso, ladro» gongolò Milù, avanzando verso di loro. 

Gli animali nelle gabbie ricominciarono a fare rumore dopo quel frastuono, ma la kitsune si assicurò di zittirli tutti con uno sguardo. Dopodiché, si avvicinò a Stephanie. Si chinò su di lei e l’afferrò per il mento. «Hai rovinato il mio piano, mocciosa. E hai anche rotto le mie tazze. Me la pagherai.» La afferrò per il collo e la sollevò da terra come se fosse stata un pupazzetto. Stephanie gemette e cercò di allentare la presa dalla sua gola, ma non riuscì a fare nulla. Milù ridacchiò, poi la sbatté di nuovo contro la vetrina, strappandole un altro grido.

«Perché dovete sempre opporvi?» si lamentò la kitsune, aumentando la presa fino a quando la figlia di Demetra non smise di dimenarsi. La ragazza accasciò la testa e Thomas temette il peggio. Cercò di rialzarsi per aiutarla, ma qualcosa fu più veloce di lui.

Un fascio di luce bianca si abbatté su Milù. Un attimo prima di essere colpita, però, la kitsune mollò la presa su Stephanie e si voltò, parando il colpo formando una X con le sue braccia.

Sorpreso, Tommy si voltò verso il punto da cui era provenuto, notando Edward, a malapena in piedi, con la Spada del Paradiso stretta in una mano. «Non… toccarla…» rantolò, poco prima che il suo sguardo si incendiasse. «MAI PIÙ!»

Con un urlo così forte da riaccendere gli spiriti degli animali nelle gabbie, il ragazzo si gettò contro la kitsune, che lo attese con un sorriso divertito.

Edward non perse un secondo e cercò di affettarla, ma la donna schivò anche quel colpo. «Finalmente ti sei deciso a usarla!» esclamò soddisfatta. «Vediamo se ora riuscirai a tenermi testa!»

«STA’ ZITTA!»

Il figlio di Apollo si lanciò in una lunga serie di sferzate e affondi, ma nessuno di questi riuscì a connettere sul mostro.

«Troppo lento, semidio, troppo lento!» lo canzonò la donna. «Avere quella spada non serve a niente se non si sa come brandirla!»

«HO DETTO STA’ ZITTA!»

I due continuarono la loro colluttazione. Tommy avrebbe tanto voluto aiutare l’amico, ma se nemmeno lui riusciva a colpirla o ferirla con la Spada del Paradiso, allora non c’era niente che lui avrebbe potuto fare. Non al momento, almeno. Strisciò verso di Stephanie, sperando di riuscire ad aiutarla. Forse, tutti e tre insieme, avrebbero avuto una possibilità. La ragazza giaceva supina quando la raggiunse. Con sollievo, Tommy realizzò che respirava ancora. Ebbe una sensazione di déjà-vu. 

Mentre cercava di svegliare Stephanie con un pezzetto di ambrosia, cominciò a sentirsi osservato. Drizzò la testa, temendo che Milù l’avesse notato, ma la kitsune era ancora indaffarata con Edward, e per l’amico le cose non si stavano mettendo bene. La donna rispondeva agli attacchi di Edward con folate di energia che si era materializzata nelle sue mani, deviando, schivando e anche restituendo i colpi, che la maggior parte delle volte riuscivano a connettere sul figlio di Apollo. Di quel passo, non sarebbe resistito ancora a lungo.

Tommy si affrettò e riuscì a mettere l’ambrosia in bocca a Stephanie, senza, tuttavia, ottenere risultati immediati. Nel frattempo, continuò a sentirsi osservato. Credendo di star impazzendo, drizzò la testa e osservò dritto di fronte a sé, scorgendo una gabbia con dentro tre bizzarri animali. Ed erano proprio loro a fissarlo.

Malgrado non ci fosse alcun istante da perdere, Thomas rimase confuso dal loro aspetto. Erano tre roditori, forse delle donnole, ma come altri degli animali nelle gabbie erano un po’ più grandi delle loro controparti tradizionali. Guardavano con insistenza il ragazzo, sembrando quasi divertite da quella vista.

Quella al centro aveva il manto bianco, ed era di grandezza media, la seconda aveva il pelo beige ed era la più grande delle tre, mentre l’ultima, la più piccola, l’aveva grigio. Tutte e tre avevano delle cicatrici sul volto, la più piccola e la più grande erano cieche da un occhio, e tutte e tre, su tutte e quattro le zampe, avevano tracce di sangue rinsecchito.

Malgrado le loro terribili condizioni, c’era uno strano luccichio nei loro occhi, qualcosa che Tommy aveva già visto nei suoi stessi fratelli alla casa Undici. Si ricordò che le donnole erano considerati animali maliziosi, astuti, disonesti… proprio come i figli di Ermes. La donnola bianca allungò la zampa insanguinata verso di lui, e il ragazzo realizzò che era senza artigli. Forse era quella la causa del sangue secco. La donnola indicò poi la serratura della loro gabbia, come un umano avrebbe fatto, non come un animale.

Il ragazzo schiuse le labbra. Credeva di non vederci bene, eppure i suoi occhi non lo stavano ingannando: quella donnola gli stava indicando di aprire il lucchetto. Ed effettivamente, lui avrebbe davvero potuto aprire quella gabbia, con il passe-partout di Ermes. Era solo una coincidenza il fatto che quell’animale gli stesse chiedendo aiuto? O forse… anche loro avevano notato le loro similitudini? Avevano visto in lui uno spirito affino, qualcuno di cui potersi fidare? Ma anche se fosse stato così, perché avrebbe dovuto liberarle?

La donnola sembrò leggergli nel pensiero, perché, sempre con quell’aria divertita, puntò la zampa verso Edward e Milù, ricordando Tommy le condizioni precarie del suo amico. La kitsune non si accorse di lui, ancora troppo presa dal combattimento. Poi, Tommy si ricordò della quinta coda di Milù, quella che era stata tagliata, e sgranò gli occhi. Si voltò verso la donnola, che ancora una volta sembrò leggergli nel pensiero, perché annuì. A quel punto, gli tornarono in mente le parole di Milù. Occhio per occhio aveva detto. E due di quelle donnole erano cieche da un occhio, oltre a essere tutte senza artigli.

Credendo di essere lungo la strada per la follia, il ragazzo si dimenticò dell’amica e si fiondò contro le sbarre del cubicolo, estraendo il passe-partout dalla tasca della giacca. Lo infilò nella serratura, sperando che la magia della gabbia non intralciasse quella della chiave. Non appena sentì un click, tuttavia, non seppe se considerare la cosa una vittoria oppure no. Quando la porta della gabbia si aprì le tre donnole schizzarono fuori, generando uno spostamento d’aria tale da farlo cadere a terra. Tommy trattenne all’ultimo un grido di sorpresa e sollevò le mani come riflesso incondizionato. La donnola bianca balzò su di lui, mettendosi all’altezza dei suoi occhi e lo scrutò incuriosita con i suoi occhietti azzurri. Tommy deglutì, non sapendo bene come comportarsi, e si accorse delle altre due donnole intente a rovistare nel suo zainetto, caduto in un altro angolo della stanza quando Milù lo aveva sbalzato via.

Avrebbe voluto protestare, ma quando vide i due animali tirare fuori dei coltelli di bronzo celeste che nemmeno ricordava di avere, le parole gli morirono in gola. Nessuno, nessuno, al di fuori dei figli di Ermes poteva usare quello zainetto, perché per loro sarebbe stato come utilizzare uno zaino vuoto. Eppure loro, tre donnole, c’erano riuscite.

La donnola bianca saltò giù dal suo petto e raggiunse le altre due, che già si erano armate a dovere, impugnando i coltelli tra le zampe prive di artigli. Thomas spalancò la bocca oltre il limite consentito, credendo di essere intrappolato in un’allucinazione creata proprio da Milù, ma quando la suddetta riuscì a scaraventare Edward a terra, con una risata, capì che in realtà non c’era nessuna allucinazione.

«Spiacente semidio, ma nemmeno Ama No Murakumo può aiutarti contro un avversario come me. Sei ancora troppo debole e troppo inesperto per maneggiare quella spada. Non fai altro che lanciarti alla cieca, sperando di colpire qualcosa. Non è così che si combatte. Temo proprio che…» 

La kitsune si interruppe di scatto quando si accorse di Tommy e le tre donnole. «Ma… ma che cosa…» domandò, sgranando gli occhi incredula. 

Sembrò dimenticarsi del tutto dei semidei. Non aveva occhi che per le donnole, le quali, erette sulle zampe posteriori, cominciarono a far volteggiare i coltelli in aria. I loro sguardi si incrociarono e l’aria si caricò di elettricità. Le dita di Milù formicolarono, uno dei suoi occhi tremolò, mentre dalla sua gola usciva rantolio che in alcun modo poteva essere catalogabile come parola: «Voi…»

La donnola con il manto beige piegò il capo, sgranchendosi il collo, mentre quella piccola si piegò, pronta ad attaccare. Quella di mezzo si voltò ancora una volta verso di Tommy e gli rivolse un inchino, gesto che il ragazzo non riuscì a comprendere, poi si lanciò all’attacco verso Milù per prima, venendo subito seguita dalle altre due.

Ciò che successe dopo, fu qualcosa che Thomas si ripromise di raccontare ai propri nipoti, se mai ne avesse avuti.

La kitsune urlò con quanto fiato aveva in gola, puntando le mani verso di loro, ma quelle tre erano molto più veloci di lei. Erano perfino più veloci di Edward quando brandiva la Spada del Paradiso, così veloci da generare correnti d’aria che sospinsero i capelli di Tommy. Era perfino difficile riuscire a vederle. Edward, in ginocchio, senza più alcuna traccia della spada tra le mani, osservò incredulo tanto quanto Thomas ciò che stava succedendo.

Le tre donnole attaccavano Milù da ogni direzione, sorprendendola con attacchi mordi e fuggi, infliggendo su di lei sempre più tagli e ferite.

«NO!» urlò, quando una di loro, Tommy non aveva idea di quale fosse, riuscì a sfregiarle il viso. «SMETTETELA!»

Ogni tanto Milù riusciva a colpirne una con i suoi attacchi di energia, ma mai abbastanza forte da metterle fuori combattimento. La donnola grigia venne colpita così forte da sbattere contro una gabbia, emettendo un suono terribile, ma si rialzò quasi subito per poi svanire dalla vista dell’occhio umano in mezzo a un’altra corrente d’aria, regalando un istante dopo una ferita sullo stinco alla kitsune. Era palese che il tempo trascorso in prigionia non aveva fatto altro che rafforzare lo spirito dei tre animali, piuttosto che fiaccarlo. Chissà da quanto tempo aspettavano il momento di rimettere le zampe addosso a colei che aveva strappato loro artigli e occhi.

Osservando la scena, gli animali diedero ancora più di matto, al punto che perfino Stephanie si svegliò con un mugugno. 

«Steph!» esclamò Tommy, soccorrendola. Mentre la ragazza si rimetteva in sesto, Edward li raggiunse, allontanandosi saggiamente dallo scontro tra gli yōkai – ormai non c’erano più dubbi sul fatto che le donnole lo fossero.

«Ma… che le prende?» domandò Stephanie, osservando la kitsune ormai ricoperta di tagli grondanti di sangue, intenta a sferzare l’aria come una forsennata quasi come se stesse combattendo un nemico invisibile, che poi non era poi così diverso dalla realtà.

«Ehm… è un po’ difficile da spiegare…» mormorò Tommy, sempre più convinto di stare assistendo al più grande spettacolo di tutti i tempi.

«Konoyarou!» urlò Milù, allargando le braccia e generando un’altra ondata di energia così forte da spedire di nuovo tutti i presenti a terra, donnole comprese.

La donna-volpe cadde in ginocchio, ansimando e tossendo. Quell’attacco doveva esserle costato molte energie. Di fronte a lei, la donnola beige e quella grigia erano a terra, disarmate. Milù drizzò la testa e si rialzò, emettendo un verso gutturale che ormai di umano aveva ben poco. Aprì le mani e delle fiamme si sprigionarono dai palmi, poi le puntò verso di loro. «Ho commesso… un errore… a lasciarvi vive. Avrei dovuto sapere che tre come voi non sarebbero mai state acquistate. Ma non sono arrabbiata. Farò tesoro di questa… esperienza. E adesso… BRUCIATE!»

Milù sollevò le mani, pronta a colpire, e le donnole rimasero a terra inermi.

«NO!» gridò Tommy. Tuttavia, non passò molto prima che realizzasse qualcosa di molto importante, qualcosa che a Milù era sfuggito.

Un attimo prima che la kitsune potesse colpire, qualcosa si mosse da sotto il suo kimono, all’altezza del petto. La donna sgranò gli occhi e le fiamme nelle sue mani si spensero.

La donnola bianca sbucò fuori dal kimono, stringendo nella bocca uno strano ciondolo formato da una perla gialla, e osservò Milù, la quale si pietrificò. «N-No…» sussurrò.

La bestiolina, per tutta risposta, annuì e saltò fuori dall’indumento per poi svanire in un’altra corrente d’aria assieme al ciondolo e alle sue amiche.

«NOOOO!!!» gridò Milù, cercando di inseguirle, anche se c’era davvero ben poco da inseguire. La donna provò a sferzare l’aria e a lanciare palle di fuoco a caso, ma queste non fecero altro che abbattersi contro le gabbie e contro il muro. Tommy sperò che nessun animale fosse stato colpito.

La follia della donna continuò ancora per qualche istante, fino a quando non sembrò ricordarsi di loro tre. Li osservò con espressione straziata, un misto di rabbia, dolore, tristezza e paura. Sembrava un animale messo all’angolo, ora più che mai. Il genere di animale più pericoloso. Poi emise un altro grido disumano e corse verso di loro.

«È TUTTA COLPA VOSTRA!»

La vista dello yōkai insanguinato e furibondo che correva verso di loro paralizzò Tommy. Lui e Stephanie gridarono spaventati, ma Edward li salvò: si frappose tra loro e la donna e le sferrò un pugno dritto sul muso. Milù ruzzolò a terra con un altro grido. Edward la osservò sorpreso, probabilmente più stupito dal fatto di essere riuscito a colpirla che altro, e poi agitò la mano con una smorfia di dolore. «Dannazione, quanto è dura…» si lamentò, mentre Milù, ormai lo spettro della sé stessa di pochi minuti prima, cercava ancora disperata di rimettersi in piedi.

«N-No…» mormorò, singhiozzando. «N-Non… non voglio… morire…»

Di fronte a lei apparvero di nuovo le tre donnole, con quella bianca che ancora stringeva il ciondolo.

Milù la osservò implorante. «T-Ti prego…» Allungò la mano verso la perla e per un momento la donnola bianca gliela porse. Un sorriso di trionfo apparve sul viso della kitsune quando riuscì quasi a sfiorarla con un dito, ma il roditore la tirò indietro all’ultimo istante, lasciandola con un pugno di mosche.

«NO! NO!! DAMMELA! DAMMELA!!!!» ululò Milù, strisciando verso di lei, ma non riuscendo mai a raggiungerla. «MALEDETTA! MALEDETTA!! TI UCCIDERÒ! VI UCCIDERÒ TUTTI!!! VI UCCID… ero… tutt…»

Non finì la frase. Milù accasciò la testa e il braccio al suolo, e rimase immobile. L’unica cosa che Tommy riuscì a fare mentre la guardava sbriciolarsi poco per volta sul pavimento, fu domandarsi che cosa diavolo fosse successo.

«State… state bene?» domandò Edward, dopo alcuni attimi di silenzio.

«S-Sì…» mormorò Stephanie, ancora scossa.

«Ma... che è successo?» chiese invece Tommy. «Perché… perché è morta?»

«Perché le hanno strappato l’anima» disse una quarta voce, che fece sobbalzare i tre ragazzi e, anche se Tommy avrebbe passato il resto della vita a negarlo, fargli emettere un grido non molto mascolino.

Edward cominciò a guardarsi attorno, alla ricerca di eventuali pericoli. «C-Chi ha parlato?!»

«Qui sotto.»

Il figlio di Apollo smise di guardarsi attorno, dopodiché abbasso lo sguardo, verso le donnole, che dal canto loro scossero la testa e indicarono un’altra gabbia. Chiunque stesse parlando, sembrò approvare. «Esatto, da questa parte.»

Lo sguardo di Tommy scivolò lungo le gabbie finché non si fermò su quella indicata, all’interno della quale il grosso gatto nero aveva appena finito di stiracchiarsi e sbadigliare. «Salve, giovani semidei» salutò loro, mettendosi seduto. «Grazie per esservi sbarazzati di Milù.»

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811