Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Emmastory    05/10/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXIV

I muti lamenti dell’aria

Sono ancora seduta in cucina, la tazza di ceramica ancora fra le mie mani. Il latte caldo misto al dolce miele ha un profumo caratteristico e invitante, e inspirando a fondo, lo sento invadermi le narici. Lentamente, bevo gustandone il sapore, e mentre questo mi scivola giù per la gola, mi sento bene. Non ansiosa, non stressata, semplicemente bene. Fra poco sarà ora di colazione, e se sia Red che Willow si svegliano dal loro sonno, aprendo appena gli occhi e avvicinandosi, già pronti a mendicare, io non ho fame. Ora come ora, la loro compagnia mi fa sorridere, e improvvisamente, un leggero dolore mi distrae. Spaventata, penso subito mio bimbo ancora non nato, al fatto che forse sin da ora ci sia qualche problema, ma abbassando lo sguardo, tiro un sospiro di sollievo. È Willow, che imitando Red, ha imparato anche lei a piantarmi le zampe sulle gambe ogni volta che ha fame o cerca attenzioni. Forse triste, forse solo annoiata, miagola e mi guarda, e pregandola di scostarsi con un cenno della mano, mi chino ad aprire un’anta sotto il lavello, unico posto dove teniamo i suoi croccantini. Seppur selvaggio, anche Red non li disdegna, anche se preferisce uscire e andare a caccia da sola, così da affinare le sue innate abilità venatorie senza perderle. So che è una volpe, so che è nella sua natura, in quella della compagna e in quella dei suoi cuccioli, ma nonostante tutto, la consapevolezza che un animale dovesse forzatamente ucciderne un altro per mangiare, evitando così di spezzare un’invisibile catena mi intristiva non poco. Per fortuna non arrivavo alle lacrime, ma solo perché sapevo che in un modo o nell’altro, la natura avrebbe trovato un proprio equilibrio. Tante erano state le notti in cui, in questo bosco e in quello di Primedia, avevo sentito cuccioli piangere e adulti lottare, a volte per fame, a volte per vivere, e ogni volta, chiudendo gli occhi, respiravo a fondo, abbracciando per qualche attimo il cuscino al solo scopo di calmarmi. Un’abitudine che avevo preso da bambina, e che lontano da occhi indiscreti, mantenevo anche in età adulta. Ovvio era che spesso mi addormentassi fra le braccia di Christopher o al suo fianco, ma quando preferivo la freschezza e la morbidezza del mio cuscino, lui non osava lamentarsi, e anzi, mi incoraggiava. Era infantile, e lo sapevo, ma sapevo anche che abitudini come quella erano dure a morire, e ogni sera, prima di sdraiarmi e scivolare nel sonno, contavo le stelle e i loro piccoli miracoli, uno dei quali doveva essere proprio l’inizio della mia relazione con lui. Non sapevo se una cosa del genere fosse accaduta ad altre fate prima di me, non avevo idea di cosa loro provassero per i propri, se sincera ammirazione, riconoscenza, o amore come nel mio caso, ma a volte, fermandomi a pensare, concludevo che qualunque cosa fosse, doveva essere bellissima. Chiusa nel silenzio, mi ritrovavo a riflettere su quesiti del genere, stupendomi ogni volta delle risposte che trovavo. Sempre confermate dai fatti, e finora mai dalle parole, notavo sostanziali differenze anche solo guardando mia sorella e osservando il suo comportamento. Era successo tutto durante l’ultima sera di Notteterna. Christopher ed io eravamo insieme, decisi a goderci ogni momento di quella festa ormai vicina a concludersi, e tutti i nostri amici erano con noi. Fra i tanti, spiccavano Sky e Major, riunitisi grazie a una pura casualità. Silenziosa, evitavo di dirlo ad alta voce, specialmente ora che erano tornati l’uno nella vita dell’altra da così poco, ma ancora una volta, due parti di me confliggono. Quella razionale, sicura che il legame fra fata e protettore non si spezzi né logori mai, e che vicini o lontani, questi si ritroveranno sempre, e quella emotiva e romantica, convinta invece che i due non si sarebbero mai rivisti se non fosse stato per Bandit. Tanto goloso quanto veloce, aveva corso in lungo e in largo per la piazza alla ricerca di cibo, per poi raggiungere la bancarella di Roderick e rubare alcuni cioccolatini. Certa del suo animo dolce e gentile, non credetti ai miei occhi quando lo vidi trasportare con sé la sua refurtiva, ma tutt’altro che arrabbiata, risi nel guardarlo, divertita dalla maschera nera che aveva sugli occhi, e che a dirla tutta, gli conferiva davvero l’aspetto di un ladro che si muoveva furtivo nella notte, e che scelta la vittima, colpiva, fuggendo prima di essere scoperto. “Bel lavoro, Bandit.” Avevo pensato, parlato con me stessa e lottando contro le lacrime che minacciavano di scendermi dagli occhi. Per poco non mi ero commossa, avevo quasi pianto, e poi, fra le mille luci delle lanterne accese tutte intorno a noi, l’avevo visto. L’abbraccio che li aveva uniti. Forte e sincero come la promessa di un amico fidato, e che quella sera, portava con sé una promessa. “Non sarai più sola, Sky, lo giuro.” Le aveva detto, facendola piangere come una bambina e stringendola a sé, rinnovando con quel gesto la reciproca fiducia che esisteva fra loro. Felice per lei, l’avevo lasciata a quel momento senza interferire, e nonostante sapessi che era tornata a casa con nostra proprio alla fine della festa, oggi non sentivo nulla di suo, né qui né altrove. Confusa, continuavo a provare, stringendo prima gli occhi e poi il mio ciondolo per concentrarmi, ma nulla. Nessun indizio, nessuna stilla del suo potere, nemmeno la minima traccia di polvere magica. Intristita da quel pensiero, posai la tazza e l’esiguo resto del suo contenuto sul tavolo, e raggiunto il salotto, posai una mano sul vetro della finestra. Freddo, il contatto con quella superficie risvegliò in me sensazioni spiacevoli, e abbandonando i miei sentimenti alla cupezza di un sospiro, desistetti. Sola, mi sedetti sul divano con lo sguardo basso e la testa fra le mani, e preoccupato, Red si avvicinò per consolarmi. Un suo debole uggiolio ruppe il silenzio, e battendomi una gamba, lo invitai a farmi le feste. Un gesto che in genere compiva anche da solo, ma che ora gli avevo espressamente chiesto per avere un pò di compagnia. Decisa, provai ancora, ma per mia sfortuna, niente. Stremata, mi sedetti più comodamente sul divano, e per poco Red non vide quel movimento come un invito a imitarmi. “No, sta fermo.” Gli dissi, sollevando una mano e associandola a quel comando. Drizzando le orecchie Red si sedette, e solo pochi istanti più tardi, un suono fin troppo conosciuto mi costrinse a voltarmi. Passi. Quelli che sentivo erano passi. Leggeri e quasi inudibili, nascosti alla mia vista dal buio del corridoio, e appartenenti ad un’unica persona. Christopher. Non volendo farlo preoccupare, mi sforzai di apparire calma, ma come mi aspettavo, non ci riuscii, e ben presto, quella farsa smise di reggere. “Kia, amore! Che c’è, il piccolino già ti stressa?” chiese, ridacchiando divertito e sedendosi accanto a me sul divano, ignaro dei miei pensieri e di ciò che mi accadeva intorno. Stavamo insieme da ben tre anni, lo conoscevo e lo amavo, e sapere che già si preoccupavo del nostro futuro bambino mi rendeva felice, ma seccata, mi voltai a guardarlo, rilasciando poi un ennesimo sospiro. “Chris, no. Non si tratta di questo, e poi come sai che è un maschio? Sono incinta di poche settimane, soltanto un mese, per l’amor del cielo!” sbottai, già esasperata. Colto alla sprovvista, lui non seppe come reagire, e alzando le mani in segno di resa, si alzò, e lentamente, si allontanò di qualche passo. A quella vista, scossi la testa, e incredula, protesi una mano in avanti. “No, aspetta.” Pregai, sperando nel suo perdono. Avevo sbagliato e lo sapevo, e come sempre, con un’insicurezza pari a quella di una bambina, ora attendevo di vedere come la situazione si sarebbe evoluta, pregando che ogni cosa seguisse il mio volere. Più cupo di prima, il silenzio tornò a riempire la stanza, e con uno sforzo che mi parve immane, mi alzai a mia volta. “Aspetta.” Ripetei, con la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. “Non volevo.” Confessai, abbassando lo sguardo e annegando in un mare di vergogna. “Non volevo, è che…” balbettai poco dopo, penosa. “Cosa, Kaleia? A me puoi dirlo. Sono o non sono il tuo…” provò a rispondere lui, sentendo quella frasi morirgli in gola a causa mia. Certa di ciò che stesse per dire, sollevai una mano per fermarlo, e fatti pochi passi, gli fui accanto. “Protettore, esatto. E forse puoi aiutarmi.” Risposi, trovando finalmente il coraggio di spiegare le mie ragioni e calmarmi. “Certamente. Siediti e raccontami tutto.” Replicò lui, con il sorriso di cui mi ero innamorata sempre presente sul volto. Annuendo, non mi feci attendere, e prendendo nuovamente posto accanto a lui sul divano di casa, mi avvicinai per stringerlo e tenergli la mano, sicura che almeno allora sarei riuscita a liberarmi del peso che all’improvviso sentivo sul cuore. Uno stratagemma che credevo di veder funzionare, ma che contro ogni previsione, fallì come a volte succede con il più puro degli intenti. “Si tratta di Sky. Non la trovo, non la vedo e non la sento. So che è tornata a casa, ma il mio incantesimo non funziona! Di solito riesco a capire dove sia, maledizione!” piagnucolai, affranta e delusa dal mancato controllo che ora avevo sui miei poteri. Non riuscivo a capire. Ciò che dicevo era vero, e solitamente mi orientavo o trovavo e scoprivo ciò che mi serviva proprio tramite la localizzazione, e lo stesso incantesimo poteva essere usato per seguire scie e tracce magiche appartenute ad altri esseri a me simili, ma stranamente, non ora. Confusa e frustrata, mi morsi un labbro, e a pugni chiusi, rischiai di ferirmi conficcandomi le unghie nel palmo della mano. Da quel momento in poi, mi sentii persa. Persa in un mondo mio e lontano da quello reale, ma non per questo piacevole da abitare. Senza volerlo, mi ero allontanata e staccata dalla realtà, tanto che ora la voce del mio amato, sempre sorridente e sempre lì per aiutarmi, si era ridotta a un’eco distante e lontana. Sorpresa, trasalii, e scuotendo la testa, tornai subito indietro. Fu quindi questione di un attimo, e la mia vista si annebbiò poco prima di tornare quella che era, chiara e limpida. Di nuovo me stessa, mi rimisi in ascolto, e dopo un tempo che non riuscii a definire, scandito da innumerevoli carezze e un abbraccio che quasi non volli sciogliere, le parole che tanto desideravo sentire. “Non devi preoccuparti, né avere paura. Andrà tutto bene, e se vuoi ridere, da la colpa al piccolino. Cresce lentamente, questo lo sai, ma è dentro di te, e proprio per questo interferisce con la tua magia. Non hai niente che non vada, ma succede, e se vorrai, potrò spiegarti qualsiasi cosa ti serva, e perché no, trovarti un guaritore.” Parole che ascoltai in religioso silenzio, e che in quella mattina soltanto internamente burrascosa, mi diedero ancora speranza. Avevo avuto paura, ma non era successo niente, e il mondo non stava certo finendo. Sentimenti del genere erano comuni, ed era probabile che la colpa fosse proprio dell’esserino che portavo in grembo. A quanto sembrava, si stava già formando, e attingere dai miei poteri era il suo modo di esplorare il mondo esterno e ancora sconosciuto. Finalmente tranquilla, espirai, e stringendo la mano di Christopher con rinnovata  sicurezza, mi riposai con lui sul divano fino a sera, quando, andando finalmente a dormire e riposando il corpo e la mente stanchi, non sentii qualcosa. Oltre la finestra aperta e l’infinita distesa di stelle davanti ai miei occhi, il sibilo del vento. Dapprima gentile, poi sempre più freddo e ostile, decisamente troppo per essere naturale. Incuriosita, mi svegliai subito, e scostando dolcemente il braccio che il mio amato mi aveva cinto attorno alle spalle, rimasi in piedi al centro della stanza, con gli occhi chiusi e un palmo aperto proteso in avanti, così da analizzare quella che capii essere magia o almeno provarci. Pur costretta a sforzarmi, mantenni quella posa per alcuni minuti, e aiutata anche dal tenue bagliore del mio ciondolo, capii. Non mi ero sbagliata, e Sky non era lontana, ma l’incanto che aveva affidato al vento che riusciva a controllare aveva l’amaro sapore della tristezza. Incerta sul da farsi, non fui sicura di nulla, se non del fatto che qualcosa stava davvero accadendo, che mia sorella soffriva nella notte approfittando del suo silenzio, e che quelli che sentivo non erano altro che i muti lamenti dell’aria.     

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Emmastory