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Autore: Blackvirgo    06/10/2019    3 recensioni
"Non esiste vento favorevole al navigante che ha smarrito la rotta."
***
Iniziativa: questa storia partecipa al #Writober2019 di Fanwriter.it
Prompt.06: Promemoria
Numero parole: 2242
Serie: What a Wonderful World
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gino Hernandez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'What a Wonderful World'
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Iniziativa: questa storia partecipa al #Writober2019 di Fanwriter.it
Prompt.06: Promemoria
Numero parole: 2242

 

Il vento favorevole

Plonk, Plonk. Plonk.

Gino si rivoltò nel letto per l'ennesima volta. Come diavolo fa una goccia d'acqua a fare tanto casino? Era sicuro di aver stretto bene il rubinetto della cucina, eppure quella goccia doveva aver trovato il modo di farsi strada comunque. Lara aveva detto che avrebbe dovuto chiamare l'idraulico, ma lui non sapeva nemmeno dove trovarlo, il numero di un idraulico.

Provò a girarsi nel letto, a premere bene un orecchio contro il cuscino e a mettere la mano sull'altro. Funziona! Tirò un lungo sospiro di sollievo. Forse ora avrebbe potuto dormire. Sentì la fronte distendersi, il collo finalmente rilassato, le palpebre pesanti. Era tardi e lui era stanco.

Plonk, plonk, plonk.

Basta! Gino scostò le coperte e si alzò dal letto. Un brivido di freddo lo percorse, ma non si mise niente sopra la maglietta leggera a mezza manica. Voleva far smettere quel rumore martellante, quella maledetta goccia che gli trapanava il cervello, che rimbalzava sui suoi pensieri e gli rimbombava nella testa. Uscì dalla sua stanza senza accendere la luce, accontentandosi della penombra che gli regalavano le imposte solo accostate. Il buio non gli aveva mai fatto paura. Si muoveva leggero, nonostante la zoppia appena accennata che ancora si trascinava: aveva bisogno di riscaldare la gamba prima che funzionasse a dovere. Gli avevano detto che anche questo sarebbe passato, che sarebbe servito solo più tempo. Solo più pazienza.

Plonk, plonk, plonk.

Smettila di far tanto rumore, ti prego! Da quando Lara se n'era andata, il silenzio era diventato il padrone incontrastato di quell'appartamento troppo grande per una persona sola. Era un coinquilino malevolo, il silenzio, una brutta Bestia che Gino aveva paura di svegliare; per questo stava attento a non fare il benché minimo rumore e doveva far sì che anche il rubinetto della cucina collaborasse perché, sennò, quella goccia che continuava a battere sul metallo ce l'avrebbe fatta. E lui non voleva stare a sentire tutto quello che aveva da dirgli.

“Cazzo!” esclamò ad alta voce quando urtò contro la sedia in cucina che non aveva rimesso per bene sotto al tavolo. Si massaggiò il mignolino che aveva colpito lo spigolo finché il dolore non si fece meno acuto. Non è successo niente, si disse. Niente. Va tutto bene. Inspirò profondamente, ma il fiato si bloccò quando avvertì le braccia increspate da un brivido e stavolta il freddo non c'entrava. Si guardò attorno sospettoso: aveva paura di averla svegliata lui, la Bestia. Rimase in ascolto per qualche secondo: nulla. Ok, tutto bene, si ripeté. Buttò fuori l'aria che aveva trattenuto per troppo tempo quindi si avvicinò al rubinetto. Provò ad aprirlo e richiuderlo con più forza, quindi lo scosse per farlo scaricare di tutta l'acqua. Ok, ha funzionato, si disse. Si voltò per tornare di nuovo in camera, attento alle gambe delle sedie e del tavolo quando...

Plonk.

“Per favore smettila!” Gino si portò le mani alle orecchie.

Plonk.

Si lasciò scivolare a terra, lentamente, la schiena contro il mobile della cucina.

Plonk.

Non riusciva a capire come delle banalissime gocce d'acqua riuscissero a far lo stesso rumore di sassi che franavano.

“Per favore, basta!” Premette ancora di più le mani sulle orecchie, fino a farsi male, fino a lasciarsele cadere in grembo, inutili.

Plonk.

“Devi rimettere su muscoli in quella gamba, Gino! Non puoi pensare di tornare in campo così sbilanciato. Devi darci dentro e vedrai che i risultati arriveranno. Ci sei già passato, lo sai come funziona!”
Glielo aveva detto il preparatore atletico e lui era rimasto in silenzio. Ha ragione, aveva pensato. Aveva cominciato ad allenarsi ancora di più, anima e corpo, tanto da non aver l'energia di non fare altro. E i risultati erano arrivati: i muscoli si erano rimpolpati, aveva riguadagnato le sue prestazioni, ma “Pazienza. Devi avere pazienza.”

Plonk.

“Non ci sei con la testa, Gino! Lo sai che comincia tutto qui,” aveva detto l'allenatore picchiandosi l'indice contro la tempia. “Ma se tu non sei concentrato, sei hai paura di cadere come diavolo puoi pensare di saltare? Come puoi pensare di entrare in un contrasto se hai paura di farti male?”
Aveva abbassato lo sguardo, ferito. È vero, aveva pensato. E si era concentrato, si era buttato, aveva preso le sue paure e le aveva affrontate, era persino andato contro al più basilare istinto di conservazione per obbedire al mister. Ma “Non possiamo smantellare una difesa che funziona a tre mesi dalla fine del campionato. E poi non ci sei ancora, Gino. Non sei più quello di prima. Devi avere pazienza.”

Plonk.

“Cosa c'è Gino?”
Era rimasto in silenzio, il mento appoggiato alle dita incrociate, gli occhi persi lontano, in un cielo che volgeva al crepuscolo.
“Perché non dici niente?"
“Perché non c'è niente da dire.”
Lara gli si era parata davanti con i pugni sui fianchi. “Perché non vuoi parlarne? Perché non lasci che ti stia vicino?”
Gino aveva alzato lo sguardo e aveva scosso il capo. “Pazienza.” Si era alzato in piedi, l'aveva superata e si era avvicinato alla finestra. “Tutti mi dicono che devo avere pazienza. Ho fatto di tutto per tornare in campo: mi sono allenato con il corpo e con la testa eppure mi ripetono di avere pazienza. Solo che io non ne ho più.”
“E noi due? Sei sempre distante...”
“Io non sono niente se non posso giocare a calcio.” Aveva appoggiato la fronte sul vetro. “Niente.”
“No,” aveva esclamato lei. “Tu sei un ipocrita, un egoista e non hai idea di cosa significhi stare con qualcuno perché il tuo mondo comincia e finisce con te.” Aveva sentito i suoi passi allontanarsi e poi tornare verso di lui. “E la vuoi sapere una cosa? Anch'io ho finito la pazienza con te!”.
Se n'era andata mentre lui continuava a guardare un cielo che si tingeva di indaco, in silenzio. Non si ricordava neppure se avesse sbattuto la porta.

Plonk.

Gino si portò le mani davanti agli occhi.
Non era in grado di sistemare un rubinetto, figurarsi la sua vita.

***

Gino sedeva sulla rena, le mani che abbracciavano le ginocchia e lo sguardo che navigava all'orizzonte. Le spiagge di fine marzo erano meravigliosamente vuote, ma lì il silenzio non era ingombrante: ci pensavano le onde e la risacca a cacciarlo via.
Aveva deciso di seguire il consiglio di Serena, anche se usare la parola consiglio era un grazioso eufemismo.

“Hai bisogno di una vacanza, Gino.” Serena pareva fosse l'unica a non aver paura di entrare nella tana del lupo. Appena arrivata aveva aperto tutte le finestre e aveva costretto l'aria fresca e il sole a rientrare nella casa. Quindi non aveva tardato a cominciare la sua ramanzina. “Non ne posso più di vederti così.”
L'aveva beccato il giorno dopo quella notte passata sul pavimento della cucina.
“Devo allenarmi.”
“No,” gli aveva puntato il l'indice sul petto e gli occhi nei suoi. “Tu hai bisogno di prenderti una pausa, di mandare tutti a fanculo e di...”
“Ritrovare me stesso? Ti ci metti anche tu con queste stronzate?”
“Per me puoi andare a trovare anche qualcun altro, basta che la pianti di essere...”
“Come?”
“Come se non ci fosse più un motivo per andare avanti!”
“Ma io non ce l'ho un motivo per andare avanti.”
Serena aveva sorriso, furba. “Forse proprio per questo è arrivato il momento di fermarsi un attimo. In fin dei conti non esiste vento favorevole al navigante che ha smarrito la rotta.”

Sorrise nel ricordare quella citazione. Già le parole gli erano piaciute un sacco, ma l'aria da attrice consumata con cui le aveva pronunciate Serena, con il viso rivolto verso l'alto, il petto in fuori, una mano sul fianco e l'altra che indicava un punto lontano, era stata impagabile. Aveva sorriso, Gino, per poi scoppiare a ridere quando Serena aveva aperto un occhio per valutare la sua reazione e lasciarsi andare sul divano accanto a lui.

“Vieni qua, sorellina,” l'aveva chiamata con le braccia aperte. Lei aveva accettato l'invito senza remore. “Come farei senza di te?”
“Non saprei proprio,” gli aveva risposto, circondandogli a sua volta la schiena.
“Non è che hai anche il numero di un idraulico?”

Alla fine avevano prenotato insieme una stanza in un alberghetto sulla riviera ligure, quindi Serena gli aveva preparato la valigia (“sennò va a finire che trovi un'altra scusa per non partire”) e gli aveva promesso che di occuparsi lei di qualunque lavandino gocciolante si ritrovasse in casa.

Grazie, si disse Gino pensando alla sorella. Perché era proprio di questo che ora aveva bisogno: di andarsene da una casa dove gli sembrava di essere un impostore, dove abitare era ormai una punizione e di qualcosa che riempisse il suo vuoto dato lui non era in grado di farlo. E il mare gli sembrava un ottimo punto di partenza: la sua immensità che lo faceva sentire parte di qualcosa in cui non sarebbe mai stato di troppo.

“Voglio andare a vivere dove c'è il mare,” si disse a bassa voce. Voleva ascoltarla quella frase e se anche le sue orecchie non l'avessero rigettata come qualcosa di astruso allora... Voglio andare a vivere dove c'è il mare, si appuntò mentalmente, come un promemoria. E non voglio tornare in quella casa. Ho bisogno di andare avanti.

Si sentì come se avesse appena lasciato andare un peso enorme. Negli ultimi mesi la sua vita era andata completamente a pezzi: aveva iniziato la gamba per poi arrivare a tutto il resto. Per l'Inter e per Lara non era più importante. E per quanto avrebbe voluto continuare a far parte della loro realtà, non gli era mai piaciuto fare la parte dell'ospite indesiderato. Lara aveva messo subito in chiaro le cose: la richiesta di separazione legale che era arrivata pochi giorni dopo la sua partenza era stata molto chiara riguardo le sue intenzioni. E Gino, almeno in questo, voleva accontentarla. Avevano passato anni insieme, non aveva intenzione di aggrapparsi a una relazione che si era svuotata di sentimenti e significati. Meglio liberarsene e forse ricominciare.

Quanto all'Inter... era doloroso ammetterlo, ma quella era la parte più difficile. Aveva vissuto tutta la sua vita per giocare a calcio a quei livelli e nel momento in cui si era chiesto ne è valsa la pena?, la risposta che gli avevano dato era stata un secco no.

“Ma io voglio giocare,” disse alle onde che gli schizzavano il viso e i capelli. E se all'Inter non mi vogliono, ci saranno altre squadre. Anche meno importanti, meno blasonate, ma dove posso giocare.

***

“Il Leverkusen ha fatto un'offerta.” Gino se la immaginò Maria, la sua procuratrice, con il tailleur e tacchi a spillo mentre camminava su e giù per il suo ufficio. “Così come Fiorentina e Valencia. Vogliono un primo portiere di esperienza e sufficientemente giovane da far parte di un progetto a lungo termine. Puoi scegliere quella che vuoi, basta che superi le visite mediche.”
“A Valencia c'è il mare,” mormorò Gino ricordandosi del promemoria che si era fatto durante la breve vacanza.
“E con questo?”
“Voglio andare a Valencia.”
“Ma ci sono altri aspetti da discutere...”
“Fissa le visite mediche.”
“Gino, ci sono altre cose di cui parlare prima! Il prezzo del tuo cartellino, il tuo compenso, il...”
“Non mi interessa. Fissa le visite mediche.”

Aveva una paura fottuta di quelle dannate visite mediche. Aveva paura che gli dicessero che no, non era più in grado di giocare a calcio, che era meglio ritirarsi prima di ritrovarsi con lesioni più serie. Invece le aveva passate. Era stato un giovane medico a esaminarlo e aveva dato il nulla osta. Era seguito il benvenuto in squadra da parte del mister. Si erano trovati immediatamente, senza tanti giri di parole. Voleva solo che giocasse, che si desse da fare per la squadra. Perché magari non avevano una rosa in grado di vincere la Champions League, ma questo non significava che non potessero fare un campionato più che decoroso e mirare alla qualificazione in una competizione europea. Gli avevano fatto vedere il Mestalla, attraversare gli spogliatoi e uscire dal tunnel sull'erba del campo. Gino era andato subito alle porte e aveva salutato i pali e la traversa come se fossero vecchi amici. Si era sentito a casa.

L'idea del trasferimento lo aveva galvanizzato. Era da parecchio tempo che non si sentiva così vivo. Valencia era una seconda possibilità, un luogo in cui dimenticare i vecchi errori, in cui leccarsi le ferite e ripartire. Aveva iniziato a cercare casa: voleva un appartamento sufficientemente piccolo da essere adeguato per una persona sola. Ok, una camera per gli ospiti mi farebbe comodo. Va bene, anche uno studio, ma nulla di più. E la voleva vicino al mare, anzi, possibilmente con vista mare. Non voleva che il silenzio lo raggiungesse anche lì, non voleva avere paura di camminare per non svegliare la bestia. Voleva un luogo da chiamare casa, non un luogo in cui sentirsi ospite. Voleva le onde e la risacca a riempire il silenzio perché non fosse il silenzio a riempire lui.

La trovò, all'ultimo piano di una palazzina vecchio stile, con tanto di portinaia all'ingresso dello stabile. Non c'era neppure l'ascensore, ma aveva tre balconi dei quali due davano sul mare.

 

Gino appoggiò la valigia nell'ingresso e spalancò le finestre. Si appoggiò con le mani, respirando l'aria salmastra, gli occhi sulla linea dell'orizzonte.

“Sembra un bel posto in cui ricominciare.”

 

***

 

 

Black notes:

  • “non esiste vento favorevole al navigante che ha smarrito la rotta” credo sia di Seneca. Sicuramente non è di Serena.

  • Se qualcuno non ha letto le altre mie storie, Serena è un mio OC, sorella minore di Gino.

  • Anche questo è il completamento di un abbozzo del writober dell'anno scorso... vai di riciclo! Il prompt non è proprio sfruttatissimo ma... accontentiamoci, via!

Un abbraccio a tutti!

   
 
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