Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: ClodiaSpirit_    06/10/2019    1 recensioni
- Si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.                                                                                                                                     
[...]  Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. -
Alec è un ragazzo intelligente, giovane, eppure gli manca qualcosa di fondamentale: vivere.
Ma cosa succede quando Alec comincia a fuggire e a rintanarsi a Panshanger Park, durante uno spettacolo dato dal circo? E soprattutto, chi è l'acrobata che si cela e cerca dietro tutti quei volti?
Cosa succede quando due mondi opposti ma simili per esperienze di vita si incontrano?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

« Alexander, sei impazzito?! » la sua voce si colorò confusa e incredula.
Magnus lo guardò serio, mentre si strofinava gli occhi col dorso di una mano, l’altro lo osservò sicuro, mentre cercava di fargli capire, cercava la spiegazione che si era costruito in testa.
« No o almeno credo di no. Se non vuoi ricorrere alla denuncia, c’è solo una via d’uscita: fuggire »
Magnus continuò a guardarlo con quei suoi occhi sgranati, pieni di domande.  
« Alexander, pensa a quello che lasceresti qui, » cominciò, la mano si reggeva la testa improvvisamente pesante come se gravitasse come un pianeta « la tua casa, in cui sei cresciuto, i tuoi »
« I miei si sono separati o comunque stanno per separarsi » lo interruppe Alec.
Magnus boccheggiò, la mano che si fermava di nuovo sul petto dell’altro.  
« Mi dispiace » mormorò, un sorriso triste gli si affacciò in pieno viso.  
Alec scrollò le spalle, le ginocchia ancora incrociate e la presenza di Magnus così vicina da farlo tremare ma allo stesso tempo che lo rassicurava.
« Doveva succedere… » ammise consapevole « e poi non lascerei nessuno tecnicamente. Informerò tutti, lascerò una lettera a mia madre, le scriverò tutto, per filo e per segno. Lei è una dei motivi per cui ho continuato a vederti, dopo Izzy » Alec si imporporò le guance e Magnus rimase un attimo in stato di trans, un sorriso intenerito e grato fece capolino subito.
« Sono contento che tu abbia recuperato con lei »
Alec annuì piano, guardò le sue mani, due gioielli per le due dita dell’indice e del pollice che adornavano la pelle bronzea quasi.
« Lo sono anch’io » fu sincero « ma comunque, spero capirà, lo faccio per una buona ragione, » Alec afferrò una mano di Magnus « Magnus, sarà una pazzia, ma è pur sempre l’unica alternativa che ti resta » sottolineò.
Magnus sembrava aver perso da un lato la forza di continuare a portare avanti quel teatrino e dall’altra avrebbe voluto gridare ad Alec che tutto quello fosse veramente da sconsiderati.
« Alexander, se dicessi di sì, finiresti per diventare un mezzo ricercato anche tu, se conosco bene Sanders, » lo guardò con quel terrore pieno e profondo « so che non si fermerà a niente per riottenere un pezzo del mercato perso per strada, » deglutì mentre le pozze verdi e le mani grandi « e quel pezzo sono io »
« Beh, non mi interessa » ribatté « qui non c’è più niente per me, mia sorella capirà, mia madre lo imparerà col tempo e scriverò ad entrambe, » Alec rafforzò la presa di Magnus che in risposta si trovò spiazzato « una volta mi è stato detto che la chiave è agire » sillabò.
Magnus si morse le labbra, incerto sul da farsi.
Si parlava di lasciare tutti lì, di dire loro addio in qualche modo, di lasciare il tendone.
Ma in fondo cosa aveva lasciato il tendone negli ultimi mesi se non ferite sul suo corpo? La riluttante memoria che riviveva ogni volta dovendo accettare l’ostilità, la bestialità di un unico uomo che non aveva nessun diritto di essere definito tale. La memoria di sua madre che rievocava nei momenti di debolezza e la ninna nanna che si cantava in testa per calmarsi.
Magnus guardò seriamente Alec.
« Quando dovremo partire, secondo i piani?» lo incalzò.
L’altro sembrò pensarci su, ma in realtà aveva già la risposta.
« Tu stesso hai detto che avete poche repliche ancora » notò « quindi se vuoi aspettare, non posso obbligarti, né metterti fretta… è l’ultima cosa che voglio fare » lo guardò con dolcezza. 
Magnus abbassò lo sguardo sulle sue gambe, la coperta che rivestiva il materasso.
Dire addio a tutto. Non sapere quando fare ritorno e non sapere se ci sarebbero riusciti.
Era tutto una grande incognita.
« Dovrei salutare tutti, ognuno di loro, » richiuse le labbra per poi riaprirle « Vorrei informarli personalmente, almeno alcuni di loro. Candace prima di tutti » rialzò lo sguardo incontrando quello di Alec attento.
Aspettare.
Aspettare ancora quanto?
Magnus annuì, prese forza e coraggio. Aspettare avrebbe solo portato altra sofferenza e altre notti in cui faticava a guardarsi allo specchio.
« Non voglio aspettare, » affermò « se dobbiamo andare via, sarebbe meglio farlo quanto prima » annuì deciso.  
« Sei sicuro?»
« Sicuro come la volta in cui ti dissi che ero già sicuro di questo » Magnus indicò entrambi con le dita della mano.
Alec cercò qualche segno di negazione o resa in Magnus, ma non trovò la conferma « Ti conviene salutare tutti entro domani mattina, Candace, Dustin... tutto il tempo che ti serve, » decise mentre intrecciava le sue dita a quelle ingioiellate dell’altro « ma ce ne andremo domani, ti farò sapere l’ora con un messaggio e mi farò trovare all’entrata del tendone »
« E io avvertirò gli altri per far sì che mi avvertano di Sanders, in tal caso dovesse essere nei paraggi, » continuò Magnus « Passerò lateralmente, sarò dalla parte che si trova più a est di Panshanger, non è molto distante da qui.» spiegò in modo astuto « Non ti conviene il tendone, è troppo pericoloso, non mi fido di lasciarti ad aspettare lì, » Magnus lo guardò attentamente, parlava velocemente come se qualcuno dovesse sentirli « Ti basta sapere che troverai un albero grande, una quercia secolare, ha una chioma striata adesso per via del mese, bruna e verdastra, è secolare. Porterò un foulard al collo, così capirai subito che sono io. » Alec annuì memorizzando tutto.
« Okay, una quercia e un foulard. Per quanto riguarda i bagagli...due piccole valigie, basteranno, uno per me e uno per te » affermò titubante.
« Sì, ho il mio da viaggio... non ho molte cose quindi penso di poterlo riempire facilmente » disse ansiosamente.  
Alec cercò di calmarlo un po’ la bocca che delicatamente si posava sulla sua guancia, Magnus che abbozzava un sorriso ma nervoso.
« Manca l’ultima cosa » rifletté Magnus.
« Orario, posto, valigie...» elencò mentalmente Alec.
« Soldi » affermò anticipandolo l’altro.
Alec annuì, strizzando gli occhi. Giusto. Nessuna buona fuga riesce se non hai del denaro con te, qualcosa che ti permetta di dormire, mangiare. Due cose basilari lungo un viaggio. E Alec non sapeva nemmeno se sarebbe stato così corto.
« Ho dei risparmi, » disse Alec appena si staccò. « un po’ miei, un po’ dalla mia borsa di studio mai spesi, useremo quelli- »
« No, Alexander, » lo fermò, gli occhi nocciola scuro che si fondevano al verde « ho anch’io qualcosa, ciò che fortunatamente mi è stato pagato di questa stagione. Se dobbiamo andarcene in due,» sospirò, era determinato « allora in due ce ne andremo, se dobbiamo fare questa cosa, la faremo insieme. »
Alec sorrise piano, condivise in testa ciò che Magnus aveva appena detto.
Loro due stavano per fare quello insieme.  
« Quindi ricapitolando, stiamo per diventare due fuggitivi?» sottolineò Magnus volendo scherzare ma gli uscì un tono piuttosto nervoso.
« A quanto pare. Anche se, » Alec gli sfiorò col pollice il dorso della mano per calmarlo « Non ne abbiamo...non ne hai colpa » soffiò piano.
Magnus annuì, la lingua che si inumidiva il labbro inferiore.
« Alexander? » chiese nervoso.
« Sì? »
« Sei mai scappato prima? »
Alec notò quei piccoli solchi sotto gli occhi di Magnus e pensò che era davvero da troppo che quello non dormiva beatamente, perseguitato da una macchia, ombra scura riluttante ad andarsene dal suo cammino.
« Se sarà come tutte le volte che sono scappato per venire qui, » Alec lo prese con se, il naso che si toccava con quello di Magnus « Allora non sarà poi così difficile »
Magnus sorrise, un sorriso stanco ma pieno di qualcosa che poteva coniugarsi con un sommesso grazie. Non gratitudine ma grazie.                                                                         
Grazie per questo.
Grazie Alec.
Grazie perché ci sei
.
Magnus alzò il capo quel poco che bastava e lasciò un bacio umido sulla fronte di Alec.



 

L’indomani mattina Alec si alzò molto presto, alzò la finestra e calò la tenda evitando che entrasse troppa luce. Controllò dal corridoio la porta ancora chiusa dei suoi, nel silenzio più assoluto della casa.                                                     
Rientrò in camera, si sedette alla scrivania e munito di carta e penna, cominciò a scrivere.
Le parole scivolavano da sole, come se l’inchiostro si fosse unito alla sua anima in quel preciso istante. Era quel bisogno di buttare tutto giù, di abbassare i muri e farli crollare al suolo tutti in un’unica volta. Scrisse di getto svuotando tutto ciò che aveva dentro.
Mentre la mano destra si muoveva pensava a sua madre, Helen, sua sorella, Isabelle e se veramente le due donne avrebbero accettato il suo gesto. Ma in fondo non poteva cambiare più idea , presa quella scelta, non si tornava più indietro.
Non era una scelta, ma piuttosto un bisogno.
Alec si sentiva come al primo incrocio di un nuovo inizio. 
Magnus aveva bisogno di evadere.

E lui poteva sentire i suoi stessi singhiozzi echeggiare mentre scriveva il perché di tutto quello, il perché di una fuga così repentina, mentre firmava e un po’ sentiva mischiarsi il sorriso di Izzy, le labbra della madre incresparsi forse per il dispiacere, forse per la delusione, forse per averlo accettato.

 

 

Il messaggio non tardò ad arrivare.                                                                                   
Magnus, col piccolo bagaglio già pronto dalla sera prima, si fasciò il collo con un foulard rosso arancio, il piccolo orecchino al lobo e l’altro serpentinato a metà, una voglia di convincersi che stesse per arrivare al punto in cui non esisteva più il dolore, la sofferenza subite. Cercò di convincersi che avrebbe rivisto in qualche modo quei volti che adesso stava salutando. Per prima salutò Candace che lo stritolò in un abbraccio struggente, Magnus non avrebbe mai dimenticato la sua amica. Le disse che le avrebbe scritto tutte le volte che poteva. Poi salutò Dustin che nonostante non fosse un tipo affettuoso, lo chiuse in un abbraccio veloce e scherzò ipotizzando se Alec potesse in qualche modo aver fatto qualche strano incantesimo su di lui. Poi arrivò il sedicenne, T-Jey, poi fu il turno di Timothy e per James e Jay bastò uno sguardo consapevole e deciso, da duri. Jay gli diede una pacca amichevole sulla spalla, quell’aspetto un po’ da bruto ma con un cuore tenero. Il bruto col suo accento rozzo e di origine russa disse soltanto:

« Dasvidania Magnus, spero tu e quel ragazzo possiate stare bene, » la barba folta, la mano libera che si stringeva a pugno in aspetto forzuto, le braccia prepotenti scoperte « ma se le cose non dovessero andare, fammi sapere e lo sistemerò io! » scherzò ridendo raucamente.
                                                                                                             
Magnus abbozzò un sorriso mentre sentiva il famoso prurito agli occhi farsi presente. Aveva passato quattro anni della sua vita con quelle persone, con ognuna in modo diverso, che fosse stato piccolo o grande non importava: erano diventati la sua seconda famiglia.  Salutati tutti, Magnus si fece strada intuendo poco dopo il cenno di Candace, cominciò a spostarsi, la valigia vecchia in una mano e il foulard che si alzava nella leggera brezza. Si posizionò, dopo aver seguito il piccolo sentiero di terra ed erba che si inerpicava a sinistra del fiume, sotto la grande quercia, appoggiandoci la schiena, la valigia sull’erba verde.

 

 

Alec appena arrivato a Panshanger Park, camminò verso est come gli era stato indicato. Ci vollero un po’ di passi, non s’impegnò a contarli, anche perché l’unico pensiero era rivolto all’altro, allo strano sole delle undici che faceva capolino in mezzo a una coltre di nubi in quel particolare giorno di inizio novembre era spuntato. La quercia si stagliava e una figura vi era appoggiata di spalle, rivolta verso le varie cuciture di verde naturale, la fine di velo rosso scendeva sulla spalla destra.              
Alec picchiettò sulla spalla di Magnus e quello si girò. Un piccolo cenno di consenso bastò ad entrambi per prendersi per mano, le altre due che tenevano i piccoli bagagli, l’anima che sembrava invasa da cento mila sfumature di dubbi diverse.    
Il viaggio che li attendeva era sconosciuto. Durante la prima tratta sul bus che li avrebbe portati prima di tutti al centro città di Hetford, Alec chiese a Magnus dove preferisse andare. Magnus si era ritrovato più spaesato che mai, era la persona più sbagliata a cui chiederlo, così l’altro lo rassicurò e decise che avrebbero scelto una volta arrivati alla stazione.
Dopo quaranta minuti, si ritrovarono in città, diretti verso la stazione.                                          
Nessuno dei due chiese se l’altro avesse fame anche perché se Alec parlava Magnus si sentiva perso in uno stato completamente appannato, ma ogni qual volta sembrava rispondere a monosillabi o comunque annuire.                                                               
Alla biglietteria, lo sguardo ricadde sulle varie mete: Londra, Manchester, Oxford… Gli occhi di Magnus caddero su una locandina riportante immenso verde, qualche casetta piccola in lontananza, un cielo solcato dal sole, sembrava suggestivo. Molto simile a quando Alec gli aveva accennato alla Scozia. La scritta riportava in giallo due nomi, uno della città e l’altro in altrettanti in caratteri fini: OxfordShire.                      
La locandina com’era riportava girandola, l’immagine di un fiume coronato da piccoli sprazzi di cespugli, agglomerati di case in mattoni rossi e la cima a punta di una torre, forse parte di una cattedrale, spiccare in alto.                                                    
Prese la locandina e con poche parole, si sporse al finestrino del bigliettaio mentre Alec si voltava a guardare la sua espressione questa volta, rilassata:                                                                                               
« Due biglietti per Abingdon, grazie » comunicò.                                                                     
Si girò e trovò affianco a sé la presa di Alec più salda mentre con un piccolo gesto posava un attimo il valigiotto a terra e usciva dalla tasca del giubbino i soldi per pagare.

 

 

La linea ferroviaria del National Rail Great Northern proseguiva spedita, levando il lamento di qualche passeggero ogni tanto, attraversando il paese e superando Hetford.                                                                      
I
l bigliettaio aveva informato entrambi che sarebbe stato un viaggio di almeno tre ore.
Abingdon sul Thames però, avrebbe richiesto una camminata di un’altra mezzora almeno da quello che era stato detto ad Alec, che si era informato con uno dei tanti passeggeri (gente davvero singolare per la sua mescolanza europea, c’era da dirlo) facendosi spiegare come da lì, si potesse arrivare ad Abingdon.                                                   
« Come va…il gonfiore? »                                                                                                            
Si distrasse pochi secondi, vedendo lo zigomo di Alec più rilassato, ma il gonfiore era ancora evidente, la ferita sulle labbra si era subito cicatrizzata lasciando una piccola striscia scura all’angolo. « Ho portato della pomata, qualche cosa contro gli ematomi e poca altra roba così, nel caso sai… »
« Sto bene, va meglio » lo interruppe Alec, portando Magnus ad annuire immediatamente dopo.
Il paesaggio sfilava come una maschera di colori o un barattolo pieno scoppiato fuori dai grandi finestrini, con le tende da contorno, e avesse sparso il verde per l’erba, le montagne, più scuro per gli alberi, il blu che ora si macchiava di tante nuvole bianche.
« Stiamo veramente… lo stiamo facendo davvero » soffiò fuori tutto d’uni fiato preso dal momento. Alec ridacchiò, la lingua che si inumidiva le labbra.
« Sì »
Magnus guardò rapidamente fuori per poi ritornare a osservarlo. «  Sei… sei preoccupato? » chiese esitante.
Alec sospirò, ci pensò qualche secondo.
« No, solo… penso a cosa si farà una volta arrivati, » osservò come le chiome degli alberi a velocità spedita si deformavano e venivano risucchiate « dovremo trovare un posto per la notte»
Magnus annuì. « Tu?» si morse il palato, ricacciando il pizzicore lungo la sua gola, deglutì. Le mano era ancora lì, tenuta dall’altro.
« No, credo… » alzò gli occhi, il sorriso che portava il volto a ricadere in giù « Credo in tutta sincerità, di non aver mai viaggiato così bene, dentro un treno normale, non carico di roba, con un ragazzo pronto a portarmi via »
Alec abbassò lo sguardo preso alla sprovvista, lo rialzò in quello di Magnus e ci trovò qualcosa che non pensava di aver mai avuto fino in fondo: quella era attenzione e non perché gliela doveva, ma perché l’altro la sentiva. E aveva quel modo sfacciato ed ironico nel farlo, Alec ormai lo aveva capito e gli piaceva. Gli piaceva da impazzire.
« Te lo avevo detto, quando vuoi, dove vuoi » i loro occhi si incontrarono e Magnus non poté non riportare alla mente quando Alec lo aveva portato ad Hetford infischiandosene delle sue prove, di tutto. Annuì piano.
Avrebbe voluto tanto baciarlo in quel momento, ma invece si portò soltanto le loro mani intrecciate alla bocca e ne baciò le nocche.

 

 

La cittadina era piccola, graziosa. Assomigliava molto ad Hertford dal centro città per certi versi, per altri invece sapeva di nuovo. Almeno agli occhi di Magnus. C’era lo spazio per le macchine sulla strada per passare ma non c’era tanto traffico. Da dove erano stati lasciati, Magnus e Alec avevano davanti a loro una chiesa. Dovevano esserci molti monumenti storici ad Abingdon a vedere dalle varie indicazioni in marrone con le scritte in bianco. E se erano tutte come quell’edificio, dovevano avere uno stile medievale, no, forse gotico, segnate dal tempo. Le finestre ad arcate e le cime aguzze. Mentre Magnus se lo domandava, si lasciò trascinare da Alec, il quale seguì ciò che leggeva su alcune frecce indicative e di informazione.

 

 

**
 



Camminarono per almeno mezz’ora, chiedendo ogni tanto informazioni a qualche passante, fermandosi finalmente davanti una casa. Ma più che casa, come affermava il piccolo cancelletto fuori, una pensione. La pensione si stagliava in mezzo al verde, distinta da un tetto spiovente di mattoni rossi e forse di due piani. La ciminiera si piazzava alta sulla facciata che era interamente in mattoni grigi, molte finestre di legno erano su quasi ogni lato e un tappeto verde, come giardino molto curato la circondava. Il cielo intanto si colorava sfumando il suo colore in uno via via più sbiadito.                                
Decisero di entrare, le valigie in mano, i piedi stanchi, l’anima stranamente più leggera. L'aria che si respirava dentro sapeva di caldo e vagamente di speziato.                   
Il muro in pietra completava l'aspetto accogliente, quasi affettivo, mentre, decentrata, quella che doveva essere una reception, si limitava a una rientranza in legno antico ma lucido, affiancata da due scaffali pieni di libri e una piccola luce. Un caminetto con del legno dentro all'estrema sinistra, era affiancato da un mini tavolino, qualche sedia imbottita con qualche cuscino ricamato sopra. Magnus tirò una piccola campanellina sopra la sua testa e subito un eco di passi risuonò nella stanza.
Una donna, con uno chignon che le teneva i capelli striati di grigio, una maglia coperta da una giacchetta beige cucita all'uncinetto e una gonna, delle calze che si infilavano dentro delle ciabatte, si presentò davanti a loro facendogli un gran sorriso, le mani giunte. A vedere com'era vestita doveva sentir parecchio freddo.                                                                                         
« Buon pomeriggio, » la signora aveva un tono premuroso e cordiale « avete bisogno di una camera? » e dicendo così si posizionò dietro l'incurvatura legnosa e uscì un quaderno rilegato e delle chiavi che tintinnarono sulla superficie sensibile. Alec e Magnus si scambiarono uno sguardo e dopo qualche minuto uno dei due parlò.
« Sì, non sappiamo però per quanto ci fermeremo, » Alec si portò una mano dietro la nuca incerto su come continuare « Non so se va bene lasciare qualcosa in più o...» La signora sembrò capire subito cosa intendesse dire e annuì comprensiva.
« Ho capito perfettamente, » sfoggiò un breve sorriso e Magnus notò quanto fossero chiari i suoi occhi, cerulei che si intonavano con quella carnagione chiara soltanto toccata da un filo di rossetto « Però intanto per questa notte siete sicuri, no? » Entrambi annuirono.
La signora uscì fuori un paio di chiavi mentre Alec che venne fermato subito da Magnus, avvicinatosi al bancone, creando perplessità nella custode.  
« Uomini, » mormorò Magnus « Saprà come sono fatti. Ci scusi, » seppe gestire la situazione molto intelligentemente anche se doveva ammettere che il nervosismo lo stava un po' assalendo, si cacciò la mano libera nella tasca del giubbino pesante che aveva addosso e ne uscì un po' di banconote « Vuole un documento, uhm qualcosa perché insomma...» tentennò non sapendo cos'altro dire e così Alec venne in suo soccorso. 
« Sfortunatamente, ci siamo accorti troppo tardi che solo uno dei due si è ricordato di portare un documento, » si schiarì la voce Alec mentre Magnus preso dal nervosismo, trovò sollievo subito dopo che l'altro venne in suo soccorso « Va bene lo stesso o...? » Se prima si erano sentiti più tranquilli, adesso invece sentivano quel timore di aver fatto tanta strada per niente. La signora prese solo la metà del denaro e lanciò una piccola occhiata passando da uno, all'altro. L'attimo sembrò non finire mai. 
« Nessun problema, uno basterà, ma avrei bisogno comunque di un nominativo, un modo purché il conto venga registrato…un documento solo, » chiarì la signora fingendo un tono severo « a patto che non mi diate del lei. Non sono ancora sulla sessantina, » scoppiò a ridere e Magnus e Alec si sciolsero di conseguenza « chiamatemi pure Caroline e datemi del tu, » e così dicendo allungò la mano per dar loro le chiavi « la vostra stanza è la seconda sulla destra al piano di sopra »
« Grazie mille, Caroline » rispose Alec, mentre Magnus sfoggiò un sorriso grato « se posso chiedere, la cena è prevista per che ora esattamente? »  
« Oh, sarete affamati immagino » notò Caroline non sorpresa.
« È stato un lungo viaggio e non sappiamo nemmeno che ora si sia fatta » puntualizzò Magnus.
La signora annuì comprendendo la situazione, fissò il suo orologio da polso e sospirò piano.
« Tra venti minuti saranno le sei. Di solito serviamo intorno alle otto...» si fermò e osservò meglio le due figure che le stavano di fronte. Entrambi sembravano non avere più tanta forza dal modo in cui si reggevano sul bancone di legno « Ma posso darvi il tempo di posare le vostre cose e anticipare alle sette, » continuò riprendendo in uno sguardo ammiccante e svelto « Però vi farò sedere in modo che nessuno se ne accorga. Non faccio mai questo trattamento, a nessuno» puntualizzò, vedendo in quei due ragazzi un qualcosa di speciale e curioso « Ma sarete stanchi, da dove venite esattamente? »                                                              
Alec si grattò il capo, l'espressione stanca.
« Hetford. Entrambi veniamo da » gettò uno sguardo a Magnus e l'altro annuì verso la custode.
« Dio santo, » imprecò Caroline e premurosamente, non indugiò oltre « sarete distrutti, allora, andate subito a posare i vostri bagagli, io cercherò di organizzarmi per la cena! » e dicendo così la signora li lasciò con un piccolo cenno del capo e i due salirono di sopra.

 

 

La cena cominciò in modo tranquillo, Caroline li aveva serviti di molte cose, così tante che soltanto a guardare il tavolo di legno, sarebbe venuta la confusione a chiunque.
Della carne, con verdure cotte e patate calde con pomodorini, erano state servite in una teglia ovale e poi del pane, il cui odore fragrante e la forma tonda portavano all’idea che fosse stato fatto in casa.
Una bottiglia di vino e una brocca d’acqua erano spostate tra una portata e l’altra.
Magnus e Alec si servirono resistendo fino all’ultimo piatto portato prima di mettere qualcosa sotto i denti. Dopo un intera giornata di viaggio, ci voleva una rifocillata di energia per il giorno dopo. E chissà cosa avrebbero fatto, ma nel frattempo, consumavano una cena deliziosa, prima di tutti.
Le patate finirono quasi subito, seguite dalle verdure.
La carne era stata condita con qualche salsina, ed era cotta a puntino.
Magnus emise un sospiro soddisfatto tra un boccone e l’altro.
« Dio, non ho mai amato il cibo come in questo momento »
Alec ridacchiò, mentre spezzava un pezzo di pane con le mani.
« La custode è stata davvero gentile... mi domando se sia spostata » si portò il pane alla bocca. Magnus si fermò con la forchetta a mezz’aria, pensandoci davvero.
« Non mi ricordo di averle visto la fede al dito...» disse a metà tra un boccone e la parola.
« Forse non vuole perderla » ipotizzò Alec.
Magnus guardò all’ultimo pezzetto di carne e lo tagliò col coltello.
« Potrebbe... ma comunque non sono affari nostri » si portò il pezzo alla bocca.
« Giusto »
Alec inghiottì l’ultima porzione di verdure che aveva ancora nel piatto.
Pensò che erano davvero fuori da Hetford osservando quella piccola pensione, ora dentro il piccolo spazio arrangiato con dei tavoli in file particolari in legno, la luce soffusa con le luci dei lampadari al muro di pietra. Delle piccole immagini, forse stampe, erano appese sopra. Era tutto curato.
« Sai, ho sempre pensato una cosa » cominciò Alec « È assurdo come certe persone si incontrino... quello che le porta ad avvicinarsi »
Magnus abbozzò un piccolo sorriso, sapendo dove Alec volesse andare con quel discorso.
« C’è chi lo chiama destino, » sospirò pensando a qualcosa ormai passata « a me piace pensare che succeda e basta…senza per forza una ragione » arricciò il naso. Alec prese il bicchiere con dentro un po’ di liquido rossastro.
« Tutte le persone si incontrano e se lo fanno un motivo ci sarà pure… non credi? »               
« Non credo debba essere per forza scritto. Alcune cose accadono e basta ,senza che le si aspettino » replicò Magnus scrollando leggermente le spalle.
Alec inghiottì il vino, che esplose giù per la gola, le labbra che si stringevano in una piccola smorfia.
« Comunque sia lo fanno. Almeno penso, credo due persone si avvicinino per tanti motivi diversi, anche per interessi, culture diverse…»
« Sì e non è un male »
Magnus sembrò perdere l’obiettivo in termine di parole di Alec.
« Affatto » sospirò e posò il bicchiere sul tavolo « dico solo che alcune si trovano anche se sono completamente diverse.  »
« E questo vorrebbe dire?» il tono dell’altro sembrò infastidito verso la fine                              
« Magnus-»
« Alec, se ti riferisci a beh… a questo, sappi che non… insomma, non capisco…» deglutì, ma il tono sembrava rigido, meditato ma più distaccato rispetto a prima.                                                                                                                                            
« Stavo parlando in generale, non stavo per forza parlando di noi » si sbrigò a dire. Forse però finì troppo presto, tempestivamente.                                                                        
« Quindi, in poche parole, » le narici di Magnus si dilatarono un po’, i suoi occhi fissi sulle posate, poi alzati su Alec « stai cercando di farmi capire che siamo diversi noi, ma ci giri attorno »
« Non è quello che stavo dicendo e anche se, non è per forza di cose, una brutta cosa » Alec sembrò sul punto di mordersi la lingua per quanto fu veloce.  Cosa stava succedendo, adesso? Sentiva la tensione in quel corridoio pieno di tavoli eppure vuoto. In pochi secondi si era abbattuta una situazione indesiderata.
« No, non lo è. Non lo è mai stata, per me non è nemmeno, mai esistita » Magnus lo guardò affilato, come se stesse usando il coltello su di lui, anziché per il pane. La sua voce era spenta e piena di amarezza « Sì, lo siamo, siamo diversi, Alec.  E se te ne stai facendo un cruccio, » si trovò a deglutire sentendo una rabbia dentro, però diversa, come amara e densa farsi spazio « beh, allora tanto valeva non arrivare fino a questo punto. »  
Alec si ritrovò spiazzato a quell’affermazione.                                                                      
« Magnus, per favore, ascolta: non era quello che intendevo, non sto dicendo che siamo sba-» 
« E forse, l’idea di andarsene ha soltanto reso tutto diverso, no? Lo ha cambiato ancora, come se all’inizio invece non lo fosse. Lo ha reso ancora più estraneo » sbottò ridendo amaramente Magnus, mentre la forchetta ricadeva pesantemente dentro il piatto suonandoci. Avvertì la saliva sparire e la bocca farsi immediatamente secca.                              
Alec ripartì subito, dandosi alla carica , provando a ricucire una trama di un filo appena uscito dal quadro del tessuto. Ma ricucire che cosa poi? Non ricordava nemmeno perché fosse scoppiata quella bomba, proprio adesso.
« Mi chiedo perché tu abbia accettato, allora. Magnus non è normale resistere per cinque mesi, tormentato, dio mio, percosso da… da un uomo come quello. No, non si può nemmeno definire così » cercò di raggiungere la sua mano al tavolo ma Magnus la spostò, evitando il contatto. Il suo volto era fisso, mentre l’altro parlava. « Non volevi denunciarlo, abbiamo deciso e … pensavo fosse questo il motivo per cui hai accettato. Per cui hai… hai scelto di venire e di andare via da lì, per cui ti sei fidato, lo hai scelto. Lo abbiamo scelto. » Il petto gli si strinse. Fiducia. Gli aveva detto di fidarsi di lui, ma era ancora così? Era ancora l’attimo in cui si trovavano appesi a un'unica corda, incuranti che quello potesse succedere?                                                                
« Non sai cosa voglia dire e poi, non si sta parlando di quello. O almeno, non solo di quello. » alzò lo sguardo. 
Alec si sentì subito male, gli occhi di Magnus si erano fatti opachi, colmi di un sentimento che non riusciva a definire e faceva male. Dio, si sentiva impotente, non sapeva cosa fare.   
« E allora qual è il problema? » mormorò piano non trovando più la forza.                      
« Hai appena detto che siamo diversi, perché lo siamo. E mi è sembrato di intuire questo, non andiamo bene per questo? Non eri tu che non avevi pregiudizi al riguardo o me lo sono immaginato? » Magnus sentì gli occhi pizzicare ma decise di non dare ascolto ai segnali del suo corpo.

Ti pare che posso ancora continuare così, a sopportarti? Non ce la posso fare, non sono una macchina, cazzo, Helen!
NON STARE
COSI

Alec aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì nulla. Quegli occhi da cerbiatto erano invasi dalla paura. Magnus si guardò le mani, entrambe appoggiate al legno.

E a me non pensi? Siamo in due in questa cosa, Robert. Ci sono i nostri figli di mezzo...

Forse non è più nemmeno una cosa la nostra, siamo diventati troppi diversi!
                              

Un piccolo bambino, sentiva le voci provenire dal corridoio, si stropicciò gli occhi, mentre guardandosi dietro le spalle, la figura di una bambina, dormiva tranquilla nel suo lettino.

Non ce la faccio, finiamola qui. Sono stanco, me ne vado! NON ASPETTARMI SVEGLIA urlò la figura maggiore, prese le chiavi e sbatté la porta andandosene via.

   

« E no, grazie, non voglio parlare proprio adesso di quell’uomo » deglutì, rabbrividendo. Prese forza e sicurezza e con tutta la lucidità che gli rimaneva in corpo, decise. Nessuno la vinceva con Magnus , anche se quello era Alec. 
Il circense fece l’unica cosa che sentiva ed era in grado di fare. Il tovagliolo che si posava sul tavolo in un gesto di sconfitta, la figura che si alzava dalla sedia. Serrò gli occhi e senza nemmeno guardarlo esordì uno stanco:                                   
« Ho bisogno d’aria » si girò e si diresse sopra in stanza senza voltarsi.

 

 

 

 

Magnus era salito in stanza da almeno mezz’ora, i piedi che giravano lo spazio, sempre uguale e semplice.
Il muro in pietra, gli infissi in legno sopra la sua testa, il letto a due piazze con lenzuola bianche decentrato, la finestra al muro leggermente aperta, le tendine rosse sbiadito, l’ aspetto di una luce data da entrambe le piccole abat-jour ai lati del letto. Un armadio vecchio anch’esso in legno si stagliava vicino alla porta.
Non sapeva cosa farci, di quello che aveva detto prima.
Non sapeva perché lo aveva fatto ma gli era venuto così tutto fuori senza una ragione apparente. Forse era solo stanco. O forse era soltanto stato portato a evitare la questione: non sapeva nemmeno se Alec fosse ancora di sotto. Sinceramente, per quel che gli frullava in testa, avrebbe avuto tutto il diritto di andarsene. Magnus pensò subito all’intera giornata: i saluti, il viaggio, tutto era trascorso sommando la sua ansia. Sì, non sapeva definirla una cosa negativa. In fondo, era normale aver paura di qualcosa di nuovo, no? La paura è pur sempre un emozione.
Eppure non era stato così difficile andarsene alla fine. Erano bastate solo delle ore e adesso, si trovava dentro quello spazio nuovo, che sentiva leggermente allontanarsi dal suo corpo, come se fosse animato.
Deglutì forte, le scarpe ai piedi del letto e i piedi scalzi, che sentivano la moquette morbida e piacevole, lo sguardo fu catturato da altro.
La sua valigia non poco distante dalla porta era ancora aperta, mostrando dentro i suoi effetti personali. Lui e Alec avevano avuto poco tempo per sistemare le loro cose ed erano corsi a cenare su consiglio della custode.
Socchiuse gli occhi, mise le mani sui fianchi e piano si avvicinò all’ oggetto, le ginocchia in avanti, il peso sui talloni.
Appena la guardò dentro realizzò che non era la sua, ma quella di Alec.
Un piccolo oggetto visibile e alla sua portata colse la sua attenzione.
Magnus lo prese tra le mani e ne accarezzò con le dita la copertina rigida, un piccolo accenno di sorriso s’affacciò sul suo viso.
Era l’Illiade, i cui versi Magnus ricordava, Alec gli aveva recitato quando gli aveva fatto visitare Hetford al loro ritorno. Al centro vi era la decorazione riportante l’immagine di due elmi elaborati e due scudi un po’ più sotto e il titolo ad incorniciare.
Era buffo come, anche lui avesse portato un libro, il libro che Alec gli aveva prestato e non aveva trovato il tempo in tutto quel trambusto, di restituirgli. 
Le metamorfosi di Ovidio era dentro la sua valigia, sistemato nella piccola tasca protettiva, come fosse l’unico tesoro che possedesse. La storia di Orfeo lo aveva preso così tanto.
Magnus si ritrovò a rigirarsi quel libro tra le mani, ricordando, toccando piano la superficie avanti e indietro, tutte le volte che Alec gli aveva accennato a ciò che sapeva, che lo aveva affascinato con storie diverse, con quel fare che sapeva solo lui. Quella bellezza interiore e quello sguardo attento, quelle iridi grandi e piene, l’attenzione che la catturava.
Un sentimento amaro lo colpì alla bocca dello stomaco: era dispiacere, era colpa.
Non avrebbe dovuto inveire così contro Alec, era l’ultima cosa che meritava. Dopo ciò che aveva fatto per lui, dopo avergli reso la vita diversa. Diversa, come un’avventura, come qualcosa che ti fa sentire vivo, diversa come loro. Ma era bella, questa cosa diversa. 
Era quello di cui aveva bisogno.
Se pensava a tutte le volte in cui Alec gli aveva salvato la giornata, dopo le sfuriate, dopo la brutalità, dopo tutto quello che ne era conseguito... se ci pensava, poteva solo definirsi un idiota ad averlo trattato come aveva fatto prima.
Alec era diventato tutto in poco tempo e nemmeno lui poteva spiegarselo, ma era successo e di certo, non avrebbe voluto annullare quelle belle emozioni che gli provocava.
La stanza era statica, entrava solo un leggera brezza che lo rimandò subito alla giornata in cui era riuscito a volare, volare con qualcun’altro. Non più da solo. 
Magnus sospirò, sentendo invaderlo un’improvvisa morsa, la maniglia alla sua destra si mosse e la porta si aprì. 

 

 

 


 

Mamma, ti scrivo perché ne sento la necessità.                                                              
Ma più di tutto, il bisogno di essere capito. Forse rimarrai sorpresa, forse è stupido da parte mia, ma voglio comunque darti delle spiegazioni, te le meriti. Non credere che non ci abbia pensato a fondo, nel caso te lo stessi chiedendo, perché non potrei essere più serio. La serietà che mi ha preso sempre più negli anni, quella, credo tu la conosca bene. 
Ho bisogno di allontanarmi per un po', tranquilla, non mi è successo niente. Almeno non a me. È entrata questa persona, nella mia vita, mamma. Da un po' di tempo, in effetti, ma che cos'è in effetti il tempo non lo so perché se lo conto mentre ci sto insieme, il tempo lo perdo e devo ricominciare daccapo.
E potrebbe anche finire lì, ma il fatto è, che questa, non è come tutte le altre. Credo sia, una delle persone che amo di più al mondo, dopo di te, dopo Izzy. Questa persona ha bisogno del mio aiuto e io non posso negarglielo, perché se è riuscita a tirarmi fuori da dove ero finito, posso fare lo stesso per lei. Non lo faccio perché devo, ma perché voglio.
E volere qualcosa, ti porta a lottare per questa nonostante tutto.
Non sarà facile risolverla, ma farò del mio meglio per alleviare il dolore che prova.
E l'ho capito. Ho capito cosa eravate tu e papà: semplicemente non vi amavate più. Succede e non te ne faccio una colpa. È l'ultima cosa che posso decidere è chi dei due abbia cominciato prima a capirlo e chi dopo, trascinando con quella situazione inconsapevolmente, i propri figli. Ma ci avete messo troppo tempo a capirlo, o forse, ce ne ho messo io troppo poco per capire che la persona per cui mi sto allontanando, ha completamente preso ciò che ero prima e lo ha fatto uscire alla luce. Senza inganno e senza trucco.
Ti voglio bene, mamma, voglio che tu lo tenga a mente.
Questo e che, appena tutto andrà meglio, vedrai quanto la vita possa svoltare in un solo giorno ciò che avevi ormai dato per perso.



Questa volta mi tocca scrivere qui. Mi scuso per l'aggiornamento tardo, ma ho avuto una settimana molto impegnativa: che dire, la vita da universitaria pendolare è questa. Aggiungerei: anche la vita di Magnus e Alec per ora è questa. Problemi relazionali? È ovvio che non possa andare tutto sempre liscio, c'est la vie

See you next time.
- Clodia's

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: ClodiaSpirit_