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Autore: santhy    07/10/2019    0 recensioni
Due genitori squattrinati, innamorati e litigiosi. Tre simpaticissimi figli. E Dilon (Walter) Ayres, una specie di fratello maggiore che vive con loro, appartato e pur partecipe con la sua eccezionale sensibilità. Piove dal cielo una grossa eredità. La famiglia rischia di essere del tutto scombinata. Dilon riporta serenità e risolve l'intricata vicenda d'amore del giovanissimo Dave. Romanzo brillante, romanticissimo.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2



 
Tutto questo era successo a colazione, durante il giorno, però Dave poté stare relativamente in pace, perché Leo, che era arrivato nell’auto di suo padre, lo invitò a pranzare a casa sua. «Non ti portano da qualche parte i tuoi, visto che è il tuo compleanno? Gli chiese dopo che lui aveva accettato l’invito.

Dave arrossì leggermente. «Non oggi,» si affrettò a rispondere. Mio padre… non sta bene.»
Leo gli lanciò uno sguardo incredulo, poteva leggere nel pensiero di Dave come in un libro aperto, ma non sempre gli conveniva ammetterlo. «Beh, vieni a pranzo da noi,» ripeté.

A Dave piaceva andare a pranzo dai Graig, c’erano sempre un sacco di cose buone e un paio di camerieri eleganti che servivano a tavola, molto diversi dall’impertinente domestica a giornata di casa sua, che faceva sempre di testa sua e minacciava di andarsene non appena qualcuno osava trovare a ridire.

Mrs. Graig era gentile con lui anche se con un suo personale tocco di condiscendenza, e Mr Graig gli era simpatico… una volta gli aveva dato dieci scellini.  E com’era bella la loro casa, così ben tenuta e impeccabile! Al confronto, la sua gli appariva ancora più vecchia e malandata. Oggi però, mentre sedeva alla tavola meravigliosamente apparecchiata, non si sentiva contento come al solito, anche se i signori Graig avevano ammirato tutti e due il suo nuovo orologio.

«Hai detto che te l’ha regalato tuo zio?» Disse Mrs. Graig. Le piaceva sapere i particolari, anche se non la riguardavano.

«Dilon non è mio zio,» osservò Dave.

Leo si mise a ridere: «È troppo giovane per essere suo zio. Quanti anni ha, Dave, sarà sui trenta.»
«Ne ha trentasei,» rispose lui.

«Mi sembra che ne dimostri di più,» disse Mrs. Graig. «Ma forse è perché è un invalido.»

Dave arrossì violentemente. «Non  è un invalido,» disse bruscamente, dimenticando le buone maniere. «È solo zoppo da una gamba, a causa di un incidente.» Poi, notando l’espressione contrariata di Mrs. Graig, si affrettò ad aggiungere: «Mi dispiace… ma non è un invalido… non lo è davvero.»

La madre di Leo lo perdonò con un sorriso di degnazione «Tu quanti anni compi oggi? Sedici? Non li dimostri proprio… te ne avrei dato al massimo quattordici.»

Fra una cosa e l’altra, il pranzo non fu piacevole come al solito, e quando ebbe fine Dave si sentì sollevato.

«Vieni su nella mia stanza,» disse Leo. «Voglio mostrarti una parte dei vestiti che ho comprato per Parigi.» Dave si sentì mancare. Parigi! Non aveva ancora detto a Leo che non sarebbe andato con lui. Rimase a guardarlo ammirato, senza dir niente, mentre Leo tirava fuori dall’armadio un abito dopo l’altro e li sparpagliava sul letto. Erano troppo da persone adulte per un ragazzo della sua età, ma Mrs. Graig, che nonostante tutto il suo denaro non aveva affatto buon gusto, riteneva che un abito più era sensazionale, più era apprezzato e ammirato dalla gente.

«Ma non sono un po’ troppo importanti per metterli a scuola?» Si azzardò a dire Dave.

«Scuola!» Esclamò Leo scandalizzato. «Il signor Reniv non è una scuola! Ti insegna a come diventare uomo e saper stare nella società.» Fece una risata sprezzante. «Sei proprio uno strano tipo! Ma davvero credevi che saremmo andati a scuola?»

Dave  balbettò arrossendo che non aveva capito, non  sapeva… «Vedi, non sono mai stato a Parigi. Leo invece c’era già stato varie volte, e lì aveva degli amici che avevano promesso di portarlo in giro a divertirsi.

«Ora comunque non glielo dico” pensò Dave con un senso di oppressione. “Non glielo dico oggi… forse succederà qualcosa, e alla fine potrò andare.” Ma in cuor suo non ci sperava molto, e dopo aver preso il tè, mentre la riaccompagnavano a casa, si sentiva come Cenerentola al ritorno dal ballo… solo che Cenerentola aveva fatto la strada a piedi.

Quella sera a cena (i Dickinson la chiamavano sempre cena, anche se si trattava di un pasto piuttosto disordinato, senza tante cerimonie) ci fu ancora scompiglio.

«Tuo padre è fuori,» disse Mrs. Dickinson appena lo vide. «Non so dove sia andato, ma ho sentito che parlava di andare a Londra… e perché, poi! Come se avesse qualche ragione per andare a Londra, lui… » Sospirò: «Raymond ha telefonato per dire che non viene, e Adrien ha mal di testa e dice che non potrebbe inghiottire neanche un boccone! E tuo padre è fuori… Dimmi tu se vale la pena che io mi dia tanto da fare…»

Dave tentò di consolarla: «Non importa… non è necessario aspettare ancora, no? Vado a chiamare Dilon, ho fame…»

Non era vero, perché a pranzo dei Graig aveva mangiato molto, ma gli dispiaceva per sua madre. «Vado a chiamare Dilon,» ripeté, e andò nel suo soggiorno, una minuscola stanza sul retro della casa che dava suo giardino.

Muso nero era tutto preso dal meccanismo di un orologio che stava pulendo. «Ciao, piccolo,» gli disse distratto.

«La cena è pronta,» annunciò Dave avvicinandoglisi. Restò in piedi accanto a lui. «Deve essere già pronta da un pezzo, ma mio padre non c’è, Raymond è fuori, Adrien ha mal di testa… e mia madre si è messa a piangere.» Sospirò profondamente, e lui lo guardò con un sorriso divertito.

«E tu?» Gli chiese.

«Oh,» rispose con una piccola smorfia, «sono stato a pranzo da Leo , e devo aver mangiato troppo perché non ho neppure un po’ di fame… ma non dirlo a mia madre.»

«E cosa ha detto Leo di Parigi?»

«Non gliene ho parlato,» confessò Dave.

Muso nero spinse da parte il mucchietto di ingranaggi. «Devo lavarmi,» disse, e lo guardò di nuovo. «Peccato che non sono uno zio ricco, no piccolo?»

«Tu non sei uno zio,» ribatté pronto lui. «E perché è peccato che tu non sia ricco?»

«Perché se lo fossi, tu andresti a Parigi.»

«Davvero?» Disse Dave, con gli occhi scintillanti, poi in un slancio d’affetto, gli gettò le braccia al collo: «Sei la persona più cara del mondo, e io ti amo.» Stava per baciarlo, ma lui lo prese per i polsi e si sciolse dall’abbraccio.


«Vogliamo andare a cenare?» Disse.

Dave arrossì, e per un attimo sembrò un po’ offeso, ma poi si mise a ridere: «Avrai fame… beh, vai a lavarti, io vado a dire che siamo pronti.» Sentiva i polsi un po’ indolenziti nel punto dove lui li aveva afferrati, con una certa durezza. Ma Dilon non intendeva certo fargli male… non avrebbe mai fatto male a nessuno, lui.

Avevano appena finito di mangiare il cosciotto di agnello poco cotto e le verdure piuttosto acquose, quando udirono una macchina che si fermava davanti alla porta. «È tuo padre,» disse Mrs. Dickinson, «ha preso un taxi alla stazione. «Poco dopo lo sentirono parlare nell’ingresso con la donna.

«Sia lodato il cielo,» mormorò Mrs. Dickinson.

«Quando suo padre entrò, Dave pensò sconcertato: “Diamine, sembra ringiovanito si di molti anni come se gli fosse capitato qualcosa di bello”.

Prima di sedersi si chinò, miracolo, a baciare sua moglie sulla guancia. «E allora state tutti bene? Chiese come se fossero settimane che non li vedeva. Dave e sua madre lo guardarono con gli occhi sbarrati. «Ah, dimenticavo…»  disse a un tratto. Frugò nella Tasca della giacca e tirò fuori un pacchettino. «Per te, ragazzo mio. Tanti auguri.» Poi, vedendo che suo figlio non si muoveva e non diceva niente, tanto era stupito, soggiunse bonariamente: «Beh, non lo apri? Non vuoi vedere cosa ti ho portato?»

Mrs. Dickinson pensò terrorizzata: “È malato… non c’è altra spiegazione. Non l’ho mai visto così.”
Dave ruppe l’elegante confezione e un minuscolo astuccio gli cadde in grembo. Dentro c’era un braccialetto d’oro.

«Josey!» Esclamò Mrs. Dickinson con voce tremante. «Gioielli!»

Suo marito si mise a ridere: «Non lo ho rubati, mia cara, te lo assicuro, e non sono impazzito… Ho una cosa importante da dirti»

«Non saranno… altri guai,» sussurrò lei.

Mr. Dickinson fece un po’ di spazio sul tavolo, come se stesse, per iniziare una conferenza: «A volte capitano cose inaspettate,» disse, «come quello che è successo ora a noi… a me! Vi ricordate… tu ti ricorderai certamente, Dilon…» “Non lo chiama mai Dilon” pensò Mrs. Dickinson sempre più allarmata, «che quando mia sorella Ruby morì, restava inteso che aveva investito tutti i suoi capitali in un assurdo vitalizio che si estinse con la sua morte.» Fece una pausa drammatica. «Ebbene, non è così. A quanto pare, una settimana fa, per una fortunata coincidenza, è stato trovato un testamento, da uno che aveva comprato la vecchia scrivania di Ruby quando i suoi mobili vennero venduti dopo la sua morte… Pare che ci fosse un cassetto segreto.

«Un cassetto segreto?» disse Dave, quasi senza fiato.

«Non solo è stato trovato un testamento,» continuò lui senza badare all’interruzione, «ma vari documenti e certificati relativi al grosso del capitale di Ruby, che a quante pare è ancora intatto, e che, a detta degli avvocati, è una somma molto considerevole. Ruby è sempre stata uno strano tipo, questo lo sappiamo, ma non riesco a capire perché ci ha tenuto nascosto di essere ancora ricca, tanto più che…» s’interruppe, come se volesse tenere per sé il segreto ancora per un attimo, «dal testamento risulta che lascia tutto… a me!»

Nessuno parlò, e Dave istintivamente guardò Muso nero. Notò che era pallido, come se invece di una notizia così straordinaria ne avesse ricevuta una cattiva.

«Non ci credo,» disse la madre di Dave scoppiando a piangere.

Invece, anche se sembrava una storia romanzesca, era la verità, e entro pochi giorni l’eredità venne confermata dagli avvocati: Ottantamila sterline!

“A mio fratello Richard Dickinson, che ho sempre ritenuto uno stupido, ma gli lascio il mio denaro perché penso che si debba provvedere anche a uno stupido e alla sua famiglia.”

«Allora i ragazzi possono andare a Cambiridge,» disse Mrs. Dickinson per prima cosa, e suo marito rispose da gran signore che potevano andarci benissimo, e anche a Oxford, se lei voleva.
«E io posso andare a Parigi?» Chiese Dave col fiato sospeso.

Certo che poteva andarci… la casa però l’avrebbero venduta lo stesso, ma solo per trasferirsi in una migliore. «A Londra, cara, se vuoi… o preferisci in campagna?» Disse Mr. Dickinson a sua moglie dandole un buffetto sulla guancia.

«E per l’amor del cielo, comprati una vestaglia nuova, e quel vecchiume rosa dallo a una vendita di beneficienza.»

Forse, fra tutti, Dave era quello che era rimasto più stordito da quell’improvvisa ricchezza. Non poteva credere che ora, come ripeteva sempre suo padre, erano benestanti come i Graig, che potevano tener testa a chiunque, che lui avrebbe comprato una Jaguar. Certo era contento di poter andare a Parigi, di non dover più dire a Leo che era impossibile… era contento che suo padre e sua madre non dovessero più litigare o temere l’arrivo del postino, ma non capiva perché Muso nero non era più lo stesso con lui. Forse era solo una sua impressione, ma quel pensiero l’assillava e lo faceva soffrire.

Una volta era andato nel suo studio, e lui gli aveva detto, senza neppure alzare la testa dal suo lavoro: «Scappa ora, Dave, ho da fare.» Non glielo aveva mai detto prima, perché quando lui voleva parlargli dell’elegante baule con le sue iniziali sopra che gli aveva comprato suo padre, non gli dava retta? E perché…» Anche se cercava di non pensarci, gli venivano in mente tante piccole cose indicavano un cambiamento nei loro rapporti di affettuosa intesa.

Un sentimento nuovo, gli impedì di andare da lui e chiedergli cos’aveva, se lo aveva offeso. “Se a lui non importa,” pensò, «non importa neanche a me.” Invece, la vigilia della partenza per Parigi, quando il baule nuovo era pronto, chiusi con tanto di etichette, e l’avevano mandato a letto presto perché l’indomani l’attendeva un viaggio faticoso, aspettò che tutto fosse quieto e scivolo fuori dal letto.

Si infilò la vestaglia. Doveva vedere Muso nero solo per un momento, domani sarebbe stato troppo tardi, doveva cercare di riconquistare, prima di andar via, quel meraviglioso sentimento di simpatia e di intesa.

Scese piano le scale e attraversò l’ingresso buio. Tutti erano andati a letto eccetto  Dilon. L’aveva capito vedendo trapelare la luce dalle crepe della porta del suo studio. Era socchiusa, e Dave esitò un attimo, chissà perché aveva paura… poi, con garbo, la spalancò.   

Muso nero era seduto nella vecchia poltrona di pelle con la gamba appoggiata su uno sgabello, e in un primo momento lui pensò che fosse addormentato perché stava immobile, ma poi vide che aveva gli occhi bene aperti. Guardava fuori dalla finestra. Non aveva chiuso le tende, e uno sottile spicchio di luna crescente faceva capolino dal cielo scuro.

Non l’aveva sentito arrivare perché era a piedi nudi, e quando gli sussurrò: «Dilon!» Si voltò di scatto. Si guardarono per un momento, e Dave si chiese con un senso di disperazione perché non poteva corrergli incontro come faceva un tempo e dirgli: «Ciao, caro, sono venuto a darti la buonanotte.»

Invece restò lì come uno stupido, quasi impaurito. Muso nero mosse la gamba offesa, e si alzò.
«Pensavo che fossi già andato a letto da ore,» disse.

«Sì,» rispose Dave, «ma… volevo darti la buonanotte.»

«Me l’hai già data.»

Non era incoraggiante. Gli sembrò di vedere una strada lunga che non si fermava a Parigi, ma andava avanti, avanti, e lo portava sempre più lontano da Dilon, e lui sapeva che fra poco l’avrebbe perso di vista completamente. «Resto solo un attimo,» balbettò. Le sue labbra ebbero un fremito, «volevo solo… darti la buonanotte… ancora una volta.»  
 

«Buonanotte,» disse Dilon, e Dave ebbe la strana sensazione di parlare con un estraneo, che cercava di comportarsi educatamente con lui per un senso di dovere… Aveva il cuore pieno di cose da dirgli, ma non gliene venne alle labbra nemmeno una.

Stava per andarsene, quando lui improvvisamente lo chiamò: «Dave!» Lo raggiunse che era già alla porta e gli cinse le mani sulle spalle, gentilmente, facendolo voltare verso di lui. Restarono così a guardarsi per un attimo che sembrò interminabile, l’uomo alto e il ragazzo snello e alla fine lui si chinò, delicatamente e lo baciò sulle labbra.

«Buonanotte, Dave… Dio ti benedica.

Mentre risaliva le scale senza far rumore, sentiva le lacrime che gli bagnavano la faccia e la lieve pressione delle labbra di lui sulle sue… Nessuno l’aveva mai baciato sulle labbra prima.
L’indomani mattina partì per Parigi.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

   
 
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