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Autore: Ksyl    07/10/2019    4 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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4. Castle

Il bigliettino si era trasformato in una sorta di catalizzatore magico, i cui poteri non erano immediatamente manifesti, mentre se ne stava a fissarlo impassibile – ma a suo parere un po' giudicante - dal centro della scrivania, dove lo aveva appoggiato con scrupolosa attenzione al ritorno dalla sua missione al distretto. Lui però si sentiva costantemente vittima di quel fare autoritario camuffato da indifferenza cartacea, in grado di raggiungerlo nel loft ovunque si trovasse, soprattutto quando era impegnato a fingere di dedicarsi a tutt'altro, creandogli non poco scompiglio interiore. Non poteva smettere di pensarci. L'ossessione era solo peggiorata.

A furia di rileggerlo aveva ormai imparato a memoria l'esatta sequenza dei caratteri da cui era composto - in quel senso il pezzo di carta sarebbe potuto scomparire e nessuna informazione si sarebbe perduta. Ma amava afferrarlo e portarlo con sé a scopo scaramantico e perché in qualche modo lo rassicurava. Era un nuovo, impalpabile legame che aveva con lei, meno concreto delle loro telefonate, ma potenzialmente molto più utile ai fini che si guardava bene dal condividere con altri.

Doveva solo prenotare un volo per l'Europa, c'era poco da girarci intorno. Era il passo successivo più logico, lo sapeva benissimo, non aveva perso la capacità di intendere e di volere. Di intendere, almeno. Sul mettere in pratica i suoi voleri avrebbe avuto bisogno di qualche lezione di recupero.
Per qualche misterioso motivo, infatti, non si era ancora risolto a dar seguito alle sue intenzioni. Forse stava solo aspettando un segno inequivocabile dal Cosmo, o forse aveva bisogno di motivare a se stesso una decisione che, da qualsiasi angolazione la si guardasse, appariva avventata. L'intera impalcatura delle ipotesi da lui formulate era unicamente basata sull'istinto e sulla sibillina esortazione da parte di Esposito di "riportarla a casa", per la quale non aveva chiesto spiegazioni, né allora, né in seguito.

Andando al sodo, il problema non era tanto quello di trovare una scusa per partire – se ne potevano inventare a bizzeffe -, quanto riuscire a incontrarla senza che a lei venisse voglia di minacciarlo con un'arma, denunciarlo, farlo arrestare o rinchiuderlo in uno scantinato alla sua mercé. Condizione, quest'ultima, che non avrebbe disdegnato, ma che non sarebbe stata utile ai suoi scopi. Scopi che non aveva ancora chiaramente delineato, ma che prevedevano almeno una certa libertà di movimento e di intervento, se se ne fosse palesata la necessità.
Voleva un approccio che fosse convincente e inattaccabile, non strampalato come, era certo, le sarebbe apparso – era questo il punto debole dell'intera faccenda, sapeva lui per primo di non avere ragioni più che solide dalla sua parte, quindi non sarebbe stato nelle condizioni giuste per riuscire a convincerla di non essere un pazzo furioso che rincorreva persone ignare solo perché se lo sentiva.
Era una mossa azzardata, potenzialmente distruttiva, con probabilità di successo pari a zero.

Naturalmente, se le cose non avessero funzionato, avrebbe sempre potuto usare come scusa ufficiale il desiderio di farsi una vacanza in Europa, idea che concettualmente non gli dispiaceva, anche se dubitava che ne avrebbe avuta l'inclinazione pratica. Andarsene a zonzo per conto suo, quando gli importava unicamente di rivederla e, possibilmente, trascorrere del tempo con lei? Non era dell'umore adatto per farlo.
Oppure poteva sempre sostenere di aver preso quella decisione unicamente per motivi professionali, nella speranza di tornare ad attingere al fiume creativo completamente prosciugato, grazie alla rinnovata presenza della sua Musa. Riusciva perfino a vedersi mentre le rifilava quella mezza bugia con aria convincente e grandi sorrisi che avrebbero sciolto interi iceberg, almeno nelle sue intenzioni. Forse avrebbe fatto meglio a sostituire il termine Musa con qualcosa di più appropriato, per non contrariarla e non farsi spezzare le gambe, come aveva già minacciato di fare in una circostanza analoga.
Ad aggiungersi agli aspetti favorevoli debitamente elencati nella sua ricca lista mentale, c'era anche il non trascurabile dettaglio di non avere altri impegni, niente che lo trattenesse in città e che non fosse rimandabile, era libero e senza nessuno a cui rendere conto.

Si tornava quindi necessariamente al punto di partenza: prenotare un volo, uno qualunque.
Nel frattempo c'erano state altre telefonate. La voce di lei si era fatta più serena, non era più costantemente in guardia e sulla difensiva, atteggiamenti che lo avevano inizialmente messo in allarme. Non voleva attribuirsene il merito, almeno non tutto, ma era innegabile che qualcosa fosse cambiato.
Le loro chiacchierate erano sempre momenti piacevoli, spesso divertenti. Non ricordava di aver mai intessuto una relazione telefonica con qualcuno, ma aveva scoperto che si trattava di uno spazio sconosciuto che lo incuriosiva e che si sarebbe perfino potuto considerare appagante e fine a se stesso, se lui non fosse stato l'uomo impulsivo che era. Uno che non si fermava a ragionare, ma si buttava su qualsiasi idea gli attraversasse la mente. Era così che lei avrebbe giudicato l'intera faccenda – se lui fosse stato tanto stolto da lasciarsi sfuggire qualcosa, cosa che si guardava bene dal fare. Le sarebbe bastato poco per coglierlo in fallo, era una delle sue numerose doti, tra quelle che avrebbe preferito non avesse, quando venivano usate contro di lui.

Per amore di onestà – doveva almeno ammetterlo a se stesso, riflettendosi nello specchio della sua coscienza - il fatto che lei avesse ripreso vivacità e fosse tornata ad assomigliare, almeno in parte, alla vecchia Beckett brillante e sarcastica, non deponeva a favore della necessità di imbarcarsi su un aereo e in un'avventura che, con ogni probabilità, si sarebbe conclusa con una porta in faccia e rapporti rotti per sempre. Non che nell'ultimo anno fossero stati diversi dal nulla assoluto. Non aveva niente da perdere, in fondo.
Non riusciva a prendere una decisione definitiva perché aveva l'impressione che qualcosa di importante gli stesse sfuggendo, confuso com'era da una miriade di sensazioni indistinte e di ragionamenti contorti che non lo portavano da nessuna parte. Perché voleva andare da lei, al netto di ogni altra plausibile e non plausibile motivazione? Capirlo era molto più importante che inventarsi qualsiasi storiella che giustificasse il suo arrivo. Non avrebbe potuto imporsi un preciso piano d'azione, se non si fosse detto la verità. Stava solo chiamando con una colorita serie di nomi la sua voglia di rivederla? Quanto le sarebbe apparsa egocentrica una mossa del genere? Stava fingendo di credere all'idea che lei avesse bisogno di lui, solo per avere la scusa di tampinarla dal vivo, per motivi molto diversi da quelli che professava? Del resto, lo aveva già fatto in passato.

Non era da lui farsi tutti quegli scrupoli, ma la frattura che si era creata fra loro era andata allargandosi nel tempo, per colpa di una serie di minuscole azioni insignificanti che, alla lunga, li avevano divisi. Non voleva sbagliare di nuovo. Non quando aveva un'immagine chiaramente scolpita nella mente di cosa significasse vivere senza di lei.
A peggiorare le cose, sapeva di stare perdendo tempo. A quando risaliva l'informazione che gli era stata trasmessa in quel modo poco ortodosso? Nel frattempo poteva essersi trasferita e questo l'avrebbe riportato al punto di partenza.

...

"Che cosa ci fai appollaiato al buio come un pappagallo spennato, Richard?". I soliti modi teatrali della madre lo fecero trasalire e, subito dopo, sbuffare irritato. Non l'aveva sentita rientrare. Guardandosi intorno nel suo studio, si rese conto che il tramonto era passato da un pezzo, mentre se ne era rimasto a fissare la parete di fronte, rimuginando senza sosta, senza accorgersi del trascorrere delle ore. Il loft era quasi totalmente immerso nell'oscurità.
Non gradì l'interruzione, soprattutto perché, secondo le sue ben poco rigorose statistiche, quella era una delle finestre temporali entro le quali lei avrebbe potuto farsi viva. Non voleva gente intorno quando succedeva, soprattutto non la madre in preda a deliri mistici pronta a elargire consigli non richiesti su delicate situazioni che non la riguardavano.

La intravide stagliarsi sulla soglia, determinata come non mai, e seppe che non ne sarebbe uscito indenne. Avrebbe preteso di sapere che cosa gli fosse preso per starsene al buio in quel modo a riflettere improduttivamente sul senso dell'esistenza.
Con un sospiro, si allungò ad accendere la lampada sulla sua scrivania, ultimo baluardo protettivo di fronte agli attacchi materni.
"Immagino che questo sia il tuo modo contorto di dimostrarmi affetto", borbottò rassegnandosi a subire un terzo grado.
Martha si avvicinò, appoggiando le mani sulla poltrona di pelle di fronte a lui, senza sedersi.
"No, sembri davvero triste e spennato da qualche tempo, che cosa ti sta succedendo? Non dovresti essere fuori con quella nuova ragazza dal nome strambo...". Fece un gesto vago. "Non me lo ricordo, le cambi così spesso".
Si innervosì, giudicandola un'accusa ingiusta, perché non corrispondente al vero. Non nell'ultimo periodo, almeno, che era stato votato a quello che poteva considerarsi un intensivo ritiro monacale. Dalla notte della prima telefonata non aveva più cercato la compagnia di nessuna donna. A meno che non si considerasse la relazione innaturale che intratteneva con un cellulare, ostinatamente zitto nella tasca.

Per affrontare l'assalto di sua madre e avere qualche possibilità di sopravvivenza, avrebbe avuto prima bisogno di bere qualcosa che lo tirasse su, ma non aveva voglia di alzarsi. Sua madre gli sarebbe andata dietro, mentre lui aveva voglia di levarsela di torno il prima possibile.
Martha, per sottolineare i suoi intenti bellicosi, si sedette di fronte a lui incrociando le braccia sul petto, fermamente decisa a fargli sputare il rospo, di qualsiasi cosa si trattasse.
Non voleva raccontarle di Beckett e della situazione che si era creata tra loro, così come non avrebbe voluto farlo al distretto con Montgomery, o con chiunque altro. Come allora, anche in questo caso gli sembrava un'intromissione in cose che non riguardavano nessun altro, a parte i diretti interessati. O forse temeva la verità, quella che lui non osava dire nemmeno a se stesso, e cioè che, sottoposte all'analisi spassionata di un interlocutore oggettivo, quelle telefonate non significavano proprio nulla. Non voleva scoprire di aver costruito teorie avventate su ipotesi infondate.

Ma a quel punto di stallo, tanto valeva lanciare un dado e sperare nella sorte. Parlarne con la madre non avrebbe di certo peggiorato la situazione di immobilismo nella quale si trovava. Era un uomo adulto e responsabile, poteva fare quello che gli pareva.
"Beckett mi ha chiamato... qualche tempo fa", esordì. Il familiare peso sul petto cominciò lentamente a scivolare verso il basso, facendolo sentire più leggero. Non se lo era aspettato.
"Katherine Beckett?". Pronunciò il suo nome come se si fosse trattato di un fantasma.
"In carne e ossa", replicò asciutto. Ne era sicuro? Qualche volta aveva ancora il dubbio che si trattasse di allucinazioni uditive, o universi paralleli, quelli in cui loro erano tornati ad avere una qualche relazione condivisa.

"Avete riallacciato i rapporti, finalmente! E perché non sei con lei a indagare qualche disgustoso omicidio, così da ricominciare a scrivere i tuoi romanzi? I soldi non crescono sugli alberi, Richard, devi darti da fare", lo rimproverò severamente, convinta delle proprie ragioni.
Castle sorrise tra sé, con una bella dose di cinismo a fargli compagnia. Decise che affrontare di nuovo con lei quell'estenuante argomento non lo avrebbe aiutato a fare nessun passo avanti nella sua confusa situazione, anche se un nettissimo "Da che pulpito!" aveva preso a ruggirgli nel petto. Ma era sempre sua madre e non aveva voglia di combattere contro i mulini a vento.

"Non è a New York".
Per quel che ne sapeva, Martha non conosceva il motivo per cui lui avesse smesso di frequentare il distretto. Non ne avevano mai parlato e lui aveva creduto che fosse stata abbastanza distratta da non notare i cambiamenti di vita del figlio. Evidentemente si era sbagliato.
"Immagino che ci siano omicidi ovunque nel mondo, quindi vai a fare i bagagli e raggiungila, che cosa aspetti?".
Fu un'uscita che lo prese in contropiede, era talmente assurda, e quindi così tipica della madre, da corrispondere, in pratica, alla verità.

"È in Europa", specificò per puntiglio.
"Hanno cancellato i voli per tutte le destinazioni europee? Le compagnie hanno emesso un embargo nei tuoi confronti? Non mi stupirei, in effetti. Avrai combinato qualcosa come al solito in uno dei tuoi ultimi viaggi".
Era surreale. Non aveva altro termine per definire la situazione. Aveva quasi voglia di ridere.
Si predispose con pazienza a chiarirle qualche punto.
"Non sono sulla lista nera di nessuna compagnia", puntualizzò, tanto per cominciare."Lo scorso autunno, quando sono tornato dagli Hamptons..."
"Con Gina".
Le diede una rapida occhiata. Non capiva il senso di quel commento, non gli risultava fosse un dettaglio utile alla discussione. Ma del resto era sempre difficile comprendere la logica di sua madre.
"Sì, con Gina". Se ci teneva tanto... "Come stavo dicendo, sono tornato al distretto, ma lei se ne era già andata per via di qualche missione segreta di cui non so praticamente nulla perché nessuno ha voluto dirmi niente, lei per prima". Suonò più amareggiato di quanto volesse apparire.

Martha non commentò, lasciando che proseguisse. Si limitò ad annuire.
"Qualche settimana fa ho ricevuto una sua chiamata. Era notte fonda ed è stato strano, oltre che totalmente inaspettato. Mi è sembrato che ci fosse qualcosa che non andava, anche se non saprei motivare meglio la mia impressione". Non poteva essere più onesto di così. Stava ammettendo la confusione e l'incertezza che lo attanagliavano da settimane.
"Di certo non doveva star bene, per chiamare te fra tutti".
"Mamma!". Sapeva che avrebbe dovuto starsene zitto. Solo uno stupido avrebbe sperato di ricevere una sorta di conforto da lei, proprio mentre si stava mostrando vulnerabile.

Martha alzò una mano per fermarlo. "Lo so, sto scherzando. Avevo ragione, hai perso tutto il tuo senso dell'umorismo. Vai avanti".
Non si degnò di commentare la sua ultima uscita e proseguì.
"Ha continuato a chiamarmi in modo saltuario, senza offrire nessuna informazione rilevante, soprattutto senza dirmi dove si trova, anche se sono riuscito a scoprirlo in altri modi. Non mi ha mai dato il suo numero, quindi non posso richiamarla, o contattarla. Non ho idea del perché sia in Europa, o perché non torni. Non so che cosa sia successo nel frattempo. Non so un accidente di niente".
Si fermò per riflettere qualche secondo e calmarsi. La frustrazione accumulata aveva iniziato a sfuggire al suo controllo.

"All'inizio era spesso triste, insicura, non la solita Beckett. Con il tempo le cose sono migliorate, mi chiama molto più spesso, ma rimane sempre vaga. Potrebbe essere solo una mia fantasia, ma non mi sembra una situazione normale. Sono un po' preoccupato", ammise infine.
"Sei sempre stato un buon conoscitore dell'animo umano. Se credi che qualcosa non vada, deve essere così", commentò Martha serissima, dopo aver soppesato le sue parole.
La guardò stupefatto. "Da quando?".
Martha sbuffò. "Non sono io a pensarlo, ovviamente, l'ho letto nella recensione a un tuo romanzo, scritta da un critico che devi aver pagato profumatamente".
Sua madre leggeva le recensioni positive dei suoi libri? Era un evento storico. Di solito spulciava i giornali fino a trovare il minimo accenno poco meno che entusiasta con cui l'avrebbe assillato nei secoli. Le fece una smorfia di pura esasperazione.

Martha si sporse verso di lui e cambiò tono, fissandolo negli occhi.
"Se sai dove si trova non c'è niente di male nell'andare ad accertarti che vada tutto bene, visto che muori dalla voglia di precipitarti da lei e cerchi solo qualcuno che ti dica che è la cosa giusta da fare. Perfetto, sarò io a dirtelo. Prenota il primo volo, forza".
"Non posso salire su un aereo come se niente fosse e presentarmi da lei". Non negò che fosse in effetti quello che voleva fare e a fermarlo era solo solo qualche scrupolo della sua coscienza, nonché il timore che finisse tutto in modo disastroso. "Non ho nessun motivo per farlo. Non saprei che cosa dirle". Dopo l'ultima frase, si sentì un ragazzino sprovveduto che chiedeva consiglio alla madre su banali questioni sentimentali.

Martha lo studiò per qualche istante, tornando a mettersi comoda sulla poltrona.
"In quanto a questo, confido che saprai improvvisare. Sei un uomo adulto, non troppo perspicace, ma non possiamo pretendere...".
Castle respirò profondamente, imponendosi di non reagire, o l'avrebbe strozzata.
"Lei potrebbe non gradire quel genere di sorpresa".
"Allora avvisala. Chiedile se le fa piacere. Anche se convengo che, così facendo, tutto il romanticismo vada a farsi benedire, ma la vostra generazione...".
"Non c'è niente di romantico, mamma! Sono in ansia per lei!", tuonò esasperato.

Martha lo scrutò con attenzione, sporgendosi verso di lui. "Davvero? Perché mi sembra che si stia parlando di attraversare un oceano per rivedere una donna che ti ha piantato in asso senza che tu sappia il motivo, per la quale ti struggi da mesi – non credere che non me ne sia accorta -, solo perché ti ha chiamato qualche volta per parlare di cose di nessuna importanza. Se vogliamo fingere che il motivo sia unicamente che lei possa trovarsi in una situazione spiacevole e tu ti senta di dover essere l'eroe che va a salvarla, possiamo farlo benissimo. Ma non è il motivo per cui vuoi correre in Europa. Stai solo cercando una scusa".

La guardò esterrefatto. Che cosa diamine stava dicendo? Era impazzita? Martha non gli diede il tempo di reagire.
"Richard, qual è il problema? Non sei mai stato tanto cauto nel fare qualcosa che desideri, soprattutto quando c'è di mezzo una donna. Hai imposto la tua presenza a quella povera ragazza chiamando in causa addirittura il sindaco. Dove erano tutti gli scrupoli, allora? Il timore che lei non gradisse averti intorno? Non te ne è mai importato nulla. Come può fermarti l'idea di non sapere che cosa dirle? Sei uno scrittore! O il punto è un altro? Hai paura che ti respinga di nuovo?"
Era inorridito, sua madre stava seriamente vaneggiando.
"Non mi ha mai respinto, non so di cosa tu stia parlando". Il solo pensarlo era ridicolo.
"A quanto mi risulta, e da quanto mi hai appena esposto, se ne è andata senza avvertirti, dopo che tu hai messo in piedi al distretto quella scenetta di pessimo gusto insieme alla tua ex moglie, spezzandole il cuore davanti a tutti".

La situazione era seria. Era alle prese con una pazza mitomane. Si nascose la testa tra le mani, cercando di capire come comportarsi. Doveva sorriderle, darle ragione e accompagnarla da uno psichiatra?
"Non ho spezzato nessun cuore. È stata lei a rifiutare il mio invito a trascorrere qualche giorno di vacanza negli Hamptons, perché stava vedendo un'altra persona. C'è cosa c'entra quello che ho fatto io?". Voleva tutta la verità? Eccola servita.
"Quindi tu hai invitato Gina per ripicca?". Non mollava l'osso.
Grugnì. "Come ti ho appena spiegato, questo è un dettaglio ininfluente nel contesto".
"Non stai negando, quindi ci ho visto giusto. E non pensi che questo abbia avuto delle conseguenze sulla decisione di Katherine?"
"Certo che no. Assolutamente, no". No elevato all'infinito.

Lei stava uscendo con Demming, aveva rifiutato il suo invito inventandosi una scusa e, successivamente, aveva ammesso di aver mentito perché non voleva che la situazione tra loro diventasse imbarazzante. Nel quadro generale, dal suo punto di vista, la sua scelta di andarsene con Gina era talmente insignificante da meritarsi solo un posto in ultima fila. Che ora dovesse subire questo immenso e ingiusto capovolgimento di frittata era ai limiti del ragionevole.
La madre rimase a guardarlo in silenzio con l'aria del gatto che si è appena mangiato il topo che si è prima divertito a tormentare.

Non poteva esserci del vero, giusto? Il solo prendere in considerazione la mera ipotesi rischiò di farlo collassare. Le due cose erano collegate? Era impossibile. Lui aveva sempre pensato che avesse scelto di andarsene spinta unicamente da interessi professionali, per migliorare la propria carriera, dimenticandosi in fretta della sua esistenza. Perché lui non era niente di importante, solo un peso fastidioso che era costretta a trascinarsi in giro, diventato improvvisamente di troppo quando all'orizzonte era arrivato un altro uomo.

Ricordava bene che lei era stata sul punto di dirgli qualcosa, quando Gina era arrivata a interromperli, ma lui non aveva mai dato peso a quel particolare. Aveva pensato si trattasse di un commiato di circostanza, qualche parola cortese sulla loro collaborazione, appena prima di andare a festeggiare per essersi liberata di lui almeno per la tregua estiva, in modo da potersi vivere la sua storia con Demming senza la sua indesiderata presenza.

C'era dell'altro? Sua madre poteva avere ragione? Non era tanto egocentrico da credere che lui c'entrasse qualcosa con quello che era successo dopo la sua partenza, se ne rendeva perfettamente conto. Ma poteva averla spinta ad andarsene, in qualche modo che non riusciva nemmeno a stabilire, provocando indirettamente qualcosa che ora non la stava facendo stare bene - se le cose stavano effettivamente così - e di cui lui aveva solo qualche sentore? Si raggelò nel mettere in fila quelle spiacevolissime ipotesi. Si sentì mancare l'aria.

Era prioritario chiarire quel punto, quello che aveva generato tutto il resto. E doveva farlo dal vivo. Doveva prenotare quel maledetto volo il prima possibile. Voleva farle concludere quel discorso, sentirsi dire da lei quello che il peggior tempismo di sempre aveva ucciso sul nascere. Non c'era più tempo per le scuse e gli indugi, doveva volare da lei.

   
 
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