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Autore: moira78    07/10/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 16: Disperazione e speranze

Come sempre, un grazie di vero cuore alla mia insostituibile beta Tiger Eyes, che non solo scova i miei refusi, ma mi ha anche suggerito come rendere migliore questo capitolo: GRAZIE!


Kasumi s'intrattenne con suo padre e il signor Genma solo per pochi minuti, prima di annunciare che sarebbe salita a salutare Nabiki. Aveva imparato a non far trasparire i sentimenti negativi, lo faceva da una vita, e affrettò il passo solo quando si trovò quasi alla fine della rampa di scale.

La voce della sorella minore trasudava panico e disperazione, così aveva deciso di uscire senza neanche rigovernare la cucina. Se quello che le aveva detto corrispondeva al vero e si era pentita, difficilmente si sarebbe potuti tornare indietro. Eppure c'era qualcosa che non le tornava: come aveva fatto a procedere all'adozione così, da un giorno all'altro? A quanto ne sapeva, Nabiki brancolava ancora nel buio e aveva Kuno ad ostacolarla.

Bussò piano e le rispose una voce più composta di quella che aveva sentito al telefono. Sua sorella era seduta sul letto, con una mano sulla pancia.

"Mi sta già prendendo a calci per quello che ho fatto", esordì con un tono triste e ironico al contempo. A Kasumi parve la brutta copia della solita Nabiki.

Sedette accanto a lei, posandole una mano sulla spalla: "Non hai detto niente a nessuno, vero?", le chiese.

"No, e spero non l'abbia fatto tu".

Scosse la testa: ci aveva visto giusto. "No, ho visto papà abbastanza tranquillo e sono salita con una scusa. Mi spieghi cos'è successo?".

Vide Nabiki deglutire più volte, come se temesse di piangere e le si strinse il cuore: nonostante tutto, la sua sorellina continuava a rifuggire i sentimenti come fossero un veleno. Finalmente parlò e lo fece con voce bassa e leggermente tremante.

"Ieri è venuto Tatewaki con dei fogli. Ha detto che ha trovato una famiglia disposta ad adottare il bambino e me li ha fatti firmare. Da quel momento ho gli incubi, anche da sveglia. Fine della storia".

Kasumi aprì la bocca per parlare ma le uscì solo un "oh" poco convinto. C'era qualcosa di strano, in tutta quella storia, e stava cercando di cogliere la nota stonata. "Come mai ti ha portato proprio lui i documenti per l'adozione? Non era contrario?".

Nabiki si strofinò le mani sul viso, come se avesse dormito poco e fosse molto stanca: "Ha detto che preferisce che il bambino stia con una famiglia che lo ami, piuttosto che con una madre che lo ripudia e che pensa solo ai soldi. O, perlomeno, questo è il riassunto della filippica che mi ha rifilato. Credo che mi odi".

"E a te dispiace?", chiese, anche se non era certo quello il punto focale della situazione.

"Di Tatewaki non m'importa nulla", dichiarò con una smorfia che la fece apparire poco sincera, "ma di questo bambino... non so, mi ci ero abituata, ormai. Forse ti sembrerò stupida, ma qualche volta mi ci sono messa persino a parlare, ti rendi conto?!".

Kasumi sorrise all'espressione sconvolta della sorella: "È del tutto normale che una madre parli col proprio bambino mentre è ancora nella pancia, credimi. Io lo facevo sempre con i gemelli ed è un modo di comunicare molto importante, che aiuterà ancora di più il neonato a...".

Vide i lineamenti di Nabiki mutare e si bloccò, per poi concludere in tono piatto: "...riconoscere la voce della sua mamma". Se le cose fossero rimaste così, l'unico ricordo che avrebbe avuto quella creatura della propria madre sarebbe stato qualche tratto ereditario. Il colore degli occhi, forse, o dei capelli, o la forma del naso. Non l'avrebbero mai saputo.

"Non posso più tornare indietro", mormorò Nabiki con l'aria sconfitta e le spalle curve. "Dannazione, l'ho perso prima ancora di rendermi conto che...". Le si spezzò la voce e tirò su col naso, deglutendo di nuovo per impedire alle lacrime di uscire. Kasumi sentì il proprio cuore stringersi alla vista della sua sorellina così fragile, così vulnerabile, come la ricordava appena in tenera età.

"Se avessi pianto prima queste lacrime, forse non sarebbe accaduto, non trovi?", le disse gentilmente, circondandola con il braccio.

"Io non sto piangendo, capito?! Oh, al diavolo!". Si alzò di scatto, sciogliendosi dall'abbraccio e le voltò le spalle.

"Non devi vergognarti di me, Nabiki. Sono tua sorella maggiore e ho conosciuto la tua sofferenza quando eravamo piccole e la mamma è mancata". Le spalle della ragazza sussultarono a quella frase, e Kasumi seppe di aver toccato un nervo ancora scoperto in lei. Come in tutti loro, d'altronde. "Poi ti è successo qualcosa e ti sei messa una maschera impenetrabile. Hai scelto di nascondere i tuoi sentimenti e di indurire il tuo cuore, dedicandoti all'economia della famiglia più che alla tua felicità".

"La mia felicità era fare soldi", dichiarò con voce arrochita ma secca.

"Lo hai sempre pensato, ma non era così. Speravo che fidanzarti con Tatewaki ti avrebbe ammorbidita un po', ma non ti ho mai sentita dire che ne eri innamorata. Ho di nuovo sperato che questa creatura inaspettata ti addolcisse, ma l'hai rifiutata subito. Ora, finalmente, vedo la Nabiki che vorrei aver sempre voluto vedere, anche se stai continuando a fare resistenza", concluse alzandosi e abbracciandola di nuovo da dietro, facendo scivolare una mano sulla pancia prominente. "E forse questo mio nipotino non è veramente perduto".

Kasumi sorrise sinceramente quando Nabiki si voltò di scatto a guardarla: "Che vorresti dire?".

Finalmente, Kasumi aveva capito cosa le stonasse di più in tutta quella storia, ed era giunta a una conclusione così semplice che si stupì di non esserci arrivata prima. O che non ci fosse arrivata la sua scaltra sorellina.

Quando le rivelò la sua teoria, Nabiki si lasciò ricadere sul letto, imprecando contro se stessa.

***

Akane osservò Ukyo lavorare come al solito, ma con movimenti leggermente diversi. Si vedeva che aveva acquisito delle competenze, e non solo dagli ingredienti nuovi che stava usando. Sembrava... più matura.

"Ho dovuto chiudere per qualche giorno per riorganizzare il negozio, ma da oggi si ricomincia a pieno regime. Introdurrò nuove ricette e magari chiederò a Konatsu se vuole tornare ad aiutarmi con i clienti, se dovessero aumentare come spero".

Lei e Ranma non avevano fatto alcun cenno a Ryoga o alla sua assenza, ma suo marito doveva aver deciso che quello era il momento giusto, perché chiese: "Ma quel maiale del tuo fidanzato che fine ha fatto? Ti ha lasciato qui a fare tutto il lavoro?". Akane gli rifilò una gomitata.

Ukyo, però, non si era scomposta, anche se le sue mani avevano tremato per un attimo e l'impasto si era un po' versato: "Lui è... partito per un viaggio di allenamento".

"Ma, scusa, mica sarà partito con Akari?!". Stavolta Akane accompagnò la gomitata a un pestone sul piede che lo fece sussultare e imprecare.

Ukyo servì loro gli okonomiyaki e fece un sorriso triste: "Tranquilla, Akane, so bene che il mio migliore amico ha la leggerezza di un elefante, ma è anche vero che con voi posso confidarmi, visto che siete stati così ospitali con me. Ora, forse, posso parlarne senza uscire di testa".

"Non devi sentirti in obbligo, noi ci saremo sempre e comunque, lo sai". Lanciò un'occhiataccia a Ranma che annuì.

"Sì, scusami, Ucchan, sono stato indelicato. Non devi raccontarci nulla, se non vuoi".

La cuoca però si ravviò i capelli e sospirò, cominciando a raccontare: "Mi sono comportata molto male con Ryoga e lui ha perso la calma, facendomelo notare. Lì per lì pensavo fosse impazzito, ma poi mi sono resa conto che aveva ragione. E ho fatto una cosa riprovevole: ho spinto Akari giù dal bancone, pur sapendo che sarebbe caduta".

Akane cercò di soffocare l'ansito che seguì a quella confessione, ma Ranma si lasciò sfuggire un "accidenti!" di stupore senza alcuna remora.

"Mi vergogno molto del mio gesto, ma ero satura e ho perso calma e ragione. Andrò a scusarmi personalmente con lei e con suo nonno, nei prossimi giorni. Il problema è che ho sbagliato anche con Ryoga e sono stata troppo cieca ed egoista per accorgermene. Non mi sorprende che lui sia esploso e mi abbia tirato uno schiaffo quando me la sono presa con Akari".

Stavolta, nessuno dei due trattenne l'esclamazione di stupore e Ranma cominciò a emanare un'aura minacciosa: "Non avrebbe dovuto, tu...".

"Me lo sono meritato. Lo avrei fatto da sola, se avessi potuto. Ma, a parte la storia di Akari, io l'ho abbandonato con la responsabilità del negozio e della sua palestra, rimandando il mio ritorno senza chiedermi se lui avesse o meno bisogno di me, dando per scontato che andasse bene così e che lui se la sarebbe cavata".

"Ma ti ha tenuto nascosto il fatto che Akari fosse qui, o sbaglio?".

"Ranma!", intervenne Akane, esasperata. Stava dando voce alle sue stesse curiosità, ma lei non si sarebbe mai sognata di essere così invadente.

"Tutto ok, Akane. Ranma ha ragione: ha sbagliato anche lui, ma in buona fede. Non voleva che mi preoccupassi, anche se alla fine ha fatto peggio. Akari si è fatta delle illusioni e lui voleva solo aiutarla. Io non c'ero e lui aveva troppe responsabilità sulle spalle. Come se non bastasse, ho frainteso tutto per via di un bacio rubato e le cose sono precipitate. Era inevitabile. Qualcuno la chiama pausa di riflessione e io credo che lui se la meriti tutta. Sono speranzosa che tornerà da me, alla fine". La voce le tremò su quell'ultima frase. Era evidente che non ci credeva molto nemmeno lei.

Akane le sorrise, rassicurante. L'okonomiyaki, che avevano appena assaggiato, a lei sembrò una delizia esotica: "Quanto è vero che i tuoi okonomiyaki sono diventati persino più buoni di prima, sono certa che lui tornerà. Ti ama, e una volta sbollita la rabbia sarà di nuovo da te".

"Grazie Akane", rispose lei con un sorriso e le lacrime agli occhi. "E ora, che ne dite di provare il tiramisù, come dolce?".

***

Nabiki sentiva tutti gli occhi su di sé e si maledì ancora una volta per essersi lasciata trascinare dai sentimenti. C'era un motivo per cui li aveva rifuggiti per tutti quegli anni e ora se lo stava ricordando dolorosamente: creavano solo sofferenze e problemi.

Dopo che Kasumi era andata via, aveva deciso che era ora di uscire dalla propria stanza per farsi vedere in giro, per mangiare e per prendere aria: nonostante avesse cercato di dissimulare il proprio disagio, che ora si era tramutato comunque in un certo sollievo, non poteva non accorgersi degli sguardi indagatori di suo padre, Genma e Happosai. Era sicura che, a modo loro, avessero subodorato che era successo qualcosa di importante, ma erano le ultime persone con cui voleva parlarne, fosse anche solo per avvalorare la tesi di Kasumi.

Sapeva che la sorella non l'avrebbe mai tradita e avrebbe mantenuto segreto il suo crollo. Se avesse avuto, per un solo istante, la sua lucidità, lei che era sempre stata la mente della famiglia forse non avrebbe sollevato tutto quel polverone. Per fortuna la loro conversazione era rimasta nelle quattro pareti della sua stanza, perché nei loro occhi non leggeva che sospetti e dubitava che si fossero messi a origliare come ai vecchi tempi.

Kasumi non aveva fatto cenno alla sua aria derelitta e agli occhi evidentemente rossi e cerchiati, anche se poteva avvertire che l'aveva davvero sconvolta, ma era rimasta composta e aveva fatto un ragionamento che non faceva una piega. Nabiki si era data una manata mentale sulla fronte che, se fosse stata vera, le avrebbe lasciato il segno per settimane.

Idiota, stupida superficiale che non era altro. Come aveva potuto non pensarci prima?

"Tu... sei certa di quello che mi stai dicendo?", aveva chiesto a Kasumi con una vocina tremante e colma di speranza che non le apparteneva affatto.

"Ovviamente non posso averne la certezza matematica, ma direi che è l'unica spiegazione plausibile, ti pare?". Nel suo tono non c'erano né rimprovero, né giudizio, ma la calma ragionevolezza che l'aveva sempre contraddistinta. E che avrebbe dovuto contraddistinguere anche lei.

Si era sentita talmente sciocca, ad essersi esposta così, anche se di fronte a Kasumi, che avrebbe voluto solo sprofondare. Sua sorella le aveva sorriso, rassicurante, come se le avesse letto nel pensiero, poi aveva sussurrato, come per non sconvolgerla ulteriormente: "Sono felice che tu stia ritrovando il tuo cuore, sorellina".

Quindi aveva cambiato discorso, chiedendole se le servisse qualcosa e si era congedata senza dire altro. Nabiki non aveva parole di gratitudine adatte, e anche la vergogna si era pian piano affievolita.

Ora, non avrebbe dovuto fare altro che aspettare.

"Io esco", disse, sentendo i tre uomini voltare il capo nella sua direzione come fossero una cosa sola. Fuori, all'aria aperta, le parve finalmente di respirare.

***

Akari concentrò il suo ki sulle gambe, ancora una volta. Non voleva portare in superficie il timore che, senza Ryoga, non ci sarebbe più riuscita. Sapeva che non era vero e che doveva a se stessa più fiducia. Katsunishiki era di fronte a lei ed emise un grugnito che le parve d'incoraggiamento: lui, almeno, le sarebbe rimasto sempre fedele. Per il momento non voleva parlarne a suo nonno, non voleva dargli false speranze, ma non avrebbe mollato gli allenamenti.

Doveva sforzarsi di concentrarsi sul suo obiettivo e non pensare ai giorni passati, alla cocente delusione, alle speranze deluse, alla verità che aveva deliberatamente ignorato e al lato oscuro che la stava quasi per sopraffare. Sarebbe risorta insieme alle sue gambe e avrebbe avuto la sua vita. Anche senza Ryoga. Lui non sarebbe mai stato suo e lei non avrebbe mai dovuto comportarsi in quella maniera. Poteva capire la reazione di Ukyo.

In un impeto di rabbia, la sua aura esplose sollevando steli e zolle d'erba e sentì i muscoli delle gambe tendersi come non le capitava da anni. Sfruttò quel momento per piegarle e tirarsi in piedi. Allargò le braccia per bilanciarsi e il suo maiale nero le fu accanto, aiutandola a sostenersi. La potenza accumulata scemò ma tentò di tenersi in piedi, ricadendo miseramente al suolo dopo quasi un minuto.

"Forse dovresti prima rinforzare i muscoli, perché ti tengano meglio". La voce di suo nonno la riscosse e lei alzò il viso, ansimante e sudata, per incontrare il sorriso emozionato di suo nonno. Katsunishiki batteva le zampe come in un applauso.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Akari Unryu sentì la speranza e il calore avvolgerla come un abbraccio confortevole: coloro che amava e che la amavano erano sempre stati accanto a lei e non doveva cercare altrove.

***

Akane accolse il termine dei suoi allenamenti con il gruppo dei bambini con un sospiro di sollievo. Aveva dormito poco e male, e si disse che forse poteva dipendere dalla nuova cucina di Ukyo. Gustosa, sì, ma completamente diversa da quella cui erano abituati. Ranma aveva russato sonoramente tutta la notte, invece, e lei si ripromise di farsi dare qualche lezione dalla cuoca di okonomiyaki, magari chiedendole di insegnarle a usare qualcuno dei nuovi ingredienti e accostamenti scoperti in Europa.

Per quanto la riguardava, forse, non era ancora pronta a sapori così esotici e fece una smorfia quando sentì lo stomaco brontolare in protesta al digiuno forzato di quella mattina. Magari poteva entrare in casa e mangiare una ciotola di riso. L'atmosfera stranamente silenziosa che l'accolse le indicò che forse aveva scelto il giorno sbagliato per fare colazione a casa di suo padre, ma ormai era abituata agli alti e bassi di quegli ultimi tempi.

Trovò suo padre intento a parlare a bassa voce con Genma e Happosai, mentre di Nabiki non c'era traccia. Brutto segno. "Akane, bambina mia!", le si fece incontro Soun con le lacrime agli occhi.

Lei ricambiò brevemente il suo abbraccio, poi gli rivolse uno sguardo interrogativo. "Beh, ecco, vedi...", cominciò con voce tremante e Akane pensò a mille cose che potevano essere andate storte con la gravidanza della sorella, non ultima una disgrazia.

"Nabiki ha deciso di uscire di casa ed è da ieri che è molto strana. Non mi stupirebbe se stesse finalmente riuscendo nel suo intento di far adottare il bambino", annunciò il vecchio maestro, con le braccia conserte e un'espressione grave sul volto rugoso.

Rimase di stucco, gli occhi sgranati che andavano da suo padre, ormai sciolto in lacrime, a Genma, che annuiva con tetra serietà. Aprì bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono. Voleva gridare contro Nabiki, scuoterla come un fuscello e obbligarla a tirare fuori quel suo cuore di ghiaccio per studiarlo e capire cosa fosse andato storto durante quei vent'anni, perché fosse così diversa da lei e Kasumi.

Certo, Nabiki era quella che faceva quadrare i conti, che pensava freddamente ai soldi, ma sapeva che avrebbe dato un braccio per la sua famiglia, anche se a modo suo. E, per quanto non accettasse la gravidanza, anche quel bambino era la sua famiglia e non capiva come avesse potuto dare seguito alla sua intenzione di darlo via una volta nato. Era assolutamente convinta che, col passare dei mesi, avrebbe sviluppato l'istinto materno e si sarebbe affezionata a quella creatura; che quel suo diniego iniziale, che le aveva sconvolto tutti i piani, si sarebbe trasformato in accettazione e amore.

Invece non era andata così, e Akane pensò che l'aridità di Nabiki era ben più grave di quanto avesse immaginato. Scosse la testa, svuotata di ogni energia, e chiese di potersi sedere a mangiare qualcosa: aveva bisogno di recuperare un po' di forze per pensare più lucidamente. Mentre mangiava, seduta alla tavola che per tanto tempo aveva visto le famiglie riunite, Akane fu colta da un senso di vuoto enorme: davanti a lei c'erano solo suo padre, Genma e Happosai, con espressioni gravi e pensierose e lei sentì le lacrime salirle agli occhi: Kasumi viveva a casa di suo marito e aveva la sua vita; Nabiki si rintanava per giornate intere in camera sua, prigioniera di una gravidanza indesiderata; Nodoka era morta durante il terremoto e con lei anche quella vecchia volpe di Cologne; Shampoo e Mousse erano tornati in Cina; diamine, in quel momento persino le idiozie di Kuno le mancavano: ma anche lui era cambiato profondamente. E poi Ukyo, Ryoga, lei e Ranma, da soli in un'altra casa...

"Tesoro?", la voce di suo padre risuonò allarmata alle sue orecchie e Akane si rese conto che stava per perdere i sensi.

"Akanuccia!", intervenne il vecchio maestro sostenendole la testa mentre si accasciava, suo malgrado, a terra. Non fece il minimo tentativo di approfittare della situazione e ad Akane parve triste persino questo. Forse era semplicemente impazzita.

Riuscì a rimanere vigile, anche se il respiro era affannato e le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance senza che lei potesse impedirlo.

"Mi dispiace, tesoro, non volevo caricarti di altre preoccupazioni", le stava dicendo suo padre, tamponandole la fronte con una pezza umida. L'acqua fredda la rinfrancò leggermente.

"Non è niente, scusami tu. È che stamattina non ho fatto colazione e devo essermi stancata più del solito. La casa mi è parsa così vuota e ho avuto nostalgia del passato, di quando qui dentro regnava il caos più totale".

"Eravamo più felici, vero?". Genma stava scendendo le scale e aveva in mano un sacchettino che Akane riconobbe immediatamente: era la medicina che anni prima Ranma le aveva dato quando si era ammalata e le era salita la febbre. Deglutì, ripensando al sapore, ma non osò rifiutarla.

"Funziona anche come energetico, non a caso la tramandiamo nella famiglia Saotome da generazioni", spiegò l'uomo porgendogliela con un bicchiere d'acqua.

"Ma ha una data di scadenza questo vostro medicinale portentoso?", domandò Soun, preoccupato.

"Le tradizioni millenarie non hanno scadenza e ne ho presa una io stesso una settimana fa per un problema allo stomaco. Come vedi, sono ancora vivo!", ribatté lui, piccato.

Akane sorrise ed ebbe cura di inghiottire velocemente la pastiglia per non avvertirne troppo a lungo l'aroma disgustoso sulla lingua.

"Figlia mia, eri davvero più felice tanti anni fa, quando le cose tra te e Ranma non andavano bene?", le chiese suo padre con apprensione.

Akane rifletté per qualche secondo, non volendo ferire nessuno ma tentando di dare voce ai suoi sentimenti: "Non dico questo, no. Sono felice con mio marito, ora, in questi ultimi anni". Sorrise nel pronunciare 'mio marito'. "Ma mi manca stare tutti insieme ogni giorno, e non solo durante le feste e i compleanni. Mi manca il calore di una famiglia unita, mi mancano le persone che non ci sono più...". Si morse il labbro e vide Genma abbassare il capo, ricordando certamente la sua povera moglie. "Soprattutto mi manca la spensieratezza di quei giorni, durante i quali la mia unica preoccupazione era che Ranma non si facesse ingannare da Shampoo o da Kodachi. Forse penserete che sono impazzita, ma in questo momento se arrivasse lei in persona a spargere rose nere per casa reclamando 'il suo adorato Ranma', mi verrebbe da ridere!".

Tacque, rendendosi conto che la stavano fissando con espressioni caute e costernate. Lei stessa era sconvolta.

"Sei maturata molto, Akane", disse infine suo padre, con voce tremante. "Tutti abbiamo dovuto vedercela con situazioni gravi e prendere decisioni importanti, ma passare dall'adolescenza all'età adulta può spaventare, specie quando ci sono responsabilità così grandi da sostenere. Per questo ti capisco, figlia mia. E, forse, capisco un po' di più anche Nabiki, nonostante il suo comportamento mi ferisca molto".

"Credo proprio sia questo il punto", ammise lei con voce tremante. "Nonostante i momenti felici, mi rendo conto che ognuno di noi ha la sua vita, adesso, e vorrei che tutto andasse bene come allora. O quasi". Si sforzò di sorridere e si asciugò gli occhi. "Grazie, zio Genma, mi sento già molto meglio".

Si alzò e si avviò verso la porta, tra le proteste degli altri che volevano riposasse ancora qualche minuto. "Sto bene, davvero. Papà, ti prometto che parlerò con Nabiki, appena possibile, per capire se quello che teme Happosai sia vero o no".

L'uomo scosse la testa e le prese le mani: "No, figlia mia. Non voglio che tu ti faccia carico di tutti i problemi di Nabiki. Come Kasumi, anche tu hai la tua vita, adesso, ed è giusto che te la goda. Tua sorella è abbastanza grande per prendere le sue decisioni e io non ho più le forze per lottare contro di lei. Sarà quel che sarà, accetterò la sua volontà per terribile che possa essere. Magari, dopo, sarà più felice, e nonostante detesti l'idea di perdere un nipote, voglio che le mie bambine siano serene".

"Oh, papà", riuscì solo a dire Akane prima di scoppiare nuovamente in lacrime, abbracciandolo e sfogando tutta la sua frustrazione. Nonostante stesse soffrendo di fronte alla resa così innaturale dell'uomo, dentro di lei prese piede un sentimento di ribellione che la indusse, per un momento, a cercare sua sorella e scuoterla per le spalle finché non fosse rinsavita. Ma aveva ragione lui: non poteva, e neanche voleva, farsi carico di tutto. Doveva pensare alla sua, di famiglia, al suo Ranma, alla sua casa e alla palestra. Ci sarebbe sempre stata per i suoi cari, ma non così, non con lo spirito di sacrificio che la induceva a salvare quel bambino a ogni costo: avrebbe avuto qualcun altro che lo avrebbe amato, anche se non era la sua madre naturale. E, forse, sarebbe stato persino più felice.
   
 
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