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Autore: moira78    21/10/2019    4 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 17: INCONTRI


Mentre Katashi Buta (1) s'impegnava a piegarle ritmicamente le gambe, Akari rifletté che incarnava proprio la forza e la solidità di un maiale che lei tanto ammirava. Alto, massiccio e con le narici leggermente divaricate, era più simile a Katsunishiki che non al tenero P-chan. I suoi occhi azzurro chiaro incontrarono ancora una volta il suo sguardo per chiederle tacitamente se andasse tutto bene.

La ragazza annuì, cercando di percepire il minimo cambiamento, fosse anche una sensazione di solletico a quelle gambe che, ormai da anni, non avevano più la minima sensibilità. Ciò che aveva provato quando era riuscita a mettersi in piedi convogliando il ki era più che altro un senso di formicolio, come se fossero due pezzi di legno quasi estranei al suo corpo. Sperava ardentemente che il nonno avesse ragione e che le sedute di fisioterapia l'aiutassero davvero a rinvigorire i muscoli ormai atrofizzati.

"Sei stanca, Akari?". Come i suoi modi, anche la voce di Katashi era gentile, in contrasto con la sua corporatura imponente e rassicurante. La ragazza sorrise: "Un po', ora preferirei concentrarmi sulle braccia".

Il ragazzo scosse la testa: "Da quanto tempo non provi quella tecnica che ti ha permesso di alzarti in piedi già in due occasioni?".

Lei ci pensò su un attimo: "Direi da un paio di settimane, quando ho deciso con il nonno che dovevamo rinforzare le gambe. Mi sembrava inutile sprecare altre energie prima".

"Giusto, giusto, ma forse adesso potremmo anche riprovarci, che ne dici? Dopotutto l'allenamento che abbiamo fatto è stato intensivo, posso già sentire il tono muscolare particolarmente migliorato".

Akari deglutì, a disagio. Temeva di non riuscire a concentrarsi con uno spettatore che non fosse Ryoga e non voleva fare una figuraccia.

Da quando in qua mi vergogno e mi preoccupo di quello che possono pensare gli altri?

La ragazza s'interrogò sul senso di sicurezza che quel ragazzone alto e cordiale le ispirava e si diede mentalmente della stupida. Stava forse cercando, inconsciamente quanto inutilmente, un sostituto dell'unico che avesse mai amato nella vita? Non poteva certo essere la sua vaga somiglianza fisica e anagrafica con i maiali a farglielo guardare con occhi diversi.

Potrebbe trattarsi della speranza che rappresenta per me, o più semplicemente del colore così strano dei suoi occhi.

Si accorse che Katashi le stava palpando le gambe e arrossì.

Sta saggiando i muscoli, quindi niente idee strane. È un professionista e, soprattutto, non può minimamente interessarsi a una come me.

"Allora? Ci proviamo?", esclamò con un sorriso contagioso. Akari non riuscì a dirgli di no.


***

Ryoga riemerse dal cumulo di rocce con un potente Bakusai Tenketsu. Ansimando, prese grandi boccate d'aria e rifletté su quanto avesse rischiato.

Rintanato in una caverna dopo la pioggia notturna, aveva vagato nelle viscere della terra per ore e aveva perso la testa: mille pensieri gli si erano affollati nella mente e invece di provare con uno tsubo detonatore aveva dato vita a uno Shishi Hoko Dan che aveva rischiato di ucciderlo, seppellendolo vivo.

Volse lo sguardo al cielo, godendosi il sole e il vento leggero, mentre l'istinto alla vita gli faceva ringraziare tutti i Kami di essersi tratto d'impaccio letteralmente per miracolo.

Cosa gli era saltato in testa? Perché era così disperato e aveva commesso un errore tanto grossolano?

Interrogò il suo cuore inaridito e rievocò le immagini di tanti anni prima. Akane, il suo primo amore. Akane, che amava tanto quel maialino nero e se lo stringeva al petto senza sapere nulla della sua identità. E poi Akari, la sua dolce e sfortunata Akari, che lo amava proprio per quella sua natura di porcellino e che gli aveva regalato l'emozione di far battere di nuovo il suo cuore.

E poi c'era Ukyo.

Con lei era diventato adulto. Con lei aveva condiviso ogni briciolo del suo cuore e ogni centimetro del suo corpo, rendendola donna al contempo. Erano cresciuti insieme, in un momento delle loro vite in cui sembrava tutto perduto.

Tutte. Tutte, lo avevano tradito. Ora non aveva più nulla.

Tre donne, di cui una sposata con colui che aveva ritenuto per anni suo nemico; un'altra che aveva avuto la vita distrutta dal terremoto e che aveva continuato ad amarlo mentre lui non la corrispondeva più; e l'ultima, che lo aveva abbandonato quando ne aveva più bisogno.

Ryoga chiuse gli occhi, cercando di scindere gli eventi per analizzarli meglio, dopo averne preso debita distanza in tutti quei giorni lontano da casa. In realtà, quella perduta era una sola e ormai era sicuro che non fosse colei che amava; perlomeno, non amava Akane che come una carissima amica, un'amica che custodiva lo struggente ricordo di un primo amore impossibile e platonico.

Le altre due donne erano per lui, invece, ancora un dolce tormento.

Era ancora più che certo che il suo cuore appartenesse a Ukyo, ma l'arrivo di Akari, così determinata a riconquistarlo, lo aveva scombussolato non poco. Se la cuoca di okonomiyaki non fosse tornata o lo avesse lasciato, forse avrebbe accettato ciò che gli offriva così incondizionatamente. Ma sarebbe stato corretto? Akari non meritava di essere una seconda scelta o, peggio, una sorta di ripiego. Akari meritava un amore vero, totale, disinteressato, perché a dispetto della sua condizione fisica e del suo maldestro tentativo di riaverlo, era una persona speciale.

In conclusione, dentro di lui, in ogni singolo battito cardiaco e in ogni goccia del suo sangue, rimaneva la piccola Ucchan. La stessa che se n'era andata per studiare, rimandando il suo ritorno tante volte. La stessa che lo aveva caricato della responsabilità del suo locale mentre doveva far fronte ai suoi impegni con la palestra e al ritorno di Akari. La stessa che, in un impeto di gelosia, aveva compiuto un gesto tanto basso che Ryoga non lo avrebbe mai creduto possibile.

Eppure, solo in quella radura che si trovava chissà dove sulla cartina del Giappone, l'avrebbe baciata fino a toglierle il respiro, le avrebbe strappato i vestiti di dosso e l'avrebbe amata fino allo sfinimento, per dimostrarle la rabbia, il dolore e la tenerezza accumulati per tanti mesi in cui non l'aveva avuta accanto.

Con un sorrisetto ironico, Ryoga cominciò a camminare, dandosi da solo del pervertito e chiedendosi se, quando le ferite si fossero finalmente rimarginate, sarebbe stato abbastanza coraggioso da chiederle di sposarlo.

Ora, però, aveva qualcosa di più importante da fare e sperò che il suo orientamento, migliorato negli anni, lo assistesse per condurlo dove voleva arrivare.

***

Ukyo si sentì come doveva sentirsi il suo fidanzato quando ancora si perdeva ovunque. O, forse, doveva dire il suo ex fidanzato. Non sapeva cosa Ryoga provasse per lei in quel momento, né dove si trovasse, ma di sicuro tra loro qualcosa si era spezzato per sempre.

E la colpevole era lei.

Si fermò a chiedere indicazioni a un contadino che stava zappando il terreno e le seguì minuziosamente, sperando di non perdersi davvero. La fattoria non doveva essere, ormai, molto lontana.

Durante quei lunghi giorni, aveva avuto modo di riflettere e si era resa conto, in modo ancora più chiaro, di quanto avesse sbagliato. Certo, aveva tutto il diritto di inseguire i propri sogni e di studiare all'estero ma non si era mai, una sola volta, chiesta cosa ne pensasse davvero Ryoga. Aveva dato per scontato il suo appoggio totale, senza rendersi conto dei suoi sentimenti e delle responsabilità che gli lasciava sulle spalle. Il suo locale, la palestra che non poteva certo abbandonare e, non ultima, la sua lontananza che doveva essergli costata molto. Si era illusa che i suoi "non preoccuparti" al telefono fossero sinceri, autoconvincendosi che Ryoga fosse semplicemente felice per lei e se la cavasse alla grande. Non si era mai soffermata sulla mole di lavoro che stava sopportando mentre lei studiava allegramente per l'Europa.

Le aveva tenuto nascosto l'arrivo di Akari e questo era sicuramente discutibile, soprattutto considerando che poteva lasciar pensare male il fatto che vivessero sotto lo stesso tetto. Ukyo aveva cercato di capire il punto di vista del ragazzo, che non voleva allarmarla inutilmente, visto che la stava solo allenando, ma non poteva togliersi dalla testa che avrebbe dovuto esserne informata. Tanto più che Akari, evidentemente più disperata di quello che avesse dato a vedere negli anni precedenti, aveva tentato un maldestro riavvicinamento, trasformandosi in una persona sconosciuta, così diversa da quella che le aveva raccomandato la felicità di Ryoga.

Eppure... forse la felicità di Ryoga era stata effettivamente l'ultima cosa a cui aveva pensato mentre continuava a rimandare il suo ritorno, spostandosi da un luogo all'altro. Non voleva dire che avesse ragione a volerlo riconquistare, ma di sicuro Ukyo avrebbe potuto tornare prima, o persino chiedergli di raggiungerla e chiudere palestra e locale per un po'.

Alla fine dei giochi, la colpa era distribuita tra tutti e tre, ma forse lei era quella che aveva fatto gli errori più grossi, distruggendo il rapporto che aveva con il fidanzato e la propria umanità. Si era rivista mille volte nell'atto di spingere Akari, invalida, giù da quel bancone e ogni volta la vergogna la sopraffaceva. Certo, l'aveva scoperta mentre lo baciava senza remore, ma non era certo quello il modo di reagire: avrebbe potuto urlare, discutere, forse persino schiaffeggiarla per gelosia, ma ciò che aveva fatto era un colpo così basso che non solo non si addiceva a un'artista marziale rispettabile, ma neanche a una persona perbene. Aveva approfittato del suo problema alle gambe per farle del male volontariamente.

Scosse la testa, continuando a guardare il terreno e si sorprese da quello che vide quando, finalmente libera dalle sue elucubrazioni, alzò lo sguardo. Era arrivata a destinazione e la fattoria si stagliava davanti a lei, immersa nel verde. Akari si trovava fra le braccia di un ragazzo robusto e sembrava sconvolta e Ryoga lo stava colpendo con un pugno proprio in quell'istante.

Convinta di sognare per la mole di assurdità che le si paravano innanzi, Ukyo rimase spiazzata per un attimo. Nonostante ciò, cominciò a correre verso di loro.

***

La Rosa Nera si sentiva emarginata come non le era mai successo in vita sua. Ora che il suo adorato Ranma era sposato con la sua peggior rivale e suo fratello si era bevuto il cervello a causa di quella sciacquetta della sorella maggiore, non le rimaneva che la ginnastica ritmica. Era stata all'estero, aveva migliorato le sue capacità e vinto premi, ma a parte i complimenti sporadici di Tatewaki e del suo caro padre durante le rare volte in cui li andava a trovare, non era stata tenuta in gran considerazione.

Tutta la vita di suo fratello ruotava intorno a Nabiki Tendo e a quel bambino che avevano, disgraziatamente, concepito. Tatewaki era sempre molto misterioso in proposito e quando, qualche giorno prima, gli aveva chiesto spiegazioni dopo averlo visto in compagnia dell'avvocato di famiglia, lui non solo non le aveva risposto, ma era uscito di casa con aria grave e dei fogli in mano. Sicuramente per andare da lei.

Le sorelle Tendo le avevano rovinato la vita, togliendole prima il suo uomo e ora il suo unico fratello. Ma Kodachi Kuno, adesso, aveva le idee chiare e sapeva che era ora di uscire di scena elegantemente, fosse mai che qualcuno avesse sentito la sua mancanza, prima o poi.

Diretta alla meta, camminava a testa alta, certa che la sua decisione fosse la più giusta che avesse mai preso in vita sua. Quasi inciampò in un mucchietto di vestiti e borse della spesa: quando si accorse di chi stava per calpestare, rimase di stucco: "Akane Tendo?!", ansimò.

***

Nabiki chiuse a chiave la porta della propria stanza. Non lo aveva mai fatto in vita sua, perché sapeva che, casomai, era la sorella minore ad essere oggetto delle attenzioni e dei tentativi di spionaggio della famiglia.

Stavolta, però, non voleva rischiare che qualcuno scoprisse cosa aveva acquistato. Le sue uscite, ufficialmente, erano atte a rimpinguare il proprio guardaroba che scarseggiava di vestiti larghi o premaman, come li si etichettava di solito. Non solo le serviva qualcosa da indossare subito, ma anche da tenere nell'armadio per i tre mesi successivi, nei quali la sua pancia avrebbe raggiunto dimensioni più ragguardevoli.

La parte più complicata era stata uscire e prendere la metropolitana nelle sue condizioni. Non riusciva a camminare per lunghi tratti, ma era stata fortunata e aveva trovato posti a sedere sui mezzi e panchine lungo il tragitto per i negozi e aveva potuto riposare e concedersi anche una bibita fresca in un bar. Era necessario che si allontanasse il più possibile dai luoghi che era solita battere con le sue amiche per lo shopping ordinario, anche se ormai tutte sapevano della gravidanza, perché non voleva incontrare nessuno che la conoscesse e potesse farle domande, incluse le commesse dei negozi che frequentava.

Non voleva consigli, complimenti, gridolini o persino mani che avrebbero potuto sfiorarle la pancia con sorrisi beoti stampati sul volto. Non era assolutamente pronta a essere trattata come una futura mamma felice e contenta. Stava facendo i conti con sentimenti troppo nuovi e contrastanti e aveva bisogno di tempo e di equilibrio se non voleva impazzire. Le bastava godersi le nuove sensazioni da sola con il suo bambino che la prendeva a calci, parlandogli e confidandogli timori e incertezze lontano dagli occhi e dalle orecchie del resto del mondo.

Tolse dalle buste quell'abbigliamento così insolito per lei e lo ripose storcendo il naso, rimpiangendo i jeans e gli shorts a cui era abituata e rassegnandosi a somigliare sempre di più a una specie di balena con le gambe. Poi, si dedicò alla confezione a causa della quale aveva deciso di chiudere a chiave la porta.

Non sapeva realmente come sarebbe andata a finire tutta quella storia, ma mentre si appoggiava la tutina azzurra al pancione, chiedendo al figlio non ancora nato se gli piacesse, si sentì bene come non le capitava da tempo. Da molto, moltissimo tempo.

***

Per essere un ragazzone grande e grosso, Katashi sembrava terrorizzato dal sangue e dalle ferite. Ogni volta che Ukyo tentava di avvicinarsi con il cotone imbevuto di disinfettante, lui si scostava come se scottasse e alla vista del rosso sulle sue dita, il colorito aveva virato al grigio-verdognolo.

"Chiudi gli occhi e fai finta che qui ci sia solo acqua", gli suggerì, poco convinta.

Lui deglutì, obbedendole, ma sembrava sul punto di vomitare. O di svenire. O entrambe le cose. Certo, la sua faccia era un disastro su cui spiccavano gli occhi di quel colore così particolare: di un azzurro così chiaro che sembrava trasparente, non era come i lampi di cielo di Ranma, né come il colore marino di quelli mezzi ciechi di Mousse.

Ukyo si domandò da quando in qua si concentrava sui colori degli occhi dei ragazzi e si ricordò, per l'appunto, di averne puntati sulla schiena un paio di color nocciola. Non capiva la reazione eccessiva di Ryoga e, anche se non dava a vederlo, artigli di ghiaccio le affondarono nel cuore quando immaginò che fosse una scenata di gelosia. E, comunque, perché si trovava lì anche lui?

"Ahi, ahi!", si lamentò Katashi, sfuggendo alle sue cure.

"Vuoi che ti metta qualche cerotto?", domandò Akari dal suo angolino, ma lui scosse la testa. La ragazza era rimasta in disparte, sconvolta. Ukyo l'aveva chiaramente vista tra le braccia del ragazzo. In piedi. Quindi, doveva essere sopraffatta dalle emozioni più diverse, incluso lo shock del pestaggio che aveva subìto quello che, da quanto aveva urlato per fermare un inarrestabile Ryoga, era solo il suo fisioterapista. Il quale non la stava abbracciando contro la sua volontà, ma sostenendo.

"Sono... costernato. Mi dispiace tanto, io credevo...". La voce non sembrava neanche più la sua.

"Per favore, non ne parliamo più. Ci siamo chiariti già una decina di volte, no? Guarirò, amico, anche se non so in quanto tempo", lo interruppe Katashi alzandosi in piedi. "Ora torno a casa. Akari, ti dispiace se ci vediamo la prossima settimana? Hai avuto troppe emozioni, per oggi. E anche io", si schernì facendole l'occhiolino.

"Tornerai?", gli chiese con una speranza dipinta sul volto che fece pensare a Ukyo che tenesse a lui più di quanto immaginasse.

"Certo che tornerò. E indosserò un camice da fisioterapista con su un cartellino con le mie credenziali. Tanto per non dare più adito a fraintendimenti".

Lei sorrise e la tensione parve allentarsi un poco, anche se Ukyo avvertì chiaramente quella di Ryoga, mista a vergogna, emanare da lui come un'aura. Si concesse di guardarlo di sottecchi e le si strinse il cuore a vederlo così a causa di Akari. Di nuovo.

Quando Katashi si fu accomiatato, rimasero loro tre, in un silenzio imbarazzato nel quale intervenne solo il nonno di Akari, per avvisare che andava a preparare il pranzo.

Ukyo decise di prendere in mano la situazione. Non erano forse le donne, in caso di stallo, ad avere più coraggio e determinazione degli uomini?

"Bene, vi lascio parlare. Se eri qui probabilmente volevi parlare con lei, giusto?". Non si aspettava il tocco di Ryoga, che con un gesto deciso la bloccò per il braccio.

"No, resta. È vero, sono venuto fin qui per parlare con Akari, proprio come te. Non c'è nulla che tu non possa ascoltare".

Ukyo si risedette come un automa, terrorizzata da quello che stava per ascoltare. Per quanto ne sapeva, Ryoga poteva benissimo essere tornato da Akari per dichiararsi. La sola idea la fece sentire come se stesse per morire.

***

"Bene, bene, ma guarda chi si vede di nuovo in giro! Colei che ha rubato il mio uomo con l'inganno!". Kodachi era furiosa e si accorse a malapena dello sguardo incendiario che Akane le aveva rivolto.

"Io non ti ho rubato nessuno, tantomeno con l'inganno!", rispose la scellerata con voce stanca e provata. Chissà cosa ci faceva là, mezza svenuta in mezzo alla strada con tutti quei pacchi.

"Oltre ad essere bugiarda ti sei anche rammollita, Akane Tendo? Cos'è, non riesci più neanche a portare la sporta della spesa?", ribatté velenosa, cercando di nascondere il suo stupore nel vederla in quello stato. Come minimo era ammalata, su questo non aveva dubbi. E il suo Ranma meritava una ragazza forte come lei, non certo una così debole.

"Non sono cose che ti riguardano", le rispose sfacciatamente, tentando di rimettersi in piedi con tutte le buste. D'istinto, Kodachi gliele afferrò e le tenne con un dito dietro la spalla, come se pesassero non più di un grammo l'una.

"Come vedi sono sempre io la più forte" e si lasciò andare a una delle sue risate. Sperava che Akane ne ricordasse bene il suono, perché non l'avrebbe più sentita, a breve.

"Ridammele!", s'inalberò l'odiosa rivale, ma nel suo maldestro tentativo di afferrarle riuscì solo a cadere per terra.

Kodachi rimase spiazzata, tanto che smise di ridere. Akane Tendo stava peggio di quel che credesse e si piegò sulle ginocchia per guardarla meglio: sudava ed era pallida come un lenzuolo: "Di solito sono le mie pozioni magiche a mettere ko le persone. Che diavolo hai fatto per ridurti in queste condizioni pietose?".

Per tutta risposta, Akane si portò una mano alla bocca, avanzò carponi fino a un angolo tranquillo e vomitò, scossa da un singolo conato. Kodachi quasi lasciò cadere le buste e capì che, chiunque le avesse viste in quel momento avrebbe pensato che, finalmente, la Rosa Nera era riuscita ad avvelenare la sua antagonista.

***

Quando Akane riaprì gli occhi vide un soffitto bianco.

Dove diavolo sono?

"Oh, ti sei svegliata, finalmente". Il dottor Tofu era accanto a lei e Kasumi stava mettendo a posto qualcosa nell'armadio alle sue spalle.

"Cosa è successo? Ero uscita a fare la spesa...". Si sentiva confusa, aveva un sapore amaro in bocca ma si ricordava l'incontro con Kodachi. "È stata lei? Mi ha colta di sorpresa?".

Kasumi si avvicinò e le prese la mano: "Akane, Kodachi ti ha portata allo studio dicendo che eri svenuta, ci sembrava sincera". Scambiò un'occhiata con il dottore, che annuì. "Se avesse davvero voluto farti del male non sarebbe corsa qui, non credi?".

Si accigliò, sospettosa.

Mi ha derisa perché ha visto che non riuscivo neanche a portare la spesa. Non è stata lei...

"Non mi sono mai sentita così male in vita mia", ammise suo malgrado.

"Già, me ne sono accorta anch'io. E non si dica che la colpa è stata mia, perché se davvero avessi voluto avvelenarti non staresti qui a parlare, adesso". Kodachi apparve sulla porta, le braccia incrociate e l'espressione severa di chi sia stata accusata ingiustamente.

"Già, hai ragione, ti chiedo scusa. Di certo uno dei tuoi intrugli sarebbe stato più efficace". Poi si ricordò delle parole di Kasumi e aggiunse: "Comunque, grazie per avermi portata dal dottor Tofu".

Kodachi fece un sorrisetto di sbieco: "Sia mai che il mio adorato Ranma mi accusi di tentato omicidio alla sua cara sposa! A breve dovrò dirgli addio e voglio che il nostro saluto sia romantico e speciale!", aggiunse con aria sognante.

Per un istante, Akane si dimenticò del proprio malessere: "Che cosa vorresti dire, Kodachi?".

"Che ho intenzione di sparire dalla circolazione. Per sempre. Mi rimpiangerete. Tutti!". Kodachi aveva sputato quelle parole con disprezzo e vide eguali espressioni di stupore anche sui volti di sua sorella e del dottor Tofu. Che diavolo si era messa in testa quella pazza? Non voleva mica...

La sua risata, che solo poco tempo prima aveva quasi rimpianto, le trapanò il cervello e Akane credette di svenire di nuovo: "Cosa ti sei messa in testa, razza di stupida?!". Gridò, invece, "ricordati che hai un fratello e un padre e sei giovane! Hai una vita davanti e non è certo per Ranma che devi pensare a...".

Kodachi smise di ridere, guardandola come se le fosse spuntata una seconda testa. Sbatté le palpebre un paio di volte e poi riprese a ridere più forte di prima. Kasumi e Tofu, ormai evidentemente spiazzati, si guardavano senza capire e Akane sentì montare la rabbia: "Non c'è niente da ridere!", s'infuriò.

"Oh, Akane Tendo, non credevo che un giorno ti saresti preoccupata per me! Ma, d'altronde, la Rosa Nera è un tesoro nazionale a cui è difficile rinunciare, me ne rendo conto. Però ormai ho preso la mia decisione e andrò a vivere all'estero con mio padre".

Fu il suo turno di sbattere le palpebre, come per metterla a fuoco: aveva, quindi, travisato le sue parole? Da come si era espressa sembrava davvero fosse intenzionata a bere lei stessa uno dei suoi veleni.

"Pensavi forse che avrei messo fine alla mia preziosa e brillante vita? Come sei ingenua, Tendo, io ho ben altri progetti! Portare la mia eccellente persona laddove possa essere maggiormente apprezzata e non ci siano fratelli impazziti, marmocchi in arrivo o donne che attentino alla fortuna dei Kuno".

Akane sospirò di sollievo: non faceva una piega, Kodachi si era semplicemente stufata di starsene a Nerima senza più ricevere attenzioni e voleva trovare la sua strada: "E dove ve ne andrete?".

"Oh, Akane, ma in California, naturalmente! La terra del sole e delle palme tanto care al mio papà! La storia tra Tatewaki e tua sorella lo ha definitivamente convinto che io sono l'unica figlia degna di attenzioni, e ha detto che mi porterà in giro per tutta l'America del sud e anche negli Stati Uniti! Oltre che stella della ginnastica ritmica potrei rischiare di diventare persino una star di Hollywood, mentre voialtri marcite in questa cittadina dimenticata dai Kami, ma ci pensi?". E scoppiò a ridere di nuovo.

Akane scosse la testa: l'ego di quella ragazza era così enorme che rischiò di esserne soffocata, ma in qualche modo era felice per lei. Forse avrebbe trovato davvero la sua strada, anche se non quella che le suggeriva il suo cervellino così lontano dalla realtà. Glielo augurava davvero, nonostante tutto.

"Beh, visto che mi hai presa dalla strada e portata qui quando mi sono sentita male, non me la sento di inveire contro di te perché ci hai insultati tutti, Kodachi Kuno, ma anzi ti ringrazierò di nuovo". Le tese la mano e la ragazza la guardò come se ne avesse orrore.

"Non sono tua amica, Akane Tendo", chiarì altezzosa, "ti ho già spiegato come mai ti ho soccorsa e non è stato certo per pietà. Ti vedrò sempre come colei che mi ha rubato il mio adorato Ranma".

Sorrise, quasi divertita: "Ma certo", le concesse.

Kodachi cominciò a far roteare il nastro, spargendo rose nere ovunque. Se quello era il suo commiato, Akane se ne rallegrò.

"Addio abitanti di Nerima, godetevi la vostra misera vita relegati qui, la Rosa Nera volerà presto per terre più consone al suo valore!". La risata l'accompagnò fino a che non fu fuori dalla clinica.

Akane ridacchiò: "Credo fosse il suo modo per salutarci e dirci che le mancheremo. Oppure no".

"Già, lo credo anch'io", convenne Kasumi.

Il dottor Tofu batté le mani, riportandola al problema principale, mentre sua sorella impugnava la scopa e iniziava a spazzare le rose nere canticchiando come se nulla fosse: "Bene, Akane, ma ora veniamo a noi. Quando eri svenuta ti abbiamo fatto dei prelievi, ma mentre aspettiamo i risultati voglio capire un po' meglio i tuoi sintomi, va bene?".

"Crede... che io sia malata?", domandò tremante, sperando che bastasse qualche medicinale a rimetterla in sesto.

Kasumi smise di spazzare e si voltò verso di loro: ancora una volta, il suo sguardo incontrò quello del dottore e, per la prima volta, Akane si preoccupò davvero.



(1) Letteralmente maiale (Buta) massiccio (Katashi). Se ho sbagliato chiedo scusa, non conosco il giapponese e mi affido ai vocabolari online.
   
 
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