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Autore: steffirah    07/10/2019    1 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Malinconia


 
Quel sabato notte, dopo che mi furono svelate le vere identità di Syaoran-kun, Eriol-kun e Tomoyo-chan, mi addormentai tra le braccia di questi ultimi due, dopo aver consumato tutte le lacrime che avevo in corpo. Mi fu utile lasciarle liberarsi perché già dal successivo risveglio mi sentii più leggera. E, a scapito di quel che temevo, non feci neppure incubi – forse dipendeva dall’acchiappasogni che mi aveva regalato Eriol-kun.
Me ne fece dono proprio dopo che fummo tornati dalla gita, venendo insieme a Tomoyo-chan a bussare in camera mia ad ora tarda, giusto poco prima che mi mettessi a letto. Allora mi porse quel tipico acchiappasogni indiano, fatto in legno, con piccole pietruzze colorate tra cui riconobbi solo l’ametista e la charoite (Eriol-kun chiarificò che quell’altra gemma azzurra dalle venature simili alla rodocrosite fosse il calcedonio) e piume d’un celeste pallido, consigliandomi di appenderlo accanto alla testiera del letto.
Mentre eseguivo ciò Tomoyo-chan mi si affiancò, notando la presenza di Kero-chan sul cuscino accanto al mio. Lo prese guardandolo con occhi luminosi, esclamando: «Eriol, non assomiglia al tuo Suppi?»
«Suppi?» domandai confusa.
«Posso andare a prenderlo?» gli domandò e ad una sua conferma corse via.
Lui allora si tenne il mio peluche giallo tra le mani, ammirandolo da ogni angolazione, con aria pensierosa.
«Appartiene a mio padre» spiegai, sorridendogli raddolcita. «Anche lui da bambino ci dormiva insieme ed è passato prima a Touya poi a me, dopo la mia nascita. Se vedi bene noterai che è un po’ consumato.» C’erano delle scuciture all’altezza della pancia e delle orecchie e piccole sfilacciature sulle zampe e le ali.
«Se lo chiedi a Tomoyo sarebbe più che lieta di rimettertelo in sesto» sorrise, restituendomelo.
Quando lo ripresi strinse per qualche secondo le mie mani nelle sue, guardandomi con un’incomprensibile malinconia e riluttanza nello sguardo, sorprendendomi per quel contatto. Non mi aveva mai toccata tanto direttamente prima e non sapendo ancora niente di lui, allora, rimasi molto turbata dalla sua pelle di ghiaccio. Quella di Syaoran-kun, in confronto, non era nulla. Era come tenere un prodotto surgelato a lungo, senza mai interrompere il contatto; ad un certo punto il freddo diveniva bruciante, dando l’impressione di perforare le ossa.
Quando mia cugina tornò si allontanò, spostando gli occhi sul peluche che aveva portato con sé; mi si avvicinò, mostrandomi quello che mi sembrava un gatto nero – o forse un cucciolo di pantera? – con la punta della coda attorcigliata, occhi celesti e alucce da libellula dello stesso colore. Somigliava molto al mio Kero-chan, che dovevo ammettere tuttora non avevo capito se fosse un orsacchiotto o un leoncino, considerando le fattezze della coda; le ali del mio peluche, tuttavia, erano bianche e sembravano quelle di un angelo.
Feci fare loro conoscenza, presentandoli l’uno all’altro, trovando anche Suppi adorabile.
Il mattino dopo la rivelazione approfittai della colazione per domandare finalmente a Eriol-kun se il suo regalo c’entrasse qualcosa con l’assenza di brutti sogni e mentre infilzavo grossi pezzi di pancake con la forchettina lui mi rivelò: «È un amuleto magico che tiene lontani gli incubi e non solo. Dovrebbe anche impedire l’accesso al tuo inconscio a chiunque stia tentando di penetrarlo.»
A quel riferimento mi fu inevitabile chiedergli se mi avesse letto nella mente, scoprendo della voce che fino a qualche settimana fa infestava le mie notti.
Lui scosse la testa in segno di negazione, confessando poi senza alcun ritegno: «Anche se qualche volta ti ho letto nel pensiero, per curiosità.»
«Curiosità?» gli feci eco, a metà tra il sentirmi basita e indignata.
Tomoyo-chan gli rivolse un’occhiataccia, ma lui sorrise pieno di diletto.
«Per capire se sospettavi qualcosa di noi.»
«Oh…» Riconobbi che, in parte, aveva fatto bene a controllarmi. Era piuttosto sensato preoccuparsi di ciò.
«E, in generale, ogni volta che parlavi di Syaoran.»
«Perché?!» domandai avvampando, imbarazzatissima.
«Per la stessa ragione ed eventualmente capire cosa pensassi di una tale possibilità. Devo dire che i tuoi pensieri a suo riguardo sono particolarmente spassosi» rise, al che Tomoyo-chan gli tirò uno schiaffo sul braccio al posto mio, forse notando il biancore del mio viso.
Lui lo sapeva. Di certo lo sapeva. Eriol-kun sapeva che io fossi innamorata di Syaoran-kun. E sapeva anche che ciò fosse sbagliato perché capivo che, per quanto desiderassi sorvolare su quel dettaglio e ignorarlo, considerandolo poco importante, le nostre differenze non ci avrebbero mai permesso di stare insieme. In realtà, lo facevo per lui: non volevo apportargli ulteriore sofferenza. Non volevo costringerlo a dover affrontare l’ennesimo sacrificio. E quindi avrei messo a tacere quel sentimento, decidendo che mai e poi mai gliene avrei parlato.
«Ti prego di non farlo più» lo implorai in tono esile, abbassando gli occhi sul cibo, sebbene ormai mi fosse passata la fame.
«Non posso promettertelo, visto che è un brutto vizio che ho. Se può consolarti, sappi che tutto quello che pensi è palese dalle tue reazioni.»
Guardai Tomoyo-chan in cerca di conferma e lei assentì, sorridendo dispiaciuta.
«Ma tranquilla Sakura-chan, noi sappiamo mantenere i segreti.»
Desideravo sprofondare, sentendomi fin troppo esposta. Se era vero quel che dicevano, allora probabilmente anche lui se ne era già reso conto….
«Ad ogni modo, è stato Syaoran a dirmelo.»
Mi spiegò che quando ci fu l’incidente nella bufera qualcuno era realmente lì, con me, prima che Syaoran-kun corresse in mio soccorso. La loro supposizione era che non fosse la stessa persona che mi chiamava, ma soltanto un “vicario” mandato, per così dire, in vedetta, per capire se fossi una preda facile o meno.
Quel discorso mi terrorizzò e nell’udirlo tremai come una foglia, nonostante Tomoyo-chan mi carezzasse un braccio con fare terapeutico. Mi si strinse lo stomaco dalla paura e a quel punto non riuscii più a buttare giù neppure un boccone. Al contrario, ero nauseata.
Perché mi cercava? Cosa voleva da me?
Posi quelle domande ad alta voce ed Eriol-kun si rabbuiò, assumendosene la responsabilità.
«Non penso cerchino te direttamente, Sakura-san. Credo vogliano risalire a noi, senza importarsi del fatto che a tale scopo possano fare del male ad un’innocente umana.» Si rivolse poi a mia cugina, guardandola solennemente, mentre io continuavo a rabbrividire. «Se capiscono che siamo tutti qui a Reiketsu saremmo costretti a dividerci e dover disperdere di nuovo le nostre tracce. Per tenerla al sicuro.»
Mia cugina annuì in conferma, accettando già quella sorte, mentre io ritornai in me soltanto per reagire con foga, alzandomi di scatto, sbattendo le mani sul tavolo, opponendomi ad una prospettiva così nefasta.
«Non se ne parla! Non dovete dire addio a tutto per me!» mi ribellai.
«Sakura-chan, non ci restano molte alternative» provò a farmi ragionare mia cugina, ma io scossi vigorosamente la testa. Non volevo allontanarli da tutte le persone che avevano al loro fianco. E la storia non doveva ripetersi, per nessuno di loro.
«Non ve lo permetterò» insistetti, risoluta. Presi qualche respiro, facendo osservare: «Qui a Reiketsu abbiamo una barriera che ci protegge, no?»
Eriol-kun sospirò chiudendo gli occhi, spiegando: «Non tiene lontani i vampiri, anzi, li accoglie. Li chiama. La sua unica utilità è avvisarmi per farmi capire che tipo di vampiro entra in città, se appartiene ad una stirpe oppure è trasformato.»
«Quindi ti accorgeresti se fosse uno dei malvagi.»
«Sì, ma potrebbero ricorrere ad altri mezzi.»
«Quali mezzi?»
«Ad esempio, usare qualche potere particolare per ingannarci.»
«Si può ingannare la barriera?»
«No, ma -»
«In tal caso non ve ne andrete» decretai, ferma nella mia posizione. «Siamo quasi vicini a dicembre, poi dovranno passare altri tre mesi e per marzo dovrei ritornare a Tomoeda.» Inghiottii faticosamente il groppo che mi si era formato in gola, perché c’era un lato di me che non voleva assolutamente partire. Ma dovevo farlo, dovevo tornare alla mia vecchia casa, per il bene di tutti. «Allora sarete liberi, quindi potete stare tranquilli. Andrà tutto bene, sicuramente.»
Sorrisi, aggrappandomi con l’anima e il cuore alla mia positività, ricordandomi che, qualunque sfida avessimo dovuto incontrare, in un modo o nell’altro saremmo senz’altro riusciti a sormontarla. Soprattutto se fossimo rimasti tutti insieme.






Con l’arrivo di dicembre tornò anche zia Sonomi. Non appena mi vide e mi presentai lei fece le lacrime agli occhi, riempiendomi di coccole, definendomi la copia spiccicata di mia madre. Fu toccante sentirglielo dire, per anni ed anni mi ero sempre sentita simile, se non identica, a papà e un po’ mi dispiaceva avere ben poco in comune con la mamma (ossia, unicamente il colore degli occhi).
Raccontandomi di lei, mio padre diceva che avevamo la stessa gaiezza, lo stesso sorriso, la stessa positività e talvolta mio fratello – che aveva avuto modo di trascorrere più tempo con lei, potendola conoscere – confermava, sebbene aggiungesse dispettosamente: «A differenza tua, lei era però bella come un angelo.»
Non che dovesse dirmelo lui, visto che comunque era palese dalle fotografie che fosse stupenda ed eterea.
Per quel che mi riguardava, mi ero sempre sentita diversa da lei: in contrasto coi suoi lunghissimi capelli scuri, talvolta sfumanti verso il blu-viola, talvolta verso il grigio, i miei non erano lunghi neppure fino alle spalle ed erano chiari, tendenti al colore del miele – “biondo fragola” lo aveva definito un giorno Rika-chan, apprezzandolo –; rispetto al suo corpo minuto io crescevo un po’ più alta (se tale mi potevo definire col mio metro e sessanta) e slanciata, oltre che più robusta essendo più atletica, mentre lei era negata nelle attività fisiche. Era un’imbranata cronica, non riusciva a camminare su una superficie piana a lungo senza inciampare nei suoi stessi piedi e capitombolare, e seppure spesso sembravo aver ereditato anche io quel tratto – anche se a me era più che altro una questione di distrazione – ero comunque in grado di tenermi in equilibrio.
Sonomi-san, tuttavia, riuscì a trovare nuove caratteristiche che avessimo in comune: secondo il suo parere avevo una voce calda e cristallina, dai toni infantili, simile a quella di mia madre – la quale tuttavia assumeva sempre un tono più pacato. Mi disse anche che esprimevo la stessa solarità e serenità, avvolgendo con esse chiunque mi stesse accanto. Avevamo gli stessi tratti nel taglio del viso, la stessa pelle nivea più rosea sulle gote, soprattutto quando mi imbarazzavo – ma era piuttosto inevitabile arrossire dopo tutti quei complimenti.
A volte sembrava anche che facessi gesti simili ai suoi, tipo quando abbassavo lo sguardo e mi coprivo coi capelli per la vergogna, o quando sgranavo gli occhi per la sorpresa o gonfiavo le guance imbronciandomi per la stizza.
Erano tutte cose che papà non mi aveva mai detto, ma non gliene facevo una colpa. Sapevo quanto fosse doloroso per lui e per mio fratello parlarne, per cui le uniche domande curiose da infante le porgevo al nonno quando andavamo a trovarlo. Lui mi parlava sempre con grande entusiasmo di lei, permettendomi così di conoscerla, almeno parzialmente.
C’era poi anche la questione che, essendo Sonomi-san sua cugina, avevano trascorso tutta l’infanzia e adolescenza insieme, finché mamma non si ritrovò costretta ad abbandonare la sua famiglia per inseguire i suoi sogni d’amore e stare con papà.
Mi piaceva ascoltare zia, soprattutto per quel grande legame che stava cucendo tra me e mia madre, e ogni giorno alla fine dei pasti ci intrattenevamo in soggiorno, lasciandoci avvolgere da quella dolce nostalgia. Tuttavia, sebbene all’inizio le fossi unicamente grata e sorridessi raddolcita dinanzi alle sue parole, col tempo qualcosa si insinuò in me. La riconobbi quale tristezza. Cominciavo a rimpiangere il fatto di non averla mai realmente conosciuta, cominciavo a struggermi per il non possedere nessun ricordo concreto di lei.
Questa mia sofferenza interiore mi dilaniava giorno e notte, al punto che cominciai a sognarla, splendente e sorridente, come la vedevo nelle fotografie. Non sapevo se c’entrasse qualcosa il fatto che quelle che avevo portato con me al Nord e che cambiavo ogni settimana nella cornice sulla scrivania le avevo avvicinate al letto, in modo tale che fosse l’ultima persona cui davo la buonanotte e la prima cui dessi il buongiorno. Guardavo la sua figura prima di chiudere le palpebre, stringendomi Kero-chan al petto, immaginandomi che sia lei che papà fossero stati lì a cullarmi.
Nei miei sogni lei era sempre avvolta dai fiori: rideva nei campi di margherite, la volta successiva passeggiava sotto archi di gelsomini, poi ancora roteava serena tra cespugli di rose o giocava a nascondino in mezzo ai glicini. Aveva sempre un’aria allegra e spensierata, e mi chiamava con la sua dolce voce: «Sakura, bambina mia!» Allora allargava le braccia, ma prima che io potessi fiondarmici venivo strappata con forza da quel sogno solare, svegliandomi in un buio bagno di lacrime e sudore.
Tentai di celare quella mestizia agli altri, conscia però di non poter ingannare Eriol-kun, il quale mi guardava sempre con occhi partecipi del mio lutto, ma non rivelava nulla per rispetto dei miei riguardi. Sapevo che non lo faceva con cattiveria: leggeva la mia mente per cercare di capire come mi sentissi, cosa mi crucciasse, sperando forse di trovare un metodo per aiutarmi. Ma ahimè, non v’era modo di riportare in vita i morti. E questo una sera me lo disse anche lui, carezzandomi poi per consolarmi. Per quanto lo capissi, per quanto lo sapessi, non riuscivo a rassegnarmi. Avrei voluto vederla, almeno solo una volta….
La cosa peggiore era il fatto che, subito dopo che per sbaglio mi cadde l’acchiappasogni, spaccandosi lievemente, seppure lo avessi riappeso dov’era sulla testata del letto, sognai di nuovo quella voce. Ripeté quelle parole: «Posso renderti felice. Posso realizzare il tuo desiderio». Ma al mattino mi sentivo talmente intontita da non capire se l’avevo effettivamente sognato oppure erano soltanto i miei pensieri quelli, una mia vana speranza che si riaggrappava a vecchi ricordi.
Naturalmente, nonostante la mia facciata e la maschera che avevo deciso di indossare a scuola, anche Syaoran-kun si accorse che qualcosa non quadrava; così, un giorno in cui non avevamo lezioni decise di “rapirmi” venendomi a prelevare fin dentro casa, ordinandomi di imbacuccarmi a dovere per uscire.
Seppure feci quel che voleva con riluttanza cercai di sbrigarmi, visto che comunque avrebbe significato del tempo da trascorrere insieme – a sorpresa! Non importava quanto stessi male, se lui stava al mio fianco sapevo che sarei riuscita a ritrovare in fretta il buonumore.
Quando mi fui preparata e gli chiesi dove stessimo andando lui mi guardò in maniera enigmatica, pronunciando soltanto queste parole: «Nel luogo in cui ritroveremo il tuo sorriso.»










 
Angolino autrice:
Finalmente aggiorno! Non pensavo fosse trascorso più di un mese, gli esami mi hanno fatto perdere del tutto la cognizione del tempo ç_ç Quindi sono qui per scusarmi, sperando che non mi abbiate abbandonata T//T Anche se mi dispiace riprendere con un capitolo così triste.... Fortunatamente, già dal prossimo andrà meglio!
Come vedete, Suppi esiste! E se vi state chiedendo di Yue... beh, vedrete! 
Ora filo via, sperando che questa storia stia continuando a piacervi! Grazie a chi ancora resiste, mi sopporta e supporta TwT
  
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