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Autore: Mary P_Stark    08/10/2019    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seduti comodamente su una panchina lungo la Ocean Boulevard, le stelle alte in cielo e il profumo dell’oceano a riempire le loro narici, Apollo, Acaste e Alekos attendevano pazienti l’arrivo di Poseidone.

Come promesso, Apollo aveva offerto all’oceanina – e per l’occasione, anche ad Alekos – una sontuosa cena presso un localino vicino alla spiaggia. Pur essendo abituata a pietanze di pesce, Acaste si era dimostrata entusiasta della cucina umana e aveva espresso i suoi vivi complimenti al cuoco per la sua bravura.

Apollo aveva temuto per un attimo di dover praticare un massaggio cardiaco al povero chef, così emozionato e pieno di gratitudine da aver rischiato l’infarto. Il tutto si era però risolto con un invito dello stesso chef a provare nuovi piatti presso il loro locale, e Acaste aveva accettato con entusiasmo.

«E’ stato tutto così bello che, quasi quasi, mi spiace rientrare a casa» sospirò a un certo punto Acaste, giocherellando nervosa con una collana di conchiglie che Alekos le aveva regalato durante la loro passeggiata lungo le vie di Long Beach.

«Possiamo tornare a visitare Los Angeles tutte le volte che vuoi» le ricordò Apollo, sorridendole affabile.

«Vorresti farmi ancora da guida?» esalò sorpresa Acaste, fissandolo con occhi sgranati.

Apollo scrollò le spalle, assentì e disse: «Non sarebbe farti da guida, ma stare in compagnia di un’amica. E’ ben diverso. Inoltre, verrebbe anche Alekos. Dico bene?»

Il ragazzo assentì con un sorriso timido, dicendo: «Sarebbe un piacere. Oggi mi sono divertito molto. Inoltre, non dovremmo limitarci solo a Los Angeles. Potremmo andare da qualsiasi parte, visitare qualsiasi luogo può interessarti.»

Acaste si illuminò di pura gioia, balzò in piedi per porsi dinanzi ai suoi due accompagnatori e, inchinandosi a loro, dichiarò: «Vi ringrazio immensamente per tutto ciò che avete fatto per me… sarà bellissimo passare altro tempo con voi.»

Apollo fece per replicare a tanti e tali ringraziamenti quando, a sorpresa, un profumo a lui familiare lo fece volgere all’improvviso. Sorpreso, vide avanzare lungo il marciapiede una figura che, da millenni, non aveva più incontrato lungo il suo cammino – o meglio, voluto incontrare.

Lampi di ricordi comuni e comuni quanto feroci accuse rimbalzarono nella sua mente ma, ligio al suo mantra personale di non lasciarsi più andare all’inedia, ne accettò la forza così come il dolore.

Inconsapevole della battaglia interiore del dio, Acaste sorrise deliziata e un po’ stupita all’indirizzo della sorella maggiore e, balzellando verso di lei con gioia, afferrò le mani di Clizia ed esclamò: «Non sapevo che saresti venuta tu a prendermi! Attendevamo il sommo Poseidone.»

«Non è il caso di scomodare il signore dei mari, per una cosa simile» si limitò a dire l’oceanina, lanciando poi un’occhiata inquisitoria ad Apollo, che resse bene lo sguardo senza però proferire parola.

A quel punto, sia Acaste che Alekos scrutarono curiosi i due silenziosi contendenti finché Apollo, levandosi in piedi, non annullò le distanze che li separavano e, sorridendo all’oceanina, disse: «E’ bello rivederti, Clizia.»

L’oceanina arrossì fino alla radice dei biondi capelli in risposta alle parole impreviste del dio e, reclinando pudica lo sguardo, mormorò: «E’… è bello rivedere te, Febo.»

Sempre più confusa, Acaste domandò alla sorella: «Vi conoscevate, per caso?»

Clizia assentì rapidamente, senza però entrare nel merito e Alekos, immaginando vi fosse qualcosa di cui i due interessati non desideravano parlare dinanzi a loro, intervenne lesto e si presentò.

«E’ un piacere conoscere una delle sorelle di Acaste. Io sono Alekos, figlio di Athena.»

Clizia volse il suo sguardo d’ambra in direzione del giovane e, sorridendogli grata per quell’improvvisata volta a trarla d’impaccio, mormorò: «Avevo sentito parlare di te dal sommo Poseidone. E’ un piacere fare la tua conoscenza. Io sono Clizia.»

«Febo e Alekos si sono offerti di accompagnarmi in altri posti, esattamente come hanno fatto oggi. Non è meraviglioso? Mi sono divertita moltissimo, e non vedo l’ora di scoprire altri luoghi altrettanto magnifici» esclamò Acaste, stringendo in un abbraccio la tesissima Clizia, che assentì meccanicamente.

«Papà sarà felice di saperlo… visto che quasi tutte le nostre sorelle sono sposate, e tu sei quasi sempre sola, o in compagnia di Persefone, sarà lieto di questa novità nella tua vita» rispose atona Clizia, non sapendo cosa pensare delle parole della sorella, così come del comportamento di Apollo.

Era così cambiato, nel corso dei secoli? Era mai possibile che l’inarrivabile Apollo, dio del sole e delle arti, avesse mutato il suo carattere?

«Sarebbe bello se partecipassi anche tu, Clizia» intervenne a quel punto Apollo, sorprendendo ulteriormente l’oceanina che, turbata, si scostò dalla sorella per allontanarsi di qualche metro dallo sparuto gruppetto.

Scusandosi subito con i due giovani, Apollo la seguì immediatamente e Acaste, preoccupata per la sorella, fece per rincorrerla a sua volta, ma Alekos la bloccò a un braccio.

«Lascia che si parlino. Credo che abbiano qualcosa in sospeso di cui noi non dobbiamo sapere nulla… almeno per il momento» le disse Alekos, sorridendole benevolo.

Acaste assentì debolmente e, nel rivolgere lo sguardo all’oceano cupo e increspato di rade onde, mormorò: «Clizia non si è mai voluta sposare, sai? E la reazione che ha avuto vedendo Apollo, potrebbe essere la spiegazione a una simile scelta.»

Alekos sospirò sorpreso e l’oceanina, sorridendo leggermente, aggiunse: «Clizia ha passato molti anni a starsene per i fatti suoi, appollaiata da qualche parte, in contemplazione del cielo. Ma, invece di essere felice per ciò che vedeva, era sempre triste. Non mi ha mai voluto spiegare il perché di un tale comportamento, ma forse…»

Lanciata un’occhiata ai due adulti – che stavano discorrendo a poca distanza da loro – Alekos aggiunse per lei: «… forse, Clizia provava dei sentimenti per qualcuno, e Apollo ne era a conoscenza… forse erano in disaccordo su questo, e rivedersi ha creato imbarazzo in Clizia.»

Acaste annuì alle parole di Alekos ma, prima ancora di poter replicare, sobbalzò sorpresa al pari del ragazzo al suo fianco quando Clizia si gettò in lacrime tra le braccia di Apollo.

Il sapore di quelle lacrime, però, portò la giovane oceanina a sorridere speranzosa e, sollevata, mormorò: «Sono contenta che sia venuta lei, a prendermi. E’ bello vederla nuovamente in pace.»

«Lacrime di gioia, quindi?» domandò curioso Alekos, cercando di non soffermarsi troppo sulla visione dei due adulti abbracciati.

Acaste si tastò il naso, annuendo, e disse: «Hanno il profumo giusto. Sanno di pacificazione, di un peso che non le grava più sul cuore. E’ una buona cosa, credo.»

Alekos annuì lieto e, come sempre in questi casi, si ritrovò a guardarsi intorno con aria divertita e curiosa al tempo stesso. Prima o poi avrebbe trovato il modo di parlare con l’ombra che lo seguiva, ma che lo rifuggiva al tempo stesso, ma non era quello il momento.

Sapeva che qualcuno lo osservava da anni con interesse, ma non sembrava intenzionato ad avvicinarsi a sufficienza perché lui potesse riconoscerlo, o riconoscerla. Ugualmente, quella presenza non sembrava abbandonarlo mai, quando usciva di casa, in special modo quando si trovava in compagnia di qualcuno.

Che quest’ombra volesse proteggerlo in qualche modo? O che fosse incuriosita dalle sue amicizie?
Non ne aveva davvero idea, ma prima o poi sarebbe riuscito a scoprire qualcosa di più.

Tornando infine a scrutare il viso di Acaste, le sorrise pieno di gratitudine e disse: «Tu ci hai ringraziati, prima, ma vorrei ringraziarti a mia volta. E’ la prima volta che posso parlare apertamente con qualcuno che non siano i miei cugini umani, o comportarmi per quello che sono realmente. E’ stato bello.»

Acaste ammiccò divertita e aggiunse: «Ti riferisci a quello che voleva fare Afrodite con noi?»

Arrossendo suo malgrado, Alekos annuì e, grattandosi nervosamente una guancia, ammise: «Beh, sì. Insomma... anche se non siamo usciti per quello, è stato comunque il mio primo appuntamento con una ragazza. Più o meno, ecco.»

Acaste rise dolcemente, diede un colpetto con la spalla a quella del ragazzo e mormorò: «E’ stato anche il mio primo appuntamento. Più o meno, ecco. Potrai ben capire che, con tremila fratelli, e altrettante sorelle, possa essere un pochino difficile muovermi liberamente, o conoscere qualcuno. Senza poi contare l’ossessione di mio padre di voler proteggere le proprie figlie dai malintenzionati.»

Immaginandosi una schiera di potamoi1 a difesa della loro dolce sorellina, e altrettante oceanine pronte a sguainare i tridenti pur di proteggerla, Alekos si ritrovò a ridere nervosamente. In effetti, la cosa aveva del surreale e suonava dannatamente inquietante, anche per lui che era abituato a un mondo di dèi ed eroi.

«So di non essere coraggioso come mia madre, che ha dato il suo cuore – per la prima volta – a un mortale. Non ne sarei davvero in grado. Non al momento, comunque» ammise con candore Alekos, rivolgendosi ad Acaste. «Stare con te, oggi, mi è piaciuto anche per questo. Mi ha fatto capire come possa essere passare del tempo con qualcuno che non sia un mio parente. E’ stato piacevole e nuovo. Diverso.»

Acaste assentì pensierosa, asserendo: «Alcune mie sorelle sposarono dei mortali, e ora li ricordano con affetto e devozione, pur essendosi maritate in seguito con altre persone. Capisco cosa vuoi dire. A volte le vedo piangere, ma mi dicono che sono lacrime dolci, non tristi. Anche tua madre piange tuo padre?»

«Capita, sì, ma Érebos è quasi sempre con lei, quando succede, perciò so di non dovermi preoccupare. Inoltre, abbiamo una famiglia molto unita, che stempera il dolore di tutti» le spiegò Alekos, scrollando le spalle.

«Mi piacerebbe conoscerli. Pensi che potrei farlo, una di queste volte?»

Sorridendole, Alekos annuì e disse: «Ti accoglierebbero a braccia aperte… ma rischieresti anche lì un trattamento alla Afrodite. Te la senti?»

Acaste ammiccò divertita e scrollò le spalle come se non fosse affatto un problema. Ad Alekos bastò.

Desiderava rivedere ancora Acaste, e il fatto che lei non solo lo volesse a sua volta, ma fosse disposta ad affrontare il fuoco incrociato di domande della sua famiglia, lo riempì di gioia.

Sorridendo all’indirizzo di Apollo, fu grato allo zio per quell’uscita fuori programma. Gli aveva permesso di conoscere una ragazza davvero speciale e, per la prima volta dacché era nato, aveva potuto essere se stesso al di fuori della cerchia dei suoi parenti. Un’autentica novità, per lui.

Quando, però, Alekos colse la tensione sui volti di Apollo e Clizia, il ragazzo si ritrovò a preoccuparsi perché dolore e rabbia si mescolavano come la schiuma del mare sulla banchisa, e i loro occhi parevano sfidarsi.

“Zio, ma cosa…”

“Riporta a casa Acaste, per favore. Io e Clizia dobbiamo sistemare una faccenda, una volta per tutte” lo pregò Apollo, gli occhi negli occhi con l’oceanina che, in quel momento, lo stava mettendo a dura prova.

Annuendo, Alekos prese per mano Acaste e, in un sussurro, disse: «Verrò con te a conoscere tuo padre e tua madre. Che dici? Gli piacerò?»

Acaste sorrise al giovane, assentì e replicò: «Mio padre ama sempre le visite, e così mia madre. Ma Clizia starà bene, sola con Apollo? Mi sembrano un po’ tesi, ora come ora.»

«Devono chiarirsi, e noi siamo di troppo» le spiegò Alekos, spiacente.

Acaste, però, si limitò a un assenso deciso e, presolo per entrambe le mani, mormorò: «Voglio solo che mia sorella sia felice, perciò mi toglierò dai piedi. Preparati, perché trasmutarsi in acqua può essere un po’ più complesso che sulla terra ferma.»

«Ti seguirò fedelmente, allora» ammiccò Alekos, ammiccando.

«Sarà un piacere» sorrise lei, strizzando gli occhi prima di trasmutare al pari del giovane semidio.

Avvedendosene, Apollo dichiarò soddisfatto: «Bene. Ora che sono andati, possiamo chiarirci una volta per tutte.»

Clizia lanciò un’occhiata ove solo alcuni attimi prima si era trovata sua sorella e, turbata, esalò: «Mio padre mi ucciderà, se la vede rientrare da sola!»

«E’ in compagnia di Alekos. Non temere. E’ più importante che io e te parliamo, altrimenti questa faida rimarrà aperta per altri duemila anni, e io non voglio» replicò determinato Apollo, facendo irritare non poco Clizia, che lo fissò stizzita.

«Sei tu che continui a confondermi!» sbottò l’oceanina.

Apollo sospirò, le offrì il braccio per una passeggiata notturna sulla spiaggia e Clizia, suo malgrado, accettò borbottando: «Non puoi dirmi che non sei più arrabbiato con me, e poi rifiutare il mio amore come se nulla fosse.»

Apollo allora la fissò pieno di dolore, scosse il capo per l’impazienza ma riuscì comunque a parlare con calma, desideroso di chiudere quell’immane equivoco protrattosi da fin troppo tempo.

Consegnando entrambi all’oscurità della notte, mentre una pallida luna sorrideva alta in cielo – permettendo ad Artemide di scorgere il gemello, qualora lo avesse voluto – Apollo replicò: «Dimmi, Clizia… e sii onesta. Il tuo amore per me, da cosa dipendeva?»

Avvampando in viso, l’oceanina reclinò il viso e mormorò: «Sei bellissimo, Febo, e nessuno può essere più affascinante di te. Tutte ti adorano e ti venerano, ma pensavo che io fossi speciale, per te.»

Ciò detto, risollevò i suoi occhi d’ambra per puntarli sul volto perfetto del dio e, suo malgrado, l’infatuazione di un tempo tornò a ferirla.

Era stato così bello entrare nelle grazie del dio, essere la sua prediletta e accettare i frutti della sua attenzione e della sua venerazione.

Leucotoe aveva però rovinato ogni cosa, divenendo l’interesse di Apollo e la sua nuova amante. Il mondo di Clizia – dapprima splendido e ricco di gioia – si era quindi tramutato in un inferno in Terra, ove ogni cosa la feriva e le faceva dolere il cuore.

Per questo, si era spinta a commettere un atto indegno, e per cui il padre l’aveva debitamente punita con l’isolamento nel suo regno.

Per questo, aveva sofferto durante i lunghi millenni di separazione forzata dal dio.

Per questo, aveva chiesto a suo padre Oceano di potersi recare sulla terraferma per riaccompagnare a casa Acaste, spezzando così per qualche ora la sua prigionia dorata e millenaria.

Se fosse riuscita a chiedere perdono e a implorare di essere nuovamente amata da Apollo, di cui aveva sentito la mancanza fino a quel momento, forse tutto si sarebbe risolto.

Ma il dio, pur perdonandola per aver causato la morte di Leucotoe, le aveva negato ancora una volta la sua gioia più grande, e ora la sfidava a mettere a parole le sue debolezze più profonde.

Bloccando i suoi passi, la brezza marina a carezzarle le gambe nude e il volto arrossato dall’imbarazzo, Clizia asserì gelida: «Mi lasciasti per un’umana e, quando io mi macchiai di un terribile atto per amore tuo, tu mi negasti la parola, o il semplice sguardo, per millenni! Hai una minima idea di quanto ho sofferto ogni giorno di questa mia interminabile vita?!»

Apollo assentì stanco, ricordando bene quei tragici eventi.

Tutto era stato causato da una serie di vendette, concatenate tra loro come la trama di un tessuto senza fine, che però aveva portato la fine di una vita incolpevole; quella di Leucotoe.

Se lui non avesse detto a Efesto del tradimento di Afrodite con Ares, la dea dell’amore non avrebbe cercato vendetta su di lui, e Leucotoe non sarebbe rimasta vittima della vendetta di Clizia.

«Una catena… una maledetta, infinita catena…» mormorò Apollo, lanciando un’occhiata alla bianca luna nel cielo.

“Te la senti di fare tutto quanto da solo, fratello?” gli domandò Artemide con tono ansioso.

“Sto cercando di aggiustare un torto e, al tempo stesso, di vivere la mia vita secondo nuovi canoni. Qualche intoppo lo dovrò pur superare, no?” ironizzò il dio, cercando così di tranquillizzare la sorella.

“Verrò lì anche adesso, se necessario.”

“Stai con le tue bambine e il tuo uomo, Phoebe. Non annegherò nell’abisso del dolore, promesso” la rincuorò Apollo, spezzando poi il contatto con la gemella per concentrarsi unicamente su Clizia e il suo cuore spezzato.

«Sai perché concessi le mie attenzioni a Leucotoe?» domandò quindi Apollo, rivolgendosi a un’irritata Clizia.

«Non ho mai avuto la presunzione di comprendere le azioni di un dio» sbuffò irritata l’oceanina.

«Avresti dovuto. Mi avrebbe fatto piacere parlarne con te» sottolineò lui, sorridendo sghembo. «O forse, all’epoca non mi sarebbe piaciuto, ma adesso sicuramente sì»

«Parli per enigmi, e rendi tutto ancor più doloroso» gli rinfacciò Clizia, stringendosi le braccia al petto.

La brezza si levò più forte, sbattendole l’abito di seta contro il corpo perfetto e Apollo, suo malgrado, rammentò cosa volesse dire tenerla stretta tra le braccia, affondare il viso tra i suoi seni, perdersi in lei completamente.

Chiudendo per un istante gli occhi, cercò di focalizzare altrove la sua mente, ma fu davvero difficile discostarsi da simili ondate di piacere. Clizia, dopotutto, era stata una delle sue amanti più generose, e gli era stata fedele nonostante il loro rapporto fosse andato a catafascio.

«Afrodite mi maledisse, facendomi innamorare di Leucotoe perché io feci la spia su di lei e sul suo rapporto con Ares» le spiegò infine Apollo, sorprendendola. «Poiché la maledizione proveniva dalla dea dell’amore, io non potei avere scampo alcuno e pagai la mia lingua lunga con il tradimento a te. Nessun’altra se non Leucotoe poteva esistere, per me… né dea, né umana.»

«Quindi io…» ansimò sconvolta Clizia, impallidendo di sgomento. «… condannai Leucotoe a una morte orribile, e lei… lei…»

Scoppiando nuovamente in lacrime, Clizia si coprì il viso con le mani per soffocare i singhiozzi ricolmi di contrizione e Apollo, spiacente, le sfiorò una spalla con una mano, desiderando con tutto il cuore abbracciarla.

Se l’avesse fatto, però, sarebbe ricaduto nelle sue vecchie abitudini e avrebbe risolto ogni cosa – dolore, passione e rabbia – con un piacevole quanto vuoto amplesso.

Ora voleva molto di più. Desiderava il contatto, ma altresì il sentimento, il trasporto, la passione dei sensi così come l’estasi della vicinanza di due cuori che battono all’unisono, non solo la lussuria.

Senza la conoscenza di chi si ha accanto, però, due cuori non possono battere all’unisono, e lui ormai cercava questo.

«Capisco il tuo odio, adesso… e comprendo perché tu non abbia più desiderato parlarmi… fui orribile…» si lagnò dolente Clizia, tergendosi le lacrime per poi scrutarlo con occhi pieni di mestizia.

«Fui superficiale, Clizia. Tutti noi lo fummo. Afrodite a non capire la futilità dei suoi segreti, io a essermi impicciato di un affare non mio, tu ad aver agito contro un’altra donna, e solo per gelosia. Peccammo a vario titolo e in vari modi, e un’innocente ne pagò lo scotto più salato» ammise Apollo, sfiorandole il viso con una dolce carezza.

Clizia assentì e reclinò colpevole il capo, mormorando: «Ti volevo per me, e peccai di egoismo nel modo più becero possibile.»

«Perciò torno a chiederti… perché? Solo per il mio viso? Era vero amore, o solo un’infatuazione dovuta alla bellezza reciproca? E credimi, sto facendo la domanda anche a me stesso» le chiese lui, stringendole delicatamente il viso tra le mani perché i loro sguardi si incrociassero.

Clizia rimase in silenzio, gli occhi sempre più grandi e sommersi dalla verità insita nelle parole del dio. Cosa l’aveva spinta tra le braccia di Febo? Solo la sua bellezza? Nient’altro che quello?

Scostandosi di un passo da Apollo, l’oceanina mormorò sgomenta quanto consapevole: «Fummo superficiali anche in questo, temo.»

«Lo credo anch’io, ma non desidero più esserlo» ammise Apollo, sfiorandosi il petto con una mano. «Sono stanco di non sentire nulla, di lasciarmi scorrere il tempo sulle membra senza provare le emozioni che, invece, gli umani provano ogni giorno. Né, per contro, voglio essere come un tempo, dedito solo a vuoti e superficiali sentimenti, che mi hanno lasciato solo bei ricordi ma poco altro.»

«Per gli umani è diverso. Sono così perché la loro vita avrà un termine, e desiderano viverla pienamente» replicò Clizia con un mesto sorriso. «Così non è per noi e sì… tendiamo a sprecare il tempo concessoci proprio perché possiamo farlo.»

«Athena e mia sorella Artemide hanno deciso di rischiare, abbandonandosi all’amore verso due mortali. Certo, il marito di Athena è morto, e il dolore da lei patito è stato enorme, ma è stata comunque felice di aver amato il suo Miguel, e Alekos glielo ricorda ogni giorno. Ugualmente, Artemide è felice con il suo Felipe, felice come non l’ho mai vista. Certo, so già che soffriranno, a tempo debito e a vario titolo, ma loro desiderano comunque questo scampolo di felicità al nulla eterno che le aspetta, all’inedia dell’immortalità, allo scorrere del tempo fine a se stesso. Anch’io soffrirò, poiché amo la famiglia umana delle mie sorella ma, anch’io, desidero queste sensazioni, queste pulsioni.»

Clizia si arrischiò a prenderlo per mano e, lo sguardo a sua volta puntato verso l’oceano, disse sommessamente: «Non abbiamo mai parlato così, prima…»

«Troppo noioso?» ironizzò Apollo, ammiccando al suo indirizzo.

«No, affatto» scosse il capo lei prima di scostarsi, porsi dinanzi a lui e, con un’elegante riverenza, dire: «I miei sentiti omaggi, divino Apollo. Io sono l’oceanina Clizia, figlia del titano Oceano e della titanide Teti. E’ un onore fare la tua conoscenza.»

Apollo allora le sorrise, si inchinò a sua volta e, sollevandole una mano per un baciamano aggraziato, replicò: «Lieto di essere al tuo cospetto, Clizia, figlia di Oceano e di Teti. Reputo mio l’onore di conoscerti.»

Clizia gli sorrise nel risollevarsi e, indicando il mare, mormorò: «Credo sia tempo che io rientri. Mio padre comincerà a preoccuparsi, sapendomi fuori senza i miei fratelli e, soprattutto, sapendoti in tua compagnia. Dopotutto, sono ancora in punizione per via di Leucotoe. Inoltre, credo che il giovane Alekos sia ormai agli sgoccioli, quanto a resistenza.»

Scoppiando a ridere, Apollo si passò una mano tra i folti riccioli ramati e, annuendo, disse: «Vieni anche tu, la prossima volta che porterò fuori Alekos e Acaste. Sarebbe bello conoscerci davvero, stavolta.»

Lei assentì, gli sfiorò il volto con un tocco pieno di rammarico e bramosia ma, infine, si scostò e trasmutò per raggiungere la reggia negli abissi dove si trovava la sua famiglia.

Conoscersi davvero. Avrebbe di nuovo parlato con Apollo ma, stavolta, come una donna a un uomo, e non una postulante a un dio.

Aveva ancora un sorriso stampato sul bel viso, quando infine rimise piede alla reggia di Oceano e lì, circondato dai tremila potamoi e da un Oceano alquanto diffidente, Clizia trovò il povero Alekos.

Acaste se ne stava ai piedi di Teti, assisa sulla sua ottomana preferita, ed entrambe osservavano la scena con aria a metà tra il riso e la disperazione.

Pur ammirando lo stoico contegno del figlio di Athena, Clizia venne mossa a pietà dalla sua posizione minoritaria. Fattasi quindi spazio tra i fratelli a suon di gomitate fino a raggiungere Alekos, si rivolse alla sua famiglia e domandò: «Pensate di averlo sottoposto a sufficienti domande? O volete fargli passare del tutto la voglia di rivedere la nostra piccola Acaste?»

«E’ giusto che parliamo un po’ con il nuovo amico di Acaste, non ti pare?» brontolò Oceano, passandosi una mano sulla folta barba bianca. «Inoltre, non dovevi essere tu a riportarla a casa, invece di delegare a questo giovanotto?»

Sbuffando, Clizia lasciò perdere la domanda del padre per replicare ironica: «Parlare, padre? Alekos se ne sta qui, in mezzo a una masnada di uomini dal testosterone troppo alto, ed è così educato da non tentare nemmeno la fuga, il tutto unicamente per non apparire scortese ai vostri occhi.»

Ciò detto, l’oceanina poggiò una mano sulla spalla del giovane, che la gratificò di un sorriso apertamente lieto e pieno di gratitudine.

Storcendo la bocca per quell’implicito rimprovero, Oceano fece per replicare alle accuse della figlia, ma un’enorme nube argentata si formò nei pressi di quell’improvvisato tribunale, sorprendendo tutti.

Una dopo l’altra le sorelle di Clizia e Acaste presero forma nell’enorme salone che, a quel punto, iniziò a diventare un poco più stretto, dovendo contenere più di seimila persone.

«Cos’hai fatto, Clizia?» sbottò Oceano, squadrando sempre più in ansia le sue tremila figlie, apertamente battagliere e dichiaratamente dalla parte della sorella.

«Io? Niente» scrollò le spalle Clizia, ammiccando poi alla madre, che sorrise benevola. «Ma forse, così, le cose saranno un po’ più egualitarie.»

Nel breve decorrere di qualche istante, Alekos venne letteralmente circondato dalle oceanine che, a momenti alterni, lo dispensarono di caldi sorrisi, abbracci e complimenti.

Il tutto, condito da eloquenti sorrisi di scherno e rimprovero rivolti a Oceano che, alla fine, sospirò sconfitto per poi dire: «E va bene! Forse abbiamo un tantino esagerato con le domande… ma è la prima volta che Acaste esce con un ragazzo, e volevamo sapere chi era!»

«Se vogliamo spaccare il capello in quattro, padre, è stata un’uscita amichevole di tre persone, non un appuntamento romantico come lo vuoi dipingere tu» sottolineò Clizia, ammiccando poi all’indirizzo di Acaste, che sorrise grata. «Prima di parlare di romanticismo, non credi che i due si dovrebbero almeno conoscere

«Ai miei tempi, queste cose neppure si guardavano» brontolò Oceano.

«Alekos ha quindici anni, non quindici secoli, o millenni. Forse, ha abitudini un tantino diverse dalle tue, padre» ironizzò Clizia.

Grattandosi la barba con fare pensoso Oceano infine sospirò, lanciò uno sguardo spiacente ad Alekos e borbottò: «Non ti sei offeso, vero, ragazzo? Hai capito perché ti abbiamo fatto tutte quelle domande, no?»

Sentendosi più che protetto dalle tremila oceanine che lo circondavano, Alekos assentì ma ammise: «Non so se ho risposto bene a tutte le domande, ma capisco perché me le abbiate fatte. Volete così bene a tutte le vostre figlie, che il primo estraneo che mette piede qui va debitamente controllato.»

Oceano si aprì in un sorrisone talmente ampio da ricordare ad Alekos la figura di Babbo Natale della Coca-Cola, solo in versione marina, ma si guardò bene dal dirglielo.

Non aveva idea se il paragone lo avrebbe o meno inorgoglito.

A ogni buon conto, il titano si fece largo tra la sua folta schiera di figli e figlie, si chinò su Alekos e, battendogli una mano sulla spalla, domandò: «Quindi, come dice la mia pestifera figlia, vorresti conoscere meglio Acaste?»

«Sarei onorato se me lo concedeste… sempre che ad Acaste interessi conoscermi meglio, s’intende. Non vorrei mai imporre la mia presenza, se non voluta» replicò il giovane, lanciando poi un’occhiata all’oceanina oggetto del contendere.

La diretta interessata si levò a quel punto in piedi, sorrise grata alla madre – artefice dell’arrivo di tutte le oceanine – e, rivolta al padre, disse: «Sarei felice di diventare amica di Alekos, e di conoscere la sua famiglia umana. Mi è stato detto che è molto calorosa e accogliente, e sarebbe bello farmi nuovi amici.»

Oceano assentì dopo qualche istante e Clizia, volendo approfittare di quel momento di distensione da parte del padre, aggiunse per sé: «Io accompagnerò Acaste sulla terraferma, la prossima volta che andrà. Apollo mi ha concesso il suo perdono divino e ha espresso il desiderio di conoscermi davvero, stavolta.»

Il padre la fissò burbero, accentuando la piega delle sue folte sopracciglia ma lei, prevenendo qualsiasi suo rimprovero, aggiunse: «Io e Apollo ci siamo chiariti, davvero.»

Ancora dubbioso, Oceano borbottò: «Siamo sicuri? Non voglio inimicarmi ancora uno dei figli di Zeus. Devo al Padre degli Dèi la mia salvezza e quella di Teti, perciò non voglio avere screzi con la sua famiglia.»

«E’ stato lui a invitarmi. Desidera comprendere, e conoscere, la vera me, padre…» gli spiegò Clizia, afferrando entrambe le mani del padre per dare maggiore peso alle sue parole. «…e io desidero fare lo stesso.»

Oceano lanciò un’occhiata a Teti, che assentì lieta così, con un mezzo sorriso, il titano bofonchiò: «Pare che sia la serata delle sorprese, questa. E sia! Se il divino Apollo ti ha concesso il perdono, la mia punizione viene annullata oggi stesso, e tu sarai libera di muoverti a tuo piacimento.»

Le oceanine trillarono in coro la loro gioia, e molti potamoi strinsero Clizia in abbracci di sincera felicità ma Oceano, levando una mano per frenarne l’esuberanza collettiva, aggiunse: «Va da sé se che anche io parlerò con Apollo. Un buon padre deve stare ben attento a chi frequenta la figlia.»

Scoppiando a ridere, Clizia assentì e lo abbracciò e Acaste, nel raggiungere Alekos nel mezzo di quel folto gruppo di oceanine e potamoi, sussurrò all’amico: «Direi che è la degna coronazione di una giornata splendida, ti pare?»

«Sono d’accordo» assentì lui, sorridendole con calore. «Ora, però, è davvero il caso che rientri. Lo dirai tu a tuo padre?»

Annuendo, Acaste si arrischiò a dargli un bacio sulla guancia – approfittando della confusione causata dal gesto di Clizia – e, in un sussurro, disse: «Penserò a tutto io. A presto, Alekos.»

«A presto» mormorò il giovane, trasmutandosi nel giardino di casa sua.

Lì, trovò ad attenderlo Apollo che, ammiccando al suo indirizzo, domandò: «Allora, sei sopravvissuto al terzo grado di Oceano?»

Alekos lo squadrò divertito e, annuendo, dichiarò: «Oh, io me la sono cavata alla grande… ma tu come te la caverai, zio?»

«Io? Perché, scusa?» gracchiò Apollo, levandosi immediatamente dalla panchina su cui si era assiso in attesa del ritorno del nipote.

Scoppiando a ridere, Alekos si diresse verso casa e disse: «Oceano ha intenzione di parlare con te, prima di permettere a Clizia di uscire.»

«Cosa?! Ma io sono il divino Apollo, signore del sole! Dovrebbe essere sufficiente, come garanzia!» sbottò la divinità, seguendolo verso casa per avere altre spiegazioni in merito.

Alekos lo fissò da sopra una spalla, chiaramente divertito, e replicò: «Credo che non gli interessino nulla, i tuoi titoli. Per lui, sei solo un uomo che vuole uscire con sua figlia.»

Apollo si accigliò e, nell’entrare in casa con il nipote, snocciolò una per una le sue infinite qualità, trovandosi però a scontrarsi con le repliche del nipote.

Non vista e non udita, Eris fece per andarsene dall’ombra del salice piangente dietro cui si era nascosta, ormai sicura che Alekos fosse a casa al sicuro ma Athena, comparendo a sorpresa alle sue spalle, le domandò: «Non vuoi entrare? Non ci sarebbe niente di male, dopotutto.»

«Sarei di troppo» bofonchiò Eris, trasmutandosi prima di concedere alla dea della guerra qualsiasi replica.

Facendo spallucce, ad Athena non restò altro che rientrare a sua volta in casa. Quando Eris avesse voluto fare il primo passo per conoscere Alekos, lo avrebbe fatto, e lei non si sarebbe messa in mezzo.

Dopotutto, era pur sempre sua zia.
 
 
 
 
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1Potamoi: sono i tremila figli maschi di Oceano, e fratelli delle oceanine.
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N.d.A.: diciamo che Apollo ha ragionato davvero molto sul suo futuro, e l'arrivo a sorpresa di Clizia apre davvero scenari nuovi, per lui. Quanto ad Alekos, lui e Acaste diventeranno qualcosa di più che amici, o rimarranno solo tali?
Infine abbiamo Eris che, a quanto pare, sembra attirata dal potere di Alekos e, al tempo stesso, non riesce ad avvicinarlo. Chissà se la sorella di Ares riuscirà infine ad avvicinare il nipote, prima o poi?


 
  
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