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Autore: NPC_Stories    09/10/2019    3 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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9. Wind


Sotto-genere: avventura, lore, comico
Ambientazione: Tribyd, mondo di Wrych (mia ambientazione)


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Il suo popolo lo chiamava Mrrush, che nella loro lingua significa Vento.
Lo chiamavano così perché sapeva passare senza tracce, riusciva ad infilarsi dappertutto e niente sembrava in grado di fermarlo.
Era un onore avere un nome così lusinghiero, soprattutto perché stava durando tantissimo tempo. Almeno cinque anni.
Per i kittenfolk, che continuavano a cambiare nomi e soprannomi ogni pié sospinto, era strano che un nome resistesse un intero lustro. Va tenuto presente che la loro aspettativa di vita non arriva a venticinque anni... in condizioni ottimali. Nel crudele e selvaggio mondo di Wrych, la vita media di un kittenfolk si attestava intorno ai sette, otto anni.
Con il loro piccolo corpo tozzo e cicciottello, quei gattini umanoidi erano prede perfette per le arpie, i draghi fumarandi, o i crudeli peryton che calavano dal cielo con i loro artigli da aquila e le corna da cervo. Per non parlare delle creature di terra che davano la caccia un po’ a tutto, come le belve distorcenti o le chimere, o i rari ma temutissimi basilischi (i kittenfolk sapevano che un basilisco non va mai guardato negli occhi, ma si sa, la curiosità uccide il gatto).
Da quando Mrrush aveva preso il comando della colonia, la vita media si era allungata di quasi due anni, e i kittenfolk l’avrebbero scoperto se solo qualcuno di loro fosse stato esperto di statistica o demografia. Naturalmente nessuno lo era, in quella società tribale e sciamanica, ma la sensazione generale era che Mrrush fosse un buon capo.
Era furbo, e questo agli altri piaceva molto. Se necessario sapeva essere aggressivo e rimettere al loro posto altri kittenfolk che miravano a ricoprire suo ruolo, ma in linea generale quel gattino rosso come il sole al tramonto aveva il supporto di quasi tutta la colonia.
Adesso però il suo popolo era in pericolo, e Mrrush avrebbe dovuto superare sé stesso.

“Vento, la lunga notte sta calando” miagolò il suo migliore amico, un kittenfolk bianco e tigrato che tutti chiamavano Tozzo.
Tozzo non aveva alcuna utilità al mondo, se non affermare l’ovvio, ma Vento gli era troppo affezionato per dargli la zampata in testa che si sarebbe meritato. Era come un figlio per lui.
“Ma va?” Miagolò con sarcasmo, sostenendo lo sguardo preoccupato dell’altro gattino. Tozzo aveva occhi enormi, e quando era spaventato diventavano ancora più enormi. “Non c’è tornare indietro, lo sappiamo tutti. C’è solo andare avanti.”
“Dietro di noi c’è la notte e tutti i suoi pericoli, primi fra tutti i malvagi folletti della Corte Unseelie” intervenne Ombra, la kittenfolk nera. “Davanti a noi c’è il maledetto deserto di fuoco, e non c’è tempo di aggirarlo.”
“Non possiamo aggirarlo, stupida serpe” le rispose Vento, con cattiveria. Quei due si erano sempre odiati, e lei non faceva altro che pianificare tradimenti contro di lui, ma senza successo. Il capo-colonia la lasciava vivere solo perché era una delle poche femmine. “Verso-la-foresta il territorio è stato preso dai centauri e hanno cacciato ogni altra forma di vita intelligente. Certo, a te magari ti vogliono. E verso-le-montagne è pieno di viverne. Per continuare a fuggire dalla lunga notte, potevamo venire solo qui!”
“E morire nel fuoco, grande genio” ritorse lei, che aveva il dente avvelenato. E la coda spelacchiata, e un orecchio tagliato, e un sacco di cicatrici, tutto per colpa di Mrrush e delle loro lotte.
“Non sono stupido, Ombra. Arriviamo ai confini del deserto e aspettiamo le piogge del tramonto.”
A questo annucio, tutti i kittenfolk della colonia cominciarono a far vibrare i baffi, agitatissimi.
“Le pioggie!”
“Oh, no! Acqua che cade dal cielo!”
“Dobbiamo trovare riparo!”
“SILENZIO!” Impose Vento, gonfiando il pelo e la coda per sembrare più grosso.
Una trentina di gattini si zittirono all’istante, abbassando le orecchie all’indietro e spalancando gli occhi per la paura.
“Ascoltate il mio piano! L’acqua che cade dal cielo non piace neanche a me! Ma spegnerà il fuoco del deserto, finché dura. Useremo le piogge per spingerci verso dove c’è ancora il giorno, continuando a sfuggire alla notte.”
I kittenfolk si guardarono l’un l’altro, ma poi fu Tozzo a prendere il coraggio di obiettare: “Ma… la notte corre più veloce di noi. Corre più veloce di tutti, tranne che dei mostri-con-le-ali. Nemmeno tu, che sei Vento, puoi correre più veloce della notte. Da quando iniziano le pioggie, abbiamo solo… solo… due cicli della luna bianca prima che il tramonto finisca.”
“Se corriamo nel tramonto, avremo almeno due cicli e mezzo” lo corresse Vento. “Ho fatto i miei calcoli.”
Il concetto di fare i calcoli era alieno ai kittenfolk, ma Mrrush era diverso. Era qualcosa, era più intelligente.
“Ci vogliono almeno quattro cicli per attraversare il deserto di fuoco” obiettò Lanoso, il loro anziano sciamano.
A differenza di tutti gli altri kittenfolk, Vento non aveva nessun rispetto per Lanoso. Era convinto che abusasse della sua posizione venerabile per tenere i kittenfolk ancorati a vecchie tradizioni e vecchi modi di vivere, limitati e insensati. Il vecchio gattone faceva parte della colonia da quando essa era composta per la maggior parte dai suoi dodici fratelli, ma ora le cose erano cambiate. Ormai di quell’epoca restavano solo lui e Mannara, la sua sorella più grossa e aggressiva. Avevano dieci anni ciascuno, ma erano ancora combattivi e prepotenti.
“La colonia ha scelto me per guidarla, Lanoso” rispose con coraggio il gattino rosso. “Io dico che due lune e mezza sono abbastanza per arrivare all’oasi dei giganti della terra.”
Un altro silenzio sbalordito accolse questa decisione.
“Ma i giganti della terra non ammettono stranieri nelle loro città” protestò Ombra, storcendo il nasino nero.
“I giganti della terra sono enormi, se siamo furbi non si accorgeranno nemmeno che siamo lì.” Obiettò Vento. “Basterà stare ben nascosti e rubare cibo solo quando saremo certi di non essere visti. E poi, potete restare qui e morire, o andare verso la foresta e morire, oppure ehi, potete andare verso le montagne, e indovinate un po’? Morire. Oppure potete venire con me, e sperare che le vostre sette vite siano sufficienti a farvi arrivare dall’altra parte.” Saltò su un sasso, per farsi vedere mentre tentava quel discorso d’intimidaz… incoraggiamento. “Sverneremo lì, e con le piogge dell’alba continueremo nella stessa direzione, arrivando dall’altra parte del deserto di fuoco.”
I gattini si guardarono l’un l’altro. Scegliere dove svernare non era uno scherzo a Wrych, un mondo in cui il giorno durava tutta l’estate e la notte durava tutto l’inverno. Significava passare tre, quattro mesi nello stesso luogo. Se fossero arrivati all’oasi, avrebbero trascorso l’inverno nascosti, vivendo gomito a gomito con un popolo che non li voleva lì. Un popolo di giganti.
Avrebbero rischiato la vita ogni giorno finché non fossero tornate le piogge dell'alba, cioè la primavera.
D’altra parte, ormai non avevano scelta.

Rimasero accampati al limitare del deserto per il tempo di quattro pisolini, abbastanza lontani da non soffrire per il caldo eccessivo ma abbastanza vicini per riuscire a vedere le rocce del deserto che apparivano tremolanti e sfocate a causa del calore che faceva vibrare l'aria.
Era uno spettacolo che tendeva a mandarli in botta, a volte passavano ore seduti a guardare in direzione del deserto con le pupille dilatate.
Alla fine, nella luce rossa del tramonto, grosse nuvole cominciarono ad ammassarsi sopra le loro teste.
I kittenfolk avevano il pelo sollevato per la tensione, i musetti puntati verso il cielo, mentre ogni loro istinto gli gridava di correre a cercare riparo. Rimanere volontariamente sotto la pioggia non era una cosa naturale per loro.
Quando l'acqua cominciò a cadere, non era come se l'aspettavano. Era leggera, sottile. Di solito in autunno grossi temporali spazzavano la terra, anzi è più corretto dire che si trattava di un infinito temporale che andava avanti da innumerevoli secoli senza interrompersi mai.
Man mano che l'autunno si muoveva facendo il giro del mondo, portava con sé un cambio di temperatura e di pressione che raccoglieva l'umidità dall'aria e la condensava in nubi cariche di particelle di ghiaccio. E poi naturalmente le fate della pioggia vivevano in quei nuvoloni, insieme ai draghi della tempesta, e le fate della Corte d'Autunno danzavano sul terreno butterato dai monsoni muovendosi a velocità impossibile. La loro magia aiutava a fare in modo che il temporale non si interrompesse.

La pioggia leggera volò su quella pianura di sassi incandescenti, dando vita a un grandioso spettacolo della Natura: l'acqua evaporava molto prima di toccare il suolo, generando nuvole di vapore caldo a mezz'aria.
I kittenfolk si lasciarono andare a un coro di miagolii simili al pianto, ma che esprimevano solo grande curiosità e stupore. Poche creature mortali avevano mai visto un simile fenomeno.
Mrrush, più pragmatico, gonfiò coda e buttò le orecchie indietro, tanto indietro che praticamente si avvolsero intorno alla sua testa come una cuffietta. Era preoccupato di aver fatto un madornale errore di calcolo. Forse il deserto di fuoco era troppo caldo per essere raffreddato dalla pioggia?
Per fortuna, dopo un po' si accorse che il livello del vapore stava iniziando a scendere lentamente. La pioggia si intensificó, le gocce si fecero più pesanti e cattive, inzuppando i gattini che adesso miagolavano per il disagio e non più per la meraviglia. Però, allo stesso tempo, quella pioggia aggressiva riuscì a far calare la temperatura; dopo diverse ore dall'inizio del temporale, finalmente l'acqua toccò il suolo del deserto di fuoco.
Per un po' di tempo, il deserto oppose una fiera resistenza; i sassi si bagnavano e tornavano asciutti con tanta velocità da sembrare un'illusione ottica. Poi, dopo almeno un'altra ora, la temperatura cominciò a calare sensibilmente anche a livello del terreno.
"Adesso!" Li spronò Vento. "Non c'è un istante da perdere! L'autunno si muove più veloce di noi!"
La colonia reagì con prontezza di spirito; avevano passato le ultime ore a prepararsi a quel momento.
I kittenfolk sono ottimi scattisti, ma se ce n'è bisogno sanno anche conservare le forze per correre una lunga distanza. Tutti sapevano che avrebbero avuto bisogno di mantenere la concentrazione per mesi, e possibilmente anche la velocità.

Corsero e corsero, e corsero ancora, sempre verso la luce del giorno che ogni momento si faceva più lontana. La pioggia torrenziale non aiutava ad orientarsi, e cinque kittenfolk si davano il cambio ogni qualche ora per disporsi ai bordi della colonia in fuga, lanciando continuamente richiami vocali per dare dei riferimenti al gruppo.
In certi momenti la parete d'acqua verticale era talmente fitta che i gattini non si vedevano fra loro, e strane ombre si muovevano in quella pioggia. Alcune figure avevano una forma umanoide. Tutti sapevano che le fate della Corte d'Autunno erano in mezzo a loro, correvano e danzavano e talvolta cacciavano.
Mrrush aveva capito da tempo che non tutta la colonia ce l'avrebbe fatta. Ma con un po' di fortuna, la maggior parte di loro sarebbe sopravvissuta.
Le soste dovevano essere poche e brevi, un'altra cosa molto innaturale per la loro razza che avrebbe volentieri dormito molte ore consecutive. Con il freddo gli veniva spontaneo appallottolarsi e scivolare nel sonno, ma farlo sarebbe stato letale.
Quel viaggio sembrava davvero infinito. Dopo moltissimo tempo che correvano in quella vastità da incubo fatta solo di sassi e pioggia, senza niente da mangiare se non le razioni di cibo che avevano accumulato, perfino i più accorati sostenitori di Vento cominciavano a pensare che tutta questa idea fosse stata una gigantesca pazzia.
Qualcuno cominciò a scoraggiarsi, ma nel momento più buio, le parole di incoraggiamento arrivarono dai gatti più insospettabili: Lanoso, lo sciamano, e la piccola Ombra.
"Se ci fermiamo adesso siamo sicuramente morti" gridò la gattina nera, miagolando quelle parole quasi senza prendere fiato. "Anche se siamo stanchi dobbiamo continuare!"
"Vento ha scelto una strada pericolosa e coraggiosa" rincarò Lanoso, "ma ha avuto ragione sulle piogge. Ci permettono di camminare sulla terra infuocata! Questo è un miracolo e nessuno l'aveva previsto, ma lui sì perché il Vento arriva dappertutto. Dobbiamo fidarci di lui. Siamo arrivati qui, arriviamo anche un po' più in là!"
"Al lardo!" Gridò Tozzo, saltellando in avanti con il suo ottimismo duro a morire. Era una frase di incoraggiamento che per i kittenfolk significava più o meno "Sempre avanti! Qualcosa di meglio ci attende!"
"Al lardo!" Fecero eco gli altri gattini, in coro.
"Al lardo! Al lardo!" Si gridarono a vicenda, per farsi forza.
Poi, proprio mentre Tozzo stava per miagolare di nuovo qualche incoraggiamento stupido, andò a sbattere con il muso contro una parete.

Mrrush ci arrivò un istante dopo di lui, ma i suoi riflessi erano abbastanza buoni da permettergli di saltare e atterrare contro il muro con le zampe, fare una capriola indietro e toccare terra con eleganza.
Gli altri kittenfolk furono attorno a loro in un momento, e tutti si trovarono la strada sbarrata da quella strana parete liscia e dura come la roccia.
Provarono ad aggirare l'ostacolo, ma si estendeva all'infinito alla loro destra e alla loro sinistra.
I gattini impazzirono. Settimane e settimane a correre nel deserto, con la continua paura di essere braccati dalle fate, zuppi di pioggia, infreddoliti, malati, stanchi, terrorizzati… e ora erano condannati ad aspettare il terribile inverno, le fate della Corte Unseelie, i serpenti del ghiaccio e tutti gli altri orrori che giungevano con la notte. E se qualcuno di loro per miracolo fosse sopravvissuto, con il ritorno dell'estate sarebbe bruciato in quel deserto maledetto.
Disperati, sconvolti, sentendosi in un vicolo cieco, i kittenfolk fecero quello che qualunque membro della loro razza avrebbe fatto: iniziarono a grattare con le zampette conto la parete, miagolando a squarciagola.

Pochi minuti dopo, una testa mastodontica fece capolino da sopra il muro. "Ho! En onos itavirra irtla!" Gridò, parole che per i piccoli erano incomprensibili.
Vento rizzò il pelo: un gigante? Un gigante! Quindi erano arrivati all'oasi, alla fine! Ma il loro bel piano di non farsi scoprire dai coinquilini era già andato a farsi benedire.
Richiamata dalle parole del gigante, una splendida fata comparve da dietro il muro e si sedette sul bordo, lasciando penzolare le belle gambe. Non si vedeva molto nella pioggia ma il gigante e la fata erano piuttosto simili, entrambi avevano un muso senza peli che non assomigliava affatto al muso di un gatto. In realtà la loro somiglianza terminava lì ma per i kittenfolk avrebbero potuto essere parenti.
La fata guardò il gigante con complicità e quello annuì in segno di accettazione. Bastò un gesto della creatura magica, e i gattini si sentirono sollevare in aria come se fossero stati raccolti da mani invisibili.
Vedendo la scena da un altro punto di vista quei piccoli esploratori si resero conto che il muro non era affatto un muro: era un'enorme piattaforma di pietra. Sopra quella piattaforma c'era una città, o quello che immaginarono fosse una città. Gli edifici erano cilindrici e tutti costruiti in pietra. Le case avevano delle porte e delle finestre, ma soltanto ai piani inferiori. Soprattutto, cosa interessante, le case sembravano troppo piccole per poter contenere creature grandi quanto il gigante che li stava guardando.
L'enorme umanoide si sforzò di parlare in silvano, la lingua dei fatati che era anche la lingua comune nel mondo di Wrych. Quasi tutti i kittenfolk erano in grado di parlare il silvano, anche se in modo strascicato perché le loro voci erano più abituate a produrre miagolii.
"È stato deciso che potete restare" annuncio Il gigante, in tono solenne. "La regina Ylaria ci ha promesso buoni commerci se vi diamo riparo per l'inverno."
I gattini rimasero in silenzio, senza sapere cosa dire. Non sapevano chi fosse questa Ylaria, qualcuno pensò che fosse la regina dei giganti, ma Vento era abbastanza sveglio per capire che se la sovrana aveva proposto degli scambi commerciali ai giganti allora non poteva essere una di loro.
Lanoso ci arrivò per primo, perché era uno sciamano e aveva studiato un po'.
"La Signora della Corte d'Autunno?" Miagolò, la sua voce roca ridotta a un sussurro.
La bella fata gli fece una riverenza.
"I miei folletti hanno preso quelli di voi che erano più deboli e lenti, e li hanno portati qui. I vostri vecchietti, i vostri cuccioli e quella trottolina cicciottella tutta bianca. È un piacere potervi aiutare."
Lanoso, Vento e Ombra la guardarono senza tradire alcuna espressione, chiedendosi come mai stesse parlando loro come se fossero dei cuccioli un po' stupidi. La regina aveva una vocetta sottile, come quella di una bimba.
Vento ci arrivò per primo.
"Ah. Perché noi siamo tanto carini, giusto?"
"Così carini!" Confermò la fata, andando in sollucchero.
Lanoso e Ombra ci passarono sopra con grazia, ma Vento se ne risentì un po'; aveva smosso mari e monti per portare alla salvezza la sua colonia, sempre in lotta, sempre in fuga, sempre partendo dal presupposto che tutti gli altri popoli fossero predatori. Non riusciva a credere che adesso avrebbero avuto un favore gratis solo per il fatto di essere carini. La cosa andava a loro vantaggio eppure riusciva a dargli fastidio. Aveva paura che la sua fama ne sarebbe stata compromessa. Gli altri due probabilmente ne sarebbero stati felici, non aspettavano altro che un'occasione per rubargli il metaforico topolino dalle zampe.
Nel frattempo i kittenfolk si erano ammucchiati ai piedi del gigante, che con la sua stazza li riparava un po' della pioggia.
"Voi andate nelle case, piccole palle di pelo" li invitò lui, facendo loro strada verso il più vicino edificio.

In quel giorno remoto, in cui per la prima volta i giganti della terra e i kittenfolk stabilirono un contatto pacifico, Lookian dell'Oasi di Pietra commise un errore di calcolo chiamandoli "piccole palle di pelo".
Avrebbe avuto tutto l'inverno per scoprire che cos'è davvero una palla di pelo.

   
 
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