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Autore: Alley    09/10/2019    2 recensioni
[a Noe, per il suo non-compleanno]
Il silenzio che Jack riceve in risposta è rotto da uno scalpiccio presto soppiantato dal cigolio della porta. Claire appare con addosso un pigiama rosa ricoperto di grandi uccelli dello stesso colore – Jack non ricorda se si chiamino fenicotteri o cigni. O forse era pavoni? - e in viso un’espressione che Jack definirebbe sofferente, se ci fosse un motivo per cui Claire dovrebbe star male. “Jack” la sente esordire, una mano poggiata allo stipite e il tono intagliato da qualcosa di simile all’esasperazione. “Ho il ciclo: vorrei stracciarmi l’utero, mangiare quintali di cioccolato e piangere come una disperata. Tutto contemporaneamente. Se mi ritrovassi con una pistola tra le mani potrebbe frinire molto, molto male.”
(...)
“Che cos’è il ciclo?”

[bi!Claire] [Claire/Jack] [subtly implied!Destiel]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claire Novak, Jody Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Ero sul punto di riciclarla come regalo di Natale, ma poi c'avresti trovato sopra troppa muffa.
Non posso più dirti
tanti auguri, ma per fortuna il ti voglio bene è valido ogni giorno dell'anno.
Firmato: quella che t'ha smaltato tutto il bagno.




 









































“Quindi: sei il figlio del diavolo.” Sorprendentemente, non suona come un’accusa; non sembra un modo per dire sei un mostro. “Claire.”
 
Claire gli tende la mano: Sam gli ha insegnato che, davanti a quel gesto, bisogna offrire la propria e prestarsi alla stretta. È il modo che gli esseri umani hanno per presentarsi, quello in cui aprono le porte del proprio mondo e permettono agli altri di entrare.
 
Jack ancora si sorprende di quanto poco basti per comunicare cose così grandi nel linguaggio degli uomini.
 
“Jack.”
 
*
 
“Sei una cacciatrice?”
 
Claire smette di lucidare la lama che era impegnata a ripulire. Quando Jody non è in casa, si permette di trattare l’attrezzatura come se non fosse un segreto da tenere custodito. Non che Jody creda che nel suo armadio siano ammassati soltanto vestiti e accessori; semplicemente, Claire preferisce risparmiarsi le occhiate di rimprovero che le verrebbero rivolte se si occupasse del suo piccolo arsenale alla luce del sole. Questo almeno è quello che Claire si racconta; la verità è che è la preoccupazione che non sopporta di veder apparire sul viso di Jody, quell’ombra che cala a ricoprirlo e lo fa apparire improvvisamente vecchio più di quanto le rughe non riescano a fare. È facile ostentare la rabbia, sbandierarla come fosse un vessillo di cui andare orgogliosi; lo è molto meno sapere di essere la causa del dolore delle persone che si amano.
 
“Più o meno” risponde Claire. “Quando ho il permesso” precisa, un sospiro nella sua voce. “Jody dice che non sono pronta; che devo imparare.”
 
I mostri là fuori non aspettano che lei impari. Mentre lei impara, altri bambini restano orfani; mentre lei impara, le persone muoiono.
 
“Anch’io devo imparare a usare i miei poteri.” Jack non sembra viverlo come una condanna. La tranquillità con cui lo dice lo fa sembrare semplice; lo fa sembrare giusto. “Tutti dobbiamo.”
 
Inaspettatamente, Claire si ritrova a pensare che abbia ragione.
 
*
 
“Buongiorno, ragazzi. Facciamo partire questa giornata?”
 
Jody si avvicina al tavolo e stringe affettuosamente la spalla di Jack in segno di saluto, poi si china a stampare un bacio tra i capelli di Claire.
 
Claire rotea gli occhi al soffitto, ma c’è tenerezza più che fastidio nel gesto. “Mamme” mormora, mentre Jody posa sul tavolo un piatto di pancake.
 
Jack accoglie la constatazione con l’incertezza di chi non possiede termini di paragone a cui appellarsi. Non ha mai condiviso una colazione con Kelly, né un altro dei momenti che scandiscono la quotidianità di una famiglia. Kelly era sua madre, ma lui non ha mai avuto l’occasione di sperimentare cosa significasse davvero quel legame, di conoscerne i contorni e saggiarne la consistenza. L’unica forma che è capace di attribuirgli è quella del bozzo di calore che lo avvolgeva quando era ancora racchiuso in quel grembo che per nove mesi gli ha fatto da casa; era sicurezza e protezione e qualcosa che soltanto dopo, attraverso i gesti di Sam e le parole gentili di Castiel e perfino la finta durezza di cui Dean riveste le sue premure, ha imparato a identificare come amore.
 
Jack prova a immaginare Kelly che ricalca il gesto compiuto da Jody poco prima; si concentra a tal punto sul pensiero che gli pare quasi di sentire il fantasma di un paio di labbra che gli aleggia sul capo.
 
Mamme, conviene.
 
*
 
Claire allunga il sacchetto di patatine in direzione di Jack; lui si sporge per infilarci dentro una mano. “Quindi…cosa fai di solito?”
 
Jack afferra una prima patatina dal mucchio posizionato sul suo palmo e la addenta. “Il Lunedì abbiamo la serata film e il Venerdì quella giochi; vado a fare la spesa quando è il turno di Dean, perché lui mi permette di comprare tutti gli sneak che voglio; con Castiel facciamo lezioni di volo.”
 
Claire, di patatine, ne ingurgita una manciata così abbondante da far fatica ad articolare le parole. “Io e Jody di guida: più o meno è lo stesso.”
 
“Ho imparato, ma – ho ancora difficoltà ad atterrare nel punto giusto.”
 
“Io uso il gps per quello; non ve lo danno in dotazione con le ali?”
 
“Non so cosa sia un gps.”
 
“E cos’è che ti piace fare?”
 
Questa volta, Jack si concede qualche attimo di riflessione. “Guardare documentari, leggere fumetti e…” Jack si illumina, come se fosse stato colto da un’intuizione improvvisa. “…disegnare! Anche se non sono molto bravo.”
 
“Io disegno le persone a forma di stanghette: non penso tu possa fare peggio.” Claire deposita sul tavolino la busta ormai vuota per dedicarsi alle lattine di Coca Cola. Le apre, le linguette di metallo che producono uno scatto secco nel venire sollevate. “Non hai mai…non so, conosciuto persone della tua età?” chiede a Jack, porgendogliene una.
 
“Bambini di due anni?”
 
“No--- non della tua età anagrafica. Ragazzi e ragazze, intendo.”
 
La verità è che Claire un po’ ci spera. Sa che Castiel ha portato lì Jack apposta perché loro due legassero; lo ha capito dall’accoramento con cui le ha assicurato che Jack le sarebbe piaciuto e che a lui avrebbe fatto bene la sua compagnia. Non è un problema prestarsi a questo genere di cose; Claire è sempre stata quella che alle feste rompeva il ghiaccio mentre gli altri si guardavano attorno guardinghi, che trascinava in pista chi se ne stava in disparte per condividere il divertimento. Non è fare amicizia che la preoccupa, ma dover diventare una specie di punto di riferimento. Anche se non lo ammetterebbe mai è costantemente alla ricerca di chi le prenda la mano privata della stretta solida dei suoi genitori; non si sente in grado di afferrare quella di qualcun altro per guidarlo.
 
“No” risponde Jack, spazzando via le sue speranze. “Nessuno” aggiunge, poi si rabbuia e abbassa lo sguardo. “Non è un buon affare conoscermi.”
 
Claire non sa come replicare. Una smentita di cortesia non servirebbe; è certo che le parole di chi conosce appena il suo nome non avrebbero alcun valore per Jack. “Questo non spetta a te deciderlo” dice quindi; Jack pare sorpreso dalla fermezza di quell’intervento. “Avrai il mio responso prima di andartene.”
 
*
 
“So muovere la matita!”
 
“Io so far apparire una monetina dietro al mio orecchio.”
 
“Anche io so---”
 
“Lascia stare.”
 
*
 
Quella mattina Claire porta Jack a fare colazione fuori. Lo fa sia perché un processo di integrazione come si deve richiede contesti di socialità in cui inserirsi sia perché, per quanto buoni possano essere i pancake di Jody, il suo stomaco ha periodicamente bisogno di una scorta di quelli di Ellis per sopravvivere.
 
Ellis è la proprietaria del diner che Claire frequenta da quando si è trasferita da Jody; ha un pezzo di chewing gum costantemente infilato tra i denti e un’aria burbera dietro cui è possibile scorgere una dolcezza malcelata, la stessa con cui riesce a far sentire i clienti a proprio agio come se stessero consumando la colazione tra le mura di casa.
 
“Buongiorno, Ellis.”
 
“Buongiorno a te, dolcezza. Il solito?”
 
“Mi conosci fin troppo bene.”
 
“E al signorino qui cosa portiamo?”
 
Gli sguardi di entrambe convergono in direzione di Jack. Jack guarda Claire, poi Ellis e poi di nuovo Claire, e solo quando lei lo invita ad esprimersi con un cenno del capo si decide a parlare. “Quello che prende lei.”
 
“Due porzioni di pancake con burro di noccioline e scaglie di cioccolato” recita Ellis, facendo scorrere la punta della penna sul taccuino. “Chi ho il piacere di conoscere?” chiede poi, rivolta a Jack. “Non ti ho mai visto da queste parti.”
 
Claire aveva messo in conto la possibilità di ricevere una domanda del genere; così, si appresta ad esporre la storia che ha diligentemente elaborato per non farsi trovare sguarnita. “Jack è il mio---”
 
“---ragazzo.”
 
Due paia di occhi tornano a scattare verso il punto in cui Jack è seduto; questa volta, sono fatti di palpebre sgranate e sopracciglia vertiginosamente sollevate verso l’alto.
 
“E Lia?”
 
“Mia.” Claire si impone di smaltire in fretta la sorpresa e riacquistare il controllo. “Non è durata.”
 
“Ottimo: non finiva mai la sua porzione di pancake. Il rimpiazzo sembra adorabile.”
 
Jack sfodera un sorriso largo e cordiale: “Grazie, signora” dice contento.
 
“Tesoro, chiamami Ellis, per favore: ci pensa già la carta di identità a farmi sentire vecchia.” Ellis ripone blocchetto e penna nella tasca del grembiule su cui campeggia lo stemma del locale. “Qualche minuto e sono da voi.”
 
Claire attende che sia abbastanza lontana da non poter origliare prima di prendere la parola. “Perché le hai detto che stiamo insieme?!”
 
“Sam e Dean dicono che è preferibile non presentarsi come il figlio del diavolo.”
 
“Be’, potevi dirle…qualsiasi altra cosa!”
 
Jack si stringe nelle spalle. “Un ragazzo e una ragazza seduti a un tavolo da soli stanno insieme, di solito. Nei film è sempre così.”
 
“Maledetta eteronormatività.”
 
“Come?”
 
“Niente. Solo, la prossima volta ci accordiamo sulla storia di copertura.”
 
Il silenzio cala a riempire lo spazio tra di loro. Claire tamburella distrattamente con le dita sul ripiano di legno, il profumo di dolce e l’aroma di caffè che le invadono le narici in una cacofonia di odori.
 
“Ti piacciono le ragazze.”
 
“E i ragazzi.”
 
Claire non sa quanto Jack ne sappia sull’argomento, ma immagina che vivendo con Dean e Castiel non sia totalmente all’oscuro delle varie possibilità che gli accoppiamenti offrono. “Io non so cosa mi piaccia” dice Jack; più che una confessione, sembra una riflessione elargita tra sé e sé. “Tu quando lo hai capito?”
 
Claire smette di picchiettare sulla superficie del tavolo per portarsi la mano al viso; utilizza le nocche come appoggio per la guancia e si stringe nelle spalle. “Tutte le mie compagne di classe sospiravano davanti ai principi Disney; io lo facevo anche per le principesse.”
 
“Sam mi ha fatto vedere i classici!”
 
Claire rammenta la vecchia collezione di videocassette che possedeva da bambina. Le ha date via dicendo che era diventata abbastanza grande da potersene privare, ma la verità era che vederle lì allineate le riportava alla mente tutte le volte in cui suo padre si presentava a casa con un nuovo pezzo con cui arricchirla e lei gli gettava le braccia al collo per esprimere la sua gratitudine.
 
Quando Ellis si presenta al tavolo con entrambe le mani occupate, Claire lascia andare quei pensieri.
 
“Buon appetito, piccioncini.”
 
*
 
“Anche Simba è stato cresciuto da due estranei.”
 
“Quindi Sam e Dean sono i tuoi Timon e Pumba?”
 
“Dean ha detto che lui è Timon; Pumba puzza.”
 
“In effetti ce lo vedo a mangiare persino scarafaggi.” L’immagine di Dean che mastica sguaiatamente un cheeseburger si materializza davanti agli occhi di Claire a mo’ di conferma. “Quale altro classico hai visto?”
 
Bambi. Ho pianto per la scena in cui la sua mamma viene uccisa: è davvero triste.”
 
Claire conosce la storia che sta dietro a quella commozione; Castiel le ha raccontato della donna che è andata contro Inferno e Paradiso per mettere al mondo il suo bambino e che ha pagato il prezzo della sua tenacia con la sua stessa vita.
 
Mi dispiace, vorrebbe dire, ma ha paura che farlo scioglierebbe il nodo che le stringe la gola, rendendola incapace di controllare le sue emozioni. Non sa dove starebbe esattamente il problema nel lasciarle uscire, ma sa che non vuole che accada; si sente sicura dietro la diga che ha costruito per contenerle.
 
Le follie dell’imperatore lo hai visto?”
 
Jack assume la sua solita espressione pensosa, la bocca storta e una ruga a scavare un solco al centro della fronte. “No” dice alla fine, come se fosse reduce dalla consultazione di una lista che soltanto lui può vedere.
 
Claire fa scorrere il cursore sullo schermo fino a posizionarlo sul titolo desiderato: “Bene: rimediamo a questa blasfemia.”
 
*
 
Claire apre il menù e una fila di icone si staglia sullo schermo. “Conosci Tumblr?”
 
La domanda disegna sulla fronte di Jack una ruga di incertezza. “No” dice alla fine, come arrendendosi alla constatazione di quella lacuna. “Però conosco Instagram.”
 
“Ci sei iscritto?”
 
Cala qualcosa, sul viso di Jack, un velo di tristezza mesta come quella che suscitano i ricordi ancora vividi a dispetto del tempo che li ha invecchiati; Claire lo vede scivolare via alla stessa velocità con cui è disceso e lasciare il posto a una specie di disagio che Jack si sforza di coprire con una risposta troppo traballante per risultare vera. “Uh, no. Ho…sentito Sam che ne parlava.”
 
Claire se la fa andar bene senza provare a sbirciare la verità spiacevole che deve nascondere. Torna a rivolgere l’attenzione al telefonino e seleziona l’icona blu sopra cui è incisa la familiare t bianca. “In questo spazio digiti quello che ti interessa” dice, voltando il cellulare verso Jack con la punta dell’indice poggiata all’altezza della barra di ricerca. “C’è di tutto: post su cinema, libri, serie tv, citazioni e…” Quando vede spuntare sul volto di Jack quella specie di broncio che gli piega la bocca ogniqualvolta le sue capacità di comprensione incontrano un ostacolo, la parola che cercava le si posa spontaneamente sulle sue labbra. “…cose adorabili.”
 
“Come i pinguini?”
 
L’esempio la prende alla sprovvista, ma, smaltito lo stupore, Claire si ritrova ad assentire con sincera convinzione: “Come i pinguini.”
 
Lo scambio inaugura una ricerca di immagini a tema; quando giunge a termine, Claire ha la memoria del cellulare intasata da pinguini di ogni razza ed età e una nuova emoticon posta accanto al nome di Jack nella lista contatti di Whatsapp.
 
*
 
“Quando tocca a Dean scegliere, guardiamo un film western o uno in cui le cose esplodono.”
 
“Trame fantastiche e dove trovarle.”
 
“Come?”
 
“Niente.”
 
*
 
 
“Vieni: facciamo un selfie.”
 
“Che cos’è un---?”
 
Senza dargli il tempo di formulare la domanda per intero, Claire si preme contro il fianco di Jack e solleva il cellulare davanti alle loro facce; lo schermo si riempie della loro immagine e Claire lo muove fino a quando non trova un’inquadratura che la soddisfi.
 
Il click dello scatto cattura i tratti dei loro volti nell’immobilità di una fotografia.
 
Claire compie un passo di lato per ristabilire la distanza tra i loro corpi. “Questo è un selfie” dice, l’indice rivolto allo schermo. Concede a Jack qualche momento per osservare il risultato, poi gira il cellulare verso di sé e si mette a studiarlo con applicazione. “È carino, ma lo sarà ancora di più con qualche effetto” sentenzia. “Lo ritocco e lo mando a Castiel.”
 
Che cosa siano gli effetti di cui Claire parla è una domanda che Jack decide di conservare per la prossima volta.
 
*
 
“Così.” Claire solleva il braccio di Jack in modo da farlo risultare perpendicolare al corpo, poi gli sistema le dita per rendere la presa attorno al calcio della pistola più salda. “Okay. Ora prendi la mira e…” Ritrae la mano e arretra affinché il campo della sua visuale diventi più ampio. “…spara.”
 
Appena il colpo parte Jack realizza che non è destinato ad andare a segno, ma la traiettoria del proiettile devia improvvisamente e la lattina designata come bersaglio viene colpita in pieno centro, andando a raggiungere quelle abbattute da Claire in precedenza.
 
“Non vale usare i poteri!”
 
“Non l’ho fatto apposta”  si giustifica Jack, la pistola che ancora fuma tra le sue mani. “Non mi piace imbrogliare” aggiunge, mortificato.
 
Claire si è accostata alla trave di legno che fa da appoggio alle lattine. “Visto che sei tu, ti credo” dice, prima di chinarsi sul terreno puntellato di sterpaglie e piccoli fiori di campo. Jack la guarda raccogliere i barattoli ricoperti di ammaccature e disporli uno accanto all’altro sopra l’asse, poi strofinare con l’indice la punta di una scarpa per mandare via la macchia di terra che l’ha sporcata.
 
Visto che sei tu.
 
Non sa cosa Claire intenda esattamente, ma sa che gli piace. 
 
*
 
“Ti va di vedere Lucifer?”
 
“…..”
 
“Okay, lo ammetto: è troppo becero persino per il mio umorismo.”
 
*
 
“Jack, non posso, ti ho detto.”
 
La voce di Claire risuona dall’interno della sua stanza, oltre la porta chiusa davanti la quale Jack se ne sta in piedi. Non capisce perché Claire abbia cambiato idea; è stata lei stessa a proporgli di tenere una nuova lezione di tiro e, quando lo ha fatto, pareva ferma nelle sue intenzioni.
 
“È per qualcosa che ho fatto?”
 
“Cos---? No, Jack, non hai fatto niente di male; non se escludi il tentativo di tostare il pane con la mia piastra per capelli, almeno.”
 
“Hai altro da fare?”
 
“Non c’è niente che possa fare, in queste condizioni.”
 
“Pensi che non possa imparare?”
 
Il silenzio che Jack riceve in risposta è rotto da uno scalpiccio presto soppiantato dal cigolio della porta. Claire appare con addosso un pigiama rosa ricoperto di grandi uccelli dello stesso colore – Jack non ricorda se si chiamino fenicotteri o cigni. O forse era pavoni? - e in viso un’espressione che Jack definirebbe sofferente, se ci fosse un motivo per cui Claire dovrebbe star male. “Jack” la sente esordire, una mano poggiata allo stipite e il tono intagliato da qualcosa di simile all’esasperazione. “Ho il ciclo: vorrei stracciarmi l’utero, mangiare quintali di cioccolato e piangere come una disperata. Tutto contemporaneamente. Se mi ritrovassi con una pistola tra le mani potrebbe frinire molto, molto male.”
 
Quella raffica di parole procura a Jack una specie di stordimento. Perplesso, scava nella memoria alla ricerca di informazioni che possano aiutarlo a coglierne il significato, ma non ne trova.
 
“Che cos’è il ciclo?”
 
Gli occhi di Claire si allargano per la sorpresa; quando riacquista il controllo della sua espressione, incrocia le braccia sotto ai seni e inarca eloquentemente un sopracciglio. “Sam e Dean hanno ancora parecchio da insegnarti.”
 
*
 
Jack somiglia a Castiel più di quanto Castiel somigli a suo padre; gli somiglia nelle fessure in cui stringe gli occhi quando è in preda al dubbio, nel modo in cui inclina la testa sotto il peso della confusione, nell’espressione accigliata che gli cuce in viso ciò che non è in grado di comprendere.
 
Il volto di suo padre era una distesa piatta e serena, mai turbata dai solchi disegnati dalle rughe o incisi dalle smorfie. Probabilmente Claire lo ricorda così perché all’epoca era solo una bambina; da piccoli è facile vedere la felicità persino dove non c’è.
 
“Claire?” La voce di Jack la riscuote, riportandola al presente. “Cosa c’è?”
 
“Niente.”
 
“Mi stavi fissando.”
 
Jack non sa significhi agire per convenevoli; non capisce che a volte è meglio mollare la presa anziché rinsaldarla.
 
Può essere uno svantaggio, ma non necessariamente.
 
“Sei sicuro che Castiel non sia tuo padre biologico?”
 
“Come?”
 
Le labbra di Claire si increspano in un sorriso. “Sei la sua copia sputata.”
 
Jack riflette su quelle parole, come se ciascuna fosse un pezzo da incastrare insieme ad altri per formare un disegno che ha rivelato i suoi tratti solo parzialmente. “È quello che ha detto una volta una signora al supermercato” osserva, fissando il vuoto in cui la sua mente deve aver proiettato le immagini che compongono il ricordo. Jack si perde in quel frammento di memoria per qualche altro momento, poi, il suo sguardo va a cercare quello di Claire. “Anche tu somigli a tuo padre: avete gli stessi occhi.”
 
Il sorriso che Claire teneva ancora in viso è percorso da uno spasmo e si fa un po’ più smorto, un po’ più triste, ma di quelle tristezze che ti si poggiano addosso leggere come la nave quando cade in fiocchi piccoli e sottili destinati a sciogliersi poco dopo l’impatto con la pelle.
 
Era da anni che non se lo sentiva dire, che ha gli occhi di suo padre.
 
*
 
“Non passi mai tanto tempo al cellulare” osserva Claire, il sospetto che serpeggia nella sua voce. Quando Jack alza la testa, l’espressione che ha in volto è quella di un bambino colto con le mani immerse nella marmellata. “Cos’è che guardi?”
 
“Niente.”
 
Se c’è un modo per innescare la curiosità di Claire è farle capire che le si sta tenendo nascosto qualcosa. Quando ha visto Alex diventare sfuggente e insolitamente distratta, ha perlustrato la loro stanza fino a scovare tra le pagine di Cime tempestose la lettera di ammissione della nursing school di cui, stando alle sue parole, Alex sarebbe stata ancora in attesa.
 
Jack non sa d’aver firmato la sua condanna a morte, con quella risposta.
 
Con un gesto rapido che Jack non fa in tempo a fermare, Claire gli strappa il cellulare dalle mani.
 
“Claire.” Jack la circonda con entrambe le braccia nel tentativo di riappropriarsi di quel che gli è stato sottratto. È indubbiamente il più forte tra i due, ma le capacità di resistenza di Claire, forgiate da mesi di allenamento, le consentono di tenergli testa. Probabilmente le servirebbero a poco se Jack decidesse di imporsi. Claire ricorda il modo in cui ha tenuto sotto scacco il brutto ceffo al parcheggio ed è certa che gli basterebbe altrettanto poco a bloccarle i polsi e a impedirle qualsiasi movimento, a costringerla esattamente nella posizione in cui desidera. Per qualche motivo, il pensiero la porta a perdere la concentrazione: Jack ne approfitta e arriva a sfiorare il cellulare con la punta delle dita; Claire deve allungare il braccio verso l’alto per condurlo al di fuori dalla sua portata. “Ridammelo.”
 
“Non ti giudicherò se eri su pornhub: ci vado anch’io.”
 
“Non so---”
 
“---cosa sia” conclude Claire al posto suo, il cellulare ancora sospeso in aria, sopra le teste di entrambi. “E allora cosa---?”
 
Quando solleva il capo e trova con i suoi stessi occhi la risposta, Claire smette automaticamente di dimenarsi. Il senso di colpa le stringe le viscere in una morsa e, per la prima volta in vita sua, si rimprovera per essere così maledettamente ficcanaso.
 
“Ecco come so di Instagram.” Sullo schermo si susseguono le anteprime di decine di fotografie: una bambina intenta ad accarezzare un cane tre volte più grande di lei; un albero di Natale custode di buste colorate e pacchi infiocchettati; un panorama ricoperto di neve contro cui si staglia la sagoma di una donna imbacuccata che tiene indice e medio sollevati in un gesto di vittoria. “Mia madre aveva un profilo: la sua famiglia non sa che è morta, quindi nessuno si è preso la briga di chiuderlo.”
 
Claire prova a pensare a come sarebbe stato avere un posto dove andare a raccattare brandelli di ricordi dopo la morte dei suoi genitori. Forse le sarebbe piaciuto disporre di quella consolazione o, forse, sarebbe stato soltanto sale gettato sulle ferite inferte dal lutto. “Wow, una mamma moderna. I miei sapevano a stento accendere il computer.”
 
La battuta riesce nell’intento di stemperare la tensione. Claire è sempre stata brava a togliersi dagli impicci facendo ricorso all’ironia, ma, questa volta, non intende avvalersi di quel tipo di scappatoia: non se la merita. “Mi dispiace” dice sinceramente, restituendo a Jack il telefonino. “Non avrei dovuto impicciarmi.”
 
“Non importa.” Non ci sono residui di rancore nascosti nel tono di Jack; non sembra il tipo di persona capace di nutrirne, in effetti, al contrario di Claire che accantona i torti subiti ma difficilmente li dimentica e non li perdona mai fino in fondo.
 
Forse la pazienza e la perseveranza non sono le uniche cose che avrebbe da imparare da lui.
 
“Sì invece: ti chiedo scusa.”
 
“Scuse accettate.”
 
Jack tiene le dita incollate ai bordi del cellulare. A giudicare dall’espressione combattuta che ha in viso, è in lotta con un impulso che non sa se assecondare o reprimere. “Vuoi vedere le foto?” si decide a proporre.
 
“Certo.”
 
Prendono posto sul divano. Jack scorre la pagina fino a risalire alle immagini meno recenti: Claire ride davanti a una giovane Kelly con della panna spalmata sul naso e viene colta da un irrefrenabile moto di tenerezza per il dettaglio delle mani poggiate sopra la stoffa gonfiata dal pancione nell’immagine che conclude la rassegna. È l’ultimo post pubblicato, l’ultimo frammento di vita che Kelly ha avuto modo di mostrare al mondo.
 
Jack si perde in una contemplazione assorta dello schermo. “Mi manca” dice alla fine.
 
Claire non è mai stata brava con le parole, ma non è sicura che in circostanze come quella ce ne siano davvero di giuste; per questo, non prova nemmeno a trovarle e si limita a dar voce a quello che ha dentro.
 
“Anche a me manca la mia. E mi manca anche mio padre.” È la prima volta che si concede di dirlo a voce alta. Jody potrebbe risentirsene, pensare che l’amore di cui la ricopre non sia abbastanza per colmare quel vuoto; Alex deve già sopportare il peso del proprio, di passato, e non ha bisogno di altri fardelli da sorreggere; Castiel si sentirebbe responsabile. Con Jack può essere sincera senza paura che la verità possa ferirlo. “Non ho potuto salvare loro; magari posso farlo con gli altri.”
 
“Mia madre era convinta che avrei fatto del bene al mondo; vorrei dimostrare che aveva ragione.”
 
Claire annuisce. Un flusso di intendimento silenzioso passa tra di loro, avvicinandoli in un modo in cui soltanto le stesse ferite sono in grado di fare.
 
Claire non sa quale fosse il futuro che sognavano per lei i suoi genitori, ma da quando ha deciso che avrebbe smesso di incassare colpi dalla vita per iniziare a sferrarne a sua volta ha sempre mirato a rendere orgogliosi tanto loro quanto quelle persone che le hanno permesso di riscoprire il significato della parola famiglia.
 
Vuole che siano fieri della persona che diventerà; lei stessa vuole poterlo essere.
 
“Ce la farai.”
 
“Anche tu, Claire.”
 
*
 
Claire si sistema sotto le coperte. C’è qualcosa di esilarante nel ricordare che c’è stato un tempo in cui era convinta che bastasse uno strato di tessuto in più ad esser protetti dai mostri acquattati sotto il letto e stipati dentro gli armadi; adesso sa che in realtà certe creature non se ne stanno nascoste ma scorrazzano in piena libertà, ma ha conservato l’abitudine di trovare rifugio nelle lenzuola anche quando le temperature non lo richiederebbero.
 
È una delle poche cose che restano della bambina che è stata.
 
Seguendo un’abitudine ormai consolidata, invia la buonanotte ad Alex. L’ha sorpresa la naturalezza con cui si è instaurata quell’usanza, l’esito di un accordo mai stipulato che entrambe si sono ritrovate a rispettare. Claire e Alex non sono quel tipo di sorelle che ha bisogno di starsi fisicamente vicino, come fossero il prolungamento l’una dell’altra, ma proprio per questo ha un valore tutto suo il fatto che abbiano voluto trovare un modo per eludere la lontananza dopo il trasferimento di Alex.
 
(Alex): Sogni d’oro, peste.
 
Claire non fa nulla per impedire al piccolo sorriso che le pizzica gli angoli della bocca di dispiegarsi; in fondo, Alex non è lì a guardare.
 
Sta per riporre il cellulare accanto all’abat jour quando un pensiero sottile come uno spillo si insinua nella sua mente e la spinge a interrompere il gesto già per metà compiuto.
 
Accede nuovamente al menù e clicca sull’icona che contrassegna la gallery fotografica. Il selfie suo e di Jack è lì, in mezzo ai meme e a quelle orribili immagini da cinquantenne inviate da Jody di cui ride con Alex ma che poi non ha il cuore di eliminare. Claire lo seleziona in modo da ingrandirlo e si concentra sull’espressione di Jack: pare star fissando un rebus da risolvere più che l’obiettivo di una fotocamera e il dettaglio la fa sorridere di nuovo allo schermo.
 
È tentata di impostare la foto come sfondo, ma l’idea è accompagnata da un sentore di sbagliato che la porta a desistere e a metter via il cellulare in tutta fretta, come se avesse bisogno di mettere distanza tra sé e quell’inutile, sciocco pensiero.
 
Claire spegne la luce e affonda la testa nel cuscino, rimboccandosi le coperte fin sotto al mento. Malgrado la stanchezza che le pesa sulle palpebre, fatica a prendere sonno.
 
*
 
Jack appare perplesso, come se la scena gli stesse proponendo un problema insolubile e non il più banale dei cliché da commedia romantica. “Perché le dà dei fiori?” domanda, mentre un uomo in giacca e cravatta porge un mazzo di rose rosse a una donna in tenuta altrettanto elegante. “Non sarebbe meglio non strapparli?”
 
“Si regalano fiori a una persona quando ti piace.”
 
Suo padre portava sempre alla mamma dei girasoli il giorno del loro anniversario: erano i suoi fiori preferiti. La reazione con cui li accoglieva era completamente diversa da quella esageratamente enfatica che si sta consumando sullo schermo; gli occhi le si accendevano di un brillio carico di meraviglia, come se avesse ricevuto un dono realmente inaspettato e non uno che le veniva recapitato con cadenza regolare da quando era convolata a nozze.
 
Claire si permette di indugiare su quel dettaglio per un unico istante, in modo che abbia il tempo di pungere ma non quello di penetrare in profondità nella carne. I ricordi sono ancora qualcosa da cui ha bisogno di difendersi, ferite a cui basta un nulla per riprendere a sanguinare.
 
“Perché?”
 
“Non c’è un perché: si usa così.”
 
Jack se lo fa bastare.
 
*
 
Dopo aver scritto ad Alex, Claire seleziona il nome di Jack e gli invia l’emoticon a forma di angelo. Tu aggiunge a mo’ di didascalia.
 
(Jack): Perché mi scrivi se siamo nella stessa casa?
 
(Claire): Non essere noioso.
 
(Jack): Non sono io: è un’emoticon.
 
(Jack): Sono un nephilim, non un angelo.
 
(Jack): Nemmeno gli angeli hanno l’aureola, in realtà.
 
(Claire): No-i-o-so.
 
Vanno avanti a suon di messaggi di poco conto e di meme che Claire si ostina a inviare malgrado l’incapacità di Jack di decifrarli. Claire sta attenta a ridacchiare a voce sempre più bassa a mano a mano che i minuti scorrono e il buio oltre la finestra si infittisce. L’ora è segnata sulla parte alta del display, ma Claire non si preoccupa di controllarla; allunga distrattamente un braccio verso l’abat jour e lo spegne una volta trovato l’interruttore, poi torna a dedicarsi alla tastiera.
 
È solo la mattina dopo, quando si sveglia con il cellulare incastrato nella presa molle delle dita intorpidite dal sonno, che Claire realizza di essersi addormentata a conversazione ancora in corso.
 
Gli ultimi messaggi inviati da Jack giacciono in fondo alla chat. Risultano visualizzati, ma sono privi di risposta; devono esserle arrivati quand'era già crollata.

Se così non fosse li avrebbe ricordati; lo avrebbe fatto sicuramente.

(Jack): Quali sono i tuoi fiori preferiti?
 
(Jack): Mi piace stare qui.
 
(Jack): Buonanotte, Claire.
 
*
 
Claire è stravaccata sul suo letto, intenta a sfogliare pigramente la home di Facebook mentre il ticchettio dei tasti le martella i timpani. Alex non stacca mai davvero la spina, nemmeno quando ha qualche giorno di riposo da trascorrere a casa.
 
“Jack è carino.”
 
Alex lo dice con aria apparentemente innocua, come se si trattasse di un’osservazione mossa senza intenti particolari; peccato che Claire sia perfettamente in grado di cogliere tutti i sottintesi insiti nel suo tono, anche quelli che cerca di camuffare.
 
Dean le ha detto che va così, tra fratelli.
 
“Sì: come può esserlo un peluche o un animale domestico.”
 
“Passate molto tempo insieme---”
 
“Certo: vive in questa casa dove io sono rinchiusa perché, a differenza tua, non sono libera di fare quello che voglio.”
 
Alex stacca le dita dalla tastiera. Si raddrizza contro lo schienale e si stiracchia per distendere i muscoli, poi fa roteare la sedia in direzione di Claire. “Perché quello che voglio io non comporta il rischio di finire ammazzata” dice, un’espressione eloquente in viso. “A meno che non commetti qualche errore davanti alla Johnson; in quel caso, ci sono buone possibilità che accada.”
 
Claire si aspetta di venire investita da uno di quei moti di rabbia che la portano a fornire repliche al veleno, eppure le parole di Alex le innescano un sentimento completamente diverso. “Come va il tirocinio?” si ritrova a chiedere, senza averlo minimamente preventivato. Non ricorda quando sia stata l’ultima volta che ha posto ad Alex una domanda simile; di solito è troppo occupata a procurarsi nuovi casi o troppo decisa a fare la parte della sorella scorbutica per concedersi quel tipo di chiacchiere.
 
“Bene: tra un paio di mesi sarà finito. Se riesco a sopravvivere, potrei addirittura pensare di lavorare lì.” Si guardano; un messaggio muto passa tra di loro, come un flusso di particelle che si sposta da un punto all’altro attraverso l’aria. “Sento la mancanza di casa; persino la tua.”
 
“Io nemmeno un po’: finalmente ho la stanza tutta per me.”
 
“E si vede, visto che è ridotta a un porcile.”
 
“È una stanza vissuta.”
 
“Certo.”
 
È solo quando Alex sorride che Claire realizza d’aver piegato le labbra a sua volta. “Sarai libera prima di quanto immagini.” Alex riserva a Claire un’ultima smorfia saputa, le braccia già tornate a tendersi verso la tastiera. “Nel frattempo, goditi la compagnia.”
 
*
 
(Claire): Girasoli.

(Claire): A me no. Sei diventato il preferito di Jody: il figlio maschio è sempre il cocco della mamma.
 
(Claire): Scherzo. Anche a me piace averti qui.
 
*
 
Claire poggia la cassa di birre sull’asfalto e usa le mani libere per aprire il cofano dell’automobile; è allora che la voce la raggiunge, viscida e sguaiata, facendola trasalire.
 
“Me ne offriresti una, bellezza?”
 
Claire si volta verso il punto da cui l’ha sentita provenire. L’uomo a cui appartiene se ne sta poggiato alla fiancata dell’automobile, il gomito piantato nella carrozzeria in un gesto di ostentata noncuranza. Le tiene gli occhi artigliati addosso e ha disegnato sulla bocca un ghigno che gli torce il viso in una smorfia screanzata.
 
Claire gli rivolge un’occhiata sprezzante prima di tornare a ignorarlo. “Sparisci” gli intima, e fa per chinarsi a raccogliere la cassa; prima che arrivi all’altezza dell’imballaggio, si sente afferrare per un polso. “Non essere maleducata.” Il tono dell’uomo è appena un po’ più ruvido, il fastidio che vibra vivido sotto la facciata di scherno. “Ti ho solo chiesto una birra.”
 
Claire chiude la mano destra a pugno, pronta a sferrargli un colpo; prima che ne abbia il tempo, la presa dell’uomo si allenta fino a scomparire e l’aria è riempita da un verso strozzato e da un tonfo che si levano in rapida successione. Quando Claire si solleva, trova l’uomo con la faccia schiacciata contro il bordo del tetto dell’auto. Le mani che lo tengono fermo appartengono a---
 
“Jack.”
 
L’uomo sputa un’imprecazione e si agita nel tentativo di divincolarsi, ma ottiene solo di essere premuto con più forza contro il metallo. Jack gli tiene una mano pigiata sul viso e l’altra dietro la schiena, a fare da legaccio attorno ai polsi. L’uomo è più alto e più robusto di Jack, ma la stazza non sembra apportargli alcun vantaggio.
 
“Non ti azzardare mai più a toccarla” ringhia Jack, affondando le dita nella carne all’altezza dello zigomo. L’uomo emette un lamento dolorante e il suo corpo si contorce in uno spasmo, sbattendo contro la carrozzeria. “Hai capito?”
 
In quel momento, forse per la prima volta, Jack non le appare come un bambino che sta ancora imparando a stare al mondo, ma nemmeno come un adulto che ha la situazione sotto controllo. Non sembra essere in controllo nemmeno di se stesso, a dire il vero: Claire ha la sensazione che le sue dita potrebbero spappolare il viso dell’uomo se spingessero appena un po’ più forte e, se è vero che non proverebbe per lui nemmeno un briciolo di dispiacere, è comunque uno spettacolo a cui preferisce non assistere.
 
“Lascialo andare.”
 
“Cristo, stalla a sentire.”
 
Jack.”
 
Il richiamo porta Jack a sollevare lo sguardo; dopo aver concesso una rapida occhiata a Claire, si decide a mollare la presa. L’uomo si stacca dall’automobile con uno scatto frenetico e indietreggia, la faccia livida nel punto in cui è stata pressata contro la carrozzeria e arrossata dalla parte opposta. Guarda Jack con una confusione attonita negli occhi e poi se la dà a gambe; Jack e Claire ne inseguono la figura fino a quando non la vedono sparire oltre l’inferriata che delimita l’ingresso del parcheggio.
 
“Stai bene?”
 
Ora che non è più preda dell’agitazione, Claire ha modo di rilevare il fastidio pungente che le brulica sottopelle. Jack non ne è la causa, eppure, in qualche modo, ne è responsabile più del sorriso ripugnante che l’uomo le ha indirizzato e del contatto indesiderato a cui l’ha costretta. Può affrontare minacce del genere; bastano uno sguardo duro e un pugno bene assestato, come quello che già covava tra le dite. È brava quando si tratta di farsi valere con le mani; lo è molto meno c’è in ballo quel senso di inquietudine che le ribolle dentro come lava e che l’accompagna da così tanto tempo da essere diventato una parte del suo essere.
 
Non ricorda nemmeno come fosse, non sentirsi schiava di quella smania; fermarsi a godere della pace anziché inseguire costantemente la guerra.
 
“Certo che sto bene.” Claire solleva la cassa di birre; la lascia cadere sul fondo del bagagliaio senza alcuna delicatezza, le bottiglie che tintinnano pericolosamente nell’impatto.
 
“Sei arrabbiata.”
 
È la goccia che fa traboccare il vaso: le maschere che indossa sono muri che erige per nascondersi e Jack ha il brutto vizio di buttarli giù con la brutalità impietosa che solo la sincerità sa avere, costringendola a venire allo scoperto.
 
“Non sono una d.i.d. Che, se te lo stai chiedendo, significa…”
 
“…donzella in difficoltà” la anticipa Jack. “Ho visto Hercules” aggiunge. “Non penso che tu lo sia. Volevo solo---”
 
“---proteggermi?”
 
“---aiutarti.”
 
È come se Jack avesse scostato un velo e mostrato la verità che teneva celata: è così ossessionata dal proposito di dimostrare – agli altri, a Jody, a se stessa – che può cavarsela da sola da scambiare un gesto di gentilezza per un attacco personale; è talmente abituata a stringersi addosso la corazza che si è fabbricata che finisce col perdere di vista da cosa debba effettivamente difenderla.
 
“Scusa: non hai fatto niente di male.” Claire richiude il cofano e ingoia un sospiro assieme a un grumo di senso di colpa. “Sto bene” dice, voltandosi verso Jack. “Era solo un cretino; la lezione gli farà bene. Torniamo a casa?”
 
Jack la guarda come se la stesse studiando, con quella ferma, esagerata applicazione che riserva alle cose; poi, la sua espressione si distende e muove il capo in un convinto cenno di assenso. “Torniamo a casa.”
 
*
 
Claire si muove freneticamente per la stanza, incalzata dalle grida che le casse del cellulare continuano a far risuonare. Ha giusto il tempo di dare mentalmente ragione ad Alex riguardo la tenuta disastrosa della camera quando un luccichio cattura la sua attenzione, rivelando finalmente la posizione del pugnale di cui era alla ricerca. Claire lo raccoglie e lo getta in borsa. Presa dalla smania e dai rumori di sottofondo, registra appena il cigolio della porta che viene aperta.
 
“Che succede?”
 
Claire piazza lo schermo davanti agli occhi di Jack con un gesto convulso. “È una diretta: la gente sta scappando dai mannari.” Ritrae il telefonino e se lo infila in tasca, poi si sistema la sacca in spalla. “Sapevo che c’era un covo da qualche parte attorno al parco; sarei dovuta intervenire prima, maledizione.” Una stretta le attanaglia lo stomaco, ma fa ancora in tempo a rimediare. “Se mi sbrigo posso intervenire.” 
 
“Forse sarebbe meglio chiamare Sam e Dean.”
 
“Arriverebbero troppo tardi.”
 
“Ma---”
 
Jack. Quelle persone moriranno se non vengono aiutate.”
 
Qualcosa nel suo tono deve risultare convincente, perché l’incertezza mostrata da Jack fino a un attimo prima viene soppiantata da una rassegnazione contrita e poi da un sentimento ancora diverso, dalle tinte più decise. “Va bene” dice, guardandola dritto negli occhi. “Vengo con te.”
 
“No.” Claire pensa all’impeto con cui Jack si è scagliato su quell’uomo e ai rischi a cui lo esporrebbe se il bersaglio fosse un branco di mannari anziché un semplice essere umano; pensa a Castiel che le ha affidato Jack perché lo aiutasse ad essere un ragazzo normale; pensa a Sam e Dean e all’ennesima pira che sarebbero costretti ad accendere se Jack morisse. “Jody sarà qui da un momento all’altro. Ho---” Pensa a come sarebbe convivere con la consapevolezza che Jack è stato l’ennesimo affetto che non è riuscita a salvare. “---bisogno di qualcuno che mi copra” dice; poi, per stroncare sul nascere il moto di protesta con cui Jack è sul punto di opporsi. “Resta qui: per favore.”
 
Jack storce la bocca in una smorfia contrariata; per questo, Claire gli è ancora più grata quando lo vede cedere sotto il peso della sua richiesta. “Va bene. Ma sta’ attenta.”
 
*
 
Claire ha le mani sporche di sangue.
 
Non sa appartenga a lei o al mannaro che ha ucciso, ma sa che è con quelle mani che sta mettendo al sicuro la bambina che se ne stava acquattatala sotto lo scivolo, le mani tremanti e gli occhi pieni di terrore attonito, e tanto le basta.
Con gesti gentili ma decisi Claire la aiuta ad accovacciarsi contro il tronco di una quercia, nell’incavo posto tra due delle grandi radici che la tengono ancorata al suolo. Non è il miglior nascondiglio possibile, ma è l’unico che abbiano a disposizione. “Resta qui” le mormora, e la bambina annuisce mentre si porta le ginocchia al petto e si strofina la guancia bagnata con il dorso della mano.
 
Claire ha appena il tempo di compiere un passo che si ritrova assediata: i mannari sono disposti a semicerchio attorno a lei e sembrano non aver gradito la sua interferenza. Non può affrontarli e sperare di uscirne viva; non può lasciare il rifugio della bambina incustodito e convivere con la sua coscienza per il resto della vita.
 
Non può fare nulla se non assistere inerme all’avanzata di quei mostri maledetti e stringere l’impugnatura del pugnale come se potesse davvero fare qualche differenza. Quando lo brandisce una consapevolezza istantanea le piomba addosso, secca e fredda come un colpo di scure: non vedrà mai più Jody, e Alex, e Castiel. Subito dopo ne sopravviene un’altra, meno coerente eppure altrettanto dolorosa per motivi che Claire non è in grado di capire fino in fondo: non insegnerà a Jack a sparare.
 
E lui imparerà comunque, per mano di Sam o di Dean o di qualche altro cacciatore abbastanza bravo da uscire indenne dallo scontro con cinque mannari dagli occhi spiritati e dalle zanne affilate, ma non sua. Forse, per quando accadrà, Jack si sarà già dimenticato di lei e dello spazio minuscolo che ha occupato nella sua vita.
 
Un rumore si insinua in mezzo a quei pensieri, un suono appena distinguibile che Claire si sorprende di riuscire a udire in mezzo ai latrati e ai ringhi. È quello di un paio di ali che frustano l’aria. Un attimo dopo, Jack appare alle spalle dei mannari; colta dalla sorpresa, Claire quasi perde la presa sul manico del pugnale.
 
La terra incomincia a tremare. Lo sguardo di Claire scivola sulle zolle che si sollevano e si abbassano ritmicamente in preda alle vibrazioni. Quando Claire torna a sollevare il capo, le iridi di Jack sono due cerchi d’oro acceso ed emanano una ferocia che fa impallidire lo slancio nervoso di quel pomeriggio al parcheggio. Per effetto di un ordine impartito dal movimento delle mani di Jack, l’energia che scuote la terra si condensa in una bolla invisibile che si scaglia contro la fila di vampiri; la potenza sprigionata dall’onda d’urto finisce per investire anche Claire, mandandola a sbattere contro il tronco. L’impatto le procura una fitta all’altezza della spalla, ma quando apre gli occhi e trova i corpi dei mannari riversi sul terreno il dolore è immediatamente coperto dal sollievo.
 
A guastare il momento ci pensa lo sguardo contrito che Jack le tiene puntato addosso. Claire non riesce a leggerlo fino in fondo, ma sa con inequivocabile certezza che non contiene nulla di buono. In un moto di puro istinto si allunga verso Jack, ma la fitta innescata dal movimento la porta a ritrarre la mano che teneva protesa per portarsela alla spalla. Il bisogno di raggiungere Jack in qualche modo, però, non si è arrestato.
 
“Jack---”
 
Ma Claire non ci riesce: quando parla, la sua voce rimbomba in una distesa di vuoto.
 
*
 
Claire avverte distrattamente il tonfo del piatto che impatta contro il legno; è talmente assorta nei pensieri che le affollano la mente da accorgersi della presenza di fronte a lei solo grazie al piccolo colpo di tosse che viene rilasciato apposta per attirare la sua attenzione.
 
“Ellis.” Trovarla seduta su una delle panche riservate ai clienti è strano tanto quanto vedere improvvisamente mutata la disposizione dei soggetti di un quadro che si conosce a memoria. “Dev’esserci un errore” dice Claire, con un cenno ai pancake appena depositati sul tavolo. “Ho già avuto la mia porzione.”
 
“Questa la offre la casa.” Ellis poggia due dita sull’orlo del piatto per spingerlo in direzione di Claire; poi, dopo un’occhiata torva alla fasciatura che le sorregge l’avambraccio: “Che fine ha fatto il tuo ragazzo?”
 
Ci siamo lasciati sarebbe la cosa più logica da dire, in linea con la recita che le parole di Jack l’hanno costretta a imbastire e buona per metterle fine. Eppure, è un’altra la risposta che Claire si sente dare. “Non lo so. Non lo sento da giorni: è sparito.”
 
“È uno stronzo allora.”
 
Il senso di colpa è un peso che le schiaccia lo stomaco e le fa abbassare lo sguardo. “No, è colpa mia: ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare.”
 
“Sai cosa ho fatto quando George è scomparso?”
 
“George?”
 
“Quell’imbecille del mio terzo marito.”
 
L’espressione di Claire viene percorsa da un fremito. “Non sapevo che fossi stata sposata” dice, la voce carica di sorpresa. “Tre volte.”
 
“Mi ci è voluto un po’ per smettere di perseverare nell’errore.”
 
Claire sente un piccolo sorriso affiorare alle labbra. Malgrado abbia provato per Ellis un bene istintivo dalla prima volta che ha messo piede nel diner, non le è mai venuto in mente di provare a oltrepassare la facciata fintamente arcigna dietro cui si barrica con i clienti. La diverte l’ironia caustica con cui Ellis racconta quello spaccato di vita, ma le piace anche il fatto di star sbirciando attraverso lo spioncino, di avere a disposizione una prospettiva diversa da quella che è abituata ad assumere. “Cos’hai fatto?”
 
“Ho dato il suo guardaroba in beneficenza e sono andata a comprarmi vestiti nuovi da sistemare nell’armadio dove prima c’erano le sue orribili camicie. Non me ne fregava niente; avevamo smesso di funzionare molto tempo prima che se la desse a gambe e non abbiamo mai avuto il coraggio di dircelo in faccia. Quella però.” Ellis punta l’indice verso Claire, brandendolo con enfasi. “Non è la faccia di una a cui non importa più; non è nemmeno la faccia di chi ha appena divorato una fantastica porzione dei miei pancake, a dirla tutta.”
 
“Ascolta il consiglio di una che ne ha passate abbastanza da poterne dispensare con cognizione di causa: parlagli. Visto che t’importa, avrai avuto i tuoi motivi per fare quello che hai fatto. O magari no: a volte si sbaglia e basta, fa parte della vita. Sta a noi accettarlo e agli altri decidere se perdonare i nostri errori.”
 
Le parole di Ellis fanno apparire tutto estremamente semplice, come il devi imparare, tutti dobbiamo di Jack che solo qualche settimana prima era parso a Claire un’illuminazione calata dall’alto. Ma lei non ha saputo farne tesoro, perché è così che fa sempre: parte in quarta e capisce d’aver sbagliato solo quando il motore è già morto ed è impossibile rianimarlo. “Ci ho provato: ignora le mie chiamate.”
 
“Insisti: prima o poi dovrà risponderti. A quel punto o le cose si aggiusteranno o troverai un altro rimpiazzo.” Il suono del campanello annuncia l’arrivo di nuovi clienti; Ellis si alza e rivolge un cenno al piatto di pancake ancora intonsi. “Almeno questi goditeli, okay? I dolci non servono a niente se non rendono felice chi li mangia.”
 
“Grazie, Ellis.”
 
“Figurati, tesoro: pensavo di istituire il due per uno per tutti i clienti storici.”
 
“Non parlavo dei pancake.”
 
*
 
Claire prende posto sul bordo del letto e poggia i palmi sulle cosce, le mani che scivolano nervosamente lungo il tessuto dei jeans.
 
L’ultima volta che ha pregato risale a quando suo padre è scomparso: piena di appassionata speranza, aveva promesso a Dio che non avrebbe chiesto più gelato di quanto la mamma le consentiva di mangiarne, né avrebbe preteso più giri sulle giostre di quanti gliene spettavano, né avrebbe fatto arrabbiare le maestre. Sarebbe stata una bambina buona e ubbidiente, se il Signore le avesse concesso la grazia di riportare papà a casa.
 
Quando ha scoperto il vero motivo per cui era sparito, Claire ha messo una pietra sopra a quell’abitudine: un dio che strumentalizza la devozione dei fedeli non è un dio a cui affidarsi o a cui rendere omaggio. Non è strano che si sia preso anche sua madre anziché lasciarle almeno un genitore accanto; un dio così è uno a cui, semplicemente, non importa nulla.
 
Da quando ha cancellato con un colpo di spugna l’educazione cristiana che le era stata impartita, le preghiere sono diventate una reliquia del passato a cui ripensa con la disillusione di chi ha scoperto l’imbroglio nascosto dietro a quella che il prestigiatore spaccia per magia.
 
Per questo motivo, congiungere le mani risulta un gesto totalmente estraneo, quasi sbagliato. È come pronunciare una parola che le è stata insegnata tanto tempo prima e di cui ha finito per dimenticare il significato: è ancora in grado di scandirla a voce alta, ma in quanto a comprenderla, Claire non ne è più capace.
 
Ma deve riuscirci, almeno per questa volta.
 
Nel momento in cui Claire fa combaciare le punte delle dita tra di loro, una vecchia immagine riemerge dai recessi della sua memoria; raffigura suo padre che le prende le mani e le racchiude dentro le proprie per aiutarla a compiere il gesto che proprio ora sta replicando.
 
Così, tesoro. Brava. Ora chiudi gli occhi e tira fuori le parole; dall’altra parte le sentiranno.
 
“Jack.” Claire trae un respiro profondo, il buio stagliato dietro le palpebre calate. “Non so se voi Nephilim siate sintonizzati su Radio Angelo, ma se è così, se mi stai ascoltando…torna, per favore. Qualunque sia il problema, possiamo risolverlo. Siamo tutti preoccupati per te; io sono preoccupata per te.”
 
Quando riapre gli occhi, una parte di lei si aspetta di trovare Jack al posto del vuoto silenzioso che si era lasciata alle spalle chiudendoli; l’altra sa per esperienza che le sue preghiere sono destinate a non trovare accoglimento.
 
*
 
Tra le quattro pareti della sua stanza, il frullio d’ali risulta molto più facile da cogliere. Pur avendolo sentito distintamente, Claire è portata a credere che sia il frutto di un’allucinazione ben congegnata dalla sua mente; quando Jack si materializza di fronte a lei, è costretta a rivalutare la convinzione.
 
“Jack” esala; non gli va incontro, quasi avesse paura che un movimento brusco basti a farlo sparire un’altra volta. Vorrebbe chiedergli che diavolo di fine avesse fatto, intimargli di non sparire mai più in quel modo, eppure, sono altre le parole che si sente dire. “Ti ho pregato ogni notte.”
 
“Lo so.”
 
“Mi hai sentito?”
 
Il movimento che Jack fa con il capo è talmente impalpabile che Claire non è sicura di poterlo interpretare come un cenno di assenso. “Mi dispiace” lo sente dire, lo sguardo rivolto al bendaggio che le fascia la spalla e le fa da sostegno per il braccio. “Non volevo farti male.”
 
“Meglio una lussazione che la testa staccata dal collo.”
 
“Poteva essere peggio di una lussazione.” È la prima volta che Claire avverte una nota di durezza intaccare il tono di Jack, ed è come sentirlo parlare con una voce che non è la sua. “Ho ucciso un uomo” le dice; lo fa di getto e in modo diretto, senza passare per una strada fatta di preamboli e attenuanti. “Era un poliziotto. È stato sbalzato via a causa dei miei poteri, esattamente come è successo a te. Nell’impatto ha battuto la testa ed è morto sul colpo.” Jack si ferma, e respira, come se la confessione fosse stata una maratona da cui ha bisogno di riprendersi. “L’altro giorno…è stato come se tutto stesse accadendo di nuovo. L’unica differenza era che stavolta saresti stata tu a morire e io---”
 
“Non sono morta.” 
 
Jack ha indugiato prima di volatilizzarsi apposta per assicurarsi che fosse ancora viva; ha ricevuto telefonate e preghiere che portavano il suo nome stampato sopra; ce l’ha avuta davanti agli occhi dal primo istante in cui è comparso in quella stanza; eppure, in qualche modo, è come se facesse sua quella consapevolezza soltanto nel momento in cui è lei a metterla in parole. Claire lo capisce dal modo in cui le sue spalle si rilassano, come se fino a quel momento avessero sorretto il peso del mondo e ora fossero state finalmente liberate da quell’onere.
 
“Mi avevi detto di non venire.”
 
“E tu di non andare: siamo pari.” Claire si impegna per mantenere lo stesso tono disteso impiegato fino a quel momento, ma non può nulla per impedire a una nota di rammarico di insinuarsi al suo interno. “Non c’era bisogno di sparire.”
 
Jack serra le labbra, come a voler sigillare una verità troppo dolorosa da tirare fuori; alla fine, però, la lascia andare, per disfarsi anche di quella zavorra: “Pensavo che avresti avuto paura di me.”
 
L’ammissione ha l’effetto di uno schiaffo improvviso, ma Claire si impone di assorbire il colpo in fretta. Tra i due, non è di certo lei quella con più necessità di riprendersi. “Jack” dice, decisa. “Ho visto mio padre diventare il tramite di un angelo; sono stata posseduta a mia volta; ho avuto a che fare con più mostri di quanti un bambino potrebbe immaginare che ce ne siano sotto il letto; ho affrontato Alex arrabbiata – non dirle che l’ho detto.” Un accenno di sorriso le si dipinge in volto; Jack non lo ricambia, ma Claire può vedere parte della tensione accumulata nei suoi lineamenti venir spazzata via. “Fidati: ci vuole ben altro per spaventarmi.”
 
“Penso che sia stato un ottimo affare conoscerti.” Negli occhi di Jack esplode un’emozione che contamina presto tutta la sua espressione, come un fuoco d’artificio che spande nell’aria i suoi bagliori di luce e colore. Quando la vede affiorare, Claire si ricorda delle parole che Jack le ha rivolto il giorno stesso in cui l’ha conosciuta e di quanto erano riuscite a dirle: “Non sei pericoloso, devi solo imparare: tutti dobbiamo.” 
 
*
 
“C’è il tuo principe azzurro.”
 
Claire si precipita all’ingresso senza nemmeno preoccuparsi di rivolgere ad Alex un gestaccio. Ci sarà tempo per vendicarsi: adesso Jack è venuto a farle visita dopo un mese che è rientrato al bunker e lei non ha voglia di fare qualcosa che non sia correre ad accoglierlo.
 
Quando apre la porta, la prima cosa che rientra nel suo campo visivo è una macchia di giallo acceso; una volta che la messa a fuoco l’aiuta a delinearne i contorni, Claire spalanca gli occhi e schiude le labbra in preda a un moto d’emozione.
 
“Jack.” Lo sguardo di Claire saetta dal volto di Jack ai fiori, poi si posa definitivamente su di lui. “Perché mi hai portato dei girasoli?”
 
Jack si stringe nelle spalle. “Si regalano fiori a una persona quando ti piace.” Non è una dichiarazione: somiglia più a quelle manifestazioni di affetto disinteressato che i bambini compiono quando imparano ad esternare i sentimenti che hanno dentro; l'amore per loro è uno solo e non ha declinazione.  “Tu mi piaci.”
 
Claire afferra il mazzo e ne aspira il profumo: sa di fresco e di ricordi e le invada il cuore prima ancora che i polmoni. “Grazie.”
 
 
 
 
 
 
 
  
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