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Autore: BabaYagaIsBack    10/10/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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52. Half

Joseph osservò la scheda telefonica che aveva fatto sparire dal proprio cellulare giusto prima di rimettere piede nelle terre del clan, prevedendo che presto o tardi Douglas gli avrebbe chiesto un colloquio. 

E quel momento era infine arrivato. 

Nemmeno una manciata d’ore prima si era ritrovato faccia a faccia con il proprio Alpha e aveva dovuto raccapezzarsi alla bene e meglio per riuscire a scendere a patti con il sangue che gli scorreva nelle vene e lo spirito che si sentiva bruciare dentro.
Aveva consegnato al vecchio il proprio telefono, munito della sim card che utilizzava nel suo quotidiano prima della missione, ammettendo senza esitazioni di non aver ottenuto alcun contatto appartenente ai seguaci del Duca.
Peccato che fosse una bugia.
Tra l’indice e il pollice, ora teneva l’unica prova della sua menzogna – sì, perché lì dentro si sarebbero potuti trovare i numeri di Garrel, Fernando, i Gemelli, Marion e persino quello di Arwen. Li aveva tutti, ma non era intenzionato a cederne nessuno, anche se si trattava del suo clan.
Ma quella non era stata l’unica falsità che aveva dato in pasto a suo padre. Quando Douglas gli aveva chiesto la locazione del quartier generale nemico, lui aveva dovuto fare una scelta tutt’altro che facile e, alla fine, gli aveva parlato del Rifugio – perché sotto sotto sperava ancora che proteggere il resto del clan, quello più bellicoso, sarebbe potuto tornargli utile.

Forse, si era detto in quei due giorni, avrebbe potuto studiare un piano per liberare Aralyn.

Perso in quei pensieri, non si rese conto di suono che aveva preso a riempire la stanza. Probabilmente, la familiarità di quel rumore non aveva destato in lui alcuna preoccupazione, ma quando la voce di Kyle spezzò il silenzio, non poté evitarsi di sussultare e stringere la scheda nel pugno, dettaglio che all’altro non sfuggì.
«Cosa è?» con un’espressione turbata in viso, l’uomo gli si avvicinò sempre più. E Joseph si sentì minacciato da quella vicinanza come mai gli era successo; non c’era stato un singolo giorno, nei suoi ventisei anni, in cui aveva avuto timore del proprio migliore amico o di ciò che potesse pensare di lui.

«Affari miei» s’affrettò a rispondergli, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e facendo finta di essere più rilassato di quanto non fosse in realtà.
Kyle però era tutto tranne che stupido e, uno degli innumerevoli motivi per cui era diventato tanto importante tra i Menalcan, era il suo spirito d’osservazione: ai suoi occhi non sfuggiva nulla, così come il suo sesto senso sembrava poter leggere nelle persone.
Fu forse per questa ragione che non sembrò credere alla sua reazione: «Come è affar tuo la ragazza rinchiusa qua sotto?» e con la punta della scarpa batté sul pavimento in marmo.
I muscoli del ragazzo si contrassero e involontariamente si ritrovò a stringere i denti. Odiava sentir parlare di lei da qualsiasi persona appartenente al branco, soprattutto per via del fatto che nessuno di loro avrebbe potuto capirne la bellezza, o immaginare quanto averla tradita fosse per lui fonte di amarezza. I suoi uomini non sarebbero riusciti a comprendere il sentimento che sentiva per quell’Impura e che, ogni giorno, diventava sempre più logorante.

«Non ti deve interessare, Kyle» ringhiò, spostando lo sguardo sul suo vice, ma la cosa non parve intimorirlo in alcun modo.

«È la stessa cosa che ho detto a lei qualche minuto fa, sai? E vuoi sapere cosa mi ha risposto?» Il cuore di Joseph prese a pompare con più velocità, rivelandogli quanta tensione gli mettesse l’argomento – ma non avrebbe saputo dire, con assoluta certezza, se fosse per paura di ciò che Aralyn aveva detto o se fosse per il rischio a cui stava andando incontro. Cosa sarebbe potuto succedere alla sua amata, se lo avessero scoperto? Perché certamente la sua famiglia si sarebbe vendicata su di lei per le colpe che lui aveva commesso, punendo entrambi.

Kyle riprese, visibilmente incurante del fatto che il suo Signore non gli avesse ancora dato una risposta: «Può anche non interessarmi, però mi riguarda» con un movimento lesto si portò di fronte al giovane, mettendosi a fissarlo con un’intensità difficilmente trascurabile. 
Lo stava studiando, il Nobile ne fu certo. Il suo braccio destro stava analizzando ogni singolo movimento del suo viso per riuscire a trovare un solo dettaglio capace di tradirlo – e forse lo scovò prima di quanto Joseph potesse immaginare.

«Non faceva parte del piano, vero?»
«No» ammise dopo qualche istante di silenzio, sentendosi messo con le spalle al muro. Se con suo padre mentire era stato più semplice del previsto, con Kyle nemmeno la recita migliore avrebbe potuto funzionare. Si conoscevano troppo bene e, anche se aveva deciso di tenergli segreto tutto ciò che era accaduto fino a quel momento, lui lo avrebbe scoperto, con o senza il suo aiuto.

L’uomo si portò una mano al viso: «Dimmi che è meno grave di quanto credo» sussurrò poi, lanciandogli un’occhiata supplichevole a cui, ovviamente, il ragazzo non poté rispondere con un assenso.
E al cospetto della sua esitazione, l’altro fu colto da un’evidente frustrazione. Con una manata il sottoposto mandò in frantumi il bicchiere appoggiato sul tavolo accanto al suo Signore, macchiando di vino il pavimento. Fu un gesto che Joseph comprese, sapendo che se i ruoli si fossero invertiti, anche lui avrebbe reagito a quel modo e, conscio di come la discussione sarebbe potuta evolvere, si spostò verso la porta: «Andiamo» ordinò poi con un gesto del capo.

«Non possiamo ignorare la questione!» sbraitò Kyle, del tutto in balìa di ciò che non sapeva ma poteva solo immaginare.

Il figlio di Douglas rispose mostrando le zanne: «Ma non possiamo nemmeno parlarne qui» gli fece notare, spalancando la porta e mettendo in evidenza la pericolosità del luogo in cui si trovavano – e fu sufficiente per convincere l’altro a portare quella questione al di fuori della Villa.

***

Sotto a ombrelli scuri, con le scarpe a lasciar orme nel fango, i due si allontanarono da qualsiasi membro del branco che potesse costituire una minaccia, ma appena Kyle sembrò sentirsi abbastanza sicuro da intavolare nuovamente il discorso, non esitò a farlo – usando addirittura toni che non si sarebbero potuti definire appropriati.

«Sei un imbecille!» disse scuotendo più e più volte la testa, ancora visibilmente incredulo di fronte all’enormità del guaio combinato. 
La mandibola contratta fu un chiaro segno del nervosismo che lo stava logorando e, notandolo, Joseph sentì l’impellente bisogno di tornare ancora una volta indietro nel tempo e impedire a tutto quello che era capitato di succedere. 
Il suo vice aveva quindi ragione, non era stato altro che un perfetto idiota; era riuscito a mettere nei guai chiunque, soprattutto lei – e non c’era stata notte, da quando l’aveva baciata sull’entrata dell’hotel, che gli incubi non l’avevano assalito, facendolo svegliare in un bagno di sudore.

E ogni volta andava sempre peggio.

«Come è successo? Come è stato possibile che tu ti sia invischiato in una situazione del genere?» con occhi grandi di domande, Kyle volse lo sguardo nella sua direzione e Joseph, accanto a lui, non poté evitarsi di storcere la smorfia.

«Se lo sapessi me lo sarei evitato» rispose, anche se poco convinto – dentro di sé sapeva che, se gli fosse stato concesso il dono di poter viaggiare nel tempo, sarebbe comunque tornato nel clan di Arwen, da lei per poterla portare lontano da tutta quella tragedia; però temeva di ammetterlo.

L’altro scosse la testa: «Davvero? Perché credo che la forma corretta sia “glielo avrei evitato”» sottolineò lanciandogli un’occhiata bieca, probabilmente avvicinandosi sempre più alla soluzione del rebus. Kyle lo avrebbe capito, sarebbe riuscito a scoprire ogni cosa.

Il ragazzo si morse il labbro, incassando il colpo.

«Non l’ho scelto» sibilò, mettendosi a fissare la punta delle proprie scarpe.

«Sì, invece… perché se davvero non fosse così allora…» d’un tratto la figura accanto a Joseph si fermò, abbandonando il suo fianco, e lui fu costretto a fermarsi e girare il viso oltre la propria spalla per riuscire a guardarlo.
Il viso del suo migliore amico era ora una maschera d’incredulità. Con le palpebre spalancate, Kyle lo stava fissando al pari di un fantasma; persino il pallore del viso pareva non promettere nulla di buono.

«No…» soffiò, rimettendosi a scuotere il capo con sempre più veemenza.
E la cosa bastò al figlio di Douglas per capire. Fu la prova inconfondibile di essere infine stato scoperto – e non si trattava del fatto che si stesse comportando da doppiogiochista, quanto più il perché di quel suo atteggiamento.

Ora non c’era più nessuna menzogna o mezza verità tra loro.

L’altro gli si fece vicino, afferrandolo per il colletto della giacca con una foga che mai aveva usato nei suoi confronti e Joseph non riuscì a sorreggerne lo sguardo: sapeva di essere dalla parte del torto, di essere lui quello sbagliato – perché nessun Menalcan sarebbe mai caduto così in basso da innamorarsi di una meticcia.

«La ami?» domandò Kyle con un ringhio, ma non vi fu alcuna risposta.

Nella tasca della giacca Joseph strinse il pugno, sentendosi ancora una volta impotente di fronte al fato, lo stesso che lo aveva fatto nascere in quel clan, che gli aveva regalato quella piccoletta dallo sguardo dorato e che gliel’aveva anche portata via.

«Joseph! Rispondimi, sant’Iddio!» continuò a urlargli l’amico, stringendo la presa sulla giacca e mostrando le zanne. Nel suo tono fu difficile capire se vi fosse più rabbia, frustrazione, paura o ansia, dettaglio che fece tendere i muscoli del ragazzo fino al punto di far male.

Un nuovo strattone e un altro incitamento, questa volta con più forza, portarono il Nobile al limite e, senza rendersene conto, sbraitò: «Sì!» e, a dispetto di quanto si fosse immaginato, avvertì quella confessione come una liberazione. Fu come stappare una bottiglia troppo gonfia, bucare un palloncino pieno d’acqua.

Così alzò lo sguardo sull’altro, convinto per la prima volta della propria posizione in quel mondo. Guardò Kyle con un’intensità di cui aveva creduto non essere capace, provando a fargli sentire la stessa fermezza che ora lo stava invadendo.
«Così tanto da mandare tutto a puttane?» gli chiese il vice dopo alcuni istanti di silenzio, allentando la presa e continuando a scrutarlo.

«Se serve, la seguirò nelle Lande Selvagge».

***

Aralyn guardò il soffitto sopra alla sua testa, provando a immaginare come fosse la vita oltre quel pezzo di pietra ammuffita. Cosa stavano facendo i Menalcan? Quali perfidi piani stavano cercando di mettere in atto? Ma soprattutto, cosa stava facendo lui? Si pentiva almeno un minimo del modo in cui le aveva spezzato il cuore?
No, certamente quello doveva essere l'ultimo dei suoi pensieri. Quale folle si sarebbe innamorato del nemico, mettendo a rischio ogni cosa? Non certo un Purosangue, ma una stupida come lei sì.

Con un sospiro spostò lo sguardo sulle proprie ginocchia, sempre più livide. Aveva cercato in tutti i modi di liberarsi dalle catene e, per la maggior parte dei fallimenti, era finita a terra con un tonfo, riempiendosi così la pelle d'inutili chiazze violacee.
Nemmeno trasformarsi era riuscito ad aiutarla, anzi, a causa dell'argento aveva finito con il rovinarsi maggiormente la carne dei polsi, creando segni rossi da cui il sangue aveva lentamente preso a uscire. All'apparenza non sembrava essere nulla di eccessivamente grave, ma se non avesse curato quelle ferite si sarebbe presto ritrovata a far i conti con una fastidiosissima infezione.

Per non parlare del modo in cui aveva rovinato la maglietta e gli slip che aveva indosso, unici scudi tra il suo corpo e gli occhi dei Menalcan.
Le maniche si erano scucite in prossimità delle spalle, mentre il colletto si era rovinosamente slabrato.
Prendendo un grosso respiro, la giovane picchiò piano il cranio contro la parete umida della cella, provando a capire dove stesse sbagliando – perché era ovvio che, se i risultati non arrivavano, era per colpa sua, da qualche parte ci doveva essere un errore.
Un "toc-toc" leggero, contro l'enorme anta di fronte a lei, la fece sussultare, anche se, a dire il vero, ogni rumore che non fosse lei stessa a produrre era fonte di brevi momenti di panico. Quel luogo era gremito di nemici, chiunque sarebbe potuto arrivare a lei per farle le cose peggiori. Il cuore prese a correrle nel petto, tanto velocemente che si ritrovò a temere che potesse scappare via dalla gabbia toracica, abbandonandola. Chi poteva essere? Kyle era già passato e le aveva chiaramente fatto capire che non potesse muoversi liberamente per le segrete della Villa. Ad andarla a trovare con troppa frequenza, avrebbe innescato una serie di sospetti che a nessuno dei due interessava creare; quindi si doveva certamente trattare di qualcun altro, ma chi?

Forse quell'energumeno di Gabriel Menalcan aveva deciso di farle sputare qualche informazione da sé, o forse... Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò ansiosa, agitata, del tutto in balìa di sensazioni che non avrebbe dovuto provare – perché era dannatamente sbagliato dopo ciò che le aveva fatto.

«A-avanti» biascicò con voce roca, tipica di chi non parla da ore; anche perché, oltre che con se stessa, non c'era nessuno con cui intavolare una discussione.

L'anta si aprì con un cigolio, rivelando una figura che, seppur familiare, non aveva nulla a che fare con chi aveva sperato.
I boccoli biondi e la stazza leggermente meno pronunciata tradivano il licantropo che si era presentato a farle visita. Ma non aveva detto che ogni volta che si recava lì, al di fuori degli ordini di Douglas e dei suoi figli, rischiava grosso?
Tutta la sua eccitazione si spense in un istante, facendole morire la scintilla nello sguardo.

«A quanto pare non sei felice di vedermi» l'apostrofò subito lui, forse notando la delusione che l'aveva colta appena lo aveva riconosciuto – sì, perché i suoi occhi riuscivano a vedere ciò che doveva restar segreto.

Aralyn dovette distogliere lo sguardo e nascondere il viso dietro alla tenda di capelli chiari, cercando di non farsi vedere mentre, amareggiata, si mordeva il labbro inferiore provando a trattenere le lacrime.
Perché ci sperava ancora? Perché il suo cuore proprio non ne voleva sapere di odiarlo? Eppure ci sarebbero potuti essere decine di "se" e "ma" a fare da contorno a quel sentimento.

Lenta si riaccovacciò a terra, stringendo le gambe al petto.
Avrebbe tanto voluto essere nella propria stanza, avvolta nel profumo familiare delle sue coperte o tra le braccia di Arwen, Garrel o Marion, in modo da poter singhiozzare al pari di una bambina, ma più i suoi occhi calavano sugli angoli della cella, più la consapevolezza di non poter più avvertire quella sensazione si faceva concreta.

«Devo farti un paio d'altre domande» i passi di Kyle si fecero sempre più vicini, tanto che per un istante credette che, alzando lo sguardo, se lo sarebbe ritrovato a pochi centimetri dal naso, ma il suo odore non si fece mai tanto intenso.

«Non sono dell'umore» sbottò storcendo le labbra e stringendo ancor di più le braccia intorno alle gambe. No, non aveva la minima voglia di fare quattro chiacchiere con lui o con chiunque altro: tutto ciò che si ritrovò a pensare era che quello strazio doveva finire – e non si trattava solo dell'aspetto fisico e mentale di ciò che percepiva.

Con una mano strinse la stoffa sopra al cuore, provando a mettere a tacere il battito irregolare che aveva trasformato il suo petto in una sorta di gran cassa.

Kyle, notando le sue reazioni, si permise un sorriso a metà, scrutandola da capo a piedi: «Non credo tu abbia scelta»
«Il silenzio è una scelta» sibilò lei con rabbia, lanciandogli un'occhiata tutt'altro che amichevole. Se le catene non gliel'avessero impedito, gli sarebbe saltata al collo sperando di recidergli la giugulare, in modo da metterlo a tacere.

Quel tizio riusciva a risultarle odioso e al contempo apprezzabile, in un alternarsi confuso paragonabile solo a una parvenza di bipolarismo. C'erano volte in cui la sua ombra sul pavimento diventava confortante e, altre, in cui il suono dei suoi passi le faceva torcere le budella.

«Non qui, Aralyn. Non con me»

E soffocando una risata la giovane Calhum scrollò la testa: «Certe frasi le trovi scritte in quegli squallidi libri d'amore che vendono al supermercato, o te le studi la notte?» e se aveva sperato di ottenere da parte sua una risata, si ritrovò invece a sbattere nuovamente la testa contro la parete, mentre una grossa mano le si stringeva al collo.
Il fiato le si mozzò in gola e, per la prima volta dopo un tempo ancora indefinito, si ritrovò ad avere paura di Kyle e di ciò che avrebbe potuto farle in quel momento.

«Non sto scherzando, ragazzina! Qui c'è in ballo qualcosa di davvero grave, chiaro?» e, del tutto in balìa dello spavento, Aralyn annuì come meglio riuscì.
Se una semplice battuta era stata in grado di scatenare la sua ira, forse si trattava davvero di una questione della massima importanza – il problema era solo capire quanto lei fosse fondamentale per arrivare a una qualche conclusione.

Mollando la presa su di lei, il Menalcan fece qualche passo indietro. Doveva volerla vedere nella sua interezza per riuscire a prevedere qualsiasi mossa capace di metterlo in difficoltà, anche se, legata come era ai muri della cella, non avrebbe saputo come colpirlo.

«Ora, rispondimi senza fare i capricci. È una questione fondamentale per me» riprese dopo qualche istante, infilando le mani in tasca e buttando aria fuori dal naso.
«Per te?» si ritrovò a chiedere lei totalmente confusa. 
Non era il lacchè di Douglas e i suoi figli? Per quale ragione, quindi, ciò che stava cercando erano informazioni di puro interesse personale?
Perché ormai appariva ovvio che metterle le mani addosso fosse l'ultimo dei suoi desideri - lo faceva poco e controvoglia, non puntando a parti vitali e men che meno usando tutta la forza con cui l'aveva aggredita  la prima volta.

Kyle si morse le labbra, ondeggiando da un lato all'altro come la marea: «Già. Mi serve sapere una cosa per poter decidere come comportarmi» le rivelò poi, lanciandole uno sguardo ambiguo che Aralyn non seppe identificare. La stava forse prendendo in giro? O le nascondeva qualcosa?
Deglutendo, la ragazza si mise in attesa, sentendo lo stomaco rigirarsi nella pancia al pari di una centrifuga.

Qualsiasi cosa sarebbe uscito dalla sua bocca, pensò, non le sarebbe piaciuto – e infatti così accadde. 
Senza mezzi termini il Puro le domandò la cosa peggiore che si potesse chiedere a una vittima di tradimento e, inevitabilmente, la giovane fu scossa da brividi incontrollati.

«Ami Joseph?»

Il tempo parve fermarsi, ma il dolore no. Aralyn sentì il peso della sua colpa gravare sulle spalle, tanto da riuscire a schiacciarla a terra e privarla dell'aria nei polmoni. Fu atroce, quasi come la prima volta che aveva ucciso qualcuno – ma se quella sensazione con il tempo si era assopita e dissipata, perché intrinseca nella sua natura animale, questa pareva non avere alcuna fine.

Poteva benissimo provare a dimenticare, sforzarsi di trasformare ogni piacere in ribrezzo, ma nulla sarebbe cambiato: Joseph restava una presenza assillante, in parte sublime, in parte terribile. E forse solo la morte, che si convinse non sarebbe arrivata troppo tardi, sarebbe riuscita a strapparle da ogni fibra del suo essere la rimembranza del tempo trascorso insieme e del sentimento formatosi nel tempo- quello che adesso disprezzava con tutta se stessa perché incapace di abbandonarla del tutto, a prescindere da ciò che era accaduto.

Avrebbe preferito non rispondere, tenersi quel peccato per sé, ma sapeva anche che ciò che l'altro stava cercando non era una rivelazione, bensì la conferma a un sospetto che già aveva - perché era stata lei a fregarsi un paio d'incontri prima.

Ancora una volta si ritrovò a soffocare una risata: «Chiamalo masochismo» confessò Aralyn, sentendo subito dopo un nodo di lacrime bloccarsi in gola. Che senso aveva negarlo ancora, o quantomeno provarci? Non c'era più nulla da salvaguardare, ormai tutto era andato distrutto.

Kyle sbuffò, portandosi una mano alla bocca.
Si mosse ancora di qualche passo per la cella, soppesando ciò che gli era appena stato detto e, poi, si volse nuovamente nella sua direzione: «Preferisco definirla follia» e, quando i loro sguardi s'incrociarono, l'Impura vide negli occhi del nemico una velata ironia. Forse stava cercando di farle apparire quella situazione meno grave di quanto fosse, ma chiunque, della loro specie, avrebbe detto il contrario. 
Il futuro Alpha dei Menalcan non avrebbe mai amato una sostenitrice del Duca, e la cosa si faceva ancor meno probabile nel momento in cui, quest'ultima, era stata data alla luce da un ventre un tempo umano.

Era il sangue che scorreva loro nelle vene a decretare il destino che li attendeva – e a riempire di disprezzo i loro cuori. O quantomeno quello di lui.

Senza preavviso l'uomo si chinò, mettendosi faccia a faccia con lei.

Rimase flesso sulle ginocchia per interminabili secondi, concedendosi di guardarla senza però proferir parola e poi, dopo aver probabilmente riflettuto sull'informazione ottenuta, socchiuse gli occhi: «Credimi, vorrei tanto che non vi foste mai incontrati». Così dicendo allungò una mano sul suo viso, posando una carezza del tutto fuori luogo sulle guance sporche di polvere e lacrime di Aralyn.

Il suo palmo ruvido scivolò lento lungo il profilo del viso, concedendosi una lieve esitazione nei pressi del mento.

Bastò un istante per farle temere il peggio, ma ancor meno a farle tremare il petto - perché vedeva negli occhi di lui una pietà ben diversa da quella a cui, negli anni, era stata abituata.

Sì, ciò che aveva fatto era la colpa più grande di cui si sarebbe potuta macchiare e lui lo sapeva.


Yaga:
Buongiorno lupolettori, come state?
Sono qui per rubarvi ancora qualche minuto, in modo da fare un recap generale sulla storia; spero leggiate queste brevi righe e non mi vogliate linciare una volta arrivati alla fine :D


Allora, prima di tutto mi scuso per l'assenza di questi ultimi giorni. Ho dato priorità a Wattpad , dove "WB: a tale of love and war" è stata finalmente conclusa. Una vera soddisfazione, se devo essere onesta (anche se c'è ancora molto da sistemare). E sono quindi qui per dirvi che manca poco alla fine, una dozzina di capitoli e nulla più. Resistete! Anche perchè spero ne valga la pena.

Sto cercando di presentarvi questi ultimi capitoli in blocchi singoli e non in parti separate come sull'altra piattaforma, ma se la lettura dovesse risultare troppo pesante, fatemelo sapere! Provvederò a dividere il testo in parti più piccole.
Oltre a ciò, su Instagram potete trovare fanart, citazioni e artwork riguardanti la storia, quindi non perdete l'occasione di scoprire tutti questi extra.

Mi auguro che "Half" sia stato di vostro gradimento e che possiate tornare al più presto a leggere le (dis)avventure dei nostri eroi!



 

   
 
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