Capitolo
VII
Il
tempo dell’addio
(dal
punto di vista di Judy)
Sono
passati tre giorni da quando io e Nick ci siamo rivisti per la prima
volta dopo
quindici anni. Nonostante… tutto quello che è successo… abbiamo deciso
di
affrontare le cose un passo alla volta.
Sarò
onesta: amo ancora Nick. Per un po’ di tempo, avevo confuso i miei
sentimenti
di odio nei suoi confronti per essersi allontanato da me, ma ora mi
rendo conto
che mi è mancato terribilmente.
Che
cosa importa ciò che provo per lui adesso? Ci siamo fatti del male l’un
l’altro
in modi che forse non potranno mai essere superati. Ecco perché Nick ha
detto che
per noi era ormai troppo tardi per tornare a essere una coppia.
Mentirei a me
stessa se negassi che, nonostante quello che ci siamo detti, sono
terrorizzata
da ciò che potrebbe accadere. Non voglio pensare che non potremmo
neppure
essere in grado di restare in buoni rapporti, anche se entrambi abbiamo
provato
troppo dolore per poter anche solo sperare di ritornare insieme come
coppia.
Ma
devo almeno provarci. Devo dimostrargli che voglio tentare di rimettere
a posto
le cose fra noi, e credo che anche lui, dal suo punto di vista, voglia
fare un
tentativo in tal senso.
Non
avrei mai dovuto comportarmi in quel modo. Lo so bene. So che quello
che ho
fatto è stato sbagliato… anzi, sbagliatissimo. Ero terrorizzata da
quello che
sarebbe potuto succedere con la nascita di un figlio che fosse un
ibrido fra
predatore e preda. Mi sono comportata in maniera avventata e mentre
pensavo che
non avrei dovuto dire nulla a Nick, era chiaro che lui la pensava
diversamente,
ma nel mio stupore causato dal panico non me ne sono neppure resa
conto. Quando
Nick e io ci siamo confrontati, all’inizio mi sono sentita molto
turbata per
quello che mi stava dicendo, ma un panico irrazionale è stato fonte di
un’ondata altrettanto irrazionale di rabbia. Questo non giustifica la
mia
reazione grave ed eccessiva, neppure lontanamente. Nick si è reso conto
che ha
sbagliato a dirmi le cose che mi ha detto, ma so di essere ancor più
nel torto
per averlo tenuto all’oscuro di tutto e per quello che gli ho fatto di
rimando.
In
confronto, quello della conferenza stampa è stato un piccolo incidente
di
percorso. Fino a quel momento, non avrei mai immaginato che sarei
potuta cadere
ancora più in basso. Posso solo sperare che Nick abbia accettato le mie
scuse,
anche se credo non sarebbe mai abbastanza neppure se trascorressi il
resto dei
miei giorni a scusarmi con lui.
Credetemi,
non sono riuscita a vedere la fine del tunnel per mesi dopo la partenza
di
Nick. Credete che le parole di Clawhauser fossero state dure? La mia
famiglia
non avrebbe potuto essere più delusa di me. Non avete idea di quanto mi
sia
vergognata dopo aver parlato con mia madre. Non ha detto nulla di male,
soltanto la verità. Mi disse che io e Nick avremmo dovuto discutere
della
questione dei cuccioli molto, molto tempo prima, che se mi fossi
sentita a
disagio sarei dovuta andare prima da lui e poi da lei, che non avrei
mai dovuto
perdere le staffe con Nick – non importava quanto fossi in preda al
panico – e
che avrei dovuto fare di più per cercare di chiarirmi con lui e
scusarmi prima
che se ne fosse andato. Aveva avuto ragione. Quello che ho fatto è
stato
totalmente fuori dal normale per me.
Dopo
la nascita di Nicholas, ho sofferto di una grave forma di depressione
post-partum. Vorrei essere chiara, però: non ho mai pensato di fare del
male a
mio figlio. Il solo pensiero non mi è passato neppure per l’anticamera
del
cervello, anche se all’inizio ho avuto grosse difficoltà a creare un
legame con
lui. Mi chiusi in me stessa e divenni lunatica, a volte ossessiva e
quasi
sempre scontrosa. Più di una volta il capitano Bogo fu costretto a
rimproverarmi per essere stata troppo lenta o troppo coinvolta
emotivamente sul
posto di lavoro. A volte avevo tentato di rintracciare Nick e… non
avevo idea
di cosa sarebbe potuto succedere se l’avessi trovato. Gli avrei urlato
contro?
Sarei crollata dinanzi a lui? Non ci avrei neppure provato?
Sono
stata messa in congedo per un paio di mesi dopo che Bogo mi aveva
sottoposta a
perizia psichiatrica. Mia madre venne a Zootropolis e rimase nel mio
appartamento per aiutarmi, e alla fine riuscimmo a cavarcela. Avevo
pensato di
lasciare la polizia in quel momento e di tornare alla fattoria, ma la
mamma
riuscì a farmi desistere da quell’intento.
Quando
ritornai in centrale, Bogo mi fece lavorare a turni ridotti,
affidandomi
principalmente compiti d’ufficio. All’inizio mi sentivo frustrata, ma
ripensandoci capisco perché l’aveva fatto. Voleva preservare la mia
salute
psichica. Alcuni mesi dopo mi confidò che se mi avesse fatto lavorare
subito a
pieno regime, probabilmente avrei avuto un esaurimento nervoso e questo
non
avrebbe giovato a nessuno, neppure a me e certamente non a Nicholas; ma
gli
eventi recenti mi avevano fatto capire che avrei rischiato di
vanificare tutti
i miei sforzi, come mi era già successo in passato. Non potevo
permetterlo. Non
era di certo il modo migliore di crescere un cucciolo, tanto meno uno
speciale
come Nicholas. Perciò, rimasi francamente di stucco quando Bogo mi
raccomandò
per una promozione nel giorno del sesto compleanno di Nicholas.
Accettai quella
proposta con entusiasmo, nel tentativo di colmare il vuoto che
avvertivo dentro
di me. In seguito ottenni in successione i gradi di Maggiore,
Colonnello e
Ispettore. Il ruolo di vicecapitano sarebbe andato a me oppure a uno
fra gli ispettori
Grizzoli e Higgins. Il primo venne promosso a Capitano del Distretto
Tre a
Tundratown, mentre il secondo rifiutò l’incarico perché aveva preferito
dedicare più tempo alla sua famiglia. Quando Bogo venne da me, anch’io
fui in
procinto di rifiutare quella promozione, ma lo stesso Bogo mi disse che
il
Distretto Uno avrebbe avuto bisogno di un nuovo capitano perché lui
sarebbe
stato promosso a commissario entro pochi anni. Seppur riluttante,
accettai quel
nuovo incarico, ma fu terribile: avrei dovuto sopportare lo stesso
carico di
lavoro di Bogo e avrei dovuto dedicare meno tempo a Nicholas. A volte
tornavo a
casa la sera tardi e me ne andavo già la mattina presto.
Se
non fosse stato per Fru-Fru, per la quale Nicholas era come un secondo
figlio,
avrei dato le dimissioni. Sarei tornata a Bunnyburrow per diventare una
coltivatrice di carote, in modo da poter dedicare più tempo
all’educazione di
Nicholas. Alla fine Fru-Fru riuscì a convincermi che tutto sarebbe
andato per
il meglio.
Nel
mio tentativo di continuare a svolgere il mio lavoro, avevo dimenticato
quale
fosse il mio obiettivo primario.
Avevo
dimenticato che volevo fare tutto il possibile per rendere il mondo un
posto
migliore.
******
Purtroppo,
il mondo non era diventato affatto un posto migliore. Non per quelli a
cui
tenevo di più.
Sono
una pessima madre. Ho fatto del mio meglio con Nicholas, ma il lavoro
di
capitano richiede molte ore, il che significa che non posso trascorrere
più
tempo con lui. Ci sono giorni in cui penso seriamente di smetterla con
il
lavoro. Per quanto riguarda Nick, al momento Nicholas non vuole nemmeno
rivolgergli la parola. Lo accompagno a casa di Viola e mi accorgo in
prima
persone di quanto si siano aggravate le sue condizioni nelle ultime
settimane.
Non riesce più neppure a ricordare correttamente il mio nome, sembra
che non
abbia mai sentito parlare della cospirazione seguita al caso degli
Ululatori
Notturni e a volte chiama per errore Nick ‘John’ e Robin ‘Nick’.
Robin
sembra un bravo cucciolo. È un po’ timido nel relazionarsi con gli
altri
mammiferi, anche se sembra che per Nick non sia un problema serio.
Almeno
Nicholas riesce a sopportarlo. È strano pensare che quei due siano
fratellastri.
Qualunque
cosa sia successa fra me e Nick, loro sono del tutto innocenti e
abbiamo deciso
entrambi di tenerli fuori da tutto questo il più possibile.
Nick
e io ci siamo raccontati un po’ di cose. Mi dice che ha fondato una
compagnia
specializzata nella costruzione di parchi di divertimento. Questo
coincide con
quello che avevo saputo di lui anni fa: una volta mi aveva detto che
stava
risparmiando il denaro accumulato grazie alle sue truffe per aprire un
parco a
tema intitolato ‘Wild Times’ qui a Zootropolis. ma questo prima che lo
avessi
colto nel sacco all’inizio della mia carriera di poliziotta.
Io,
invece… beh, ho detto a Nick la verità, ma solo in parte; infatti sono
stata
tenente per un bel po’ di tempo dopo che lui se n’era andato, anche se
ero già
stata raccomandata per la promozione. All’inizio, non passavano giorni
in cui
non riuscivo neppure a trovare la forza di lavorare, talmente mi
sentivo a
pezzi. Bogo l’aveva capito: si accorgeva sempre di tutto quello che
passava per
la mente degli agenti sotto il suo comando. Non sono diventata capitano
per
almeno sei anni dopo la partenza di Nick.
È
passato almeno un anno da quando sono diventata il capitano del
Distretto Uno,
e non si è trattato di qualcosa che avevo scelto di essere dall’oggi al
domani.
Sapevo a cosa sarei andata incontro, e ne ho parlato a lungo con la mia
famiglia.
Mamma mi ha offerto il suo supporto. Papà, invece, è stato più cauto in
proposito. I miei fratelli e le mie sorelle erano divisi. Alcuni mi
avevano
consigliato di lasciar stare. Altri, invece, aveva detto che quella
scelta
sarebbe spettata soltanto a me. Altri ancora mi avevano consigliato che
sarebbe
stato meglio tornare a casa, sia per me sia per Nicholas.
Sono
preoccupata di dire tutto questo a Nick: forse avrebbe cambiato idea e
mi
avrebbe accusato di mettere la mia carriera davanti al benessere di
Nicholas,
come aveva fatto quindici anni fa. Ma non lo dice. Annuisce e confessa
che a
volte anche lui preferisce gettarsi anima e corpo nel lavoro.
Sentirmelo dire
da lui non mi fa affatto sentire meglio.
C’è
ancora un po’ di attrito fra me e Nicholas. Ha evitato di dirmi
qualsiasi cosa
fosse successa durante la sua fuga e, a volte, ha preferito
spontaneamente
evitare di ritrovarsi con me nella stessa stanza. Nick dice che ha solo
bisogno
di un po’ di tempo per metabolizzare gli effetti di tutto quello che
gli era
capitato.
Tutto
quello che posso fare è aspettare che Nicholas si apra e dirgli che,
qualsiasi
cosa accada, rimane sempre mio figlio e gli voglio bene.
******
Mi
sveglio dal mio sonno agitato sulle note di ‘Hope is Eternal’. Mentre
allungo il
braccio sul comodino, afferro il cellulare e trattengo un grosso
sbadiglio.
Vedo che sono le cinque del mattino.
La
mia sveglia non si sarebbe attivata prima di altri trenta minuti.
Mi
siedo sul letto e mi accorgo che sto ricevendo una chiamata. Leggo il
nome
‘Nick’ sul display.
Decido
di rispondere.
******
“Nick…”
sbadigliò Judy, “È un po’ troppo presto per…”
“Se
n’è andata.” tagliò corto Nick. Judy si stropicciò gli occhi; in
quel
momento la sua mente non aveva registrato le parole della volpe.
“Carotina?”
disse Nick con la voce che pareva soffocata dall’emozione.
“Chi
se n’è andata?” domandò Judy ancora stordita.
“Mia
madre… lei…” disse Nick, “È morta nel sonno.”
All’improvviso
Judy si svegliò completamente.
“Un
dottore è uscito di casa mezz’ora fa… Ero entrato in camera sua per
tenerla
d’occhio e…” riuscì a dire Nick prima di fermarsi.
“Oh…
Oh, Nick…” esclamò Judy mentre una lacrima le scendeva sul volto, “Mi
dispiace
tanto…”
******
Nick
mi racconta che si era addormentata nel suo letto, ma quando Nick era
andato
nella sua stanza per controllare se stesse bene, si era accorto
immediatamente
che qualcosa non andava. Cercò di capire di cosa si trattasse, e quando
aveva
provato a svegliarla, si era accorto che non stava respirando. Il suo
corpo era
freddo.
Viola
Wilde se n’era andata per sempre.
Gli
chiedo se desidera che io vada a casa di sua madre. Mi risponde che non
è
necessario.
Eppure
sento il dovere di farlo. Ci saranno molte cose da fare, questioni da
sistemare
e non voglio che Nick affronti tutto questo da solo. Glielo dico chiaro
e
tondo.
Non
appena termina la chiamata, vado nella stanza di Nicholas, che si trova
accanto
alla mia camera da letto. Lui sta ancora dormendo. Apro la porta con
delicatezza e mi avvicino al suo letto.
Lo
chiamo per nome, ma non accenna a svegliarsi.
Lo
chiamo di nuovo. Brontola qualcosa sull’essere lasciato solo.
Gli
dico che è una cosa importante. Si alza dal letto lentamente,
stropicciandosi
gli occhi. Gli dico che nonna Viola è morta serenamente nel sonno.
Le
sue orecchie sarebbero cascate all’indietro se non si fossero drizzate
in alto.
Spalanca gli occhi e mi accorgo che le sue orecchie si sono accalorate
lievemente.
Tutto
quello che posso fare per dargli conforto è abbracciarlo. Lui è troppo
sconvolto per muovere un solo muscolo.
Gli
dico che sto per andare a casa di nonna Viola. Lo lascio solo in modo
che possa
cambiarsi, ma lo sento piangere distintamente. Nell’ascoltare il suo
dolore
sento come una lama che mi si pianta nel cuore.
******
Il
viaggio non durò molto poiché alle prime luci del mattino le strade
erano
ancora deserte. Quando Judy fermò la macchina, poteva vedere che il
furgone di
Finnick era già sul posto. Lei e Nicholas scesero dall’auto e
camminarono nella
veranda dell’appartamento di Viola. Suonarono il campanello della porta
e
rimasero in attesa. Non passò molto tempo prima che la porta si
aprisse, e lì
stava Nick.
La
tintura nera era scomparsa dalla sua pelliccia e aveva lasciato il
posto al suo
color ruggine naturale, che Judy conosceva così bene, anche se quel
colore un
tempo così intenso aveva iniziato a sbiadire ai lati del muso con
l’età.
Indossava un semplice giubbotto bianco e un paio di pantaloni; sembrava
che non
avesse dormito bene, dato che Judy poteva scorgere distintamente le
borse sotto
gli occhi e la pelliccia sotto di essi bagnata dalle lacrime versate
per la
scomparsa di sua madre.
“Ti
avevo detto che non era necessario che tu venissi qui.” disse Nick
tristemente.
“Siamo
amici.” replicò Judy, “Hai bisogno di tutto l’aiuto che io possa
offrirti. E
poi era anche la nonna di Nicholas.”
******
Non
vedevo Nick piangere da molto tempo. L’ultima volta che l’aveva fatto
era stato
quindici anni fa.
Ogni
volta che mi vedeva sconvolta o arrabbiata, mi diceva sempre queste
parole:
‘Non importa cosa accada, Carotina. Non devi mai mostrare agli altri le
tue
fragilità.’
Mi
sento così impotente nel vederlo crollare disperato. Non dice nulla.
Non ci
sono parole per descrivere il dolore che sta provando.
Faccio
un passo avanti, ma esito. Vorrei confortalo, ma è giusto che io lo
faccia,
dopo tutto quello che è successo?
Mi
si spezza il cuore vederlo così. Decido di mandare al diavolo ogni
tentennamento e lo abbraccio. Sembra sorpreso mentre si irrigidisce –
esattamente come fa Nicholas – ma si lascia andare e crolla fra le mie
braccia.
Poi
inizio anch’io a piangere in silenzio.
Finnick
esce dalla cucina e dice a Nick di lasciarmi entrare.
******
Nick
disse a Judy e Nicholas di entrare e andò in cucina a preparare
qualcosa da
offrire agli ospiti. Robin lo seguì, mostrando ancora qualche segno
della sua
goffaggine attorno a Judy; lei gli rubò un’occhiata e poi distolse
rapidamente
lo sguardo mentre lo vedeva agitarsi vistosamente.
Nick
ritornò in soggiorno con una tazza da caffè, che offrì a Judy, e posò
un
bicchiere d’acqua sul tavolo di fronte a Nicholas, prima di sedersi su
una
delle poltrone.
“Questo
potrebbe sembrarti un po’ insensibile da parte mia, ma…” iniziò Judy,
“Hai già
pensato al suo funerale?”
Nick
non disse nulla.
“Sai
se aveva fatto testamento?” domandò Judy.
“Lo
ha fatto.” rispose Nick, “Sono io l’esecutore.”
“Aveva
detto come le sarebbe piaciuto essere…”
“Parlava
sempre di voler essere sepolta accanto a mio padre.” disse Nick.
Fra
i due calò nuovamente il silenzio.
“Nick,
se c’è qualcos’altro che io possa fare…” propose Judy.
Nick
non rispose subito.
“Puoi
consolare nostro figlio.” disse infine. Gli occhi di Judy si
spalancarono
quando ebbe sentito quella risposta.
******
Questa
è la prima volta che ho sentito Nick riferirsi a Nicholas come ‘nostro’
figlio
e non come ‘mio’. Ma ha ragione.
Nicholas
è seduto lì, con lo sguardo perso nel vuoto. Robin è seduto accanto a
lui,
guardando occasionalmente nella sua direzione. Finnick entra nella
stanza, si
siede su uno sgabello e mi fissa intensamente tenendo le braccia
incrociate,
come a suggerirmi che se avesse la sua fidata mazza da baseball a
portata di
zampa, sarebbe tentato di usarla.
Mi
alzo e mi siedo accanto a Nicholas. Non alza lo sguardo. Il suo sguardo
è teso,
come se stesse cercando con tutte le sue forze di non piangere di
nuovo.
Appoggio la mia zampa sulla sua spalla e all’improvviso gli vedo
versare una
lacrima.
Nick
lo sta guardando, sebbene lui pensi di non avere il diritto di farlo.
Con
un cenno suggerisco a Nick di venire da noi. Sembra un po’ perplesso,
ma sono
sufficienti un sopracciglio inarcato e un cenno con la testa da parte
di
Finnick per convincerlo ad alzarsi. Si siede accanto a Robin, incerto
sul da
farsi. Robin gli si avvicina e gli suggerisce che tutto sarebbe andato
bene.
Nick fissa Nicholas con occhi titubanti e gli si avvicina con qualche
esitazione. La sua zampa si appoggia sulla spalla di Nicholas. Sento
mio figlio
irrigidirsi, ma non dice nulla e non fa nulla per scostare la zampa di
Nick.
Guardo
sia Nicholas sia Nick e mi accorgo che lacrime silenziose cadono dagli
occhi di
entrambi.
Note
dell’autore: Eccoci
arrivati al settimo capitolo!
Cari
amici lettori, mi auguro che abbiate un pacco di fazzoletti a
disposizione,
perché vi garantisco che da questo capitolo in avanti ne avrete
bisogno.
Purtroppo, a un certo momento della vita, arriva per tutti noi il
momento di dire
addio a una persona amata; nella storia in questione, la malattia ha
svolto il
suo compito e ha privato Nick Wilde della sua cara mamma. Per quanto
triste e
doloroso, sappiate che questo evento fornirà un’ulteriore spinta agli
eventi e
nei capitoli successivi sarà analizzato tramite il punto di vista di
ciascuno
dei quattro personaggi principali: Nick, Judy, Nicholas e Robin.
Vedrete!
Come
è mia consuetudine, vi lascio alcuni link utili:
Pagina
DeviantArt dell’autore: https://www.deviantart.com/giftheck/
Capitolo
VII di Grief’s Reunion: https://www.deviantart.com/giftheck/art/Grief-s-Reunion-7-Never-Meet-Again-686865289
Storia
completa: https://archiveofourown.org/works/10995909/chapters/24492501
Questo
è quanto. Come sempre, vi ringrazio per la vostra cortese attenzione e
vi
auguro una buona lettura. A presto!