Perdonate l'infinita assenza...a voi, il tanto atteso Maylor.
Il giorno seguente, ore 14: 30
“Scappato?”
chiese conferma Anita, perplessa.
“Beh,
sì. Che altro avrei dovuto fare?”
sbuffò il
batterista, stringendosi le ginocchia al petto. Era seduto sul letto
dell’amica, se così poteva definirla, con un
lenzuolo azzurro ad avvolgergli i
fianchi nudi. Si
era svegliato poco meno
di un’ora prima, preda dei postumi della sbronza della sera
precedente, e, dopo
un iniziale attimo di spaesamento, i ricordi avevano cominciato a
riaffiorare.
La polaroid, gli sguardi indagatori degli amici e della sorella,
l’espressione
mortificata di Brian e l’ansia che si impossessava di lui,
facendolo boccheggiare
in preda al panico. Poi era semplicemente corso in salotto, aveva
afferrato la
giacca e si era dileguato nel giro di un paio di minuti, ignorando le
voci che lo
chiamavano.
“Avresti potuto
chiedere a Brian di parlare in privato ed
essere sincero con lui, per esempio” suggerì la
riccia, aggiustandosi la
vestaglia in modo che le stringesse la vita.
“Per dirgli
cosa? Non c’è niente da spiegare. Il nostro
rapporto funziona così fin da quando ci siamo conosciuti.
Ogni tanto capita
che…succeda. Questo non significa che ci sia qualcosa di cui
parlare. Un sacco
di ragazzi lo fanno, con i propri amici” ragionò
il biondo, cercando di trovare
una spiegazione a quanto accaduto.
Anita aggrottò
le sopracciglia, rivolgendogli uno sguardo
compassionevole. “Intendi…sesso? I ragazzi fanno
sesso con i propri amici, di
solito?”.
“SHH!”
la zittì il batterista. “Non
c’è bisogno di usare
quella parola!”
“Sesso?”
“Lo fai
apposta?!” sbottò Roger, esasperato.
“Lo fai anche
con quell’altro? Il ragazzino, intendo”
domandò la rossa, abbandonando la camera da letto.
“John? Cosa? No!
Fino a ieri non pensavo nemmeno che sapesse
cosa fosse il sesso” rispose Roger, disgustato, mentre
saltellava verso la
cucina, cercando di infilarsi un paio di boxer.
“Uhm, capisco. E
che mi dici di quell’altro? Sì, il cantante
dai begli occhi truccati!” indagò ulteriormente la
giovane, riempiendo due
tazze di caffè.
“Freddie! Sei
pazza?!
No! Ovvio che no! Che schifo! È praticamente
mio fratello!” negò il
biondo, approfondendo la smorfia di disgusto che gli solcata il volto.
“Allora forse
ciò che c’è tra te e il bel chitarrista
non è
solo un modo di passare il tempo tra amici, non credi?” rise
Anita, divertita
dalla reazione del biondo.
D’un tratto, il
viso di Roger divenne inespressivo. Sì, la ragazza
non aveva tutti i torti.
“Non dire
sciocchezze! E poi, vorrei ricordarti che è per
colpa tua se mi trovo in questa situazione!”
cambiò argomento in tutta fretta.
La ragazza alzò
le mani in segno di resa. “Sì,
d’accordo, in
parte è colpa mia! Ma non potevo sapere che preferiste far
finta di nulla.
Insomma, per quanto mi riguarda, pensavo che foste una coppia che
voleva
espandere i propri orizzonti. Siete carini e la vostra musica
è decente, così
ho pensato: perché no? Avevo voglia di divertirmi! Non mi
aspettavo di
ritrovarmi un batterista ubriaco sulla soglia della porta!”
spiegò la rossa,
alzando gli occhi al cielo.
“Decente un
cazzo. La nostra musica promette bene…vedrai! E
per la cronaca sappi che ci ho messo parecchio per scoprire dove
abitassi e che
ti ho aspettato per ore fuori da quella porta. Dove diamine eri alle
quattro
del mattino?!” bofonchiò Roger, sorseggiando il
proprio caffè.
“Al lavoro! Non
sei l’unico ad avere dei sogni, rockstar!”
lo canzonò Anita, affondando i denti in una ciambella e
spingendo la confezione
di dolci verso il batterista, invitandolo a servirsi.
Questo ponderò
l’idea per qualche secondo, poi ne afferrò
uno.
“Che fai? La
cameriera?” domandò incuriosito, masticando
lentamente.
“La
spogliarellista. Ma il mio sogno è fare
l’attrice!”
confessò Anita, senza il minimo imbarazzo.
Colto alla sprovvista, il
biondo fallì nel deglutire il
boccone e tossì ripetutamente. “Beh, questo spiega
un sacco di cose…” mormorò
appena si riprese.
“Lo
prenderò come un complimento” rise la riccia,
posando la
tazza sul bancone della cucina. “Tesoro, non prenderla sul
personale ma ora
dovresti proprio andare. È già passata
l’ora di pranzo e tra poco arriverà una
ragazza a dare un’occhiata
all’appartamento…ho davvero bisogno di una
coinquilina
con cui dividere l’affitto! Posso riaccompagnarti a casa, se
ti va. Prima o poi
dovrai tornarci, no?”
“Oh, certo. No,
no…tornerò a piedi. Insomma, non so dove
sono ma ci sono arrivato camminando, qui. Quindi è
fattibile, giusto?” riflettè
il batterista, confuso.
“Sì,
non vivo lontano da casa di Brian!” sorrise Anita,
avviandosi verso il bagno. “Se avessi bisogno di me, tua
sorella ha il mio
numero di telefono e, nel caso in cui te lo stessi chiedendo, no, non
abbiamo
fatto nulla che il tuo chitarrista disapproverebbe, ieri sera. Ti sei
tolto i
vestiti e sei crollato sul letto, tutto qui” aggiunse poi,
punzecchiandolo.
“Non
è il mio chitarrista!” si affrettò a
smentirla il
biondo. Tuttavia, non valse a nulla: Anita si era già
liberata della vestaglia
e chiusa alle spalle la porta del bagno.
Ore 15:15
“Ed eccoci qui,
per la terza volta in meno di mezza
giornata…” sospirò Freddie, scendendo
dalla macchina di Brian. Lui e Veronica
l’avevano presa in prestito per andare a controllare se Roger
fosse tornato al
proprio appartamento.
“Magari
è tornato a casa, nel frattempo. Non possiamo
saperlo! E poi Brian non è da solo: lui e John
sopravvivranno per trenta
minuti!” disse la ragazza, sfilando le chiavi dal cruscotto e
abbandonando il
sedile del guidatore.
“Dico solo che
dovresti rilassarti, tesoro” spiegò il
frontman, posando le mani sulle spalle di Ronnie e guardandola negli
occhi.
“Sai meglio di me che non è la prima volta che
Roger non torna a casa per la
notte. Si sarà fermato a dormire da un amico. Insomma, non
gli do tutti i torti.
Lo avrei fatto anche io se fossi stato esposto in quel
modo…” cercò di rassicurarla.
“È…qualcosa di molto personale. Non si
dovrebbe essere forzati a dirlo o roba
simile, non credi, cara?”
“Ma certo, Fred.
Hai ragione” mormorò la giovane, intenerita
dalle parole dell’amico. Sapeva bene che le paure di Roger
erano le stesse che
affliggevano Freddie e che parlarne, per quest’ultimo,
risultava ancora
qualcosa di nuovo e complicato.
“Non voglio
mettergli fretta o altro. Vorrei solo sapere
dov’è e che sta bene. Cose da gemelli!”
aggiunse Veronica, sorridendo.
Il giovane rise, scotendo
la testa. “Sì, immagino sia
qualcosa del genere. Andiamo allora, su, cara. Controlliamo
un’ultima volta!”
esclamò, estraendo un mazzo di chiavi dalla tasca.
Ronnie lo
ringraziò con un forte abbraccio ed un bacio a
fior di labbra, per poi dirigersi con lui verso l’ingresso.
“Non l’ho mai detto
a nessuno ma è parecchio che lo so, sai?”
confessò, appoggiandosi allo stipite
della porta.
Il frontman
aggrottò le sopracciglia, interrompendo per
pochi secondi la ricerca della chiave dell’appartamento.
“Mi è sembrato
piuttosto evidente dopo il nostro incontro, la vigilia di natale. No,
tesoro?”
ridacchiò, imbarazzato.
“Oh no! Freddie,
non mi riferisco a te! Parlo di Roger. Lo
so fin dall’inizio: conosco mio fratello meglio di quanto
conosca me stessa e
Brian è un libro aperto. In più ho beccato Rog a
rovistare nei pantaloni di
Brian una volta…” rivelò Veronica,
stringendosi nelle spalle, pensierosa.
“E non mi hai
mai detto niente?! Siamo una band: il che
significa che ognuno si fa gli affari dell’altro!
È un po’ come il matrimonio: non
si deve omettere nulla, cara!” ammiccò Freddie,
aprendo finalmente la porta.
Veronica lo
superò, fiondandosi all’interno. Chiamò
il nome
del fratello un paio di volte ma in risposta ricevette solo un
disturbante
silenzio, rotto di tanto in tanto dall’abbaiare del cane dei
vicini. Rassegnata
e preoccupata, la ragazza si voltò verso l’amico.
“Ehi…
dagli tempo, tesoro. Tornerà a casa!” la
rassicurò
Freddie, dirigendosi verso di lei per prenderla tra le braccia.
Ore 15: 20
“Quindi…tu
e Rog…” iniziò il bassista,
interrompendo il
silenzio imbarazzante che li aveva avvolti mentre, seduti sul divano
del
salotto di Brian, attendevano il ritorno di Freddie e Veronica.
Il chitarrista si morse un
labbro, annuendo
impercettibilmente. “Già”.
Voleva bene a John,
davvero. Lo considerava un bassista
eccellente ed un tipo sveglio, nonché intelligente:
sicuramente uno dei pochi
in grado di capire i suoi “discorsi sulla scienza”,
come li definivano Freddie
e Roger. Dal momento in cui John era entrato nella band, erano riusciti
a
legare piuttosto in fretta, complice la stima reciproca e il desiderio
di fare
musica insieme, ed avevano trascorso parecchie serate fianco a fianco,
a
smontare e a rimontare ogni genere di oggetto che li incuriosisse o a
guadare
le stelle, ubriachi di birra e stesi sul tetto della casa di Brian.
Tuttavia,
il loro rapporto non si era mai approfondito quanto quello che il
bassista
aveva instaurato con Roger e Freddie. Alla loro timidezza serviva
più tempo: parlare
dei propri sentimenti, domandare un consiglio o dimostrare affetto in
modo più
esplicito che con una fraterna pacca sulla spalla era ancora un
tabù per loro.
Ci sarebbero arrivati, alla fine. Per ora, avevano bisogno della
mediazione
degli altri due per avere una discussione profonda senza sprofondare
nel più
totale imbarazzo.
“Uhm,
fico!” annuì
John, incerto su cosa dire. Si pentì subito delle parole
scelte ed avvampò,
evitando gli occhi dell’altro. “Nel senso, non ho
mai provato ma…immagino che
sia…fico. Ecco. Dicono. Sì, alcuni
lo…dicono” aggiunse velocemente, peggiorando
la situazione.
“Sai, John, non
siamo obbligati a parlarne. Ora lo sai
ma…non significa che
dobbiamo…sai…” offrì Brian,
nel tentativo di togliere
entrambi dall’imbarazzo.
“Oh”
sospirò il bassista, sollevato. “Dio, speravo lo
dicessi!” ridacchiò, posandosi una mano dietro al
collo in un gesto di
nervosismo. “Non sono bravo in queste cose!”
“Nemmeno
io!” sorrise Brian, rilassandosi. “Uhm,
perché non
mi parli di quell’amplificatore? Quello che stai
costruendo…” suggerì, nel
tentativo di allentare la tensione.
Proprio
in quel
momento, il campanello suonò ed entrambi i ragazzi tacquero,
guardandosi.
“Non possono
essere loro, vero?” ragionò John.
Il chitarrista scosse la
chioma ricciuta in senso di
diniego. “No, non possono essere loro”
confermò. “Dunque…”
iniziò, incerto,
prima di essere interrotto da un altro trillo lungo ed impaziente,
seguito in
rapida sequenza da altri più brevi.
“Roger!”
esclamò Brian, correndo alla porta.
“Ce ne hai messo
di tempo!” sbuffò Roger, incrociando le
braccia al petto. “Senti, devi darmi le chiavi di casa. Le ho
dimenticate”.
Brian rimase interdetto
per qualche secondo, limitandosi a
fissare il batterista. Aveva passato la nottata insonne, attanagliato
da sensi
di colpa e preoccupazione, varando le opzioni peggiori e disperandosi
al solo
pensiero di non rivedere più l’amico. Ed invece
eccolo lì, alla sua porta: i
capelli scompigliati, i vestiti sgualciti ed un forte odore di alcool e
tabacco
impregnato addosso. Nessuna scusa, solo una lamentela. Come se non
fosse
successo nulla, come se le cose potessero riprendere da dove le avevano
lasciate.
“No”
mormorò Brian, semplicemente. A dirla tutta, non
pensava nemmeno che le chiavi fossero in casa. Riordinando, non le
aveva
trovate ed era certamente più probabile che il batterista le
avesse perse. Tuttavia,
poco importava: doveva parlargli e
se pensava di essere confinato lì sarebbe stato
più semplice.
“No?”.
Il biondo alzò un sopracciglio, indispettito.
“Dammi
quelle fottute chiavi, Brian!” ordinò, tendendo
una mano aperta in segno di
impazienza.
“Ti ho
già detto di no. Dobbiamo parlare, Roger”
dichiarò il
chitarrista, in modo risoluto.
“No che non
dobbiamo…” cercò di sovrastarlo il
biondo, senza
successo.
“Parlo io. Tu
ascolta e basta, okay?” sospirò Brian.
“Da
quanto va avanti questa storia, mmh? Da quando hai sedici anni? Da
quando ci
conosciamo, comunque. D’accordo, all’inizio poteva
essere la curiosità dovuta
all’inesperienza e poi, perché no, potevano essere
gli ormoni ma Rog,
onestamente, è passato parecchio tempo da quando mi infilavi
la mano nei
pantaloni mentre mia madre era occupata a stendere il bucato o in
qualche altra
faccenda domestica. È
qualche anno,
ormai. E non siamo più bambini: frequentiamo entrambi delle
ragazze. Tu, in
particolare, ne frequenti e, se fosse stata solo questione di
curiosità o
ormoni, a questo punto avremmo già smesso. Non
credi?”
“Divertimento,
Brian. Mai sentito parlare di…” ribatté
Roger, alzando gli occhi al cielo.
“Divertimento,
sì, lo so. Lo dici sempre. In realtà, ho
perso il conto delle scuse che accampi ogni volta che succede. Una
volta è
perché sei ubriaco, l’altra perché la
tipa con cui avresti dovuto uscire ti ha
dato buca, quella dopo è perché sei arrabbiato e
ti vuoi sfogare o perché
Freddie ha compagnia e non vuoi tornare a casa”
elencò Brian, il tono di voce
arrabbiato che mutava in un mormorio stanco e ferito. “Ho
sempre fatto finta di
niente perché temevo che avresti messo fine a quello che
avevamo ma questa
notte, mentre aspettavo che tornassi, mi sono sentito così
stupido! Rog, non ho
intenzione di continuare a far finta di niente…”
“D’accordo.
Allora finisce qui” deglutì il biondo, tremando
lievemente. Le parole del chitarrista lo avevano scosso. Il motivo?
Erano la
verità, mal celata per molto tempo e portata alla luce ora,
tutta d’un tratto. Non
era pronto per sentirla.
Brian si
avvicinò, afferrandolo per un braccio, ma prima che
potesse rispondere un John Deacon impacciato si presentò
sulla terrazza.
“Ehm, ehi Rog!
Brian, io raggiungo Ronnie e Fred. Li ho
chiamati, gli ho detto che…beh, lo sai. Voi…fate
ciò che dovete. Intendo
parlare…non…” spiegò
timidamente.
“Okay, okay! Ho
afferrato, John!” si affrettò a venirgli in
soccorso il chitarrista. Roger, dal canto suo, si era lasciato andare
ad un sorriso
divertito, nonostante la tensione della situazione.
“Certo!”
annuì il bassista, salutandoli con un cenno del
capo.
“Carini quei
pantaloni” commentò il batterista, appena
rimasero nuovamente soli.
“Cosa?”
chiese Brian, passandosi le mani sulle cosce,
confuso.
“Ti fanno delle
belle gambe. Ed un bel fondoschiena. Forse
potrei guardarli più da vicino…”
mormorò Roger, sul punto di inginocchiarsi
davanti a lui.
“No, no, no! Non
finirà così la conversazione! Non questa
volta” si oppose il chitarrista, allontanandosi.
Il biondo si ricompose,
stizzito a causa del tentativo
fallito. “D’accordo. Continua”
sbuffò.
“Hai detto che
non vuoi più nulla. Non è l’unica
soluzione,
lo sai. Finiamola con le scuse e i silenzi…proviamo
a…ad essere onesti. Rog,
non mi sei indifferente. Anzi, se devo dirla tutta, credo che tu mi
piaccia più
delle ragazze che frequento. Anche più
dell’astrofisica, forse” confessò Brian,
con gli occhi lucidi ed un sorriso speranzoso.
“Wow, questa si
che è una notizia. Non pensavo ti piacesse
qualcosa al di fuori di quella roba scientifica. Nerd. Ecco cosa sei:
un cazzo
di nerd” sospirò Roger, sfuggendo allo sguardo
indagatore del chitarrista. “Devi
sempre rovinare tutto con i sentimenti. Te l’ho
già spiegato: nessuno sopporta
gli uomini sentimentali e…” continuò,
interrompendosi solo quando sentì il
pollice di Brian accarezzargli una guancia ed asciugargli una lacrima.
In quel
momento si accorse di star piangendo.
“Rog, stai
piangendo” sorrise dolcemente il riccio,
prendendo il volto dell’altro tra le mani.
“A quanto
pare…” deglutì il biondo, alzando gli
occhi
azzurri per incontrarne un paio marroni.
Brian scosse la testa,
ridendo. “Non dobbiamo definirci, ne’
etichettarci in qualche modo. Solo, possiamo essere onesti su quello
che
sentiamo? Mi piaci parecchio, Rog”.
“Neanche tu sei
male” singhiozzò il batterista, appoggiando
la fronte a quella di Brian. “Ma sei davvero un
insopportabile nerd” aggiunse,
abbozzando un sorriso.
Il chitarrista lo strinse
tra le braccia, posando un dolce
bacio sulle sue labbra umide. “Sì, lo
so” ridacchiò. “Un passo alla volta,
d’accordo?” domandò, tornando serio.
Roger annuì.
“Un passo alla volta” acconsentì,
lasciandosi
andare ad un sospiro di sollievo e nascondendo il viso tra le braccia
di Brian.
Ore 16:15
“Brian?”
“Dimmi,
Rog”
“Ora lo vorresti
un pompino o..?”
“Roger!”
“Allora?”
“Sai che lo
voglio…”
“Lo sapevo!”
Grazie a chi legge
. Un abbraccio e BUON COMING OUT DAY a tutti!