Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Ink_    12/10/2019    1 recensioni
[Mini-long]
Dean aveva soltanto tre certezze: primo, di non essere pazzo e che qualcosa lo stesse trattenendo in quel covo di matti. Secondo, che presto Sammy lo avrebbe tirato fuori di lì. E terzo, che non rimanesse più molto tempo.
«Santo cielo non è un sogno quel uomo? Quasi quasi … ».
«Oh mia cara, quel ragazzo è tanto bello quanto svitato! E ad ogni modo mettiti in coda, prima ci siamo io e la capo infermiera Tess» disse Lucinda scatenando l’ilarità delle specializzande.
«Che c’è? Solo perché una donna ha settantacinque anni suonati non può sognare?»
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

II.
 
 
Brooke superò velocemente il signor Rogers e le sue rose e si diresse a passo sicuro verso l’uomo. Se ne stava ai margini del prato lo sguardo fisso su un’aiuola di primule sepolte dalle foglie cadute, il giardiniere insisteva per lasciarle lì dov’erano dicendo che portavano un po’ di colore in quel posto così grigio.

«Ciao, io sono Brooke» le parve un approcciò abbastanza neutro, meglio di un “Ehi” seguito da un languido sorrisino.
Il giovane sobbalzò, ridestandosi dai suoi pensieri e si voltò verso la stagista. Le sue labbra si distesero in un mezzo sorriso affabile «Ehi».

Brooke realizzò che il mezzo sorriso era in effetti un languido sorrisino. Ligón! Avrebbe abbaiato Trish, la donna delle pulizie messicana che lasciava sempre qualche fetta di dulche de leche sul ripiano della reception.

Winchester la stava scandagliando con lo sguardo, su e giù come una radiografia. «Dean Winchester. Sei nuova? Non ti avevo ancora visto da queste parti».

Nella sua testa Trish strillò Ligón! un po’ più forte, esasperata. Brooke era alta un metro e ottanta quasi, difficile non notarla, ma si disse che in posto dove tre quarti della gente era pazza, catatonica o imbottita di farmaci era plausibile che passasse inosservata.

«Lavoro qui da qualche settimana».

«Non è un bel posto per una così brava ragazza» osservò Dean, poi scoppiò a ridere alla pateticità della sua stessa battuta. Dovresti vedere Holly allora pensò Brooke. Holly, con i suoi grandi occhi scuri e il cuore d’oro; la piccola, buona samaritana che avrebbe redento l’America dalla pazzia, un istituto di igiene mentale alla volta.

Una volta Lucinda le aveva confidato che la clinica era proprio il posto giusto per la sua collega “Me l’ha detto Toby!” le aveva confidato “E lui non sbaglia in queste cose!” “Già” aveva replicato lei “Holly ha una vera vocazione per questo lavoro”

“Oh mia cara, io non ho mai detto che dovrebbe stare qui per lavorare”. Un brivido le aveva scosso la colonna vertebrale e aveva deciso di lasciar cadere lì il discorso, ma ancora si irrigidiva quando Holly si avvicinava troppo ad un paziente, quasi temesse che potesse esserne contagiata.

«Mi dispiace, era pessima, ma cerca di capirmi, sono fuori allenamento» si scusò Dean.

«È da molto tempo che sei qui?».

«Definitivamente troppo» rispose amareggiato. «Sam ci sta mettendo un’eternità a tirarmi fuori di qui» mormorò tra sé. Brooke finse di non aver appena sentito un resoconto inquietantemente e sospettosamente dettagliato della vita di Dean Winchester.

«Chi è Sam? La tua ragazza?». Lui scoppiò a ridere e piccole grinze gli strizzarono i lati degli occhi «Oh no, è mio fratello».

Tre anni di recitazione alle medie si rivelarono assai utili per dissimulare una piacevole sorpresa: «Davvero? Hai un fratello? E che tipo è?».

Dean sospirò ma senza smettere di sorridere «Be’ è alto, molto alto. Ha dei capelli ridicoli, li porta lunghi, come un ragazzino. Ha gli occhi chiari, a volte sono castani, a volte verde-azzurro, dipende dalla luce sai. Oh ed è un asso nel fare quello sguardo da cucciolo bastonato, il genere di occhi dolci che riescono a convincerti a fare il suo gioco, non so se mi spiego. Ed è sveglio, molto sveglio …  Ha studiato legge a Stanford».

«Ma non mi dire!» intervenne Brooke «Mio padre voleva mandarmi a studiare legge in California e invece guarda un po’ dove sono finita! Gli ho sempre detto che tra burocrati e pazzi non c’è poi molta differenza» Dean rise con lei, massaggiandosi il collo con un gesto che le parve nervoso.

«Prima hai detto che tuo fratello ci sta mettendo un’eternità a tirarti fuori di qui, che cosa intendevi? Questa non è una prigione da cui puoi uscire pagando una cauzione».

«Ah quindi mi stai dicendo che le sbarre alle finestre sono solo decorative?» Brooke rise – questa volta con sincerità, lieta che i farmaci avessero lasciato intatto il senso dell’umorismo di almeno un paziente.

«Rispondi alla mia domanda, se tuo fratello è sveglio come dici dovrebbe averti tirato fuori di qui già da un pezzo». Era una tattica rischiosa e lo sapeva, una delle regole di Holly consigliava di non istigare i pazienti! Specialmente se sono violenti! Ma aveva bisogno di risposte. Quanto detto da Lucinda – che Sammy per Dean era reale – era stato più che confermato, anzi, nella testa di Dean non solo Sammy era cresciuto, ma si era anche laureato a quanto sembrava.

Mancavano delle tessere però per completare quel puzzle e sperava vivamente di poterle ottenere senza rischiare di venir strangolata.

Dean pareva titubante, continuava a portare la mano al petto chiudendola a pugno, come se stesse stringendo un ciondolo immaginario o come se stesse meditando se colpirla. Nel dubbio, Brooke fece un passo indietro e tentò un’altra tattica, quello dello scambio.

«Facciamo così, tu mi dici perché tuo fratello Sam dovrebbe tirarti fuori dalla clinica e io ti spiego perché una brava ragazza come me si trova in un posto che ha le sbarre alla finestre e non certo per decorazione». Fece leva sull’ironia e sull’empatia, sperando che abboccasse.

Se c’era una cosa che aveva imparato era che ciò che i pazienti di una centro di recupero mentale desideravano più ardentemente che uscirne, era un po’ di sincero contatto emotivo, che non coinvolgesse sedie di plastica e un cerchio di squilibrati.

«D’accordo» acconsentì Dean.

Bingo.

«Prima le signore, però».

Merda. Non aveva ancora pensato ad una balla plausibile da propinargli.

«Sediamoci, ti va? Passo tutto il giorno in piedi quando sono qui dentro».

«E io lo passo legato ad un letto se mi comporto male» ribatté Dean con un ghigno, benché i polsi arrossati confermassero il vero.

Presero posto su una panchina di plastica rosa porcellino, posto sotto un olmo mezzo spoglio. Brooke cercò di recuperare altro tempo guardandosi intorno: non un sasso sul prato, non una panchina di pietra o di legno, non un albero a cui avessero lasciato un ramo abbastanza basso da poter essere raggiunto, nemmeno una fontanella o uno specchio d’acqua. Solo erba, fiori e foglie secche. Niente che potesse prendere fuoco, niente contro cui sfondare il cranio di altri pazienti, niente da cui lasciarsi penzolare.

Il 
perfetto parco giochi  per i cattivi bambini.

«Allora? Il tuo oscuro segreto?» incalzò Dean. Optò per dirgli la verità e per infrangere un’altra regola di Santa Holly e in parte della clinica niente di personale! Non raccontare nulla di vero! Non è un tribunale ma potrebbe essere usato contro di te! Non aveva idea di chi fosse suo padre, ma chissà, magari se lo avesse conosciuto avrebbe scoperto che lui voleva davvero mandarla a Stanford a studiare Legge.

«Vorrei entrare nel Dipartimento di Analisi Comportamentale Federale» disse tutto d’un fiato «I normali crimini – ed intendo ladri o sporadici omicidi, piromani, rapinatori  – commettono crimini per ragioni semplici: soldi, vendetta, gelosia. Ma quando la cosa si fa seria, quando qualcuno comincia ad ammazzare tutte le ragazze bionde che incontra perché la fidanzata che al liceo l’ha lasciato era platinata, be’ allora c’è qualcosa sotto. Qualcosa di malato, di marcio. E io voglio capire cos’è, voglio capire cosa li spinge a fare quello che fanno, per fermarli, capisci?» Dean annuì, serio.

«So di aver scelto la strada lunga decidendo di frequentare prima psichiatria e poi arruolarmi in polizia, ma ci tengo davvero … ecco io voglio essere preparata …». Lasciò in sospeso la frase, non sapendo che altro aggiungere, consapevole che Holly l’avrebbe uccisa.

«È il tuo turno».

Dean ripeté quel gesto con la mano un paio di volte prima di parlare. «So che ti sembrerà ridicolo e probabilmente sentirai questa frase mille volte al giorno, ma io non sono pazzo».

Brooke sorrise gentilmente «Sì, mi pare di averla già sentita un paio di volte».

Il ragazzo le sorrise, riconoscente. «Sono un cacciatore. E lo sono anche mio fratello e mio padre. Cacciamo demoni, mostri, fantasmi, spiriti di scarafaggi, lupi mannari, magia nera. Tutto quello di cui possono essere fatti gli incubi noi gli abbiamo piantato una pallottola d’argento nel cervello o ne abbia bruciato i resti».

Bruciato i resti. Era quello ciò che stava facendo quando aveva aperto quelle bare? Un esorcismo? La ragazza si sforzò di tenere a freno l’immaginazione e concentrò la parte più professionale di sé su quanto Dean stava raccontando.

«E tutto questo» con un ampio gesto abbracciò tutto il giardino, la clinica e i pazienti e gli infermieri che si aggiravano con le divise bianche come fantasmi «Tutto questo non è reale. Non lo è questa gabbia di matti, non lo è questo rigurgito di mercatino solidale su cui siamo seduti e non lo è l’erba sotto i nostri piedi. Tu non sei reale, Brooke».

La stagista si sforzò di mantenere la mente lucida, anche se i termini medici per descrivere quanto stava sentendo le balenavano davanti agli occhi, anche se le sembrava un episodio di quelle serie TV sulle cospirazioni che trasmettono alle tre del mattino e cercò di fare una domanda che le avrebbe dato qualche risposta.

«E tu Dean? Tu sei reale?».

Un accenno affermativo del capo.

Bene. E ora, la domanda da un milione di dollari.

«E Sam? Lui è reale, Dean?». 

«Certo che Sammy è reale». Diverse lucine rosse si acceso nella mente della ragazza: è sulla difensiva! Sta marcando il territorio! Non tollera che si esprimano dubbi sul fratello! E poi la luce più forte di tutte, una sirena che strillava Disillusione! Disillusione! Disillusione clinica!

Deglutì. «E allora che senso ha tutto questo? Se tu sei reale e io non lo sono, significa che sono frutto della tua immaginazione, giusto?».

Dean scosse la testa, lo sguardo fisso sulle loro scarpe di gomma bianca «Non è così semplice, tu non sei il prodotto della mia immaginazione, non ti ho creata io, ma sì, sei un’illusione».

Brooke annuì cautamente «E come puoi esserne certo?».Winchester lanciò una rapida occhiata al suo deludente decolté coperto dalla divisa «Fidati, saresti leggermente diversa se ti avessi pensata io». La specializzanda si sforzò di non reagire, tenendo a mente che si trovava davanti ad un malato mentale e che dopotutto era stata lei a fargli quelle domande.

«Ho motivo di credere che sia opera di un Djinn».

«E che cosa sarebbe?».

«Lascia stare, è lunga da spiegare. Quello che ti interessa sapere, per quanto possa interessarti visto che non sei reale, è che mi sta tenendo prigioniero e che prima o poi mi ucciderà».

 Paranoia!

«Tutto questo non è reale perché è un’illusione creata da questo … mostro» sputò l’ultima parola quasi sapesse di marcio. «L’ultima cosa che ricordo era che ero in Nebraska con Sammy, stavamo lavorando ad un caso e-»
«Stavate lavorando ad un caso?» lo interruppe.

«Te l’ho detto, siamo cacciatori. Troviamo una pista, di solito gente morta in circostanze inspiegabili o sospette, indaghiamo, staniamo la bestia e la facciamo fuori cercando di non rimetterci la pelle. Poi passiamo al caso, alla caccia, successiva».

«Non sembra un bel lavoro».

«Non lo è, ma qualcuno dovrà pur farlo, no? Molto meglio che star dietro alle scartoffie burocratiche».

«Ce ne sono altri di … cacciatori come voi?» chiese ignorando la frecciatina.

«Così sexy? No, non credo proprio. Ma sì, siamo abbastanza».

Desiderava chiedergli altri dettagli della sua fantasia, ma si stava avvicinando l’ora di rientrare e Brooke voleva capirci di più sulla faccenda del mostro che lo teneva prigioniero. Ci sarebbero state altre occasioni per scoprire dei dettagli, dopotutto Dean non se ne sarebbe di certo andato tanto presto.

«Hai detto di aver motivo di credere che si tratti di un Diaig- … Daij- …».

«Djinn».

«D’accordo, ma che cosa te lo fa credere?».

«Come ti stavo dicendo mi trovavo in Nebraska con mio fratello, stavamo lavorando ad un caso semplice ed io sono uscito per comprare qualcosa da mangiare. Stavo per entrare nel fast food quando qualcuno mi ha aggredito alle spalle. Quando mi sono svegliato ero qua dentro, legato ad un letto e con una lista di medicine lunga un chilometro. Continuo a rivivere dei ricordi … come se li prendesse dal mio cervello e me li spiattellasse davanti agli occhi per tormentarmi. E c’è una donna. L’ho già vista diverse volte e sono piuttosto certo che non sia una paziente della clinica. Ho ragione di credere che sia lei a tenermi prigioniero, che sia lei il Djinn.
«Ma so anche che Sammy mi starà cercando. Anzi, in questo momento sarà nel motel o in biblioteca a digitare su quel suo portatile da universitario per trovarmi … Non so dove mi tenga nascosto, ma so che Sammy riuscirà a scovarlo, ammazzerà quel bastardo ed io me ne andrò da questo posto infernale».

Rimasero in silenzio per qualche minuto, il tempo necessario a Brooke per metabolizzare «Perché ti tiene qui? E perché dovrebbe farsi vedere?».

Dean rise «Diciamo per controllarmi, per indebolirmi e per bersi il mio sangue goccia a goccia mentre sono intrappolato nella mia testa».

Un’ombra scusa si allungò su di loro. «È ora di rientrare Dean».

Tess, la capoinfermiera si incombeva su di loro in tutto il suo metro e ottanta, un sorriso benevolo ad addolcire i tratti duri del viso. Aveva la corporatura di un armadio, il genere di infermiera che ci si aspetterebbe di trovare in una clinica psichiatrica.

«Vengo subito dolcezza» le rispose Dean con un occhiolino e Tess si voltò svelta nella direzione opposta per nascondere il rossore che le tingeva le guance.

«Bene Brooke, è stato un piacere chiacchierare con te» le disse l’uomo alzandosi.

Le tese una mano, in segno d saluto e forse si riconoscimento. Un’altra regola della Santa Holly era di evitare il contatto fisico quando non necessario! ma di regole Brooke ne aveva infrante parecchie quel pomeriggio e si disse che una di più non avrebbe fatto male a nessuno.

Mentre Dean si allontanava con Tess, lei rimase a fissare l’aiuola e le venne in mente Lucinda, la dolce e cara signora Dhale, che seppelliva i corpi delle nipoti nell’orticello dietro casa. Spostò immediatamente lo sguardo dalla terra smossa e lo posò su qualcosa che le paresse meno raccapricciante, come l’orizzonte. L’orizzonte dove il sole stava iniziando a calare, inondando gradualmente il giardino di una luce dorata. Le ombre proiettate degli alberi si allungavano e le foglie iniziavano a vorticare spinte dal vento di ottobre.

Brooke si strinse nel camice e ripercorse mentalmente la conversazione, appuntandosi i suoi comportamenti, il modo in cui pronunciava determinate parole, come stringeva le mani sul petto e stilò una nuova lista di domande.

Rimase sulla panchina ancora un po’, il tempo necessario per notare il minaccioso avanzare di grosse nuvole grigie.

Avrebbe tempestato a breve, ne era certa. La stessa ferrea certezza ch le suggeriva che Dean Winchester fosse davvero intrappolato nella sua testa.




***
Grazie a chi segue, ricorda, preferisce la storia o si prende anche solo un momento per leggerla.




 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Ink_