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Autore: evil 65    12/10/2019    15 recensioni
Due anni sono passati dalla guerra contro Thanos.
Peter Parker e Carol Danvers sono ormai diventati buoni amici, alternando la loro vita da supereroi a rari momenti di vita quotidiana in cui si limitano ad apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, come farebbero con qualsiasi altro membro degli Avengers.
Tuttavia, Peter vuole di più…anche se sa che non dovrebbe.
A peggiorare le cose, un misterioso serial killer dotato di poteri fugge da un carcere di massima sicurezza, cominciando a seminare morte e distruzione in tutta New York…
( Sequel della one-shot " You Got Something For Me, Peter Parker ? " )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Oggi non mi perderò in chiacchiere. Per scrivere questo capitolo ho rielaborato un pezzo di una mia vecchissima e orribile storia che sto cercando di dimenticare, ma di cui avevo salvato alcune parti. Questa mi piaceva, così ho deciso di riadattarla alla fic. Alcuni di voi potrebbero anche notare una citazione a Rocky, che personalmente trovavo adatta alla situazione.
Vi auguro una buona lettura e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!



Hurt

2 anni fa 

Il cimitero di New York era immerso nell’oscurità di una fredda giornata settembrina, illuminato appena dalla luce dorata che filtrava oltre le nubi temporalesche e cariche di pioggia.
Peter Parker, meglio noto al grande pubblico come l’incredibile Spiderman, stava fermo e immobile di fronte alla lapide di Tony Stark.
Un sorriso malinconico sollevò le sue labbra e, con un gesto brusco, allontanò dal volto alcune lacrime che avevano cominciato a rigargli le guance.
Nei giorni successivi alla morte dell’uomo, i suoi insegnanti e compagni di classe avevano notato l’inusuale tristezza sul suo volto, facendogli domande alle quali non poteva rispondere.
Certo, si era sentito toccato dai loro tentativi di confortarlo, ma in quel momento il suo cuore richiedeva raccoglimento e solitudine. Nemmeno Ned e sua zia erano stati capaci di aiutarlo.
A peggiorare la situazione, metà dei giornali di New York avevano cominciato a dargli contro pochi mesi dopo il suo ritorno sulle strade. C’era chi lo definiva una copia a buon mercato di Iron Man, un vigilante che operava al di fuori della legge, oppure il suo preferito : una minaccia mascherata, come veniva amichevolmente indirizzato da James Jonah Jameson, il direttore del Daily Bugle.
Per questo motivo, come ogni giorno dal sacrificio di Tony, si era recato di fronte a quella lapide per ricordare i tempi trascorsi con l’uomo che gli aveva cambiato la vita, lo sguardo puntato in direzione cielo e il viso bagnato dalla pioggia.
<< Ciao >> lo chiamò una voce femminile alle sue spalle, facendolo sussultare.
Peter girò appena la testa per incontrare gli occhi di quella persona…e si bloccò.
Di fronte a lui aveva appena preso posto una figura assai familiare. Una donna dai corti capelli biondi e dai lineamenti forti e solenni, vestita con un cappotto nero. Nella mano destra reggeva un ombrello del medesimo colore, che la proteggeva dalla pioggia.
“ Hey, Peter Parker. Hai qualcosa per me?” fu il primo pensiero che attraversò la mente del ragazzo.
Le stesse esatte parole che quella persona gli aveva rivolto nel loro primo incontro, quando lo aveva salvato dalla pioggia di fuoco che Thanos aveva scatenato sugli Avengers.
Non vi era alcun dubbio: questa era la donna che, come una cometa fatta di pura luce, era discesa dal cielo per abbattere la nave di quel mostro.
<< Che ci fai qui sotto la pioggia? Finirai per prenderti un raffreddore >> disse lei, con tono visibilmente preoccupato.
In altre circostanze Peter sarebbe probabilmente arrossito…ma in quel momento non aveva la forza di fare neppure quello.
<< Non m’importa >> rispose atono.
Rimasero in silenzio per quasi un minuto buono. Poi, la donna si avvicinò lentamente a lui e lo coprì con l’ombrello, porgendogli un sorriso gentile.
<< Mi sono appena resa conto che non ti ho mai detto il mio nome. Piacere, mi chiamo Carol Danvers >> disse porgendogli la mano destra.
Il vigilante abbassò lo sguardo sull’arto teso, rimuginando su quella che sarebbe stata la sua prossima linea d’azione.
<< …Peter Parker >> borbottò dopo un attimo di silenzio, restituendo il gesto.
Il sorriso sul volto di Carol sembrò allargarsi.
<< È bello poterti incontrare formalmente, Peter Parker >> disse con tono frizzante. E, inaspettatamente, il ragazzo si ritrovò in parte contagiato da quell’espressione solare.
<< Perché è qui, signorina Danvers? >> chiese con un timido sorriso.
La donna ridacchiò.
<< Chiamami pure Carol, dopotutto siamo colleghi. E sono qui per porgere i miei rispetti >> rivelò, estraendo qualcosa dalla tasca del cappotto. Era un narciso bianco, dai petali immacolati, che la bionda posò delicatamente sulla tomba di Stark.
Quasi come ad un segnale, lo sguardo sul volto del ragazzo si fece improvvisamente cupo, cosa che non passò inosservata agli occhi della supereroina.
Con movimenti incerti, avvolse un braccio attorno alle spalle del vigilante e lo avvicinò a sé, mentre questi posava la testa sulla sua spalla. E rimasero in quella posizione per quello che sembrò un tempo interminabile, accompagnati solo dallo scrosciare della pioggia.
<< Sa perché molti newyorkesi anelano a vivere fuori città? >> domandò Peter all'improvviso.
Affianco a lui, Carol  gli inviò uno sguardo incuriosito, cosa che spinse l’adolescente a continuare.
<< Perchè New York è un posto di merda >> disse con tono di fatto, sorprendendo la donna. Non pensava che fosse il tipo a cui piacesse imprecare.
<< Noi ragazzi nasciamo qui con i nostri sogni, le nostre ambizioni…e la città ci mette subito in riga con il suo imperturbabile occhio di pietra. Un occhio che rivela tuti i nostri difetti, tutte le nostre paure riguardo a noi stessi... e allora ci dice: "Provaci pure. Ti sfido!">> continuò Peter, con voce ironica.
<< E poi, ci guarda dall'alto in basso. Nessun'altra città al mondo più di questa prova a ostacolarti in tutti i modi, prova a spingerti a gettare la spugna, ad andartene... a mollare. Ma io non mi sono mai arreso, no! Perchè pensavo che... che se mi fossi dimostrato all'altezza della sfida che mi aveva posto, se fossi stato coraggioso e avrei attraversato le fiamme…ne sarei uscito cambiato. E sotto le bruciature sarebbe spuntato l'uomo che tutti volevano che fossi. L'eroe. Ma io non sono un eroe. Io...non sono il Signo Stark...non posso sostituire Iron-man! Io...io ho paura.>> sussurrò, prima di drizzare la testa con uno scatto fulmineo.
Volse un pugno al cielo e prese un respiro profondo
<< Io ho paura, siete contenti?! Volevate la verità?! Mi volevate umiliare?! E va bene, ho paura! Per la prima volta in vita mia ho paura! Ho paura di deludere la memoria del Signor Stark! E ho paura di perdere altre persone a cui tengo! >>
Ancora in piedi affianco alla figura del vigilante, Carol inclinò leggermente la testa. << Ho paura anch'io. Non c'è niente di male ad aver paura >>
In tutta risposta, Peter le lanciò un occhiataccia.
<< Ah no?! Beh, per me invece sì! >>
<< E perché? Non sei un essere umano? >> domandò l'altra, utilizzando un tono di voce beffardo.
Il ragazzo strinse ambe le mani in pugni serrati
<< Io so solo una cosa: che sono debole. E che è per questo che Tony non c’è più! >>
Al sentire tali parole, gli occhi della supereroina parvero illuminarsi.
<< Ah, ora capisco tutto! >> esclamò, puntando un dito contro il petto del ragazzo.
<< Hai permesso all'idiota di turno di farti dire che non eri bravo. Sono cresciute le difficoltà, ti sei messo alla ricerca del colpevole e...boom! Ti sei guardato allo specchio è hai deciso che eri tu. Bhe, ora ti dirò una cosa scontata: guarda che il mondo non è tutto rose e fiori. È davvero un posto orribile, fidati di me…e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente. Né io, né tu...beh, nessuno può colpire duro come fa la vita! Credimi, io lo sono bene. Ho dovuto lottare con questa cosa per tutta la vita, fin da quando ero una bambina. Perciò, andando avanti...non è importante come colpisci. L'importante è come sai resistere ai colpi, e se finisci a terra hai la forza di rialzarti! >> continuò, suscitando un piccolo sussulto ad opera dell’adolescente. Questi distolse lo sguardo, con aria quasi colpevole.
La donna rilasciò un sospiro e cominciò a fissare l’immensa distesa verde coperta di lapidi.
<< Sai… >> iniziò casuale, << c'era un ragazzo che viveva nella mia strada a Harpswell Sound, mio coetaneo, si chiamava Louis Lee. Scappava di casa continuamente e veniva sempre a casa nostra, senza una valida ragione. Suo padre non lo picchiava mica ed era sempre ben vestito. I Lee avevano più soldi della maggior parte delle persone normali, ma lui scappava di casa almeno una volta al mese e veniva dritto a casa nostra. Beh, di solito mio padre chiamava sua madre e lei veniva a riprenderselo. Ma alla nona o decima volta che lo fece, Louis corse all'esterno, si arrampicò su un albero dietro casa e non volle più scendere per nessun motivo. Allora mio padre disse al suo: “Senti perché non lo lasci da noi per un po' finché non vorrà tornarsene a casa?” >>
Si fermò di colpo, per poi ridacchiare.
<< Ma santo cielo, quel ragazzo era davvero ostinato! Venne la sera e lui era ancora lassù, senza cibo, senza acqua, senza bagno. E io poco prima di andare a letto guardai fuori dalla finestra e lo sentii piangere, e così gli dissi: “Louis ma perché non scendi giù?” E lui, scuotendo la testa: “No”. La mattina dopo mi svegliai, guardai dalla finestra e Louis era ancora sull'albero. Così, dopo colazione, uscii fuori con un piatto di uova. Gli chiesi se ne voleva un po', ma lui continuò a scuotere la testa. Allora mi arrabbiai. Quel ragazzo aveva una bella casa, una bella famiglia, di quelle per cui io avrei ucciso quando ero poco più piccola di lui…e non se ne rendeva conto. E così andai nel capanno degli attrezzi e presi un'ascia. Poi dissi a Louis: “Vuoi vedere com'è vivere nella mia casa?” E assestai a quell'albero un colpo di ascia! >> disse con tono orgoglioso, sotto lo sguardo incredulo di Peter.
<< Louis gridò, ma io continuai. Non ho più sentito urlare nessuno come fece lui, mentre colpivo quell'albero. Eh, Louis se la fece addosso e le gocce mi piovevano in testa, ma io non ci facevo neanche caso. Pensai solo a colpire. Beh, dopo non molto Louis saltò giù a terra e corse a casa sua. Gli serviva solo…la giusta motivazione >> terminò, mentre si girava per osservare la reazione dell’adolescente.
Questi aveva ascoltato la storia della bionda dall' inizio alla fine.
Rimase in silenzio, nel tentativo di trovare le parole giuste per controbattere. Alla fine, decise di porre una domanda.
<< E quale potrebbe essere la mia motivazione? >> chiese, lo sguardo fisso in direzione della lapide che si trovava a pochi passi da loro.
La supereroina si limitò a scrollare le spalle.
<< Non è il mio compito scegliere ciò per cui hai intenzione di lottare >> disse, sorprendendo il ragazzo ancora una volta.
Detto questo, Carol posò la mano destra sulla spalla del giovane e questi, per quanto fosse tentato, decise di non ritrarsi.
<< Tu non l'hai obbligato di far niente, Peter. Tony Stark era una persona adulta, e ha fatto quello che ha deciso di fare. E tu non hai nessun diritto di sentirti in colpa per quello che gli è capitato. Tu sei un sopravvissuto e hai fatto quello che dovevi fare, hai fatto quello che Fury, gli Avengers e tutti gli altri pensavamo che tu dovessi fare. Ma non ha importanza quello che si aspettano loro, perché sei tu quello che si porta dentro questa paura, il terrore che tutti quanti ti derubino della felicità che hai a lungo cercato, il terrore di essere ricordato come un vigliacco, che tu non sia più un uomo. Be' tutto questo non è vero, ma non ha importanza se te lo dico io, non ha importanza, perché sei tu che devi superare questa cosa. Liberatene, perché solo allora, quando tutto il fumo si sarà diradato, e la gente avrà finito di gridare il tuo nome...solo allora sarai in grado di compiere meraviglie >> sussurrò, il volto adornato da un sorriso gentile.
Di fronte a lei, Peter non potè fare altro che boccheggiare. Si sentiva violato, umiliato, come se quella donna fosse riuscita a guardare dritto attraverso la sua stessa anima. Eppure, non si era mai sentito così in sintonia con qualcuno come in quel preciso istante.
Poi, Carol rilasciò uno stanco sospiro.
<< Sono un supereroe da quasi trent’anni, Peter. E sai cos’ho imparato, dopo tutto questo tempo? È impossibile salvare tutti…per quanto tu lo voglia  >> disse con voce lontana, lo sguardo apparentemente perso nella memoria.
<< Ma ho anche imparato cosa Capitan Marvel... l'idea di Capitan Marvel significa per così tante persone nell’Universo >> ammise con riluttanza. << Io sono la donna che arriva dal cielo e aiuta la gente. Se ci sono io, tutto andrà bene. E tutti... tutti ne sono convinti >>
Detto questo, arricciò ambe le labbra in un triste sorriso.
<< La cosa mi spaventa, sai? Ho paura di questa cosa che tutti credono, la verità inattaccabile. "No, non può essere ovunque, ma se interverrà per me, io sarò al sicuro."  Eppure, quando venne il momento salvare metà dell’universo da Thanos…Capitan Marvel ha deluso tutti. Quindi credimi, so come ti senti >> sussurrò, mentre calde lacrime cominciarono a fuoriuscire dagli occhi di Peter.
Con tocco materno, Carol passò un pollice sul volto del ragazzo, asciugandogli le guance.
<< Da quando hai ricevuto questi poteri, avrai sicuramente fatto degli errori >> continuò la donna. << Ma non è per forza una brutta cosa. Quegli errori ci indicano un cammino. Ci fanno quello che siamo. E se c'è qualcuno destinato a grandi cose…beh, quello sei tu, ragazzino. Devi dare al mondo i tuoi doni. Si tratta solo di sapere come usarli. E sappi che, dovunque essi ti porteranno… io e il reso degli Avengers saremo sempre lì per te. Puoi contarci >>.
 
Presente 

Peter chiuse gli occhi, mentre ripensava a quel momento che ormai sembrava così lontano. Il momento in cui aveva cominciato a prendere coscienza dell’affetto che nutriva per quella donna. Il momento in cui aveva cominciato a innamorarsi di lei.
E guarda dove quei sentimenti lo avevano portato.
Nonostante i suoi tentativi di rassicurarla, faticava ancora credere a ciò che Carol gli aveva rivelato il giorno prima. Il fatto che fosse incinta…e che tra nove mesi esatti lui sarebbe diventato un padre.
Che ne sarebbe stato della sua vita? Della loro reputazione come supereroi?
Chiaramente non l’aveva ancora detto a nessuno, era una cosa troppo grossa per rischiare che venisse fuori. Forse avrebbe potuto dirlo a MJ per ottenere un parere femminile, ma non se l’era sentita. Aveva bisogno di un buon consiglio, di sostegno morale, e in certe situazioni quella ragazza non era particolarmente affidabile.
Attualmente, l’arrampica-muri se ne stava tranquillamente nel letto a rimuginare, non aveva nemmeno la forza di scendere e fare colazione.
L’unica nota positiva stava nel fatto che sua zia era già fuori a lavorare, e quindi non l’avrebbe incrociata. Se l’avesse guardata negli occhi avrebbe capito all’istante che qualcosa lo tormentava. Era raro, infatti, che riuscisse a mentirle. Non sapeva come, ma lei riusciva sempre a smascherarlo.
<< Peter? Peter? Ehi, amico, ci sei? >> urlò qualcuno dall’altro lato della porta. << Non sei nudo, vero? Posso entrare? >>
<< No che non sono nudo, Ned! >> gemette il ragazzo, riconoscendo all’istante la voce del suo migliore amico.
Dannazione, malediceva ancora il giorno in cui gli aveva regalato una copia delle chiavi d’ingresso. Sbucava sempre nei momenti meno opportuni!
Mentre era impegnato in una lunga serie di imprecazioni mentali, un ragazzo dalla corporatura robusta e i lineamenti asiatici entrò nella stanza.
<< Non credi sia ora di alzarsi? >> disse con tono canzonatorio, sedendosi sul letto.
<< Non credi sia ora di rompere meno le scatole? >> ribattè impassibile il vigilante.
Ned inarcò un sopracciglio.
<< Ti sei svegliato dal lato sbagliato del letto?>>.
<< Scusami >> borbottò Peter. << Ho solo avuto una settimana pesante >>
<< Cosa c’è che non va? Una ragazza ti ha rifiutato?>> lo prese in giro il compagno di scuola.
<< No, magari fosse solo quello >> disse l’altro con un mezzo sorriso, anche se  a Ned non sfuggì il tono rassegnato con cui gli rispose.
<< Dai, raccontami >> ordinò, mettendosi a gambe incrociate sul letto.
Peter gli lanciò un’occhiata laterale.
<< Non posso, amico. Davvero, non questa volta >> replicò impassibile.
Il compagno di scuola si limitò a roteare gli occhi.
<< Peter, a me puoi dire tutto, sai che non sono uno che fa la spia >> affermò con tono di fatto.
Il vigilante si accasciò sul materasso.
E adesso che doveva fare? Confessargli ogni cosa? Sapeva di potersi fidare di lui, non avrebbe mai spifferato niente a nessuno, però il solo ammettere che questa cosa era reale lo spaventava ancora a morte. Un bambino cambia tutto…ma veramente tutto. E lui non era ancora sicuro di essere pronto per prendersi cura di un altro essere umano.
<< Allora? Avanti, qualsiasi cosa tu abbia combinato sicuramente si può risolvere >> aggiunse Ned.
Peter prese un respiro profondo.
<< Ho messo incinta una ragazza >> sputò tutto d’un fiato. E, da un lato, si sentì molto meglio dopo averlo finalmente confessato a qualcuno.
<< Scusa…cosa?! >> gridò incredulo il compagno di scuola, con la mascella che per poco non toccò terra. << Dimmi che non sei così stupido da non aver usato precauzioni!>>
<< Ti prego non inveire >> la ammonì il vigilante.
<< Peter! Dannazione! Un minimo di cervello pensavo lo avessi >> continuò con voce più bassa.
<< Non te l’ho detto perché mi urlassi contro come farebbe Zia May >> sbuffò l’Avenger.
Ned sembrava del tutto incapace di trovare le parole per rispondere.
<< Sei almeno sicuro che non sia una bugia? Sei certo sia tuo? >> gli chiese a raffica.
Il vigilante annuì rapidamente. << Credimi, la conosco bene. Non mi mentirebbe mai su una cosa del genere >>
<< Io non so che cosa dire… Ne hai discusso con questa ragazza? >>
Peter lo scrutò a disagio.
<< Sì…e abbiamo deciso di tenerlo. Oggi andremo a fare l’ecografia >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Ned spalancò gli occhi per la sorpresa.
<< Wow, è davvero una grande responsabilità. Ehm…congratulazioni? Sono fiero di te, amico >>
<< È comunque un gran casino >> sospirò il vigilante, abbassando la testa.
<< Direi di sì. Però sappi che io sono qua se hai bisogno di un consiglio >> sorrise l’altro, ricevendo uno sguardo incredulo da parte dell’Avenger.
<< E che consigli potresti mai darmi per una situazione del genere? >>
<< Ehi, ho visto molti film sull’argomento! So come vanno certe cose >> disse Ned, con un sorriso orgoglioso.
Suo malgrado, Peter si ritrovò a ridacchiare. Tipico di quel ragazzo, riusciva sempre a rallegrargli l’umore.
<< Grazie >> gli disse, alzando un pugno e aspettando che l’altro lo colpisse.
Senza perdere tempo, Ned restituì il gesto.
E per la prima volta da quando Carol gli aveva dato la lieta notizia, Peter provò una sensazione di conforto. Se non altro, poteva affermare di non essere completamente abbandonato a se stesso.
  
                                                                                                                                                           * * * 
 
Peter passò sotto la Stark Tower alle 15:00 in punto, dove Carol lo attendeva tranquillamente con un casco tra le mani.
<< Come ti senti? >>  fu la prima cosa che le chiese, una volta parcheggiata la moto.
La donna lo fissò divertita.
<< Un po’ stanca e annoiata, ma tutto sommato non mi posso lamentare >> rispose con un placido sorriso. << Tu invece? >>
<< Ammetto di essere nervoso. E se succedesse qualcosa durante la procedura… >>
<< Ehi >> lo fermò lei, accarezzandogli la guancia in modo rassicurante. << Non preoccuparti, non è nulla di che. Solo un rapido controllo >>
L’adolescente annuì lentamente, per poi farle cenno di prendere posto sulla sua due ruote.
Arrivarono alla clinica giusto in tempo per l’appuntamento.
Per evitare possibili domande scomode, discussioni o malintesi, Carol chiese al vigilante di aspettarla nella sala d’attesa.
Nonostante non fosse molto confortevole con l’idea di lasciarla sola, Peter acconsentì a malincuore. Se ne pentì dopo circa mezz’ora.
Passato quel lasso di tempo, infatti,  l’adolescente aveva cominciato a dare di matto. Camminava su e giù per la sala senza sosta, facendo il giro di quelle quattro mura come se fossero una gabbia invalicabile.
Ero nervosissimo e la cosa non passò certo inosservata agli altri occupanti.
Carol gli aveva chiesto di andare insieme alla visita medica poco dopo la loro discussione e sul momento ne era stato entusiasta, era tranquillo e rilassato, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma ora stava cominciando a rendersi conto che presto avrebbe visto le foto del bambino. Di…di suo figlio. Oppure figlia, anche se dubitava fortemente che i dottori sarebbero stati capaci di identificarne il sesso a questo stadio di sviluppo.
Lo spaventava a morte questa cosa, perché sapeva che avrebbe reso il tutto reale al cento per cento. Si sentiva vulnerabile ed esposto, come mai prima d’ora.
Avrebbe tanto voluto parlarne con May, ma sapeva che non era ancora pronto per confrontarsi con lei.
Cercando di calmarsi, prese un paio respiri profondi e tornò a sedersi, in attesa.
<< Puoi farcela, Parker. Hai affrontato di peggio>> mormorò a sé stesso, con determinazione ritrovata.
Passarono altri cinque minuti. Con suo grande sollievo, Peter vide la figura di Carol attraversare le porte della stanza.
L’adolescente si alzò di corsa e camminò fino a lei, il volto adornato da un sorriso colmo d’aspettative. Tuttavia, quell’espressione fu assai di breve durata.
Una volta di fronte a lei, si rese conto che la donna aveva gli occhi puntati verso il pavimento, le spalle abbassate e parte dei capelli che le cadevano davanti alla faccia come una sorta di velo.
I pensieri del ragazzo vennero prontamente attraversati da un orribile presentimento.
Carol alzò la testa, incontrando lo sguardo dell’arrampica-muri.
<< Non sono incinta >> sussurrò a bassa voce.
Il cuore di Peter manco un battito, mentre sentì una stretta gelida e angosciante farsi strada nel suo corpo. << Era…una gravidanza extrauterina. Il dottore ha detto che le spiegazioni possono essere innumerevoli, e non necessariamente legate alla mia fisiologia >> continuò la donna, utilizzando un tono di voce privo di qualsiasi emozione. << A quanto pare è una cosa che capita con una certa frequenza. L’embrione è formato, ma si stabilizza nelle tube di falloppio anziché nell’utero. Una bella fregatura, non è vero? >>
Di fronte lei, il vigilante rimase fermo e immobile, incapace di compiere anche il più piccolo movimento.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte…ma niente. Lui…non sapeva davvero cosa dire.
Allungò la mano destra e la posò dolcemente sulla spalla della bionda.
<< Carol, io… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
La supereroina gli allontanò il braccio con un ringhio. Poi, procedette a superarlo e a camminare con passo rapido fino all’uscita del complesso.
<< Carol…Carol…Carol ! >> la chiamò il vigilante. La donna non diede il minimo segno di averlo sentito e proseguì implacabile in mezzo alla folla di pedoni,  spingendone alcuni da parte.
Ignorando le imprecazioni e le proteste dei passanti, si inoltrò in un vicolo confinante con l’edificio. Peter la seguì a ruota.
La donna si fermò in mezzo al vialetto, girò la testa verso di lui…e l’adolescente si bloccò.
Aveva il volto bagnato dalle lacrime, chiuso in un’espressione di rabbia mista a disperazione.
 << Era una follia!>> urlò la donna, facendo sussultare il ragazzo. << Voglio dire, che ci aspettavamo, in ogni caso? Tu sei così…giovane. Dio, vivi con tua zia, tecnicamente lavori per me, e stavo pensando di avere da te un bambino!? Che sta succedendo?! >>
Peter deglutì a fatica, cercando di ignorare la fitta improvvisa che gli attanagliò lo stomaco.
<< Lo devi proprio sapere? Non possiamo scoprirlo? >> offrì l’adolescente, con un sorriso traballante.
Carol strinse gli occhi e camminò fino a lui, puntandogli un dito contro il petto.
<< Dice questo chi sta maturando un illusione >> sibilò a denti stretti.
Il vigilante strabuzzò gli occhi. << Perché è un illusione? >>
 << Perché tu hai 18 anni! >> ribattè Carol, con tono esasperato. << Ti ubriachi con mezzo bicchiere di vino, giochi ancora con i lego… E ti leggi Harry Potter ogni volta che ti avanza tempo! >>
<< Molti adulti leggono Harry Potter! >> protestò il ragazzo, alzando ambe le mani in un gesto conciliante.
La donna rilasciò un ringhio stizzito e sbattè violentemente un piede contro l’asfalto, generando piccole crepe e facendo tremare le pareti del vicolo.
Allarmato, Peter compì rapidamente un passo all’indietro, mentre l’eroina prendeva un paio di respiri calmanti.
 << Senti, io…apprezzo che tu pensi che potrebbe funzionare. Più di quanto tu possa immaginare, te lo assicuro >> disse dopo un attimo di silenzio. << Tu…sei una persona meravigliosa. Una persona davvero speciale >>
<< Quale sarebbe il punto?! >> esclamò l’adolescente, visibilmente frustrato.
Carol si portò una mano alla fronte.  
<< Ecco, voglio dire questo : che uno come te non dovrebbe stare con una come me. Una donna con il triplo dei tuoi anni che passerebbe il 90% del suo tempo lontano dal pianeta >>
<< Tu non badi all’età >> ringhiò Peter, con un impeto improvviso d’irritazione.
Sorpresa da quella reazione aggressiva, la bionda corrucciò il volto in un’espressione rabbiosa.  << Sì, invece. Sono una donna anziana che bada all’età ! >>
<< Non mi trattare con sufficienza! >> urlò il ragazzo, facendola sussultare. << Vivrò ancora con mia zia, e mi ubriacherò pure con mezzo bicchiere di vino, e sì, ammetto di viverla un po’ nell’illusione la mia vita, ma non sono un completo idiota! >>
Silenzio. Una quiete buia e pesante sembrò calare nelle profondità del vicolo.
Carol fissò l’adolescente con gli occhi spalancati, mentre questi si avvicinava a lei e gli posava le mani sulle spalle.
<< Io so cosa provo per te. Sei tu che non sai cosa provi per me >> sussurrò con un sorriso. << Mi auguro solo che tu abbia il coraggio di capirlo >>
La donna chiuse gli occhi, sentendo che le lacrime avevano ricominciato a rigarle le guance.
Poi, lentamente, quasi con esitazione, alzò la mano destra e la usò per coppare dolcemente il viso del ragazzo.
<< Tu mi stai molto a cuore…ma non ha senso. Voglio dire…quale futuro potremmo mai avere? >> disse con voce strozzata.
La presa di Peter si fece più insistente.
<< Non parlare così. Io ti amo >>
<<  Mi spiace... >>
 << Io ti amo >> ripetè il ragazzo, con più forza.
Carol abbassò lo sguardo. Da quanto tempo aspettava che qualcuno le dicesse quelle parole senza secondi fini? Eccole, finalmente le aveva proferite, ma Carol si sentiva schiacciata dall’ironica intempestività.
“ Devo farlo…È meglio per entrambi”.
<< Mi dispiace >> disse con quella stessa espressione impassibile che solitamente riservava al resto dei Vendicatori.
Fu allora che anche gli occhi di Peter cominciarono a inumidirsi.
<< Carol…per favore, non farlo. Sei arrabbiata, lo capisco, ma per favore…non farlo >> disse a bassa voce, facendo affondare il cuore della donna.
Questa chiuse nuovamente gli occhi…e compì alcuni passi indietro, liberandosi dalla presa del vigilante.
Peter si sentì immediatamente come se una forza sconosciuta stesse cercando di schiacciarlo a terra.
La bionda premette la superficie del bracciale che portava al polso. Nel giro di pochi secondi,  i vestiti che indossava vennero sostituiti dall’uniforme rossa e blu di Capitan Marvel.
Aprì gli occhi e fissò Peter con un sorriso triste. << Sai cosa mi mancherà di più di tutto questo? Tu…e la tua amicizia >>
E, dopo aver pronunciato queste parole, si lanciò oltre i tetti del vicolo e prese il volo, lasciandosi dietro la figura immobile dell’arrampica-muri.
Peter non fece alcun tentativo di seguirla. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla, e poi…che senso avrebbe avuto?
Era finita. E la cosa peggiore? Carol aveva probabilmente ragione.
Su di lui, su di loro…su tutto quello che era accaduto da quella notte. Per due mesi aveva vissuto nell’illusione che una simile relazione sarebbe potuta durare senza impedimenti.
Era stato ingenuo. Ingenuo e precipitoso. Avrebbero dovuto prendere le cose più lentamente.
Ed era stato egoista da parte sua chiedere a Carol d’impegnarsi in qualcosa del genere. Cos’avrebbe mai potuto offrirle? Era solo un ragazzino. Un ragazzino che giocava a fare l’eroe, e nient’altro.
<< Già…solo un ragazzino >> sussurrò a se stesso, mentre lacrime amare cominciarono a rigargli le guance.
Rimase in quel vicolo, da solo, per quasi dieci minuti. Passato quel lasso di tempo, si asciugò rapidamente il volto con la manica della giacca e tornò sulla strada principale.
E cominciò a camminare. Senza una meta precisa, voleva solo andare avanti, senza mai fermarsi…senza mai guardarsi indietro.
Ma in quel momento, un suono familiare lo costrinse ad alzare lo sguardo.
<< Mi stai prendendo in giro? >> ringhiò a denti stretti, mentre uno schermo pubblicitario iniziò a crepitare come se fosse soggetto ad un qualche tipo di interferenza.
Il vigilante non aveva bisogno di controllare il notiziario per sapere che tutti gli schermi della città stavano affrontando lo stesso problema. Ormai conosceva quella procedura a memoria.
Qualche altro crepitio, il nero più totale. Silenzio. Poi, l’immagine tornò chiara come il giorno.
Ed eccolo lì, proprio come Peter se lo ricordava da due sere prima. Lo stesso spietato, implacabile e letale Carnage responsabile di tante morti nella città di New York.
Vederlo alla televisione era una cosa, ma trovarselo di fronte…era stata un’esperienza a dir poco agghiacciante. Per poco non ci aveva rimesso la pelle!
Questo non era un nemico come Thanos, le cui azioni – per quanto folli – erano sempre state caratterizzate da un briciolo di razionalità e pragmatismo.
Carnage era davvero una persona che trovava nell’omicidio e nelle sofferenze altrui la sua unica ragione di vita. Un mostro in pelle umana a tutti gli effetti.
<< Bentornati a Tele-Carnage, signore e signori. Qui è il vostro amichevole Carnage di quartiere con una perla di saggezza direttamente dal sottoscritto! >> esclamò la creatura, volgendo alla telecamera quel suo sorriso apparentemente intramontabile.
<< Vedete, alcuni pensano che ciò che ci rende una specie divina, che ci separa dagli animali privi di anima…sia la propensione al bene >> disse con tono apparentemente casuale, come se stesse davvero tenendo una sorta di conferenza in diretta. <<  Eppure, io proporrei un'altra teoria. Una replica, diciamo così... perché la bontà... la compassione, la generosità, queste cose sono presenti anche nelle forme di vita inferiori. Ma il male... la vera malvagità... no. No, questa non la trovi tra gli uccelli, le api e le scimmie sugli alberi >>
Puntò un lungo dito artigliato in direzione del soffitto.
<< Vedete, ho sempre pensato che è nella malvagità, nella nostra capacità di compiere nefandezze che vediamo riflessa la nostra natura divina più genuina >> affermò con tono di fatto.
Poi, indicò drammaticamente la telecamera, facendo scattare la lingua biforcuta tra le fauci irte di denti.
<< Ebbene sì! Siete tutti prigionieri, cari telespettatori. Quella che definite "assennatezza" è solo una prigione per la mente che vi impedisce di vedere che siete solo piccoli ingranaggi di una gigantesca e assurda macchina! Svegliatevi! >> sibilò, balzando in avanti e afferrando l’obbiettivo della telecamera.
A causa del gesto improvviso, Peter compì un salto all’indietro per lo spavento, gesto che venne imitato da molti dei pedoni che si erano radunati sul marciapiede a guardare la trasmissione.
Nel mentre, il sorriso sul volto del serial killer sembrò allargarsi.
 << Perché essere ingranaggi? Siate liberi! Come me! E per aiutarvi in questa impresa, stasera farò un regalo a tutti voi. Dopo oggi, ogni uomo, donna o bambino di New York…comprenderà appieno il proprio posto in questo pazzo mondo! >>
 
 
 
Sì…ehm…so che alcuni di voi potrebbero trovare questa svolta eccessivamente crudele…motivo per cui sbarrerò immediatamente porte e finestre per ogni evegnenza…perché vedo una folla inferocita dirigersi verso la mia casa?
Ehm…guardate il lato positivo! Poteva andare molto peggio. Potevo far uccidere il neonato da Carnage, ma ho pensato che fosse troppo clichè, così ho optato per qualcosa di più inaspettato.
Sorpresa? Ok, meglio che chiudo a chiave la porta…
  
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