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Autore: Sabriel Schermann    13/10/2019    3 recensioni
Cara madre,
sono morto qui, nella stessa terra che mi ha donato la vita.
Sei sopravvissuta e semmai sfuggirai alle torture, nulla sarà in grado di lenire la tua esistenza ormai pregna di nient’altro che morte.
Perché, madre, permettiamo tutto questo?
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cara Madre

 

 

 

 

 

Cara madre,

sono morto qui, nella stessa terra che mi ha donato la vita.
Non ho avuto il tempo di sperimentare l’età adulta e percepire il sentimento d’amore che solitamente travolge i bambini cresciuti come te.
Nonostante alla mia morte io fossi ancora un fanciullo, la fame non mi ha risparmiato; sono stato ripudiato, malmenato per crimini che non ho commesso e infine la mia salma è stata gettata in un fosso, divenendo così io stesso il cibo degli animali di cui mi nutrivo.
E tu, mia cara madre, sei ancora lì, che lavori senza sosta, scavando tra le montagne e nelle miniere, affannandoti nelle fattorie e nelle fabbriche del campo.
In pochi anni sei diventata esperta di tutti i lavori, non c’è qualcosa che tu non sappia fare, ma la tua esperienza brutalmente acquisita mai ti servirà, perché non ti renderà una donna libera.
Lavori per espiare le tue colpe, le stesse che mi hanno condotto in questo luogo tremendo, in cui ciò che accade è così atroce, da poterlo raccontare realmente soltanto in silenzio.
Sei sopravvissuta al corpo a cui hai dato vita; semmai sfuggirai alle torture, nulla sarà in grado di lenire la tua esistenza ormai pregna di nient’altro che morte.
Tu sei una di quelle anime destinate a soccombere, a rinunciare a questa terra senza aver potuto godere del dono ricevuto.
Perché, madre, permettiamo tutto questo? Perché obbediamo ai nostri aguzzini come un branco di pecore affamate?
In alcune parti del mondo, sono sicuro che qualcuno sappia apprezzare la vita che possiede; questo non potrà accadere qui, in questo luogo ignorato dall’umanità.
Noi non siamo nati per essere umani: per qualche ragione al di fuori della nostra competenza, per il solo fatto di essere approdati nel posto sbagliato, non siamo degni di misericordia.
Così, mia dolce madre, non ti racconto le torture che tu stessa hai subito. A questo ci penserà chi avrà il coraggio di fuggire, di perdersi nel mondo per poi, fiduciosamente, ritrovarsi.
Non sarò io a parlare, non ne avrò la possibilità. E come me, migliaia di miei fratelli, che cederono alla volontà di un solo uomo; colui che ruba il nostro cibo, colui che chiede fedeltà eterna.
Per quanti anni ancora costui avrà il diritto di decidere che cosa è meglio per il nostro futuro? Quante persone dovranno ancora soccombere prima che un uomo così vile venga sconfitto?
Temo per la vita di coloro che, come me, saranno costretti a perire qui, nascosti tra le montagne; come me, nemmeno le loro sventurate anime conosceranno le meraviglie del mondo.
I loro anni più belli e più brutti verranno strappati, diverranno proprietà di qualcun altro, più forte, più miserabile.
Quante cose vorrei dirti, mia adorata madre, immaginando il tuo sguardo ormai privo di qualsiasi emozione umana, quando sarai costretta a tumulare il tuo stesso figlio.
Se ci fosse una ragione per cui io sia venuto al mondo, avrei preferito fosse quella di consumarmi con la bocca piena di cibo, poiché a noi, uomini marchiati per sempre come bestie, non è concesso tale lusso.
Ma, coloro che hanno abbastanza riso in tavola, quando verranno a salvarci?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.B.: Questa storia è liberamente ispirata a ciò che accade tuttora nei campi di internamento in Corea del Nord.


   
 
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