Cara
Madre
Cara
madre,
Non
ho avuto il tempo di sperimentare l’età adulta e
percepire il sentimento d’amore
che solitamente travolge i bambini cresciuti come te.
Nonostante
alla mia morte io fossi ancora un fanciullo, la fame non mi ha
risparmiato; sono
stato ripudiato, malmenato per crimini che non ho commesso e infine la
mia
salma è stata gettata in un fosso, divenendo così
io stesso il cibo degli
animali di cui mi nutrivo.
E
tu, mia cara madre, sei ancora lì, che lavori senza sosta,
scavando tra le
montagne e nelle miniere, affannandoti nelle fattorie e nelle fabbriche
del
campo.
In
pochi anni sei diventata esperta di tutti i lavori, non
c’è qualcosa che tu non
sappia fare, ma la tua esperienza brutalmente acquisita mai ti
servirà, perché
non ti renderà una donna libera.
Lavori
per espiare le tue colpe, le stesse che mi hanno condotto in questo
luogo
tremendo, in cui ciò che accade è così
atroce, da poterlo raccontare realmente
soltanto in silenzio.
Sei
sopravvissuta al corpo a cui hai dato vita; semmai sfuggirai alle
torture,
nulla sarà in grado di lenire la tua esistenza ormai pregna
di nient’altro che
morte.
Tu
sei una di quelle anime destinate a soccombere, a rinunciare a questa
terra senza
aver potuto godere del dono ricevuto.
Perché,
madre, permettiamo tutto questo? Perché obbediamo ai nostri
aguzzini come un
branco di pecore affamate?
In
alcune parti del mondo, sono sicuro che qualcuno sappia apprezzare la
vita che
possiede; questo non potrà accadere qui, in questo luogo
ignorato dall’umanità.
Noi
non siamo nati per essere umani: per qualche ragione al di fuori della
nostra
competenza, per il solo fatto di essere approdati nel posto sbagliato,
non
siamo degni di misericordia.
Così,
mia dolce madre, non ti racconto le torture che tu stessa hai subito. A
questo
ci penserà chi avrà il coraggio di fuggire, di
perdersi nel mondo per poi,
fiduciosamente, ritrovarsi.
Non
sarò io a parlare, non ne avrò la
possibilità. E come me, migliaia di miei
fratelli, che cederono alla volontà di un solo uomo; colui
che ruba il nostro
cibo, colui che chiede fedeltà eterna.
Per
quanti anni ancora costui avrà il diritto di decidere che
cosa è meglio per il
nostro futuro? Quante persone dovranno ancora soccombere prima che un
uomo così
vile venga sconfitto?
Temo
per la vita di coloro che, come me, saranno costretti a perire qui,
nascosti tra
le montagne; come me, nemmeno le loro sventurate anime conosceranno le
meraviglie del mondo.
I
loro anni più belli e più brutti verranno
strappati, diverranno proprietà di
qualcun altro, più forte, più miserabile.
Quante
cose vorrei dirti, mia adorata madre, immaginando il tuo sguardo ormai
privo di
qualsiasi emozione umana, quando sarai costretta a tumulare il tuo
stesso
figlio.
Se
ci fosse una ragione per cui io sia venuto al mondo, avrei preferito
fosse
quella di consumarmi con la bocca piena di cibo, poiché a
noi, uomini marchiati
per sempre come bestie, non è concesso tale lusso.
Ma,
coloro che hanno abbastanza riso in tavola, quando verranno a salvarci?
N.B.:
Questa storia è liberamente ispirata a ciò che
accade tuttora nei campi
di internamento in Corea del Nord.