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Autore: realshaka    13/10/2019    1 recensioni
Un incontro imprevisto, due risate, una stretta di mano, il dardo di Eros. Milo sarà costretto a cambiare i piani per le proprie vacanze per cercare di sfruttare al meglio i pochi giorni che ha a disposizione e conquistare il cuore del bellissimo e francesissimo Camus.
Tempo totale per la lettura: 1h45-2h (circa mezz'ora per capitolo)
Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Natassia, Scorpion Milo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV. Sonntag

I capelli rossi di Cam ricadono delicatamente sul collo di Milo facendogli quasi il solletico. Il francese, che lo sa, di tanto in tanto muove apposta la testa per farlo ridere e strappargli un dolce bacio sulle labbra.

Giacciono abbracciati e senza nulla addosso, sotto il lenzuolo. Non dormono. Non ne sentono più il bisogno, però sono al contempo troppo stanchi e contenti per alzarsi dal letto o cambiare posizione. D'altronde ne hanno più che valida ragione: sia dopo ad essere usciti dal Golden Gate, prima di addormentarsi, sia al loro risveglio, non si può certo dire che siano rimasti con le mani in mano.

Il giovane ellenico è ancora totalmente estasiato dalla situazione e indugia a credere che non si tratti di un altro sogno. Eppure no, stavolta non lo è. Stavolta è tutto vero. La techno, il disinfettante alla pesca, i passi di danza totalmente improvvisati e fuori tempo. Le risate di Camus, poi le braccia intorno ai suoi fianchi per ballare una canzone che in teoria sarebbe stata tutt'altro che un lento. E allora i due ragazzi non avevano potuto fare a meno di correre fuori dal locale per andare in riva al fiume, uno scenario di gran lunga più romantico per scambiarsi il primo bacio. E il secondo, il terzo, il quarantottesimo.

Cam aveva un sapore buonissimo. Milo sarebbe rimasto volentieri a baciarlo per tutta la notte appoggiato al parapetto dello Jannowitzbrücke, avvinghiato a lui in un abbraccio per cui aveva aspettato tre lunghissimi giorni. Ma quello era solo l'inizio. Il meglio sarebbe arrivato più avanti, nella camera del greco.

Una playlist di David Bowie lasciata in riproduzione casuale, la porta chiusa a chiave, Cam nudo sul letto con gli occhi chiusi, i denti stretti e le gambe intorno al corpo di Milo. Qualche grido che senza l'insonorizzazione delle pareti avrebbe senz'altro svegliato metà albergo e tanta, tanta passione.

Ora Cam si diverte a tracciare con le dita il contorno del tatuaggio a forma di scorpione; Milo gli bacia la fronte e lo fissa nei suoi occhi verdi smeraldo.

«Sei il ragazzo più bello e dolce che io abbia mai incontrato» gli sussurra.

Camus sorride e alza le sopracciglia ridacchiando.

«Lo dici solo perché mi hai portato a letto stanotte... E stamattina.»

«No, lo penso davvero» protesta il greco «Mi pento solo di non avertelo detto apertamente prima.»

«Beh, ammetto che in fondo non mi sarebbe affatto dispiaciuto trascorrere altre notti così. E pensare che non sono mai stato il tipo da sesso con uno sconosciuto!»

Tali parole arrivano addosso a Milo con una certa violenza. Sesso con uno sconosciuto. No, non è questo, non è stata solo passione carnale, c'era qualcosa di più. C'è qualcosa di più. La parola che ronza nella testa del ragazzo biondo è amore. Si è innamorato di Camus, non solo del suo posteriore.

Quanto poi ciò sia razionalmente plausibile nell'arco di settantadue ore è un altro discorso, ma in fondo tutti sanno che provare a razionalizzare un sentimento come l'amore è più stupido che mangiare le pietre. Il sesso, quello sì che si può spiegare con la ragione, così come un teorema di matematica. Ma l'amore proprio no: appartiene a tutt'altro livello. È imprevedibile, folle, dispotico e totalizzante. Fa perdere il senno, ma quando è corrisposto regala momenti superlativi di cui persino gli dei vanno invidiosi. Momenti come quelli che Milo ha trascorso e con il suo bel francesino.

Io ti amo, Cam! esclama il cuore del giovane, ma non la sua bocca.

«È stato questo per te, Cam?» domanda irrequieto «Sesso occasionale?»

«Beh, io ti piaccio e tu mi piaci, ci siamo conosciuti per caso in questa vacanza, ma stasera torneremo alle nostre vite. Cos'altro sarebbe potuto succedere?»

Quest'altro giro è una coltellata in pieno petto per il giovane ellenico. Ciò che più lo ferisce è la veridicità del ragionamento fatto dal rosso. Entro fine giornata Cam sarà su un autobus per Strasburgo, Milo a bere da solo o con Ioria e a piangere su una panchina. Se potesse anticipare il volo di un giorno lo farebbe senza pensarci due volte.

«Tu mi piaci veramente, Cam, credo di...» chiude gli occhi «Credo di essermi innamorato di te.»

«Non dire queste cose con leggerezza» lo rimprovera il francese staccandosi da lui «Ci conosciamo da giovedì mattina!»

Scende dal letto e inizia a rivestirsi con fare nervoso, le spalle rivolte verso Milo.

«Se te lo dico è perché lo penso davvero» replica il greco raggiungendolo e mettendogli una mano sulla spalle «Perché vuoi scappare da me?»

Il volto di Camus è rigato da due piccole lacrime lungo gli zigomi, il suo sguardo è serio, ma non riesce a tenere gli occhi fissi in quelli di Milo. Tutto ciò non ha alcun senso. Potrebbe restare anche se fosse solo per il sesso, non c'è motivo per cui possa avere tanta foga di andar via.

«Devo andare a fare il check-out» sospira «Grazie per questi tre giorni, Milo, è stata davvero una bella vacanza. Buon rientro in Grecia.»

Il giovane ellenico rimane sbigottito. Buon rientro. Non è presto per salutarsi? C'è ancora tempo per finire di vedere la città insieme prima del tramonto. No, no, deve aver capito male. O forse si è assopito con Cam tra le braccia e sta avendo un incubo per la paura di perderlo.

«Saluterò Natassia da parte tua. Adieu» sentenzia il rosso uscendo di fretta.

Milo prova a rincorrerlo, ma non appena è sulla porta si rende conto di essere vestito della sua sola pelle.

«Fermati, Cam, ti prego!»

Nulla. Camus volta l'angolo del corridoio e sparisce.

Il ragazzo si infila un paio di pantaloni e le scarpe, si precipita verso gli ascensori. Nessuno dei due è al piano ovviamente, e piuttosto che aspettarli preferisce correre giù per le scale. Piange, soffoca un urlo. Attraversa la hall ed esce alla velocità di un treno per raggiungere il francese, che è quasi dall'altra parte della strada.

«Cam!» grida «Cam, aspetta!»

Si butta sulle strisce senza accorgersi che il semaforo pedonale è rosso, un'automobile è sul punto di tirarlo sotto. Il conducente gli fracassa i timpani con il clacson e urlandogli fuori dal finestrino che è un idiot.

Il giovane si scusa con un cenno, fa due passi indietro per tornare sul marciapiede e si inginocchia per terra disperato. È inutile continuare. Il francese è stato più che chiaro: con Milo non vuole avere più a che fare. Inseguirlo è una pessima idea, in grado di portare solo altro dolore piuttosto che risolvere qualcosa. Che poi, a dirla tutta, da risolvere non c'è un bel niente. Cosa si aspettava? Una relazione a distanza? O magari di trasferirsi in Francia per un colpo di fulmine? A questo punto, perché non sposarsi direttamente con Camus, adottare un bambino e chiamarlo Hyoga in onore della povera pennuta vittima di Fenrir?

L'automobilista ha ragione: è un davvero un idiota. È stato un idiota ad innamorarsi di un ragazzo che già sapeva destinato ad uscire ben presto dalla sua vita, e parimenti a scendere in strada a torso nudo, con cintura e stringhe slacciate.

Attraversa sconsolato la porta scorrevole. Isabel nel vederlo così prova un po' di pena e gli sorride per tentare di rincuorarlo, ma purtroppo non può fare nulla di concreto. È semplicemente la fine.

 

Milo non impiega molto a decidere di uscire. Non sopporta l'idea di stare nella camera che ha condiviso, seppur per una sola notte, con colui che gli ha rubato, scaldato e infine frantumato il cuore. Il profumo di Cam di cui le lenzuola sono ancora intrise gli dà la nausea.

Vuole pensare a qualsiasi cosa fuorché a lui; inizia con una passeggiata lungo il fiume, le mani in tasca e gli auricolari nelle orecchie. Si guarda bene dall'evitare David Bowie, che lo farebbe solo star peggio.

Cammina in direzione di Alexanderplatz, nel verso opposto rispetto alla corrente, che invece scorre verso Charlottenburg. Sui lati della Sprea sorgono gli edifici del governo federale, dal gusto decisamente contemporaneo; senz'altro in questo gioca un ruolo decisivo il fatto che la riunificazione della Germania sia avvenuta in tempi molto recenti. Vetro, cemento, acciaio e ancora vetro. Sembrano il proseguimento naturale della Hauptbahnhof fino alla stazione di Friedrichstraße, oltre la quale iniziano a mescolarsi con dei palazzi dall'aspetto più antico via via che ci si avvicina all'Isola dei Musei.

C'è una brezza piacevole lungo il fiume. Molti abitanti e turisti se la godono con una bottiglia di birra e le gambe a penzoloni sopra l'acqua, altri preferiscono stare seduti ad un tavolino fuori dal bar. D'altronde si sa che di domenica la gente non ha nulla da fare. Qualcuno ha avuto persino l'idea di portare qualche quintale di sabbia per realizzare un campo da beach volley. Milo è quasi tentato di chiedere ai ragazzi in costume se possa unirsi; alcuni, tra l'altro, non sembrano niente male.

Ma la sua attenzione viene ben presto catturata da uno strettissimo vicolo pedonale tra la ferrovia sopraelevata e il palazzo lì accanto. Il suo spirito dell'avventura gli suggerisce di andare a scoprire dove porti e il ragazzo, naturalmente, gli dà subito retta. Così facendo, dopo ad aver visto praticamente in tutti i retrobottega dei ristoranti siti sotto i binari e ad averne captato fin troppo l'odore di fritto, arriva ad Hackescher Mark.

C'è già stato, in verità, con Camus e Natassia. Vi hanno pranzato venerdì, prima di salire sulla torre della televisione. Era stata l'occasione per provare il famoso currywurst, la salsiccia coperta di pomodoro e curry tipica di Berlino. Un cibo da strada gustoso e sorprendentemente molto meno pesante di quanto ci si possa immaginare, a detta del ragazzo, che coglie dunque l'occasione per mangiarne un altro. Certo, i pasti in solitudine sono sempre un po' tristi, ma tanto oramai per Milo è impossibile che le cose vadano peggio. Inoltre ha pur bisogno di mettere qualcosa sotto i denti per non morire di fame.

Era partito con l'idea di fare una vacanza da solo: questa è la sua occasione. Due ultimi giorni per vagabondare tra le vie della haupstadt come un cane randagio, due ultime notte in cui cercare un po' di divertimento a Schöneberg, dove in effetti aveva programmato di spendere le proprie serate fin dal principio. Prima di incontrare Cam, s'intende. Prima di prendersi quella maledetta sbandata, s'intende. Prima di farsi spezzare il cuore, s'intende.

Di passare per Alexanderplatz o Unter den Linden, il viale che dal duomo arriva fino alla porta di Brandeburgo e Tiergarten, in tutta onestà non ne ha voglia. Un po' perché ci va chiunque, un po' perché la città è troppo grande e intrigante per perdere tempo a rivedere gli stessi posti. Supera rapidamente il Foro Marx-Engels, i cantieri per la U5 e il municipio. Finisce in mezzo ad alcuni palazzi palesemente ricostruiti cercando di imitare uno stile classicheggiante, obbiettivo però abbastanza mancato. Continua a camminare fino al momento in cui gli si para davanti il viadotto della ferrovia urbana, con tanto di stazione della metro annessa.

Legge il cartello ed ha un brivido. Jannowitzbrücke. Con tutti i luoghi possibili, proprio lì doveva andare a finire? D'altro canto, però, non ci si può neanche aspettare che un fiume devi il proprio corso nell'arco di una notte.

Le pareti del Golden Gate vibrano ancora, l'acqua scorre sotto il ponte, il cui parapetto se ne sta lì, fermo, grigio; invero come qualsiasi parapetto. Per quel pezzo di metallo non è cambiato nulla da ieri sera. Cosa sia successo tra Milo e Camus non ha influenzato e non influenzerà minimamente la sua esistenza, così come quella della Sprea o della S-Bahn. Un cuore infranto non conta nulla per il mondo, non è vero?

Tuttavia una delusione d'amore non è affatto cosa da poco per chi la prova, anzi, tutt'altro. È l'unica questione che per quella persona, Milo in questo caso, conta nell'intero cosmo. Tutto gravita intorno a Cam, non può negarlo a se stesso. Non davanti al luogo sacro che quel parapetto rappresenta. La verità è che dentro spera visceralmente di poter tornare indietro e cambiare le cose.

Scuote la testa per allontanare i propri pensieri. Deve andarsene al più presto; qualunque altro posto va bene. Fa dietro front. I suoi occhi azzurri sono lucidi, ma non deve piangere. Deve solo correre via.

E lo fa. Torna verso il centro di Mitte, attraversa il primo ponte che trova, poi un altro. Procede rapido sul marciapiede di una strada trafficata - stavolta, però, prestando molta attenzione ai semafori. Non sa esattamente dove si trovi. Fugge a ovest, come se ad inseguirlo ci fossero i soldati della DDR. E come molti prima di lui, testimone il monumento a Bernauer Straße, la sua corsa finisce in corrispondenza del muro. O meglio, dove un tempo esso si ergeva ed ora ne restano dei frammenti commemorativi: Potsadmer Platz.

Si arresta davanti al palazzo delle ferrovie, fortunatamente non per uno sparo, ma per la sola stanchezza. Non tanto nel fisico, quanto semmai nella testa. È al sicuro, è lontano dai luoghi che gli ricordano Cam.

Che cosa sto facendo? Dove fuggo? si domanda guardandosi intorno. Scappare dallo Jannowitzbrücke, sì, è facile. Pensare che i propri sentimenti vi rimangano, d'altra parte, è sciocco e inutile. Può correre ovunque, può diventare il Forrest Gump d'Europa. Ma è il tempo a detenere l'esclusiva capacità di curare i suoi tormenti.

Si rassegna. Rivede malinconico tutto ciò che ha fatto con Camus. Il loro ridicolo incontro in aeroporto, l'autobus di cui ricorda persino il numero, X9. Il continuo arrossire di lui, tanto carino e dolce all'inizio, o il suo bellissimo accento francese. Stenta a credere che un tipo così lo stia facendo soffrire tanto pur essendoci stato a letto, in fin dei conti. Maledetto amore, spietato e crudele maestro dell'inganno! Ripensandoci, Milo realizza che no, la mendace felicità dell'innamorarsi non vale il dolore che poi si finisce inevitabilmente per provare. È business: se i costi superano gli incassi, per quanto alti essi siano, si tratta di un cattivo affare.

Se lo ripete in continuazione mentre attraversa il parco Tilla Durieux, essenzialmente un lungo prato in mezzo ai palazzi costruiti al posto del muro. È solo un pessimo affare. Segue dei tubi blu posti lungo la strada, passa accanto all'ingresso di un centro commerciale. La gente sembra fastidiosamente serena nel godersi una domenica pomeriggio così soleggiata.

Il ragazzo, forse sperando invano di raggiungere il loro medesimo stato di pace, forse solo bisognoso di riposare, si sdraia sull'erba, alza il volume della musica e prova ad abbandonarsi sotto i raggi del sole. Già, il sole caldo e brillante del sud Europa.

Quando riapre gli occhi non sa bene se siano passati cinque minuti o se si sia addormentato. Prima non aveva idea di che ore fossero, quindi non può nemmeno fare il conto. Ad ogni modo, nella seconda ipotesi è certo di non aver sognato nulla. Il suo subconscio deve aver provato una certa pena e aver deciso di non mostrargli nulla di angosciante per compassione.

 

Le parole tedesche sono qualcosa di fantastico. Gleisdreieck, ad esempio, è un termine ferroviario dato dall'unione di gleis, binario, drei, tre, ed ecke, angolo, ed indica un incrocio a triangolo tra i binari. È anche il nome della stazione in cui Milo intende prendere la U-Bahn quando oramai è stanco di camminare, benché nutra qualche dubbio su quale delle tre linee prendere e in quale direzione.

L'istinto gli suggerisce la U2, non tanto per il richiamo alla band irlandese che conosce solo di fama, quanto per il fatto che ci siano meno scale per raggiungerla rispetto alle altre. Nota che da una parte il percorso è quello che crede di aver fatto al contrario, verso Potsdamer Platz e Alexanderplatz. Dall'altro invece vi sono Bülowstraße, Nollendorfplatz, Wittenbergplatz. Il treno arriva prima che il giovane termini di leggere le fermate. Poco male, ci sarà senz'altro un cartello anche a bordo.

Non trova posto per sedersi, ma in piedi c'è abbastanza spazio affinché non si debba stare schiacciati come sardine. Dov'era rimasto? Ah, sì, Wittenbergplatz, poi l'interscambio con la S-Bahn. Zoologischer Garten, il famoso zoo di Berlino. Quello di Christiane F., in pratica. Ecco, proprio per questa ragione Milo si promette di non scendere lì per nessuna ragione al mondo, salvo tuttalpiù un guasto improvviso alla metro.

In verità dopo la prima fermata comincia già a ritrattare, pensando che tutto sommato sarebbe comodo poter cambiare linea. In fondo la stazione non può ricordargli Cam più di tanto, a patto che si muova solo al suo interno senza uscire nel piazzale. Poi naturalmente, una volta arrivato, la prima cosa che fa è proprio uscire per vedere coi propri occhi l'insegna gialla della Terrassen am Zoo, appesa fuori dalla stazione già ai tempi in cui era stato girato il film. Il paesaggio in generale non è molto diverso da quello che il ragazzo ha potuto vedere sullo schermo, in effetti. Cambiano giusto i nomi dei negozi e la tipologia di automobili parcheggiate tra lo zoo e la stazione ferroviaria. Beh, e naturalmente i turisti hanno preso il posto dei tossicodipendenti, o quantomeno davanti alla facciata anteriore.

Come sia dietro, oltre il sottopasso, Milo non ha modo di scoprirlo subito perché si dirige dall'altra parte, verso l'ingresso dello zoo per scattare qualche foto. Di entrarci non ne ha voglia, sia perché la visita richiede con ogni probabilità una mattina o un pomeriggio intero, sia perché dubita di poter effettivamente dare da mangiare agli scorpioni, e comunque dovrebbe farlo da solo. Però è da un po' che non posta alcuna instastory; sua madre si starà senz'altro preoccupando.

Fa due o tre tentativi per immortalare il cancello del giardino zoologico, ma, verificando poi quale scatto sia uscito meglio, scorre troppo indietro nella galleria. Rosa muscosa: che nome bizzarro per i fiori dell'amore. Eppure quell'immagine è ancora lì in attesa di essere mostrata a Cam. Non ce n'è stato tempo nella notte, né tantomeno nel mattino.

Milo sospira. Non ne può più. Appena riesce a distrarsi un attimo salta sempre fuori qualcosa a riportarlo indietro. Stavolta non si trattiene dal piangere, e piuttosto che correre si trascina sconsolato dentro la stazione. I passanti gli girano intorno, salgono di fretta sulle scale per prendere i loro treni. E il suo a che binario passa? Anzi, la vera domanda semmai è un'altra: dove vuole andare?

Non trovando alcuna risposta finisce per arrivare all'uscita posteriore della stazione. Di individui loschi che parlottano tra loro scambiandosi pacchetti sospetti non ne mancano, così come di gente che, dopo ad averne acquistato uno, si affretta a trovare un luogo appartato dove consumarne il contenuto. Altri invece, sia uomini sia donne, sono lì per vendere o comprare tutt'altro tipo di merce. Beh, evidentemente da quel lato dell'edificio non è cambiato nulla dai tempi di Christiane F.

Il ragazzo non ci fa troppo caso, cerca solo una panchina o un muretto sui cui sedersi e soffrire in silenzio e solitudine. Prova a consolarsi pubblicando finalmente la foto dello zoo e scorrendo il feed di Instagram. Amici al mare, video di scorpioni che si comportano da gatti, modelli con un fisico da paura. Sempre la stessa roba. I social diventano noiosi con troppa facilità.

D'un tratto un'automobile sportiva rossa fiammeggiante gli si ferma accanto e abbassa il finestrino. L'uomo alla guida, sulla sessantina e avvenente quanto un babbuino, fa segno a Milo di salire a bordo. Se non fosse per il potenziale pericolo della situazione, il ragazzo scoppierebbe a ridere. È la prima volta che viene scambiato per un prostituto. Scuote la testa per farlo capire al suo aspirante cliente, a cui però non sembra che importi.

«Non sono qui per quello, sono solo un turista.»

«E non ti piacerebbe ripagarti i soldi del viaggio, bel biondino?» risponde l'altro con fare viscido.

«Io un lavoro ce l'ho già» si alza per tornare dentro la stazione, al sicuro «Vai qualche metro più avanti: quei tizi stanno aspettando che arrivi un cliente.»

«Quelli li conosco già tutti» ridacchia l'uomo spegnendo il motore «E sono sicuro di poterti dare più di quello che guadagni in un mese» il suo tono è fastidiosamente arrogante «Avanti, sali!»

Fa per aprire la portiera ma qualcuno la blocca dall'esterno.

«Er ist keine prostituierte

A parlare è nientedimeno che Dohko. Milo lo riconosce e rimane stupito da quanto sia stranamente comune ritrovare le stesse persone in giro per Berlino. Prima Ioria ad Ostkreuz, ora lo spacciatore-filosofo di Moabit. Il fato è così dannatamente ciclico. Dal canto suo, l'uomo viscido sembra riconoscerlo ed esserne leggermente intimorito. Mette in moto il veicolo e raggiunge coloro da cui, a sua detta, ha già fatto acquisti in passato.

«Dohko!» esclama il ragazzo per salutare il suo salvatore non mascherato «Danke schön. Sapessi quante cose sono successe dall'altra sera...»

Realizza però che è inutile raccontare tutta la storia, dal momento che, se non ricorda male, il suo interlocutore non parla inglese. Né greco, immagina.

«Bitte sehr» risponde Dohko «Bist du immer noch verliebt?»

Milo lo fissa perplesso. Non ha la minima idea di cosa gli stia chiedendo. Già ha compreso a stento che la prima parte fosse un prego. Si indica l'orecchio e fa segno di no con la testa. La gestualità sembra l'unica via per comunicare con l'uomo.

«Immer noch verliebt» si sforza di provare a tradurlo «Ancora innamorato?»

Ah, ecco che significa! Di materiale per rispondere a questa domanda ce ne sarebbe, se non per una storia intera, almeno per scriverne un paio di capitoli. Da dove iniziare? Dal Golden Gate? Dalle rose di Charlottenburg? O forse dalla disperata ricerca di Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino in piena notte? Oppure, pensa il ragazzo, sarebbe bello costruire un'argomentazione filosofica insieme allo spacciatore per dimostrare che l'amore è una forza puramente malvagia. D'altronde provengono l'uno dalla terra di Platone e Aristotele, l'altro da quella di Hegel e Nietzsche: chi meglio di loro può affrontare la filosofia? Certo, potrebbero iniziare a discutere animatamente con tesi e antitesi, anche se Milo è già certo a priori di aver ragione. Ecco, per questa sola ragione Socrate lo massacrerebbe di botte e maieutica. Il problema tuttavia non si pone, in parte perché il filosofo ateniese è morto da oltre duemilaquattrocento anni e in parte perché pensare di intraprendere una simile conversazione a gesti è da folli. L'elaboratissima risposta di Milo si sintetizza quindi in un cenno.

«Ja» mormora annuendo.

Dohko gli dà una pacca sulla spalla. Che il giovane ellenico stia soffrendo come un cane è palese, questo è il suo modo per consolarlo senza parole. A dire il vero, vista la sua esperienza lavorativa, il filosofo ha in mente altri metodi per far tornare il buonumore. A scapito della salute, chiaro, ma in fondo non è mica un medico.

Infila un mano in tasca e ne estrae un pacchetto verde fatto con un pezzo di qualche vecchio giornale e lo porge a Milo. Costui, lo ferma immediatamente. Non ha alcuna intenzione di comprare della droga, specie avendo visto e parlato continuamente del film di Christiane F. negli ultimi giorni.

«Joint, weed» prova a convincerlo Dohko puntando sul fatto che sia roba leggera.

Il ragazzo continua a scuotere la testa. Non gli interessa fumarsi una canna per affogare i propri dispiaceri, inoltre crede - correttamente - che sia illegale anche in Germania. L'altro solleva le spalle, getta la carta del pacchetto a terra e la accende per sé sedendosi accanto a lui. Il silenzio, misto un po' al fumo passivo, finisce per dare a Milo quella pace e tranquillità che stava cercando. Gli sembra quasi di conversare con un vecchio amico, benché in realtà non possa definire né Dohko un amico, né la loro una vera e propria conversazione. Una conversazione tra muti, magari.

Si guarda un po' intorno mentre l'altro fuma. L'auto rossa è sparita, e con essa senz'altro anche uno dei prostituti. Gli affari vanno bene anche per i colleghi di Dohko che non sono in pausa. Alcuni, avendo finito la merce e dunque la loro clandestina giornata lavorativa, se ne vanno via. Un treno giallo della S-Bahn entra in stazione, un altro ne esce e rincorre il sole all'orizzonte. Se non fosse luglio mancherebbe poco al tramonto. Una debole folata di vento investe il volto di Milo con l'odore della cannabis, quasi facendolo tossire. A terra, invece, solleva la cartaccia verde e gliela manda a sbattere contro la caviglia attirando la sua attenzione. È una banale pubblicità, nulla di più. Berlin-Paris ab 10€ mit FlixBus!

Quella scritta colpisce il ragazzo come il fulmine di Zeus. Gli si accende Times Square dentro la testa. Il suo cuore batte all'impazzata. Finalmente l'idea in cui non sperava più.

«Dohko!» esclama raccogliendo il foglio verde «Dove si trova la stazione degli autobus?»

Dohko scuote la testa per dire che non ha capito e continua a fumare. Milo punta il dito contro l'autobus raffigurato nel volantino accartocciato.

«FlixBus bahnhof?» prova a farsi capire.

«Haltestelle? Haltestelle FlixBus?»

Il greco non ha idea di cosa ciò voglia dire ma annuisce. Male che vada può sempre chiedere aiuto a qualche altro spacciatore. Con sua somma fortuna, tuttavia, gli va bene al primo colpo.

«Zentraler Omnibusbahnhof Berlin» risponde Dohko, che quindi indica la stazione dello zoo e mostra a Milo due dita per spiegargli quale metropolitana prendere «U-Bahn zwei, bahnhof Kaiserdamn

«Danke schön, herr Dohko» lo ringrazia Milo con un pessimo accento tedesco.

«Bitte, herr...»

«Milo.»

«Milo. Auf Wiedersehen, Milo» gli stringe la mano prima di fare un altro tiro.

«Auf Wiedersehen» risponde il ragazzo prima di correre dentro l'edificio.

Ha un piano, finalmente ha un piano!

Innanzitutto si ferma per guardare al volo delle calamite nel negozio di souvenir della stazione; per la prima volta in vita sua non sarà costretto a prenderle al prezzo maggiorato in aeroporto. Sceglie quelle che più gli piacciono e le compra. Quanto alla maglietta di hard rock, beh, ne farà a meno e spenderà quei soldi per altro. D'altronde tempo e denaro, già proverbialmente connessi da un forte legame, sono risorse piuttosto preziose.

Sale le scale per raggiungere il gleis 5, dove passano i treni per la Hauptbahnhof. Apre la rubrica telefonica per fare una chiamata e incrocia le dita perché vada tutto per il verso giusto. A questo punto può solo sperare nella clemenza della sorte.

«Pronto? Ciao, ti devo chiedere un favore enorme...»

 

Milo non apprezza particolarmente gli aeroporti. Anzi, in verità li odia. Quanto alle autostazioni si può invece dire che non abbia mai elaborato una propria personale opinione. Il fatto di vivere su un'isola, unito alla posizione poco strategica della Grecia rispetto all'Europa continentale, non gli ha consentito di viaggiare molto in autobus. La ZOB, Zentraler Omnibusbahnhof Berlin, gli appare come un posto totalmente nuovo, con quel gusto un po' surreale e intrigante che si prova sempre davanti a ciò che non si conosce.

Aria condizionata a manetta, scanner per le valigie, code infinite per arrivare al gate: non vi è nulla di tutto ciò. Solo un edificio con la biglietteria, qualche negozio di viveri e acqua, beni essenziali per affrontare un viaggio da parecchie ore, delle panchine per aspettare sotto la grande tettoia che copre il piazzale e un tabellone luminoso con le partenze. L'imbarco, sia dei passeggeri sia dei bagagli, avviene direttamente alle porte dei mezzi. C'è un'atmosfera molto più informale che a Tegel, è quasi un ambiente familiare.Gli autobus sono diretti in tutto il continente, ma arrivano e partono con grande disinvoltura; gli aerei, d'altra parte, sono così snob da farsi riservare un'intera pista e un camion pieno di carburante ogni volta.

D'accordo, forse è bene che il ragazzo la smetta di vagare nei propri pensieri e vada a cercare il proprio FlixBus tra le partenze. Vi sono oltre trenta piattaforme, ma sono l'una accanto all'altra e gli autobus ne occupano sì e no la metà. Freiburg, gleis 28.

Il biglietto indica che occorre presentarsi un quarto d'ora prima della partenza, ovvero entro dieci minuti scarsi da ora. Quando il ragazzo arriva sulla banchina, in realtà, le porte sono ancora chiuse. E lo vede.

No, non il Setra verde a due piani; cioè, anche, ma non ci fa molto caso. Vede il ragazzo più bello del mondo. Capelli rossi, pelle chiarissima, corpo slanciato e un fondoschiena da favola. Il suo Cam.

È voltato di spalle. Di fronte a lui Natassia, tanto per cambiare, parla a manetta di sa il cielo cosa. Ioria le tiene un braccio intorno al collo e la ascolta massaggiandosi la barbetta con l'altra mano. È il primo a vedere Milo, se non altro perché già sapeva che prima o poi sarebbe arrivato. Gli fa un cenno con la testa cercando di non farsi notare, proprio come pattuito per telefono.

«Natassia» interrompe la ragazza dal suo monologo «Chi è che hai detto che ti veniva dietro in Russia?»

«Sigfried» risponde lei «Troppo sfigato per i miei gusti, non sa prendere l'iniziativa.»

«Non come me allora...»

Il tedesco ride e la bacia, Cam cerca di guardare da tutt'altra parte ma fortunatamente non verso Milo.

«Cam» lo richiama Ioria «Natassia sta dicendo la verità? Non ci credo che solo questo tipo voleva provarci con una ragazza così sexy.»

«Ehm, Natassia, cosa rispondo?»

«Beh, anche un altro in realtà. Un tipo greco di nome Aiolos, ma è stata solo una notte...»

«Dalla Grecia, eh? Focosi i sud-europei!» continua Ioria.

Camus si spazientisce. Sbuffo.

«Ioria, Natassia, vi prego, non voglio sentire parole come greci, Grecia o qualsiasi cosa!»

«Ξέρετε ότι είστε πραγματικά χαριτωμένος;» Milo gli posa una mano sulla spalla «Che strano, a me avevi detto di non essere ellenofobico.»

Il francese si volta, gli occhi increduli, la bocca spalancata da baccalà. Milo lo ha seguito fino alla ZOB nonostante le sue parole crudeli. O è un emerito cretino o uno stalker. Eppure mentirebbe a se stesso dicendo che trovarselo lì non lo stia portando al settimo cielo.

«Milo, t-tu...» balbetta «Perché sei qui?»

«Perché, Cam? Mi piaci da morire, è da quando ti ho visto in aeroporto che ho una cotta per te, e trascorrendo tutto quel tempo insieme negli ultimi tre giorni ho sentito nascere qualcosa di più» prende fiato «Ti sembrerò stupido e forse lo sono, ma è questo ciò che provo, nient'altro.»

Camus scoppia in lacrime. Non sa neanche lui se sia più per la gioia di potersi stringere forte tra le braccia di Milo per un'altra volta o per la tristezza del fatto che sia l'ultima. Capisce fin troppo bene cosa voglia dire: è ciò che prova anche lui. Prima non lo voleva ammettere, aveva troppa paura di doversi separare dal greco. Ora invece, a pochi minuti da quel momento inevitabile, sa che non c'è più nulla da fare. Perché reprimere i propri sentimenti se la via del dolore è già in ogni caso quella che avrà da percorrere?

«Oh, Milo, je t'aime!» singhiozza «Ma tra poco partirò e tu invece...»

Il giovane ellenico lo zittisce posando le proprie labbra sulle sue. Ha i brividi. È come baciarlo per la prima volta. Al diavolo il parapetto dello Jannowitzbrücke. Il bel francesino ha un sapore meravigliosamente dolce, ed è molto meno timido con la lingua che con le parole. Sembra passare un secolo prima che i due si stacchino. Intanto arriva anche il conducente dell'autobus ad aprire il vano per i bagagli.

Milo accarezza il viso di Cam e gli sorride prima di mostrargli il proprio smartphone.

«Vedi, Cam? Questa è una rosa muscosa, significa che ti amo» scorre senza lasciare al ragazzo il tempo di rispondere «E questo invece è un biglietto per l'autobus alle tue spalle. Significa che abbiamo un altro giorno per stare insieme.»

Gli occhi verdi smeraldo - o, a seconda dei gusti, verdi FlixBus - di Camus si illuminano. Non è possibile. Non può averlo fatto veramente. È proprio un crétin. Già, il SUO crétin, però.

«Milo, questa cosa è da pazzi!»

«Credo di aver fatto di peggio» il biondo alza le spalle «Chiedere sai che sei davvero carino? in greco ad uno sconosciuto e far finta che volesse dire dunque non ti piacciono i greci, amico? ad esempio. Oppure, che ne so, girare mezza Berlino in piena notte per cercare un film per cui lui andava pazzo e che io non avevo mai visto. Ne sono successe di cose, ora che ci penso bene.»

Camus scuote la testa e ride di gusto.

«Aspetta, mi stai dicendo di aver visto davvero Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino l'altra notte?»

Ioria e Natassia, tagliati fuori dalla conversazione fino a poco fa, annuiscono per rispondere al posto di Milo. Conoscono entrambi la storia. L'uno per personale coinvolgimento, l'altra per informazioni ottenute con di un ballo che, col senno di poi, avrebbe concesso a Ioria anche senza nulla in cambio.

«E loro com'è che lo sanno?» chiede perplesso al ragazzo.

«Beh, ecco...» ridacchia Milo «Il viaggio dura undici ore, giusto? Avremo un sacco di tempo per parlarne.»

Abbraccia Camus di nuovo, affondandogli la testa tra i capelli. Forse il paradiso allora è la ZOB, o forse un FixBus su cui possa dormire accoccolato a lui. Undici ore di viaggio, una giornata a Strasburgo e un'altra notte per tornare a Berlino in tempo per l'aereo di martedì: sembra fattibile. Anzi, forse è la migliore idea che abbia mai avuto in vita sua. Bizzarro credere che sia tutto merito di quello stupido volantino in cui Dohko teneva l'erba.

Quindici minuti prima della partenza, come previsto, ai passeggeri viene richiesto di mostrare il proprio biglietto e di dire ad alta voce dove siano diretti, in modo tale che i bagagli possano essere divisi a seconda della destinazione. Milo si trova ad essere per pura casualità il primo della fila.

«Strasburgo.»

Il conducente a momenti getta il suo trolley a terra prima di rendersi conto che il fermaglio non sia un vero scorpione velenoso. Guarda malissimo il ragazzo e gli indica la porta dell'autobus. Prima di salire, però, è il momento di dire addio ad un amico.

«Ciao, Ioria, è stato un piacere conoscerti» inizia Cam.

«Ciao» aggiunge Milo «E grazie mille per avermi aiutato oggi.»

«Buon viaggio, ragazzi.»

Dà una pacca sulla spalla ad entrambi, dopodiché è il turno di Natassia.

«Non ti dimenticherò, mio boccale di birra!» esclama lei gettandosi tra le braccia del giovane.

«Neanche io, mia vodka. Ora, ti prego, dimmelo per un'ultima volta.»

«Prima tu.»

«Freiheit

«Matrioska

Naturalmente, per coerenza con la loro drammaticità da film romantico in bianco e nero, si scambiano l'ultimo bacio. La ragazza saluta Ioria con un fazzoletto prima di varcare la porta del FlixBus e raggiungere i suoi amici al piano superiore.

«Auf Wiedersehen, Natassia.»

«Do svidanija.»

 

Il Setra verde sfreccia nella notte sull'asfalto dell'autobahn 115. Una volta uscito dalle tangenziali di Berlino dovrà attraversare l'intera Germania da nord est a sud ovest prima di varcare il confine francese e raggiungere Strasburgo.

Milo abbraccia Cam da dietro e lo stringe dolcemente a sé, la schiena contro il finestrino e le gambe messe come può nello spazio a sua disposizione. Pur di stare vicini per il tempo che resta loro sarebbero disposti persino a farsi venire un crampo muscolare se necessario. In realtà sono abbastanza comodi: hanno occupato i sedili davanti al vetro anteriore, che, come è noto a chiunque abbia preso un autobus a due piani in vita propria, oltre alla vista panoramica sulla strada offrono più spazio e comfort per le gambe.

Natassia, invece, è seduta appena dietro di loro, ma non ha nessuno accanto e quindi occupa entrambi i posti. Milo, sentendosi in colpa per averle essenzialmente sottratto il compagno di viaggio, chiede al francese consigli su come coinvolgerla nella conversazione e non isolarla.

«Tranquillo, Milo» risponde lui a bassa voce per non disturbare gli altri passeggeri «Natassia appena sale su un aereo o un autobus si addormenta e non si sveglia fino all'arrivo.»

Il greco si volta per controllare e, sì, la ragazza è completamente nel mondo dei sogni. Cuffie nelle orecchie, cappuccio della felpa in testa, bocca spalancata. Ha persino una mascherina per gli occhi; certo che per dormire è decisamente organizzata. Meglio così: farà a meno di sentirsi il terzo incomodo.

«Hai ragione. Mi chiedo se si sia accorta che siamo partiti.»

«Ne dubito» risponde Camus «Comunque devo dire che a me un po' dispiace.»

«Che cosa?»

«Il fatto che ce ne stiamo andando via così; alla fine non siamo saliti sulla cupola di vetro del parlamento.»

«Vuol dire che dovremo tornarci insieme un giorno.»

«È buffo, Milo, perché un giorno è tutto ciò che ci rimane.»

Milo gli bacia il collo.

«Chi può dirlo ora? Magari abbiamo davanti un'intera vita insieme, e magari proprio a Berlino.»

«Ti immagini?» ridacchia silenziosamente il francese «Noi tra dieci anni in un appartamento a Kreuzberg con vista sull'Oberbaumbrücke per vedere le metropolitane gialle che passano.»

«A te, pensandoci adesso, non piacerebbe un destino del genere?»

«Moltissimo» sussurra Cam.

Il giovane ellenico lo stringe ancora più forte. L'amore non è spietato e crudele, è solo imprevedibile. E più sta vicino a lui, più apprezza questa imprevedibilità. Anzi, la adora.

«Ora pensiamo al nostro giorno, che è tutto ciò che abbiamo» accarezza il viso di Cam «Oh, we can be heroes, just for one day

 

 

Fine

   
 
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