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Autore: heliodor    14/10/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il dominio della maga
 
“Lindi” esclamò sorpreso.
Un attimo dopo l’accolse tra le sue braccia e la strinse a sé. Lei ricambiò l’abbraccio e lo baciò sulle labbra e poi sul mento.
“Ero in pensiero per te” le disse.
“E io di più. L’idea di averti lasciato qui sotto da solo mi tormentava.”
“Hai fatto bene a scappare.”
“È stato un errore” disse con le lacrime agli occhi.
Galef pensò alle parole giuste da dirle. “Non dovevi tornare.”
“Sai che non potevo lasciarti. E avevo una missione da portare a termine.”
Galef si sciolse dall’abbraccio. “Lindi, è una follia.”
“No, siamo vicini.”
“L’intera grotta è infestata da creature pericolose. Il lago ne è pieno, la foresta è maledetta e le grotte sono territorio dei ragni spazzini.”
“Ho trovato un passaggio” disse lei. “Usando la mappa che abbiamo trovato a Miggavar.
Era successo tre Lune prima, quando avevano esplorato le rovine di quell’antico avamposto di Urazma. Lindisa si era imbattuta in un’iscrizione che aveva copiato, ricostruendo la mappa dei sotterranei del santuario principale.
O almeno così credeva.
Erano lì per verificare se quella idea era giusta.
“Lascia stare la mappa e tutto il resto” le disse. “Pensiamo solo a salvarci.”
“Non possiamo tornare indietro proprio adesso che siamo così vicini al vortice.”
“Se pensi di essere così vicina, allora perché non ci sei andata da sola?”
Lindisa si accigliò. “Perché ti amo, stupido che non sei altro. E voglio condividere con te la scoperta. Se è come penso, abbiamo trovato l’arma che ci permetterà di battere Malag e chiunque altro.”
“Chiunque?”
“Hai dimenticato cosa ci siamo promessi, Galef? Saremo re e regina.”
Io potevo essere re, si disse. Razyan è morto e io sono l’erede. O almeno lo ero prima di disertare e diventare un rinnegato. Come posso essere stato così folle? Il destino mi sta punendo.
“Galef.” Lindisa gli strinse il viso tra le mani.
Sono così calde e delicate, ma ferme allo stesso tempo, si disse.
“Galef, sei ancora con me?”
“Lindi…”
“Gal, ormai ci siamo. È finita. Abbiamo vinto. Fidati di me.”
Indicò un punto alle sue spalle. “Quelle persone sono venute qui per salvarmi.”
“Ti sbagli. Sono qui per il vortice, ma io li ho raggirati. Era necessario farlo. Non devi niente a loro. Sai che parlavano di processarti come un rinnegato se ti avessero trovato? È questo che vuoi?”
“È quello che sono. Un rinnegato.”
“Tu sarai un re. Il più grande da secoli e secoli. Col potere del vortice…”
“Dobbiamo usarlo per mettere fine alla guerra.”
“È quello che abbiamo promesso di fare. Io voglio ancora tenere fede a quel giuramento e tu?”
“E se fallissimo?”
“Non falliremo” rispose lei sicura. “Siamo vicini, Galef. Molto vicini.”
“Quelle persone. Dobbiamo salvarle.”
“Lo faremo. Col potere del vortice potremo fare ciò che vogliamo.”
Galef annuì. “Fai strada.”
Si allontanarono dal lago seguendo un sentiero che si snodava tra gli alberi. Galef le indicò quali punti erano sicuri, ma Lindisa sembrava già conoscerli.
“La maledizione non arriva fin qui. Per qualche motivo le piante e gli animali se ne tengono alla larga” spiegò lei.
“Conoscono questo luogo meglio di noi” disse Galef pensieroso. “Vivono qui da migliaia di anni e noi siamo solo gli ultimi arrivati.”
“Non resteremo a lungo. Giusto il tempo di prendere ciò che ci serve.”
Anche se non riusciva a vederlo, Galef avvertiva attorno a loro un continuo brulicare di vita che si muoveva, mangiava e riproduceva. In quei giorni aveva osservato i piccoli animali che si spostavano nella foresta. Oltre ai ragni dall’aspetto pallido, vi erano creature simili a lunghi vermi dal colore grigio e insetti dal lungo pungiglione arcuato che dimoravano negli incavi degli alberi.
Nessuno di loro si avvicinava e vivevano nascosti. Erano immuni alla maledizione che aleggiava su quel posto o se ne tenevano lontani.
Migliaia di anni di esperienza avevano insegnato loro che era meglio evitare certe zone. Solo gli esemplari più giovani o deboli cadevano nella trappola della maledizione.
I loro corpi formavano un tappetto nutriente che in qualche modo quelle piante assorbivano, cibandosi di quei resti.
Galef trovata tutto quello disgustoso e affascinante allo stesso tempo. Avrebbe voluto avere più tempo per fermarsi in quel posto e studiare quegli animali e quelle piante, ma sapeva di non averne.
Suo padre diceva che aveva l’anima di un erudito. Non aveva mai avuto la possibilità di diventare uno studioso o di frequentare l’accademia e non aveva idea se gli sarebbe piaciuto passare anni e anni tra libri e scaffali.
A Joyce questo poso sarebbe piaciuto? Si chiese. A lei i libri piacciono.
Lindisa lo portò fino a un albero i cui rami si allungavano in tutte le direzioni e poi dietro di esso, dove c’era un passaggio scavato nella roccia.
Da quel punto si innalzava una collina che dominava quella parte della grotta. Le piante si erano arrampicate sui gradoni dell’altura e su fino alla cima, dove sorgeva una struttura di forma circolare.
Come ho fatto a non notarla prima? Si chiese.
C’erano altre colline simili lì attorno e tutte erano state coperte dalla vegetazione. La scarsa illuminazione rendeva i contorni confusi e sfumati.
Erano giunti al confine dell’immensa grotta che racchiudeva quel piccolo mondo sotterraneo.
Per quanto tempo abbiamo camminato? Si chiese. Per alcune ore. Quanto è grande questo posto?
Senza il sole e le stelle a scandire il passare del tempo, era impossibile dirlo.
Urazma aveva creato qualcosa di unico, sempre che fosse quella la sua intenzione. Era quasi certo che la maga non avesse intenzione di dare vita a quel giardino degli orrori. I ragni spazzini e la loro famelica attività avrebbero terrorizzato chiunque.
A volte li sognava mentre divoravano interi villaggi e città, sminuzzando e trascinando via strade e persone senza rendersi conto della differenza. Tutto solo per alimentare la vorace e gigantesca creatura che era la loro regina, il ragno supremo che abitava nelle profondità di quelle grotte.
Era questo il piano di Urazma? Si chiese. Regalare al mondo un orrore simile?
Forse era un bene che quegli esseri prosperassero solo lì sotto, nascosti agli occhi di quelli che vivevano sulla superficie.
La maga era stata prudente perché era sicuro che se i suoi simili avessero saputo ciò che aveva in mente di fare, non l’avrebbero lasciata arrivare così lontano.
O forse sapevano e non se ne curavano?
“Siamo arrivati” disse Lindisa spezzando il filo dei suoi pensieri.
Erano davanti a una porta in bronzo di forma circolare che tagliava in due il condotto. Un bassorilievo mostrava un sole a nove raggi al centro esatto e una figura femminile che sembrava adorarlo.
“Il simbolo dei nove” disse Lindisa con sguardo rapito. “È davvero il santuario di Urazma. Ci siamo” aggiunse con voce eccitata.
Galef si avvicinò alla porta. “Sembra solido e pesante. Come faremo ad aprirlo?”
“Con le parole giuste” rispose Lindisa. Appoggiò una mano sul simbolo del sole, nel centro preciso. “Valgarr amay bargos.”
La porta vibrò e si mosse. Il condotto si riempì di pulviscolo e Galef fu costretto a coprirsi il naso e la bocca per non respirarlo.
Lindisa si infilò nell’apertura e lui la seguì. Oltre la porta iniziava un corridoio di pietre levigate così lisce d sembrare appena posate.
Invece sono passati migliaia di anni da quanto è stato costruito, pensò Galef. I maghi edificavano per sfidare l’eternità.
Evocarono le sfere luminose, inondando di luce quel luogo che ne era stato privo per chissà quanti millenni.
Le pareti erano spoglie e grigie, fatte di pietre e non di mattoni. Colonne color grigio sostenevano un tetto fatto di lastre grandi abbastanza da contenere una sala del castello di Valonde.
“Sembra una grotta” disse Lindisa guardandosi attorno affascinata.
Galef annuì. Ammirava l’intento dei costruttori di far assomigliare quel posto a una grotta naturale, quando in realtà era stata costruita da mani umane.
No, si corresse, da mani magiche.
Tutto in quel luogo richiamava il potere dei maghi antichi.
L’idea stessa era così ardita e inconcepibile da sembrare assurda. Urazma aveva costruito una grotta dentro un’altra grotta.
Un edificio simile avrebbe fatto impallidire il castello di Valonde e la cupola del circolo. In quella costruzione Urazma stava celebrando la sua grandezza, eppure la teneva nascosta.
Perché? Si domandò mentre con Lindisa esplorava il santuario della maga. Perché nascondersi agli occhi degli altri maghi? Perché non mostrare a tutti la propria grandezza?
“Urazma odiava gli altri maghi” disse Lindisa. “È per questo che scavò la gotta e vi costruì questa meraviglia. Non voleva che gli altri l’ammirassero.”
“Perché?”
“Forse non ne erano degni. Cerchiamo il pozzo.”
Galef la seguì in silenzio verso un cerchio di colonne che si innalzava verso il soffitto e oltre, dove era stato praticato un foro largo quanto venti uomini adulti.
Guardando in basso, notò i bordi frastagliati del foro che proseguiva nel pavimento. Le colonne lo delimitavano, ma non c’era alcuna protezione.
Sarebbe bastato mettere un piede in fallo per precipitare nell’abisso.
“Eccolo” disse Lindisa con voce rotta dall’emozione. “È quello, non c’è alcun dubbio.”
Galef la raggiunse sul bordo del precipizio. “Stai attenta. Nessuno di noi due sa levitare e non abbiamo corde.”
Lindisa si era sporta e subito ritratta.
“Che cosa hai visto?” le chiese.
Sembrava turbata. “Niente.”
Galef non sapeva che cosa aspettarsi. Aveva visto altri pozzi nei santuari che avevano esplorato. Alcuni pulsavano di un’energia debole, che sembrava dovesse spegnersi come un vecchio cuore malandato che faticava a battere, altri erano spenti e morti da secoli e altri ricoperti di detriti e inutilizzabili.
La loro speranza era che quello di Urazma fosse utilizzabile per gli scopi che si erano dati. Il viso di Lindisa però tradiva cosa? Delusione?
Si sporse a sua volta, dando una rapida occhiata all’abisso. Vide solo oscurità profonda e insondabile. Era come osservare lo spazio vuoto tra una stella e l’altra. Il desolato nulla che risucchiava tutte le loro speranze.
“Lindi” disse con un groppo alla gola. “È spento. Non c’è più niente qui.”
“Deve esserci” disse lei. “Ne sono certa. L’abbiamo trovato.”
“E noi abbiamo trovato voi” disse una voce alle loro spalle.
Galef si voltò di scatto e impallidì.
Poco oltre le colonne c’erano la donna che diceva di chiamarsi Joane, Bardhian, la guida di nome Caldar e i tre eruditi.
Guardò Lindisa e anche lei sembrò sorpresa da quella visione.
Joane avanzò decisa, lo sguardo torvo. “Dunque, era questo il vostro piano? Lasciarci qui dopo aver depredato questo luogo? Cosa c’è di così importante qui sotto da valere la vita di sette persone?”
Per Galef ognuna di quelle accuse fu come una stilettata all’addome. Non sapeva cosa o come rispondere a Joane, se non che avesse ragione e che lui e Lindisa erano dei miserabili.
“Saremmo tornati indietro” disse a stento. “Per salvarvi.”
“Permettimi di dubitarne, rinnegato” disse Joane.
Erano dardi quelli che luccicavano nelle sue mani?
Lindisa strinse i pugni. “Tu non puoi capire. Nessuno di voi può.”
“Prova a spiegare” disse Joane.
Bardhian, al suo fianco, teneva d’occhio lui.
“Io non ti devo nessuna spiegazione” rispose Lindisa.
“Se non vuoi parlare” disse Joane mostrando i dardi. “Allora forse vuoi passare subito allo scontro? Se è così ti accontento.”
Galef era sicuro che stesse per attaccare, quando un boato scosse le mura del santuario.

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