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Autore: Federica_97    15/10/2019    2 recensioni
(STORIA COMPLETA)
Con la conclusione del progetto mew, le ragazze hanno continuato a lavorare nel locale che per mesi era stato la loro base segreta. 
Diplomate e con altre vite, hanno fatto un patto: continuare a lavorare lì e tenerlo aperto. 
Strawberry ha alle spalle una relazione con Ryan, non andata bene. Scelto Mark, per passare la vita con lui, parte per Londra... 
Ma la sua storia non è andata bene, tornata in Giappone con un segreto più grande di lei.
Cosa succederebbe se ragazzi si rivedessero dopo mesi dalla partenza di lei? 
''Si voltò a guardarla, senza espressione, senza saper che dire.
"E cosa vuoi? Cosa pensi che possa fare io?" 
Strawberry alzò gli occhi cioccolato per incrociare quelli ghiaccio di lui e non disse nulla.
"Vattene" fece per andare ma la ragazza lo trattene per il polso.
"Ryan io.."
"Cosa!? Torni qui e stravolgi tutto! E adesso cosa vuoi da me!?" 
"Non urlare..." 
"Vattene Strawberry!".
Si richiuse la porta alle spalle, lasciandola da sola nel corridoio del locale che ormai sentiva casa...
Da sola, esattamente come aveva fatto lui. Piangendo rese conto di non aver nessuno''
Curiosi? Leggete e fatemi sapere! 
Un bacio grandissimo a tuttei voi!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8- Tutto è bene quel che finisce bene

 

Avvisiamo tutti che il volo Giappone-America sarà in ritardo per motivi tecnici. Ci scusiamo i disagi”.

Ryan sospirò, passandosi le mani tra i capelli biondi. Perfetto, anche il volo in ritardo. Quella giornata era cominciata già male. Ed erano solo le 6 del mattino.

Aveva preparato la valigia di fretta, la sera stessa per poi uscire e dirigersi direttamente lì. Portandosi dietro cose che probabilmente non usava da anni, ma aveva voglia di cambiamento. E tornarsene per un po' ''a casa'', male non gli avrebbe fatto.

Guardò fuori dalla grande finestra dell'aeroporto, il cielo quella mattina era grigio e pioveva. Scuro come il suo cuore in quel momento.

Probabilmente quando sarebbe tornato lei avrebbe già avuto il bambino in braccio. Pronta a combinare disastri con quel piccolo angioletto.

Gli venne da sorridere a pensarla in certe circostanze. Lei era... semplicemente lei.

“Che cavolo stai facendo?”.

Era talmente immerso nei suoi pensieri che sobbalzò al suono di quella voce femminile.

“Non credevo fossi un tipo che scappasse”.

“Alexandra...” mormorò, “che ci fai qui?”.

Lei prese posto sulla sedia accanto alla sua: “mi sembra ovvio. Ti impedisco di fare la più grande cavolata della tua vita”.

Lui scosse leggermente la testa, come se non avesse capito il senso delle sue parole.

“Te la faccio breve: se tu adesso scappi, la perderai per sempre”.

Lui sospirò: “l'ho già persa”.

“Non ancora, se smetti di fare il coniglio”. Incrociò le braccia.

“Non faccio il coniglio semplicem... ma tu come sapevi dov'ero?”.

“Ero venuta a riportarti delle cose ieri sera e Kyle mi ha detto tutto”.

“Kyle parla troppo”. Sbuffò.

“Kyle ti vuole bene. E comunque non cambiare discorso” si portò le lunghe ciocche scure dietro l'orecchio. “Perchè stai scappando, Ryan?”.

“Ale, davvero, non mi va di parlarne e tanto meno con te. Scusa”.

“E invece ne parli. E con me soprattutto”. Sbuffò spazientita. “Vuoi passare il resto della tua vita a piangerti addosso? Vuoi davvero lasciarla andare così? Dimmi tu, Ryan. Senza neanche provarci?”.

“E cosa dovrei fare? Aspetta un figlio da un altro. E' innamorata di un altro. Ti bastano come motivazioni?”.

Lei scosse la testa per niente sconfitta. “No. Perchè sarà pur vero che aspetta un figlio da un altro; ma non ci giurerei sul fatto dell'esserne innamorata”.

Lui la guardò.

“Oh, cristo! Sei proprio un uomo” sospirò. “Ma tu te ne accorgi come ti guarda? Ma lo vedi che per ogni singola cosa cerca te e nessun altro? Ryan quella ragazza è cotta di te. E sei tu ad essere lo stupido se la lasci andare così”.

“Resta il fatto ch-”

“Sì, sì. Aspetta un figlio da un altro. E quindi? Quante persone ci sono al mondo così? Dai fammi il piacere”. Si alzò. “Usi come scusa questa cosa per evitare di dirle cosa realmente provi per lei”.

“Non è per niente vero”.

“E invece sì. Per te è più semplice rifugiarti in questa realtà che provarci”.

Lui non disse nulla. Forse quella era una delle poche volte in vita sua che qualcuno lo azzittiva.

“Ryan”, gli prese la mano, “non fare qualcosa di cui potresti pentirti. Non ha nulla da perdere”. Gliela lasciò sistemandosi per bene la borsa sulla spalla. “Adesso però scusami ma devo andare. Ho fatto trenta chilometri per venire qui e rischio di arrivare tardi a lavoro”. Gli sorrise.

“A presto, biondino”. Si avviò verso l'uscita.

“Alex!” la chiamò alzandosi. “Grazie”, le disse una volta avuta la sua attenzione.

Lei gli sorrise nuovamente prima di oltrepassare la porta.

Il ragazzo da perdere aveva molto invece. Se lei lo avesse rifiutato, avrebbe perso l'ultimo coccio del suo cuore probabilmente rimasto integro. Con questa considerazione, si sedette nuovamente aspettando il volo...

 

 

* * *

 

Quasi in contemporanea a quella conversazione, una ragazza dai capelli rossi fragola se ne stava con l'ombrello aperto sotto la pioggia a cercare un mazzo di chiavi che trovò solo dopo qualche tentativo.

Aveva inserito una grossa chiave all'interno della serratura e girandola aveva appena aperto un grande portone. E cercando di non fare rumore lo richiuse alle spalle dopo essere entrata.

La sala del caffè era buia e con le sedie tutte issate sui tavoli. Faceva strano vederla così e non luminosa e piena di gente, come era al solito.

Anche la luce della cucina era ancora spenta. Kyle non si era ancora svegliato.

Straw sentì la nostalgia coglierla e solo in quel momento si rese davvero conto di quante cose erano cambiate in quei pochi mesi.

Posò l'ombrello bagnato all'ingresso e camminò piano.

Inconsciamente si ritrovò a scendere la scale, dirigendosi dove anni prima conducevano le ricerche.

I computer erano ancora lì, ma spenti. Le tastiere e le mensole a prendere polvere. Era tutto uguale ma anche tutto diverso.

Si sedette sul divano e ne accarezzò il tessuto. Sorrise.

Ci avevano passato le nottate su quel divano a guardare serie TV, per poi ritrovarsi il giorno dopo con delle occhiaie da paura ed a sbadigliare per tutta la giornata.

Ricordava la faccia confusa di Kyle quando li vedeva commentare insieme qualcosa a lui incomprensibile. Faceva spallucce tutte le volte e sorrideva, non gli interessava sapere cosa combinassero ma solo che fossero felici.

Si accarezzò la pancia e un quel momento un ''POOF'' la fece sobbalzare.

“Mash...” sorrise.

Perché sei triste, perché sei triste?”. Volteggiava in cerchiò davanti a lei.

Lo afferrò delicatamente e lo poggiò sul pancione guardandolo. “Non sono triste piccolo”. Mormorò appena.

Sei triste invece, sei triste”. Insistette il robot.

Lei non disse niente. Quel robottino era bravo a percepire tutto. Ma non si meravigliava, era sveglio come chi lo aveva inventato.

“Strawberry?”.

La voce di Kyle la fece sobbalzare.

“Principessa che ci fai qui?”.

Lei si alzò di scattò. “Io... niente...” si schiarì la voce. “Buongiorno Kyle scusa se sono entrata senza permesso. Ho ancora la chiave, ma volevo restituirla per questo sono qui” gliela porse. “Scusa davvero, non volevo spaventarti”.

“Non mi hai spaventato tranquilla. La chiave puoi tenerla.” le sorrise e non la prese.

“Okay, grazie...” la intascò. “Io ero venuta solo per questo davvero. Adesso vado”, lo oltrepassò.

Il ragazzo sospirò: “Strawberry”. Disse soltanto e bastò per fermarla.

Lei rimase ferma e si voltò.

“Che succede?”.

Lei scosse la testa. “E' che... non lo so Kyle. Sento di aver sbagliato tutto”.

“Tesoro”. L'abbracciò stringendola forte. In quel momento le sembrava così piccola e fragile. “Vieni, ti preparo la colazione”.

“Non voglio disturbare”, mormorò.

“Non dirlo nemmeno per scherzo”. La prese per mano e la condusse in cucina.

Mentre lui preparava la colazione lei se ne stava seduta sullo sgabello pensierosa.

“E' questo che stava facendo ieri?”. Indicò Mash che volteggiava contento con un cenno di capo.

Lei annuì. “Ha detto che era malconcio”.

“Ci credo” sorrise. Le mise davanti una calda cioccolata dei muffin che aveva preparato la sera prima.

Strawberry soffiò all'interno della tazza gustandosi la bevanda a poco a poco.

“Grazie” gli disse tenendo gli occhi bassi.

Il moro prese posto accanto a lei. “Mi dici che succede? Puoi parlare con me, lo sai”.

Lei lo guardò. “Perché tu non sei andato via?”.

Lui fece spallucce. “Io ho il locale da gestire”.

Annuì. “Ieri è venuto in camera mia e mi ha portato Mash dicendomi che se ne andava per un po'”.

Il ragazzo l'ascoltò.

“Non ho il diritto nemmeno di pensare a lui. Non me lo merito”.

“Perché dici così?”.

Lei sospirò afflitta. “Perché sì, Kyle. Ha tutto il diritto di andarsene altrove a rifarsi una vita. Lontano da me e dalle mie mille indecisioni” si legò i capelli un po' umidi dalla pioggia. “Io non l'ho mai meritato, ero sbagliata per lui e nonostante lo sapessi sono stata egoista. Perché lo amavo”.

“Non dire così, vi siete scelti a vicenda”.

“No Kyle, perché nonostante questo-” indicò la pancia, “-nonostante Mark sia tornato per me, nonostante lui mi ami; io continuo ad essere egoista”.

Kyle la osservò prendendole le mani. “Non sei egoista”.

“Invece sì, e mi sento terribilmente in colpa per Mark, per Ryan, per il bambino. Per tutto. Perché mi rendo conto che lui è stato il mio primo vero amore. E probabilmente lo sarà per sempre e non posso dimenticarmi di lui” si passò le mani sul viso. “Ho rovinato tutto”.

“Ryan mi ha detto che siete stati insieme la notte prima che tu partissi”.

Lei arrossì. “Parla troppo” borbottò.

“No tranquilla” le sorrise lui. “E' per questo che ti senti in colpa?”.

Lei annuì. “Se solo avessi riflettuto qualche secondo in più...”.

Il moro le lasciò una carezza sui capelli. “Mangia su, non ci pensare”. Si alzò girando in bancone e pulendo due cosette che trovo dentro il lavello.

Il silenzio era quasi assordante e fu allora che il ragazzo pensò ad una cosa: “Straw...” la chiamò attirando la sua attenzione. “Di quanti mesi sei?”.

Lei ci pensò. “non lo so con certezza perché il mio dottore non ha saputo stabilirlo con certezza. Sai com'è, ero impegnata a nasconderlo che non ho subito fatto le visite”. Fece spallucce. “Ma probabilmente sono già entrata all'ottavo mese. Perchè?”.

“Senti te lo devo chiedere, magari mi sbaglio ma mi è venuta questa folle idea in testa: tu e Ryan siete stati a letto insieme, ma avete pensato a proteggervi?”.

“Che domande Kyle!” diventò rossa come un pomodoro. “Non lo so, non mi ricordo! Probabilmente no però!”. Sentiva caldo.

Gli passò una strana luce negli occhi. “Hai mai pensato che questo bambino potrebbe non essere di Mark? E se avessi sbagliato i calcoli?”.

Passò da un colorito rosso acceso ad uno bianco cadavere in dieci secondi.

“Impossibile perché...” perché? Perchè niente, in realtà non ci aveva mai davvero pensato. “Non è possibile sarei qualche settimana avanti e...” una smorfia di dolore le si dipinse in faccia.

“Ehi, stai bene?”.

“Sì, è solo lui/lei che fa i capricci” fece un enorme respiro.

“Sicura? Io potrei chiamare...”.

“No Kyle, grazie mille davvero” si alzò. “Devo andare”.

“Ti accompagno io, non sei in condizioni di camminare”.

“Vado a piedi davvero, non mi fa male” insistette lei. Prendendo la borsa.

“Straw, non è impossibile quello che ho detto. Magari mi sbaglio, ma non è impossibile”.

Lei scosse la testa. “Se fosse vero, significherebbe che ho combinato un bel casino” mormorò e se ne andò. Il cielo si era schiarito all'improvviso. Le strade iniziavano ad essere affollate, gli studenti correvano per non arrivare tardi al suono della prima campanella della giornata.

Il pensiero che quel bambino potesse non essere di Mark, le rimbombava violento nella testa.

Non aveva il coraggio di rivelare al suo attuale fidanzato i suoi timori. Non aveva il coraggio di dirgli che la sera prima della loro partenza lo aveva tradito e tenuto nascosto per tutto quel tempo.

Probabilmente l'avrebbe odiata.

Il suono del cellulare la destò dai suoi pensieri.

“Pronto?”.

“Strawberry dove sei? Pensavo di trovarti a casa”.

“Mark...”. Prese un bel respiro, “ero andata da Kyle”.

“Ah”, fece lui senza aggiungere altro.

“Mark, dobbiamo parlare”.

“Sì, dobbiamo parlare. Ti vengo a prendere, dove sei?”.

“Al parchetto dietro il caffè”.

“Arrivo, ferma lì”. E chiuse la conversazione.

 

 

Passarono poco più di dieci minuti prima di incontrarlo.

Troppo poco tempo e si ritrovò faccia a faccia con quel ragazzo a cui avrebbe spezzato il cuore di lì a poco.

“Ciao” mormorò lei.

“Ciao” ricambiò il saluto.

“Com'è andato l'esame?”.

Lui annuì. “Bene grazie”.

“Mi fa piacere”.

Mark sbuffò spazientito: “Strawberry andiamo dritti al punto, senza giri di parole. Che succede?”.

“Io...” si torturò le mani.

“Per favore, chiara e diretta. Non ci girare troppo intorno”.

Lei sospirò. “Vieni”. Si avviò alla panchina più vicina e si sedette lì.

Il moro la imitò.

“Quello che sto per dirti probabilmente ti ferirà...”.

“Posso sopportarlo”.

Lei annuì continuando a torturarsi le mani.

“La sera prima di partire per Londra...”.

“Sì?”.

“Quando mi hai chiamata per darmi la buonanotte...”. Si bloccò di nuovo.

“Per favore”, la supplicò.

“Okay!” prese un bel respiro e lo guardò in faccia, “dopo aver chiuso con te, non sono rimasta a casa”. Si fermò qualche secondo. “Probabilmente non c'è bisogno di dirti dove io sia andata-”

“No, non c'è bisogno. Lo immagino”.

“-e...” non ebbe il coraggio di continuare. Si vergognava troppo per quello che aveva fatto ad entrambi.

“Siete stati a letto insieme”. Finì lui per lei, e non era una domanda.

Lei annuì semplicemente. Non ebbe il coraggio di sostenere lo sguardo del ragazzo e abbassò gli occhi ad osservare le sue mani.

Lo sentì portarsi le mani ai capelli e riavviarli, in un gesto di frustrazione.

Passarono secondi che sembrarono ore, prima che lui riprese la parola.

“Forse l'ho sempre saputo”.

Lei lo guardò, confusa.

“Andiamo, ti conosco fin da bambina. Quella mattina eri strana, quasi non parlavi. C'era chiaramente qualcosa che non andava, e dentro di me sapevo che c'entrava lui”.

“Mi dispiace...”

“Il bambino è davvero mio?”.

Lei scosse la testa: “non lo so... non ci avevo mai pensato fino ad oggi io...”.

Mark si alzò. “Se non chiedo troppo, vorrei il test del DNA una volta nato”.

“Ryan non lo sa”.

“Male, dovrebbe sapere che probabilmente porti in grembo suo figlio”.

“In questo momento è su un aereo per l'America”.

Lui scosse la testa. “Sai che c'è? Non mi interessa Strawberry, ho perso totalmente interesse per tutto in questo momento”. Si alzò.

Lei rimase immobile senza dire nulla. Non poteva dire nulla.

“Tu lo ami?”. La domanda le arrivò alle orecchie chiara e decisa.

Lo amava?

Certo, l'idea che lui adesso era lontano la faceva stare male.

L'idea che a spingerlo ad andarsene era stata lei, la faceva stare anche peggio.

Se amarlo significasse rifugiarsi nei ricordi, per averlo con sé anche solo qualche secondo; allora sì, lo amava.

“Sì”. Stavolta niente esitazioni, niente borbottii, niente giri di parole.

Sì e basta.

Il moro annuì. “Ti porto a casa”, si girò e inizio ad incamminarsi. Senza aggiungere altro.

Si alzò anche lei e nuovamente lo stesso dolore di prima la colpì. Ma stavolta più violentemente, tanto da farla piegare.

Strawberry sta male, Strawberry sta male”.

La vocina meccanica di Mash attirò l'attenzione del moro che andò a soccorrerla.

“Che hai?”. La fece sedere.

“Sono un paio di giorni che sento questa fitte atroci”.

“Ti porto in ospedale”, la aiutò ad alzarsi e un'altra fitta la colpì.

“Non mi merito di essere aiutata da te, faccio da sola”.

“Non dire idiozie. Non ti lascio qui da sola mentre stai male”.

Senza più ascoltarla la caricò in macchina in direzione dell'ospedale più vicino.

 

 

* * *

 

 

L'attesa infinita per l'aereo super in ritardo era appena finita.

Ryan era in fila per consegnare passaporto e biglietto aereo. E finalmente avrebbe messo fine a quella tortura.

Erano ore che aspettava seduto lì, per di più con le parole di Alexandra che gli risuonavano nelle orecchie.

Da un lato sapeva di aver ragione, dall'altro l'istinto di proteggersi da un eventuale rifiuto era forte.

“Signore?”. La signorina attirò la sua attenzione.

Era talmente in sovrappensiero che non si era nemmeno reso conto che la fila diminuiva pian piano.

“Scusi”, sbadatamente le diede solo il biglietto.

“Mi serve anche il passaporto, signore”.

“Certo”, lo consegnò e in quel momento il suo cellulare si illuminò.

Un messaggio da Kyle.

Ciao amico, come va? Quando leggerai questo messaggio sarei già atterrato in America...”

Se non ci fossero state mille ore di ritardo, sì. Pensò lui e poi continuò a leggere.

...mi raccomando chiamami appena arrivi e stai attento. Non fare cavolate. Ti voglio bene”.

Il biondo sorrise, il solito Kyle premuroso.

Bloccò il cellulare ma quasi immediatamente si illuminò di nuovo.

P.S. Noi siamo in ospedale. Strawberry è entrata in travaglio, sta per partorire”.

Lo rilesse un paio di volte, tanto per essere sicuro di non aver frainteso le parole.

“Buon rientro in patria, signore” la ragazza gli consegnò il tutto e gli sorrise gentile.

Lui osservò prima lei e poi il cellulare.

“Grazie, ma per stavolta rimango qui”.

Si fece largo tra la folla e tirandosi dietro la valigia corse verso l'uscita.

Aveva lasciato lì la macchina, poi Kyle avrebbe mandato qualcuno a ritirarla.

Caricò la valigia al meglio e mise a moto.

La manovra che fece per uscire dal parcheggio non era del tutto corretta, ma non gli importava. Aveva cose più importanti a cui pensare.

“Scusi!”, urlò alla signora che per poco non investì andando di retromarcia.

Il traffico di Tokyo era sempre intenso.

Sbuffò fermo al semaforo. Era quasi sicuro che quelli che avrebbe incontrato sarebbero stati tutti rossi.

“Eddai”, batteva gli indici sul volante in segno di nervosismo.

Quando scattò il verde riprese la marcia velocemente.

Non era abituato a guidare così quando stava in auto.

Qualche altro metro più avanti e dovette fermarsi nuovamente. Una macchina sostata in doppia fila non permetteva di far defluire il traffico.

“Accidenti a me e quando non ho preso la moto ieri” sbuffò spazientito.

“Ma ti muovi a togliere quella maledetta macchina!?”, urlò contro l'uomo che stava bloccando l'intero traffico.

“Ma dico io, è una cosa normale! Muoviti!”. Continuò.

Il tizio salì in macchina e riprese la marcia ignorandolo.

“Cafone del cavolo”, lo superò cambiando marcia e sfrecciò dritto.

Era consapevole di essere in città e anche un tantino fuori limiti.

Gli avrebbero sicuramente mandato la multa a casa.

Ma in quel momento nemmeno ci pensava.

Arrivò davanti all'ospedale quasi un'ora e mezza dopo.

Aveva beccato altri tre semafori rossi e altri due guidatori inesperti.

Non era giornata.

Parcheggiò e bloccò la macchina con la chiusa centralizzata.

A passo svelto arrivò nella hall dell'ospedale e poi, chiedendo informazioni, salì al terzo piano della struttura.

“Ryan!” Kyle lo vide ancora prima di varcare la soglia. “Pensavo fossi partito”.

“Eccomi qui amico. Il volo era in ritardo e tu mi hai scritto esattamente qualche secondo prima che mi imbarcarsi”.

Il moro sorrise. “E' destino”.

“Non credo nel destino, lo sai. Lei dov'è?”.

“Stanza 104”.

“Non ha ancora...?”.

“Oh no, già fatto”.

“Ah” fece lui semplicemente.

“Che c'è? Vai da lei”.

Il biondo scosse la testa. “C'è Mark con lei, meglio lasciarli soli”.

“Secondo me ci dovresti andare”, fece spallucce Kyle rimanendo vago.

L'amico lo guardò aveva una sguardo strano, come se gli volesse nascondere qualcosa.

Ma non gli chiese nulla, qualsiasi cosa fosse voleva scoprirla da sola.

Un po' più avanti trovò le ragazze a chiacchierare tra di loro e sorridersi a vicenda.

Paddy commentava quanto piccolo e paffutello fosse quel bimbo.

“Ciao Ryan, ma non eri andato via?”. Lo salutò Mina.

Lui alzò le spalle “eccomi qui”. Fissò la porta chiusa qualche metro più avanti.

“E' così carino!” esclamò Paddy.

“E' un maschietto?”.

Lory annuì e gli sorrise. “Un bellissimo maschietto”.

“E' tutto sua madre” commentò Pam a braccia conserte.

Gli venne spontaneo sorridere. Lo immaginava già, non aveva bisogno di vederlo. Paffuto come la sua mamma con le guance rosso acceso.

Vide Mark uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.

Le ragazze si allontanarono trascinandosi via Paddy che a tutti i costi voleva essere la prossima ad entrare per vedere come stava l'amica.

I due uomini si scambiarono uno sguardo e si avvicinarono.

Il biondo lo salutò con un cenno di testa.

“Va da lei” gli disse senza ricambiare il saluto.

“Dovresti esserci tu”.

Il moro scosse la testa, “Non credo”.

Ryan parve confuso.

“Entra e scoprirlo da solo. Io adesso devo andare”.

Non gli andava di chiedergli dove era diretto, se sarebbe tornato. L'unico pensiero fisso al momento era quella buffa ragazza che tanto amava.

Mosse qualche passo in direzione della porta e prima che potesse abbassare la maniglia, Mark lo fermò: “mi sono sempre chiesto cosa lei vedesse in te che io non avevo”.

Ryan lo guardò senza rispondere.

“Ma forse semplicemente non ero io il suo destino”. Concluse. “Buona fortuna amico”. Gli porse la mano in segno forse di saluto, rispetto o chissà cos'altro. Ryan non riuscì a decifrare quel gesto ma gliela strinse e poi lo vide allontanarsi.

Prese un bel respiro e abbassò la maniglia. Provava mille emozioni diversi ma non era capace a descriverne nemmeno una.

Era un misto tra ansia e gioia, tra paura e voglia di dire tutto ciò che pensava.

Ma quando la vide tutto svanì. Sorrise alla scena che gli si presentò davanti: la rossa sdraiata supina sul letto con la sua creatura tra le braccia. Gli lasciava piccoli baci sul capo.

Era davvero minuscolo.

“Ryan??” si tirò leggermente su. “Credevo che tu fossi partito. Io pensavo che non ci fosse e che...”.

Lui alzò gli occhi al cielo. Non stava mai zitta.

“Ti ho visto sai?!” strillò piano per non spaventare il bambino.

“Stai zitta?” iniziò ad avvicinarsi. “Sono qui per te”.

Lei parve confusa.

“Non so dove andrà a finire questa storia ma una cosa è certa: non ti lascio più. Me ne sono andato già una volta e ho rovinato tutto. Adesso basta scappare”. Si sedette sul letto accanto a lui.

“Non mi interessa se questo bambino non è mio. Ci sono mille coppie in questa situazione. Io voglio te, voglio stare con te”.

Lei sorrise e le scese una lacrima.

“Perché ti amo” le asciugò quella piccola lacrima lasciandole una carezza sul volto.

“Anche io ti amo” mormorò lei.

Il biondo le sorrise e abbassò gli occhi sul bambino.

Sobbalzò leggermente quando esso aprì i suoi. Gli sembrò di guardarsi allo specchio, quei occhi azzurro cielo erano proprio i suoi.

Guardò la rossa.

“Non lo sapevo nemmeno io...”. Mormorò lei.

Rimase senza parole per un tempo troppo lungo, osservando quel bambino.

“Lui è...” deglutì, aveva forse paura a dirlo ad alta voce? “è mio?” lo sussurrò così piano che quasi nemmeno lui si udì.

Lei annuì: “io ho fatto male i calcoli. Adesso tu sarai arrabbiato con me e io lo capisco se non ci vuoi e...” un baciò le bloccò le parole.

“Sta zitta stupida” poggiò la fronte sulla sua. “Ti ho appena detto che ti amo e che voglio stare con te. Non potrei mai lasciarvi. Vi voglio entrambi”.

Lei sorrise ancora e lo abbracciò forte col braccio libero.

“Posso?”, indicò il bambino.

“Certo”.

Lo prese in braccio delicatamente come se avesse paura di romperlo.

Provava un amore così grande che ebbe paura per il suo cuore. Temeva che sarebbe scoppiato da un momento all'altro.

“E' permesso??”. Paddy si era appena affacciata.

“Venite dentro” diede il consenso Straw.

Entrarono tutte insieme e a turno presero il bambino in braccio.

“Come lo chiami?” chiese Lory.

Strawberry osservò il biondo. “Se per qualcuno va bene lo vorrei chiamare James”.

Il ragazzo perse un battito mentre Kyle sorrideva.

“Come... il mio papà?”.

Lei annuì.

“Okay...” mormorò prendendolo di nuovo in braccio. “Piccolo James”.

“Credo che gli piaccia” disse Mina.

Dentro la stanza si era creato un clima a loro tutte familiare, di felicità e amicizia.

Poco dopo si erano uniti anche i genitori di lei. E informati della novità, Shintaro aveva fatto i salti i gioia; perché ''quel carciofo non era adatto a fare il padre''.

In realtà, anche se non lo avrebbe mai ammesso, voleva davvero bene a Ryan.

 

 

 

BUON SALVE A TUTTIII!!

Sono tornata! Finalmente con quello che è il penultimo capitolo.

Il prossimo sarà penso più breve e anche ultimo.

Spero davvero che vi piaccia!

Comunque per quanto riguarda il traffico di Tokyo e il guidare in modo anormale, non credo che lì sia così...

Io sono siciliana, quindi qui da me se non litighi con le persone per strada non riesci a guidare serenamente ahahahah!

Un po' come ho descritto sopra!

Detto ciò spero davvero che sia di vostro gradimento.

Un bacio grande a presto!

P.S. Ho voluto creare un comportamento maturo da parte di Mark, senza scenate o altro. Arreso all'idea che non può competere con il nostro biondino ù.ù

P.S.S. Scusatemi gli errori in tal caso ce ne sono sempre alcuni che non riesco a vedere purtroppo!

  
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