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Autore: FairyCleo    15/10/2019    4 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro. Se Vegeta fosse stato mio, state pur certi che avrebbe percorso l’intero universo pur di trovarmi e porre fine alla mia vita.
 
Due diverse primavere

Erano le prime luci dell’alba quando, con fatica, aveva dischiuso gli occhi stanchi e pesanti, ancora gonfi di sonno, scendendo dal letto senza fare troppo rumore. Come sempre, si era alzato prima di tutti gli altri, stiracchiandosi con poca grazia e cercando di non causare troppo trambusto, per quanto il pavimento scricchiolante di quella vecchia casa glielo permettesse. La bella stagione, se così poteva ancora essere considerata da qualcuno, era ormai alle porte, ma sembrava che non avesse alcuna intenzione di affrettare la sua venuta. Il sole sembrava brillare a fatica e il vento, quel maledetto vento incessante, era sempre freddo e pungente come il primo giorno. Persino le stagioni, ormai, si rifiutavano di alternarsi, si rifiutavano di portare a compimento il loro ciclo. L’inverno non voleva saperne di lasciar posto alle tiepide giornate, al profumo dei fiori appena sbocciati e al canto gioioso degli uccelli migratori.
Faceva ancora tanto, troppo freddo, e aveva cominciato a pensare che fossero state le sue stesse ossa ad averlo immagazzinato fino al midollo, ma la rassegnazione gli aveva insegnato a non lamentarsi. Certo, i rimedi per evitare il congelamento erano sempre gli stessi: avrebbe solo dovuto tenere il fuoco acceso più a lungo, comprare vestiti più caldi, isolare meglio le finestre e fare dei pasti degni di questo nome, ma le sue finanze esigue gli avevano insegnato a fare a meno di quelli che erano ormai diventati dei veri e propri lussi, mentre l’esperienza gli aveva mostrato quanto potesse essere pericoloso addormentarsi davanti al fuoco scoppiettante: la tosse che lo tormentava costantemente era per lui un monito quotidiano.
Il momento in cui doveva spogliarsi per detergersi era uno tra i peggiori: scrollarsi le coperte di dosso e poggiare i piedi nudi sul pavimento rozzo e dalle assi sconnesse non era abbastanza traumatico, ma non poteva farci proprio niente. Non in quel momento. Forse domani le cose sarebbero potuto cambiare. O forse, non sarebbero cambiate mai e poi mai.
Per cui, dopo aver scosso la testa a occhi chiusi nel tentativo di scacciare quei pensieri, aveva sbadigliato in silenzio e si era guardato attorno per qualche secondo, questo prima di iniziare i suoi rituali giornalieri.
Le assi dell’imposta che serrava la finestrella di quella stanza stavano in piedi per miracolo, e quelle mancanti lasciavano filtrare la gelida luce mattutina.

“Tsk… Un’altra allegra giornata!” – aveva detto tra sé e sé, affacciandosi circospetto con aria accigliata, sbriciando oltre i vetri sporchi e opachi a occhi quasi strizzati, in modo da non lasciarsi accecare da quei lividi raggi taglienti come lame. Quello che rimaneva dei suoi sensi sovrumani non era abbastanza per percepire la presenza di eventuali pericoli nascosti. Per questo, si sentiva costretto a compiere quel ridicolo e inutile gesto ogni mattina. Guardando da quella finestrella, e concentrandosi profondamente, immaginava di poter gettare uno sguardo sul mondo, di osservarlo nella sua selvaggia bellezza, come faceva quando la sua vita non era ancora precipitata nel baratro in meno di un istante, forse perché, ignobile e vile com’era, aveva osato desiderare troppo ritrovandosi ad avere niente.
Aveva chiuso gli occhi e tirato un respiro profondo prima di dirigersi verso quel tavolino sghembo che gli faceva da comodino, scrivania e anche da lavabo, se così poteva definirlo. Sempre con estrema meticolosità e accuratezza, si era sfilato il largo e sgualcito camicione con cui dormiva, aveva afferrato la brocca di ceramica dal bordo sbeccato e l’aveva inclinata quanto bastava per farne così cadere il contenuto in una bacinella con cui avrebbe potuto fare coppia, se solo le decorazioni fossero state ancora visibili. E qui, come ogni mattina, gli era occorso raccogliere tutto il suo coraggio per immergere le mani in quell’acqua gelida e lavarsi così viso, collo, torace, ascelle e ogni punto raggiungibile senza l’ausilio di una spazzola o una spugna. Il sapone che usava non aveva nessun odore particolare, ma era perfettamente funzionale al raggiungimento del suo scopo: evitare di puzzare come i maiali con cui aveva a che fare ed evitare di prendere qualche brutta malattia perché, di quei tempi, si moriva più di raffreddore che di vecchiaia.

Mai avrebbe pensato che, un giorno, gli sarebbero mancati i saponi e gli shampoo profumati che lei era solita fargli trovare lì, accanto alla doccia, quasi per magia, che avrebbe rimpianto l’acqua bollente e i sali da bagno, gli accappatoi caldi e morbidi e quel balsamo per il corpo che era solita compare apposta per lui. E il deodorante… Solo gli dei potevano sapere quanto gli mancasse il deodorante. All’epoca, tutte queste cose gli erano parse ninnoli per mammolette, mentre oggi… Oggi, la gente rubava il sapone, litigava per un telo usato ma dall’aspetto ancora accettabile, causava delle vere e proprie risse pur di entrare in possesso di una spugna o di qualcosa che le assomigliasse.

 
“Per favore… Signore… Per favore… Abbia pietà…” – aveva detto lei, stringendo ancora al petto il suo prezioso, preziosissimo bottino – “Pietà” – il terrore nei suoi occhi era visibile, si era impossessato di quella figura che un tempo avrebbe anche potuto dirsi attraente, mentre ora non era che un ammasso informe di capelli unti e abiti luridi e sgualciti.
“Stai zitta! Verrai punita per quello che hai fatto, sporca ladra!”.
“NO!”.
La folla lì riunita sembrava come pietrificata. Era terrore quello che stavano provando? Non lo avrebbe mai saputo con certezza perché non c’era più niente di certo, al mondo, ormai. Non era certo neppure di se stesso. Perché egli, per primo, non aveva fatto nulla quando aveva visto la mano del boia levarsi sul corpo di quella ragazza indifesa.

 
L’arrivo improvviso di quel ricordo lo aveva costretto ad aggrapparsi al bordo della bacinella con forza. Un tempo, sarebbe bastato un tocco meno pesante per far sì che si infrangesse in centinaia di piccoli pezzi, ma ora… Ora… Mordendosi il labbro con tanta forza da farlo sanguinare, aveva preso l’ennesimo respiro, cercando di calmare la rabbia che ribolliva nel suo sangue e , velocemente, si era asciugato, vestito, aveva sistemato meglio che poteva la grezza biancheria del suo letto ed era uscito, ma non senza aver prima aver gettato uno sguardo proprio lì, all’angolo destro di quella spoglia e fredda stanza. E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani.
 
*

Aveva trattenuto il respiro fino a quando non aveva sentito la porta chiudersi alla sue spalle. Per quanto avesse cercato di non fare rumore, era impossibile evitare di sentire i tristi cigolii di quei cardini consunti. Non appena aveva sentito la serratura scattare, si era messo seduto, scostandosi le coperte di dosso in modo da non infastidire suo fratello maggiore: guai se lo avesse svegliato. Non sarebbe riuscito a perdonarselo. Scavalcandolo con attenzione, si era precipitato alla finestra, noncurante del freddo avvertito a contatto con il pavimento prima, e con il vetro dell’imposta, poi. L’importante era che avesse fatto in tempo, che fosse riuscito a scorgerlo mentre si allontanava, piegato in due dalla fatica e dal dolore, ma non ancora spezzato del tutto. Non aveva dovuto sudare troppo per portare a termine quel compito, per convincersi che, nonostante tutto, stava bene e che presto sarebbe tornato. Eppure, ogni volta che lo vedeva così, smagrito, stanco, non poteva evitare che i suoi occhi si riempissero di lacrime. Sembrava così lontano il tempo in cui quella figura, seppur piccola di statura, si ergeva maestosa, così brillante da offuscare chiunque gli si trovasse accanto. Ricordava con amarezza le sue spalle forti, i capelli scuri, folti e brillanti, le braccia possenti e le gambe agili e scattanti, chiedendosi se tutto quello, un giorno, sarebbe finalmente potuto essere di nuovo la loro realtà, la sua realtà.
 
“Sta zitto! Zitto… O vuoi che loro vedano? Eh? È questo quello che vuoi? Che vedano?”.

Aveva scosso la testa, cercando di ricacciare indietro quei pensieri, nonostante fosse estremamente difficile. Quel ricordo faceva male. Faceva talmente male da provocargli fitte al petto. Aveva cercato per tanto tempo di rispondere alle sue mille domande, di darsi una spiegazione al come potessero essersi trovati in quella situazione, ma non ci era riuscito. Le cose non erano più quelle di un tempo, e forse non sarebbero mai tornare come prima, ma non poteva farci niente. O forse non voleva farci niente. Ma questa era un’altra storia, una storia che non avrebbe mai raccontato a qualcuno.

La primavera di Ieri…

“Mi chiedo perché dobbiamo indossare questi vestiti…” – si lamentava il piccolo Son nel goffo tentativo di allacciare il papillon – “Mi fanno sentire così stupido!”.
“Non sei stupido, Goten…” – lo aveva rincuorato suo fratello maggiore – “Lo sai che alla mamma fa piacere vederci eleganti e ordinati… E poi, è un giorno speciale… Non vuoi fare bella figura?”.
“Sì, ma…”.
“Ma cosa?”.
“Io non so allacciarlo, ecco!” – si era arreso, ormai sul punto di piangere dall’esasperazione.
“Vieni qui, piccolo…” – gli aveva sorriso suo fratello, inginocchiandosi accanto a lui e cominciando ad armeggiare con quell’accessorio infernale – “Devi portare pazienza e devi continuare a provare. Solo così, alla fine, le cose verranno da sole”.
“Lo so…” – aveva detto, osservando attentamente le mani esperte intente a fare una magia – “Me lo ripeti sempre, ma lo sai che non fanno per me, queste cose…”.
“Quali cose?” – davvero non riusciva a credere di parlare con il suo fratellino. Da quando era diventato così permaloso?
“Ecco… Queste cose… Le feste, i vestiti… Lo sai che non mi piacciono!”.
“Non ti piacciono? Ma se per il tuo ultimo compleanno non hai fatto altro che lamentarti perché la mamma non aveva comprato i palloncini “giusti”!”.
“Sì, ma le persone cambiano, no?”.
“Ah sì? E tu quando saresti cambiato, giovanotto?” – lo aveva bonariamente preso in giro, facendo l’ultimo giro a quella stoffa rossa che aveva così assunto la forma di un papillon.
“Tsk… Lascia stare” – e gli aveva praticamente voltato le spalle, specchiandosi vanitoso e attento, alla ricerca di qualche imperfezione.
Era rimasto in ginocchio, con le mani ancora sollevate a mezz’aria e un’espressione indecifrabile in volto. “Tsk”? Gohan aveva davvero sentito pronunciare a suo fratello quel tipico intercalare infastidito? Quello “tsk”? Se non lo avesse avuto davanti agli occhi, avrebbe fatto fatica a riconoscere in quel buffo ometto identico a suo padre il suo fratellino.
“Gohan? Sei tra noi?”.
“Emm… Sì… Va bene, dai… È il caso di andare, o la mamma si arrabbierà…”.
“D’accordo… Anche se, a essere sincero, avrei preferito che questo vestito fosse blu”.

Continua…


E rieccomi qui, dopo un bel po’ di tempo e dopo la lunga pausa che ho trovato necessario prendere in vista della discussione della tesi di laurea.
Ora, luglio è passato, mi sono laureata, sono ufficialmente in cerca di lavoro e – forse – ho un po’ di tempo da dedicare a due delle mie grandi passioni: Dragon Ball e la scrittura! Ergo, ho come l’impressione che mi vedrete più spesso qui su Efp, nel tentativo di raccontare questa storia che ho in testa da un po’ ma che trovo difficile da scrivere.
Come avrete potuto notare, la narrazione si svilupperà in due differenti momenti: ieri e oggi. Questa scelta non è stata semplice, e non sempre è di facile realizzazione, ma penso che sia la più adeguata per narrarvi la storia del principe e di chi si trova attualmente con lui in questo Altrove che non ha niente a che fare con il mondo a cui siamo abituati.
Ho una vera e propria passione nei confronti delle situazioni disperate, lo avrete notato, vero?
Vi anticipo che sarà una storia senza fronzoli e che si svilupperà insieme a voi di settimana in settimana, una storia in cui i ricordi dei personaggi torneranno spesso a tormentarli con il loro peso e la loro prepotenza. Chi ha già letto altre mie fic, ormai sa bene il mio metodo di lavoro, chi non lo conosce… lo scoprirà!
Mi auguro che questo primo capitolo vi abbia incuriosito e vi sproni a leggere anche ciò che verrà in seguito.
Per ora, ringrazio chiunque mi abbia dedicato il suo tempo.
A presto!
Un bacino
Cleo
 
   
 
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