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Autore: Melitot Proud Eye    30/07/2009    1 recensioni
Lei sorrise. E rimase a osservare la scena finché il piccolo, esausto, non si fu addormentato.
Raccolta di flashfics incentrate sulla vita familiare degli Himura e dei loro amici.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Fratelli



Aveva dodici anni quand'era nato Kenji; una differenza d'età normale, per due fratelli.
E quell'idea l'aveva attratto fin dall'inizio, sebbene non possedessero somiglianze fisiche – il bruno della terra contro il chiaro del fuoco – tranne l'istintivo talento per il kenjutsu.
Sì, un fratellino minore, quello che non aveva mai avuto. Il figlio di Kenshin e Kaoru...
La prova che la felicità esisteva e doveva solo andarle incontro, con calma, senza sentirsi lasciato indietro, benché a volte percepisse distintamente l'universo conchiuso che è una famiglia. Sì, un passo dopo l'altro. Nel frattempo, si sarebbe impegnato a essere un buon fratello.
Fu con stupore e, in seguito, una certa invidia che assistette al fiorire del suo talento. Era incredibile la facilità con cui apprendeva, improvvisava, apportava migliorie o variazioni appariscenti.
Forse non avrebbe dovuto meravigliarsi tanto; buon sangue non mente. Ma era più forte di lui.
Per arrivare dov'era arrivato, Yahiko Myojin aveva dovuto sudare lacrime e sangue; dopo le basi, a quel fratellino bastava vedere una mossa – col tempo, anche solo sentirne la spiegazione – per eseguirla senza errore. Era anomalo.
Snervante.
Yahiko ammetteva di non avere molta pazienza, ma Kenji ostentava la propria bravura.
Il suo carattere divergeva da quello del padre come il sole dalla luna. O forse... forse assomigliava al Kenshin che nessuno di loro aveva mai conosciuto, il discepolo avventato e litigioso che aveva abbandonato il maestro per gettarsi nella mischia di una guerra. Chi poteva saperlo?
Kenshin stesso, ovviamente. Ma lui non ne parlava, ubriaco di felicità.
Non ne parlò neanche quando Kenji imparò l'ultimo segreto del Kamiya Kasshin. A soli nove anni.
Yahiko rifletté che magari, se avesse staccato gli occhi dalla figuretta vittoriosa, pur sbalordito di trovarsi alla pari con un bambino, avrebbe notato sul suo volto quella ben nota ruga d'apprensione, appena sopra la cicatrice. Però era troppo impegnato a riprendersi dalla sorpresa per farlo.
E ora, dopo alcuni mesi, Kenji stava diventando irrequieto. Era abbastanza evidente, se si sapeva dove guardare.
«A cosa pesi, Yahiko-kun?» chiese Tsubame.
Lui continuò a osservare il fratello che girandolava in giardino, ancora vestito di blu dopo un allenamento.
«E' davvero bravo. Nell'ultimo incontro ero stuperfatta...»
Annuì, scontroso.
«Ora però cosa farà? E' troppo giovane per fermarsi» continuò lei, assorta. «Conoscendolo, vorrà ampliare i suoi orizzonti.»
Era un pensiero ovvio eppure nuovo e Yahiko lo sentì imprimersi a fuoco nel silenzio. Già, Kenji era esuberante, curioso, intelligente, ostinato. Difficilmente diventare il secondo assistente di sua madre l'avrebbe soddisfatto (anche ammettendo che gli studenti permettessero una cosa simile). Avrebbe voluto imparare roba nuova.
Uno stile nuovo.
E all'improvviso fu colto da un cattivo presagio, che gli bloccò le parole in gola e gli impedì di rispondere al saluto di Tsubame, diretta all'Akabeko.
Già, ma a quale stile si sarebbe rivolto?
Vide Kenshin rientrare dal mercato e carezzare la testa del figlio, palesemente annoiato.
A quale?
Pregò che gli dèi non avessero un crudele senso dell'ironia.



   
 
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