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Autore: Juliaw    16/10/2019    1 recensioni
Questa storia è una ripubblicazione di una delle mie vecchie fan fiction pubblicate nell'ormai lontano 2011. Chiamatela una seconda edizione se vi va lol. Con l'approccio imminente dell'ultima serie di questo meraviglioso show, ho pensato di editarla e ripubblicarla, magari ridandomi così l'ispirazione per un continuo! Basata sulla bellissima e leggendaria Season 5, questa FanFic contiene 19 capitoli, il piano è di pubblicarne uno o due se la storia è di vostro gradimento!
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Vidi l’alba, il chiarore del cielo portò con sé colori del tutto innaturali, come innaturale era quello che stava accadendo, sembrava che tutto si coordinava alla perfezione tranne io.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Lucifero, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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Chapter 15 – There’s no place like home

               Benvenuti in California, una scritta corsiva gialla su un cartello blu ci dava il benvenuto nello stato californiano.
Anche se non sapevo dove eravamo precisamente, avevo il cuore in gola al solo pensiero che presto avrei messo di nuovo piede nella mia città natale, e la paura che potesse essere stata rasa al suolo era tanta.
Ci eravamo fermati in parecchie stazioni di servizio e in nessuna di esse avevo trovato un quotidiano il quale parlasse di San Francisco e di una presunta desertificazione, era un buon segno, no? Speravo di tornare a casa, bussare alla porta e riabbracciare mia madre e mio padre così forte da non lasciarli respirare, sognavo di raccontare loro tutta la storia senza tralasciare i particolari, oddio forse mi avrebbero creduta pazza, però non mi sarebbe importato. Ma poi tornai con i piedi per terra e ripensai a quella frase inquietante che mio padre mi disse tramite il mio defunto cellulare in Casper e mi rattristii. Che cosa voleva dire? Non cercarci, non cercarci mai più. Morirete tutti. Non riuscivo a togliermi quelle parole dalla testa, chiusi gli occhi, scossi la testa, mi schiaffeggiai, ma le parole erano come impresse a fuoco nella mia mente, Castiel parve sconcertato quando mi vide fare tutto ciò, ma come spiegare ad un ex Angelo cosa provavo in quel momento? Avrebbe mai capito? Probabilmente no.
L’ansia cresceva mentre i chilometri che ci distanziavano da San Francisco diminuivano e avevo una voglia tremenda di uscire da quella maledetta macchina per prendere un po’ d’aria, ma non dissi nulla, cercai di controllarmi inspirando ed espirando profondamente, dopodiché Sam si accorse che qualcosa non andava e quando si voltò verso di me probabilmente arrossii perché sentii il viso andare in fiamme per l’imbarazzo.


<< Tutto ok? >> Chiese.
<< Sì, sto bene…ma starò meglio quando arriveremo a San Francisco. >>
<< Oh…giusto. C’è qualcosa che posso fare? >>
<< No, non preoccuparti. >>
<< Beh, guarda il lato positivo, ti stiamo riportando a casa, il tuo incubo è finito. >> Le sue labbra si contrassero in un sorriso a trentadue denti che contagiò anche me, ma diversamente dal suo, il mio si spense subito.

<< Facile a dirsi. Non so ancora se ho ancora una città o una casa e mia sorella è scomparsa, non c’è nessun lato positivo. >>
<< Già, forse hai ragione, ma troveremo una soluzione a tutto, vedrai, quando arriveremo a- >> Lo bloccai.
<< Ed eviteremo anche a Lucifero di indossarti e di uccidermi, sì, come no. >> Sospirai nervosamente sprofondando nel sedile a braccia conserte. La speranza stava lentamente abbandonando anche me e non era una bella sensazione, mi sentivo sconfortata e depressa e non vedevo una soluzione a nessuno dei problemi che avevamo, vedevo solo la fine del mondo che sarebbe avvenuta con o senza il corpo di Sam. Lucifero aveva bisogno di me, di me morta e quindi di tutto il mio stramaledetto sangue per essere capace di battere suo fratello, questo significava che avevo un modo di salvare il mondo… Ma quanto coraggio richiedeva? E quante erano le possibilità che Lucifero e Michael non si sarebbero battuti lo stesso, radendo comunque al suolo il mondo? Scossi la testa smuovendo quel pensiero dalla mente.


In lontananza le assi rosse del Golden Gate risplendevano sotto il sole ribollente californiano tipico del mese di giugno, e riflettevano la luce fino a noi. Erano le dieci di mattina quando entrammo nella caotica Market Street, sì, caotica.
Con mia grande sorpresa e probabilmente anche quella degli altri, le strade ripide di Market Street erano più popolate che mai, c’era traffico e milioni di persone affollavano i marciapiedi ai lati della strada muovendosi furtivi tra la folla e sembrando più normali che mai.
E d’un tratto ero fuori, ero fuori da quella famosa dimensione mentale in cui ero finita un mese fa, la dimensione nella quale io ero una bambina che apriva gli occhi ad un nuovo mondo del tutto differente dalla realtà, realtà nella quale io ero semplicemente la studentessa di Science Forense all’Università’ di San Francisco. Era bello essere in grado di sentirsi sé stessi di nuovo.
Era tutto così familiare, così normale e così dannatamente pieno di vita.

<< Città fantasma, eh? >> Chiese Dean mentre suonava ripetutamente il clacson.
Sorrisi. Avevo voglia di scendere e correre verso casa a piedi e anche se era letteralmente dall’altra parte di San Francisco, l’avrei fatto. << È inutile suonare ripetutamente! Non si scioglierà il traffico! >> Dissi ridendo.
<< Adesso capisci perché odio le grandi città e le autostrade? >>
Adesso capivo. Impazienza, insofferenza e totale disaccordo con caos e normalità, beh sì, sembra proprio Dean.
<< Mi aspettavo di trovare una scena post apocalittica, cosa è successo? >> Iniziai a dire.
<< San Francisco era una prova, un test, probabilmente non riuscito. >> Rispose Castiel mentre guardava fuori dal finestrino.
<< E quindi? I Croats? Morti? Come l’hanno spiegato? >> Chiesi tutto d’un fiato.
Castiel fece spallucce. Tutto questo non aveva senso e sinceramente non me ne importava, ero contenta che la mia città fosse ancora li e che dopotutto non fosse cambiato nulla, almeno apparentemente.
<< Julia, mentre cerchiamo di capire dove si trova precisamente Morte, vuoi che ti riportiamo a casa? >> chiese Sam.
Non esitai a rispondere. << Sarebbe fantastico. >>
Incrociammo la Main Street e il ristorante in cui io e Blair avevamo mangiato insieme per l’ultima volta e quel maledetto vicoletto da dove era iniziato tutto, sembrava tutto così normale che quasi faceva paura. Il vicolo era lì silenzioso e c’erano due macchine parcheggiate, una di quelle era la Mercedes rossa decappottabile di mia cugina, il mio cuore si fermò per un secondo quando la vidi e così chiesi a Dean di fermare la macchina e scendendo, mi diressi verso di essa.

Era la solita vecchia lussuosa macchina della mia cugina super ricca, aveva ancora lo strano pupazzetto rosa appeso allo specchietto retrovisore, la busta oro con le scarpe che mi regalò, giaceva ancora nel retro, era come se nessuno avesse cercato di ritrovare e riprendere la macchina, né mia madre, né mio padre e né tantomeno i genitori di Blair. Il pensiero mi fece girare la testa, sbandai e mi appoggiai alla macchina.


Flashback di quello che successe un mese prima iniziarono ad invadere la mia povera mente, era come se ovunque mi girassi vedessi i due Croats che volevano attaccarmi con i loro occhi rossi e la loro tremenda furia omicida, mi coprii gli occhi e tutto intorno a me iniziò a girare vorticosamente fin quando non caddi a terra in ginocchio con ancora le mani sugli occhi. Mi rannicchiai su me stessa come per proteggermi da quel luogo, da quelle memorie, ma fu inutile.

<< Julia, tutto bene? >> Sam mi prese per un braccio smuovendomi dalla mia posizione fetale e costringendomi ad alzarmi, la mia espressione doveva essere quella di puro terrore perché Sam continuava a chiedermi se andasse tutto bene e cos’era che mi aveva spaventata così tanto fin quando non mi guardò dritto negli occhi. Avevo la testa abbassata e guardavo l’asfalto, avevo paura che se avessi alzato la testa, avrei rivisto quella scena, i Croats e Blair che veniva trascinata lontano da me.


<< Julia, guardami ti prego. >>
Scossi la testa. << Non posso. >>
<< Julia, guardami per favore. >> Insistette.
Lo guardai.
<< Hey. >>
<< Portami a casa. >> Lo abbracciai e lui mi accarezzò i capelli ancora sciolti sulla schiena, dicendomi che quella sarebbe stata la prossima meta.
Quando Dean e Castiel videro finalmente tornare me e Sam, emisero un respiro di sollievo. Erano visibilmente scocciati. << Vi sembra il momento di giocare ai fidanzati quando abbiamo questioni più importanti da sistemare? >> Chiese Dean risalendo in macchina.

Sam sospirò e poi anche lui salì in macchina seguito da me e Castiel. << Dean, quello di fronte è il vicoletto in cui salvammo Julia un mese fa, se ben ti ricordi. >>
<< Certo, per questo volevate- >> Lo bloccai.
<< Dean, tu non capisci, credo di essere impazzita. >>
<< Benvenuta nel mio mondo, sai finalmente cosa vuol dire! >> Dean sorrise compiaciuto e divertito. Mise in moto l’Impala e ripartì.


<< Voglio uscirci fin quando sono in tempo. >>
<< Stiamo riportandoti a casa, no? >>
<< Esattamente. >>
<< Visto? Te l’avevo detto che non eri felice qui con noi. >> Disse Sam che si intromise voltandosi verso di me e mostrando un accenno di sorriso sulle sue labbra.
Non dissi niente, e neanche Dean che tornò a concentrarsi sulla strada abbastanza sgombra della Main Street. Eravamo diretti al 95 della McLaren Avenue nel quartiere Sea Cliff a ovest di San Francisco, era lì che si trovava la mia casa. Non trovammo molto traffico ed una volta che entrammo in Sea Cliff, il mio cuore iniziò a battere come un tamburo dentro di me ed un nodo in gola mi impediva di parlare, l’ansia di vedere di nuovo la mia casa dopo un mese era tantissima e le milioni di domande sulla salute dei miei genitori stavano per ricevere una risposta e nonostante il quartiere fosse quello di sempre e c’erano sempre le solite mamme giovani che portavano i loro figli in carrozzine a spasso, era come se qualcosa non andasse.
La signora Masters era ferma al bordo del marciapiede e guardava l’Impala che si muoveva lentamente tra le case di quel quartiere, lo stesso la signora Lewis e sua figlia Elizabeth, era come se avessero appena visto un fantasma.
Mancava una curva e dietro ci sarebbe stata casa mia. Feci un respiro profondo, poi un altro e poi ancora un altro fin quando Castiel non mi guardò e mi chiese se andasse tutto bene, io risposi con un no categorico.


Era una classica casa americana, moderna, su due piani, mattoni gialli e con il tetto marrone, aveva un lungo balcone che affacciava sul retro e quindi sul grande giardino che mio padre amava curare. La prima cosa che vidi fu la macchina di mio padre parcheggiata nel vialetto di casa, il prato cresciuto dall’ultima volta e le siepi incolte. La seconda cosa che mi saltò all’occhio erano dei nastri di plastica gialla che delimitavano la “scena del crimine”, ce n’erano due a formare una x attaccati vicino la porta di legno d’ingresso. Dissi a Dean di fermarsi e come un razzo mi fiondai lungo le scale che portavano alla casa, presi le chiavi secondarie sotto una finta pietra nel vialetto e spalancai la porta e quello che vidi mi sconvolse. Il bellissimo ingresso arredato così meticolosamente da mia madre era rovinato, c’era il piccolo mobiletto basso rivoltato su sé stesso e tutte le cose al suo interno sparse sulla moquette beige, feci due passi e intravidi il salone, anch’esso rovinato, i divani sfoderati e le due credenze spaccate praticamente in due, c’erano tantissimi fogli sparsi un po’ dappertutto, la televisione aveva un buco sullo schermo e il telefono era scollegato.
Non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare, non sapevo cosa pensare. Era come se avessimo subito una rapina, come se qualcuno cercasse qualcosa, ma cosa? E cosa c’entrava con tutto questo?



Sam, Dean e Castiel corsero anche loro all’interno della casa e rimasero alle mie spalle.
<< Julia, hai questa casa e vai in giro con dieci dollari nel portafogli? Con i tuoi soldi potevamo permetterci i grandi hotel durante tutto questo tempo! >> Disse Dean senza il minimo tatto.
<< Dean, e dai. >> Lo ammonì Sam. << Cosa è successo qua dentro? >>
<< Non lo so. >> Mi voltai verso di loro che si guardavano intorno stupiti e disorientati, soprattutto Castiel. Una maledetta lacrima mi rigò il viso, dopodiché salii le scale e mi diressi nella mia stanza, il cassettone era a terra, i miei vestiti sul letto e i cassetti della scrivania aperti. Non avevo nulla nascosto nella mia stanza, niente di particolarmente strano o segreto.
Uscii dalla mia stanza e mi diressi verso quella di Alyson che ormai era una palestra. Li niente era stato toccato, forse perché non c’era praticamente nulla per nascondere qualcosa, ma non si poteva dire lo stesso per la stanza dei miei genitori.
Il materasso poggiato verticalmente alla rete del letto, era bucato in vari punti come se qualcuno lo avesse usato come barriera durante una sparatoria, i cassetti, tutti, compresi quelli del grande armadio a muro in legno chiaro, erano aperti e tutto il loro contenuto riversato dappertutto in quella stanza. Infine, feci l’errore di guardare cosa c’era dietro il materasso e per poco non svenni.
Una pozza di sangue vecchio era lì sulla moquette chiara della stanza, dei miei genitori non c’era traccia, solo sangue. Ebbi un momentaneo capogiro che mi fece sbandare, feci qualche passo indietro e mi appoggiai al materasso che ricadde sulla rete nella sua posizione naturale.
Non capivo, non riuscivo a capire per quale motivo qualcuno era entrato nella nostra casa mettendo a soqquadro ogni stanza e possibilmente uccidendo anche i miei genitori. Eravamo una famiglia normalissima, con una normalissima vita e con i normalissimi problemi di tasse e bollette, perché allora tutto d’un tratto avevo la sensazione che dopotutto quella in cui avevo vissuto era solamente una farsa?


<< Julia? Julia Wyncestre? >> Era la voce della signora Lewis che si avvicinava sempre di più al luogo in cui mi trovavo io. << Oddio Julia! Tutti qui ti credevano morta! >>
Mi alzai dal letto e andai incontro la signora Lewis trascinandola fuori da quella stanza. << Sono viva. >>
La signora Margaret Lewis era la rinomatissima pettegola del quartiere, conosceva ogni cosa di chiunque in quel vicinato, qualunque cosa lei la sapeva e non perché gli altri le parlavano delle loro cose, semplicemente perché aveva un orecchio attento e un occhio fin troppo vigile e purtroppo anche sua figlia Elizabeth era sulla buona strada per ricevere l’eredità innata della madre.
<< Lo vedo cara! Dopo che l’orribile virus terrorista ha colpito- >>
<< Virus terrorista? >> Chiesi sorpresa.
<< Sì, non li hai visti i telegiornali? Dove sei stata tutto questo tempo? >>
<< Fuori città. >> Risposi in tono severo.
<< Il virus che i terroristi hanno impiantato a San Francisco per qualche strano esperimento segreto, ha infettato ed ucciso molte persone, il virus era capace di rendere violente le proprie vittime, sono stati giorni di terrore, >> mi chiesi come diavolo erano riusciti a trasformare un virus demoniaco in un virus terrorista, insomma i governi dovevano essere proprio nella merda fino al collo e non aver nessun indizio di cosa fosse realmente per aver mandato in giro quella notizia assurda. << Poi per fortuna l’emergenza è passata, >> continuò. << È stata una cosa terribile, la città ha subito troppe perdite e i tuoi genitori…ah, una gravissima perdita. >>
La bloccai. << I miei genitori, tu sai qualcosa? Dimmelo ti prego. >> Presi per le spalle la signora che sembrò un po’ sorpresa, dopodiché Sam, Dean e Castiel mi raggiunsero.
<< Julia? >> Mi chiamò Sam.
Mi voltai verso Sam. << Va tutto bene. >> e poi ritornai a concentrarmi sulla Signora Lewis. << Signora Lewis, devo sapere dei miei genitori, la prego. >>
<< Ma cara…non lo sai? >> Sembrava preoccupata e allo stesso tempo sconvolta.
<< No, cosa?! >> Quasi urlai.
<< Ma…ma.. che sono morti. >>

E fu come se tutto il peso del mondo d’un tratto mi fosse caduto sulle spalle e mi fece sentire minuscola, piccola come una formica insignificante, tutta la mia vita, tutti i miei sogni, tutte i miei obbiettivi improvvisamente distrutti. La mia vita era finita, non avevo più una famiglia. Cavolo, era difficile ammetterlo ma era la fottuta verità. Iniziai a piangere ininterrottamente e a singhiozzi, dovevo essere un brutto spettacolo e un patetico disastro tra le braccia di Sam, di nuovo, come se ormai lui fosse lì solo per confortarmi. Potrei giurare di aver sentito il tocco di Dean e perfino quello di Castiel sulla mia schiena mentre avevo la faccia sul petto di Sam, era come se volessero farmi capire che loro c’erano ed erano lì per me nonostante la situazione di merda in cui eravamo.

<< Julia, mi dispiace tantissimo, credevo che la polizia ti avesse chiamato. >> La signora Lewis si scusò con tono colpevole. Il mio fottuto cellulare è in mille pezzi in un motel in una città sconosciuta, pensai.
<< Come è successo? >> Chiesi tra un singhiozzo e l’altro, e con la voce camuffata visto che avevo ancora il viso affondato nel petto di Sam.
La signora Lewis con tono pacato e preoccupato mi disse quello che aveva saputo grazie alle sue tecniche di seduzione usate su uno dei poliziotti affidati al caso, ovvero che c’era stata una sparatoria. Due sconosciuti, si erano introdotti in casa e l’avevano messa a soqquadro, probabilmente in cerca di qualcosa e i miei genitori avevano reagito iniziando a sparare, ma purtroppo i due avevano avuto la meglio su di loro, aggiunse inoltre che c’era uno strano particolare che incuriosiva molto i poliziotti, i proiettili che avevano sparato i miei, erano di sale.



Ed eccomi tornata. Di nuovo rigettata nella cara vecchia dimensione del sovrannaturale, chissà forse era proprio a quella a cui io appartenevo e la normalità dell’altra mia, aveva semplicemente adottata, presa in prestito.

Lo shock della perdita dei genitori è estremamente difficile da superare e non sapevo se ci sarei mai riuscita, ma digerire il fatto che mia madre e mio padre potessero essere cacciatori era ancora peggio, non potevo crederci che per ventitré anni ero stata all’oscuro di tutto. Era un pensiero terribile sapere che probabilmente lavoravano in segreto e di notte per andare a caccia di mostri mentre io e mia sorella eravamo al caldo sotto le coperte dei nostri letti e che erano riusciti a nascondere il loro segreto per così tanto tempo e così bene che quasi mi faceva dubitare della personalità di mia madre e di mio padre. Insomma, come potevo ancora credere che la faccia sorridente di mia madre di prima mattina e quella di mio padre mentre preparava i pancake era la loro vera faccia? Non potevo, tutto questo era davvero troppo, insomma avevo appena scoperto che i miei genitori erano una sorta di agenti segreti del sovrannaturale!
Iniziai a correre per tutta la casa rovistando in ogni angolo per trovare un posto segreto dove avrebbero potuto tenere le loro armi, le loro strategie segrete e tutto quello che avrebbero potuto sapere, una parte di me sperava che non avrei mai trovato nulla per rimanere nel dubbio, ma quello che trovai nel seminterrato fece andare via ogni dubbio sulla vera personalità dei miei.
Era una porta, una porta nascosta così maledettamente bene dietro una vecchia libreria vuota.
Una di quelle porte a scorrimento camuffate in una parete azionabili grazie ad un mattone diverso dagli altri, credevo che queste cose si vedessero solo nei film, ma invece ne avevo una proprio nel seminterrato di casa mia, che fortuna!


Non avevo mai amato il seminterrato, avevo sempre avuto paura fin da bambina, e adesso probabilmente capivo il perché.
<< Julia, aspetta. Sei sicura di voler entrare lì dentro? >> Chiese Sam prendendomi per un braccio mentre stavo per entrare nella stanza scura che mi precedeva.
Lo guardai. << Devo sapere. >>
C’era solo lui. Dean e Castiel erano scomparsi.
Con lo sguardo fisso su di lui annuii e poi mi lasciò andare. << Ti dispiace venire? >>
Accennò un sorriso. << Certo che no. >> Mi prese per una mano e mi guardò dall’alto verso il basso, il suo sguardo profondo e celato dietro gli occhi più verdi che avessi mai visto, mi davano coraggio, così iniziai a camminare nel buio profondo testando le pareti in cerca di un interruttore quando finalmente lo trovai, una luce accecante illuminò la stanza.
La stanza era tutta bianca, pareti, pavimento e mobili, c’era un tavolo enorme al centro della stanza praticamente vuoto. Due librerie di metallo occupavano l’intera parete destra della stanza ed erano ricolme di libri, ricordavano quelle della casa di Bobby, solo che queste erano più moderne. Sulla parete sinistra c’era un mobile lungo aperto con al suo interno armi di ogni genere, fucili, pistole, pugnali e centinaia di bottigline di acqua santa.


<< Come e’ possibile tutto questo? >> Chiesi a me stessa.
<< Forse te l’hanno tenuto segreto per proteggere te e Alyson. >>
<< Avrebbero dovuto dirmelo! >> Battei le mani sul tavolo.
<< Julia, volevano solo darti una vita normale, deve essere stato difficile per loro lavorare in segreto e devi essere grata di quello che hanno fatto. I tuoi genitori ti amavano e hanno voluto donarti la normalità che a me e Dean fu negata, ritieniti fortunata. >> I suoi occhi erano pieni di malinconia ma non dissi niente, mi passai la mano tra i capelli e girai su me stessa due volte prima di vedere un foglio bianco poggiato su uno dei libri sugli scaffali, mi avvicinai incuriosita e lo afferrai. “Julia & Alyson”. Era una lettera, un po’ ingiallita e all’esterno non c’era scritto più nulla, con un nodo alla gola l’aprii. Era datata 2007, l’avevano scritta due anni fa, come se sapevano che questo giorno sarebbe arrivato.



19 Ottobre 2007
“Carissime figlie, se state leggendo questa lettera probabilmente significa che il peggio è
purtroppo accaduto. In questo momento sarete arrabbiate, confuse e forse deluse,
ma sappiate che se ve l’abbiamo tenuto segreto era solo per il vostro bene, volevamo donarvi una vita normale, una diversa da quella vissuta da noi.
La famiglia Wyncestre è una famiglia di Cacciatori del sovrannaturale dal 1910, ma quando io e vostra madre ci siamo conosciuti, ho buttato tutto alle spalle, ho lasciato il business della caccia e ho cercato di intraprendere una vita normale, ci siamo riusciti per ben 19 anni, la nostra vita era perfetta, fin quando il passato è tornato a farci visita. Vostra madre mi ha aiutato a sconfiggere i miei demoni e così facendo, anche se non ero per niente d’accordo, abbiamo iniziato a uccidere mostri durante i mesi, giorni o settimane in cui voi non c’eravate, era diventato come un secondo lavoro. È stato difficile mantenere il segreto ma stava andando tutto bene. Julia, Alyson, i mostri, i fantasmi, le cose di cui avevate paura quando eravate bambine, sono tutte vere. So che è difficile da capire, spiegare e perfino crederci, ma è la verità.
Ci dispiace tantissimo che stiate leggendo questa lettera, non volevamo succedesse mai, ma adesso è troppo tardi per le scuse, non doveva andare così, non doveva succedere ma il destino l’aveva stabilito e noi non siamo stati capaci di cambiarlo.
Vorremo essere lì con voi e stringervi forte, vorremo sentirvi urlare mentre cercate di capire cosa realmente sta succedendo, ma questo non è possibile. Alyson, Julia, vi abbiamo sempre amato con tutto noi stessi, siete delle figlie straordinarie, siamo stati fortunati ad avervi, e sappiate che siamo infinitamente orgogliosi di voi e non rinneghiamo nulla di quello che avete fatto e ricordate sempre che gli errori commessi nelle vostre vite adesso non sono più errori bensì esperienze da tenere strette nel proprio bagaglio di vita personale perché sono proprio quelle che ci aiutano a crescere e ci aiutano ad andare avanti nel momento del bisogno. Probabilmente un giorno, quando avrete una famiglia vostra, capirete il perché di tutto questo, ma fino ad allora non vi chiediamo di capire, ma solo di accogliere nella vostra vita questo pezzo della nostra famiglia che è stato con noi per generazioni e generazioni.

Vorremo che la tradizione si spezzasse, ma questo non sta a noi deciderlo.
Con affetto, Mamma e Papà.”

Piangevo mentre leggevo la lettera.
Sentii la mano di Sam toccarmi la schiena, sì, lo so sei qui con me. Pensai.
Mi voltai verso di lui e mi ci fiondai tra le sue braccia ancora una volta, per l’ennesima volta e per quanto stupida potessi sembrare non me ne importava, avevo bisogno di due braccia che mi tenevano stretta. La lettera parlava di destino, di generazioni di cacciatori. La testa mi girava e quasi svenivo.
Quando finalmente mi ripresi, chiesi con voce camuffata dal pianto: << dove sono Castiel e Dean? >>
<< Sono tornati in città per cercare Morte. >> Rispose Sam in tono deciso e pacato.
Annuii asciugandomi le lacrime con le mani, non mi sarei sorpresa se Sam mi vedesse ormai come una debole, probabilmente era quello che ero.



Wyncestre, era il titolo del libro sul quale era stata poggiata la lettera, era stato fatto di proposito, il libro spiegava la storia della nostra famiglia che come scritto nella lettera, era una famiglia di cacciatori dal 1910 ovvero da quando il mostro, figlio di Genevieve Wyncestre aveva stuprato sua sorella minore donandole un bambino, era da allora che il sangue demoniaco scorreva nella famiglia Wyncestre, l’ultima generazione risaliva al 1958 ovvero quando mio padre George Wyncestre era nato. Dopo di lui, nessun’altro aveva portato avanti l’albero genealogico che si trovava dietro il libro. Mi chiesi come mai mia madre fu trasportata dentro tutto quel casino, ma poi mi risposi da sola, per amore.
Posai il libro nella libreria e tornai di sopra nella mia stanza per prendere dei vestiti puliti, feci una doccia veloce e cambiai la mia borsa marrone con una molto più grande e capiente, presi qualche maglia, due jeans e della biancheria intima, aprii il salvadanaio dei miei risparmi e i cento dollari che c’erano al suo interno li misi nel portafoglio, dopodiché mi riversai nello studio di mio padre e aprii la cassaforte dietro la riproduzione di un quadro di Picasso e portai con me tutti i risparmi della famiglia e anche quelli che avrebbero dovuto servirmi per l’ultimo anno di università. Diedi uno sguardo allo studio messo a soqquadro e di una cosa fui sicura, qualunque cosa i demoni stessero cercando non erano soldi.



Prima di uscire da quella stanza, guardai il modellino della Chevrolet Impala del ’67 che mio padre aveva posizionato su uno degli scaffali in ebano del suo studio e lo presi.
Sam iniziò a chiamarmi insistentemente, la sua voce proveniva dal salone dove mi ci fiondai non appena chiusi la porta dello studio.
<< Cosa c’è? >> Chiesi una volta nel salone.
Sam si voltò verso di me dopodiché spostò il suo sguardo verso Bobby che era lì, sull’arco della porta principale, sembrava confuso e disorientato. Il cuore iniziò a palpitare forte quando vidi Alyson che era di fianco a Bobby altrettanto confusa e altrettanto disorientata. I suoi capelli erano gonfi e disordinati, fu tutto quello che notai prima di iniziare a parlare.

<< Co…? >> Le parole non uscivano, erano bloccate, bloccate dalla sorpresa.
<< Non lo so, li ho trovati qui. >> Spiegò Sam stringendosi nelle spalle.
<< Ma che cavolo sta succedendo qui? >> Urlò Bobby in tono rude.
<< Alyson? >> Corsi verso di lei, << Alyson! >>

Mia sorella spalancò gli occhi e scavalcando tra il macello che c’era in salone mi raggiunse in corridoio per abbracciarmi forte. << Julia! >>
<< Mi sei mancata così tanto, come sei arrivata qui? >> Ero di nuovo in grado di guardarla nei suoi occhi verdi, era finalmente tornata, la mia sorellina era viva e stava bene, e averla tra le mie braccia ed essere capace di sentire il suo tocco di nuovo era bellissimo, una sensazione di puro sollievo.
<< Eravamo prigionieri. >> Disse Alyson mentre aveva ancora il mento poggiato sulla mia spalla.
<< Oddio! Stai bene? Come siete scappati? Oh Alyson, abbiamo tantissimo da dirci. >> E probabilmente la prima cosa, sarebbe stata dirle dei nostri genitori.
<< È stato terribile Julia… >>
La bloccai. << Alyson, l’importante è che tu stia bene. >>

Si staccò dal mio abbraccio. << Julia, sapresti spiegarmi cosa diavolo è successo qui dentro? >>
Sospirai e inizia a raccontarle tutto. La sua espressione passò da interessata a stupita e da stupita a delusa, triste e sconvolta. Le mostrai la lettera e lei urlò, urlò e le lacrime iniziarono a scendere dai suoi occhi incessanti come un fiume in piena, si chiedeva il perché, diceva che si sentiva in colpa e che avrebbe dovuto saperlo o che almeno io avrei dovuto sospettarlo in quanto, secondo lei, possedevo l’intuito dell’investigatore, ma invece no, neanche io ne avevo la minima idea.
Stropicciò la lettera e la bagnò di lacrime prima di porgermela di nuovo e alzarsi dal pavimento. La imitai, dopodiché si lanciò tra le mie braccia ancora in lacrime e frustrata.


<< Julia… >> Mi sussurrò all’orecchio, << voglio trovare chi li ha uccisi, non voglio che la tradizione si spezzi, essere cacciatrici è nel nostro sangue? Ebbene, così sia. >>
Annuii e la guardai. << Conta pure su di me. >>
Ritornammo in salone e Bobby e Alyson iniziarono a raccontarci tutto.
Erano stati prigionieri in una prigione buia e cupa, non sapevano esattamente dove si trovassero, ma il loro rapitore, che stando alla vivida descrizione data da Alyson sembrava essere Gabriel, non voleva fargli del male, piuttosto tenerli lontano dall’Apocalisse.

Sam si allontanò dalla stanza per chiamare Dean e renderlo partecipe della ricomparsa di Bobby e Dean.
<< Ok, quindi Gabriel vi ha tenuto prigionieri chissà dove per nascondervi da Lucifero? >> Iniziai cercando di capire.
<< Sì, è stato assurdo, ero in una fabbrica, Blair mi aveva presa e torturata, mi aveva detto che Lucifero aveva piani per me, che ero importante, poi Bobby era con Rufus, sono apparsi all’improvviso e hanno combattuto dei demoni, tra cui anche Blair, quando una fortissima luce bianca ha preso me e Bobby e dopo ci siamo ritrovati rinchiusi in questa strana cella nel mezzo del nulla. >> Spiegò Alyson, sembrava ancora scossa quando parlava di demoni, dopotutto era relativamente nuova al mondo del sovrannaturale.
<< Bobby mi ha spiegato tutto, di quello che fa, dei Winchester, dell’Apocalisse, >> Fece una pausa, << mi ha detto che Blair è posseduta da un demone… Come ce la riprendiamo?>>
<< Non lo so, ma è sulla mia lista. >> Dissi.
Sam ritornò nel salone e confuso guardò Bobby. << Fammi capire una cosa, Bobby, l’ultima volta che ti ho visto, eri su una sedia a rotelle, come mai ora cammini? >>
Bobby si strinse nelle spalle e aggiunse: << Il tocco angelico, credo. >>
<< È bello rivederti camminare! >> Sam diede una pacca sulla spalla di Bobby e poi chiese: << Quindi Gabriel vi ha spiegato per quale motivo vi ha tenuto prigionieri? >>

<< Ha detto che io ero solo un danno collaterale, che non intendeva prendere anche me, ma solo Alyson per tenerla lontana da Lucifero e i suoi maledetti piani. >>
<< Ma perché solo Alyson, perché non nascondere anche Julia? >>
<< Ha detto che lei era con voi. >> Si intromise Alyson. << Mi ha detto tutto, mi ha spiegato cosa Lucifero vuole fare con noi nel caso non riuscisse a prendere il suo vero…tramite. >> Alyson si alzò dal divano e iniziò a girare su sé stessa.

<< Scusate, per me è ancora tutto così assurdo. Insomma.. Lucifero? L’Apocalisse? Il mio sangue? Ma che cavolo…? E pensare che i nostri genitori sapevano tutto. >> Considerando la mia reazione al mondo del sovrannaturale, direi che Alyson se la stava cavando piuttosto bene, ma la comprendevo e forse ero l’unica capace di farlo.
<< Alyson, lo so, anche per me è stato uno shock scoprire tutto. >> Le dissi incitandola a sedersi.
<< Come diavolo siete scappati? >> Chiese Sam.
<< Siamo riusciti a rompere le catene con cui ci aveva incatenato e siamo fuggiti. Ci siamo ritrovati in Nebraska, ho rubato la prima macchina che ho trovato e ci siamo subito messi in marcia per San Francisco perché Alyson voleva sapere dove fosse sua sorella e i suoi genitori. >> Spiegò Bobby.
<< Se non fosse stato per Bobby e Rufus, probabilmente sarei morta in quella fabbrica in Nevada. >> Alyson guardò Bobby con gratitudine nei suoi occhi.

<< Io ero in Nevada, ti avevo quasi trovata Aly, poi che è successo? >>
<< Gabriel, penso, è arrivato dal nulla e ci ha trasportato via da quel posto. Il resto lo sai. >>
Scossi la testa, non potevo crederci che Alyson era viva ed era li in grado di raccontare la storia. Ero debitrice a Gabriel per averla tenuta lontano da tutto questo, anche se non capivo bene i suoi modi.

Alyson ruppe il silenzio. << E quindi? Sam, sei Sam giusto…? >> Chiese puntandogli il dito contro.
<< Sì, sono io. >>
<< A quanto ho capito sei l’unico che può salvare il culo a tutti senza che io e mia sorella ci facciamo uccidere, quindi perché non lo fai? >>
Rimanemmo in silenzio. Bobby sapeva, io sapevo e Sam sapeva, ma evidentemente Alyson non ne era al corrente. Feci per spiegarlo, ma la porta d’ingresso di casa sbatté violentemente, dopodiché passi veloci si fecero strada nel salone dove io, Sam, Bobby e Alyson eravamo seduti sui due divani sfoderati.
<< Bobby! Ma allora è vero! >> Era Dean che ad occhi spalancati guardava Alyson e Bobby in alternanza.
<< Hey ragazzo! Che bello rivederti! >> Bobby si alzò dal divano e abbracciò Dean.
<< Cammini! >> Notò.
<< Certo che cammino, neanche una coltellata alla gamba può fermarmi! >> Disse Bobby staccandosi dall’abbraccio.
Castiel e Dean si accomodarono anche loro nel salone rovinato di casa mia e lì spiegammo tutta la storia.
<< Quindi tu sei Alyson? >> Chiese Dean guardando mia sorella. Alyson annuì. << Mi fa piacere che stai bene. >>
Ci fu un momento di silenzio, non sapevamo cosa dire, cosa aggiungere. Ma una questione rimaneva, dovevamo ancora trovare l’anello dell’ultimo Cavaliere, Morte.
<< Morte non è a San Francisco. >> Castiel ruppe il silenzio.
<< Sì, infatti, a quanto pare ci sono solo tantissimi mietitori, pronti per quello che accadrà. >>
Dean guardò Sam e poi aggiunse: << Morte è a Chicago. >>




Eravamo in giardino, io e Alyson, a guardare il nulla, sedute sui gradini a parlare senza guardarci, farci domande sui nostri genitori e non trovare nessuna risposta in quella che era una normalissima notte d’estate in California. Cos’era rimasto di normale nella mia vita? Praticamente nulla, la mia vita non era mai stata normale dopotutto, avevo vissuto in una menzogna fino a quel momento, all’oscuro di un segreto il quale covo era proprio sotto il mio naso.
Sia io che Alyson avevamo parlato con tutti i vicini che erano venuti a darci le condoglianze e scoprimmo che tutti ci credevano morte e che avevano perfino organizzato una veglia in nostro onore. Credevano che il virus terrorista aveva infettato anche noi però erano felici di rivederci, dicevano…ma quanta gente falsa viveva in quel diavolo di vicinato? Tutti ricconi con la puzza sotto il naso, tutte sgualdrine che persuadevano i poliziotti solo per conoscere la storia dietro un omicidio. Per non parlare dei loro figli e figlie, spesso credevo di essere l’unica ragazza normale e semplice in quel vicinato, erano sempre tutti acchitati e messi in tiro anche solo per andare alla casa accanto, avevano almeno tre o quattro relazioni al mese e facevano festa praticamente ogni giorno…ma basta parlare del mio vicinato, non ci sarei ritornata comunque, anche se un giorno avessi di nuovo visto la normalità nella mia vita, no.


<< Hey. >> Dean ci raggiunse in giardino. << Tutto bene voi due? >> Chiese lasciandomi un po' perplessa, di solito era Sam quello che faceva queste domande.
<> Risposi.
<< Appena abbiamo finito di fare rifornimento, andiamo a Chicago. >>
<< Lo so. >>
<< Bene. >>
<< Bene. >>
Non sapevo cosa dire. Avrebbero visto la fine di quella storia e non c’era niente per fermarli.
Ritornammo dentro e Sam, Dean e Bobby erano lì nella nostra cucina che preparavano le loro sacche, presero qualche cosa da mangiare da dentro i mobili e vidi sul tavolo tutte le armi che avevo visto all’interno della stanza segreta dei miei.
<< State svuotando l’arsenale dei nostri genitori? >> chiesi un po’ irritata.
<< A loro non mancherà e poi siete voi le prossime cacciatrici della famiglia Wyncestre, non è così? >> Rispose Castiel mentre passava ancora tre fucili a Dean.
<< Non è detto… >> Disse Alyson con un filo di voce. << Però, cavolo, Dean, potresti avere leggermente più tatto, erano sempre i nostri genitori per diamine! >>
Non dissi nulla, lasciai parlare Alyson che sembrava gestire bene la situazione molto meglio di quanto io avrei fatto e vederla battibeccare con Dean non faceva altro che aumentare la stima che avevo nei confronti di mia sorella.

<< Che ho detto? >>
<< Ma niente, parli solo dei nostri genitori come se noi non fossimo qui. >> Alyson strinse gli occhi e alzò una mano in segno di protesta.
<< Non ho detto nulla dei tuoi genitori. >> Dean parve confuso, ma non disse nulla, fece un sospiro e aggiunse solo: << Ascolta, mi dispiace che siano morti, davvero, ma tutte queste armi potrebbero servirci, insomma li stimo, hanno un arsenale migliore del nostro. >> Disse Dean cercando di scusarsi.
<< Non ti conosco, quindi questa volta la lascio passare, ma fai molta attenzione a come parli, Winchester. >> Lei sì che sapeva tenergli testa.
Dean la guardò e poi sorrise sotto i baffi.
Castiel, Sam, Dean e Bobby si avviarono verso la porta senza dire nulla. Io e Alyson rimanemmo a guardarci. Un buco allo stomaco mi ricordava che forse sarei dovuta rimanere, mettere la casa a posto, forse venderla, magari parlare con la polizia dell’accaduto e farmi vedere dai miei amici così che non pensassero che fossi morta, ma d’altro canto, come potevo lasciare i fratelli Winchester dopo tutto quello che avevano fatto per me? Come potevo permettere a Sam di farsi indossare da Lucifero senza neanche provare a fermarlo quando in fin dei conti io ero l’altra soluzione?

Semplicemente non potevo, così con un cenno a mia sorella, mi alzai dal divano e mi avviai verso la porta di casa, lei mi seguì a ruota e quando entrambe eravamo fuori dalla nostra casa, diedi un ultimo sguardo veloce, come se non volessi vederla mai più, ma in fondo sapevo che mi sarebbe mancata e mi sarebbero mancate tutte le giornate passate al suo interno. Avevo preso tutto quello che potevo portare e avevo messo il tutto in un borsone da viaggio per ricordarmi di essa e dei miei genitori, forse un gesto stupido ma che per me valeva moltissimo. Chissà forse era sempre il mio lato sentimentale a farmi rimanere legata alle cose belle del passato, dovevo migliorare, dovevo diventare più forte, volevo diventare più forte, perchè se davvero avrei intrapreso la vita della cacciatrice non ci sarebbe stato tempo per sciocchi sentimentalismi e lacrime facili.

Quando le ripide discese e le alte salite erano ormai tutte passate, seppi che eravamo fuori da San Francisco e in rotta Chicago, uno degli ultimi tasselli prima della fine.
   
 
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