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Autore: evelyn80    16/10/2019    7 recensioni
Nel dicembre del 1974, i Chicago si esibiscono in un concerto registrato per uno speciale televisivo che andrà in onda la sera della vigilia di Capodanno. Ne succederanno di tutti i colori, ma gli otto ragazzi non perderanno mai l'affetto che provano l'uno per l'altro.
Prima classificata al contest "Calendario dell'Avvento", indetto da Carmaux e Soul_Shine sul forum di EFP
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Make me smile'
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La spumeggiante vigilia di Capodanno dei Chicago

 

 

Los Angeles, giovedì 12 dicembre 1974

 

In piedi davanti a uno specchio, nel camerino che era stato loro riservato negli studi della Metro-Goldwyn-Mayer, Walter finì di allacciare il papillon nero attorno al collo. Con mosse abili strinse il farfallino, aggiustandone poi le pieghe con le dita, e infine infilò un garofano bianco nell'occhiello del frac. Mentre ne sistemava con delicatezza i petali prese a fischiettare “Deck the halls”, una vecchia canzone natalizia che ricordava con piacere da quando era bambino, ondeggiando al ritmo delle note. *(1
Terry, già pronto da qualche minuto e stravaccato su una poltroncina di velluto beige, la gamba sinistra appoggiata sopra il bracciolo imbottito, prese la chitarra acustica dal suo supporto vicino al muro e la imbracciò, accompagnando il fischiettio dell'amico strimpellandone le corde. Peter, che aveva appena finito di acconciare il suo voluminoso caschetto di capelli biondi spruzzandoci sopra quasi un'intera bomboletta di lacca, si unì al duetto iniziando a cantare con la sua voce acuta.
«Deck the halls with boughs of holly, fa la la la la, la la la la», cinguettò scuotendo la testa. I suoi capelli si mossero tutti insieme senza scomporsi di una virgola, incollati dalla lacca.
A quella vista Lee scoppiò a ridere. La sua massa di capelli ricci gli ricadeva in onde scomposte sulle spalle, contrastando con il rigore dell'abito scuro che indossava. «Peter, non pensi di aver esagerato con quello spray? Domani, per pettinarti i capelli, avrai bisogno di uno scalpello!».
Il bassista tornò a controllarsi in uno degli specchi, accostando il viso a quello di Danny che stava cercando disperatamente di allacciarsi il papillon, e che gli lanciò uno sguardo carico di invidia per la sua capigliatura fluente. I capelli del batterista avevano già iniziato a diradarsi ed era costretto a cotonarli per nascondere l'incipiente calvizie; e per questo tutti i suoi compagni di band erano oggetto della sua gelosia per via delle loro chiome folte e rigogliose. *(2
«Tu dici?», chiese Peter, portando entrambi i palmi sotto i capelli e muovendoli delicatamente verso l'alto, facendo ondeggiare tutta la massa all'unisono. «A me sembrano perfetti».
Lee rise ancora, questa volta imitato da Laudir che, fiero delle sue origini brasiliane, sfoggiava una perfetta pettinatura afro che non aveva bisogno di nessun ritocco.
Danny sbuffò. «Uffa! Possibile che io non riesca ad allacciarmi questo stupido farfallino? Peter, smetti di sistemarti i capelli e dammi una mano, piuttosto. Sei peggio di mia madre quando torna dal parrucchiere!».
«Ti aiuto io», disse James, posando le forbicine con cui aveva appena finito di spuntarsi la barba. «Tanto sono pronto». Il trombonista si accostò all'amico e, in pochi secondi, fece un fiocco perfetto attorno al collo di Danny. «Ecco fatto!», esclamò, soddisfatto della sua opera.
Il batterista fissò sia il proprio papillon, sia la chioma rigogliosa dell'amico – con invidia – nello specchio, poi ringrazio James e prese a pettinarsi i suoi lunghi baffi. Almeno, quelli continuavano a essere folti.
Terry non aveva smesso di strimpellare la chitarra mentre fissava sorridendo i suoi amici. «Ehi Danny, Jimmy... ma non vi danno fastidio quei peli sotto al naso?».
«Parla quello che due anni fa sembrava un orso con la scabbia!», esclamò James scoppiando a ridere, riferendosi all'improvvisa passione per baffi e barba esplosa nel chitarrista un paio d'anni prima, e che si era conclusa tragicamente per via di un'irritazione cutanea, causata da un'allergia ai crostacei, che lo aveva fatto riempire di pustole pruriginose su tutta la faccia.
Anche Terry rise, grattandosi di riflesso il labbro superiore al ricordo di quanto aveva sofferto, prima di essere obbligato dal medico a radersi completamente. *(3
In quel momento Robert fece il suo ingresso nel camerino, una bottiglia di champagne francese in mano e una confezione di bicchieri di plastica nell'altra.
«Siete ancora qui? Io vi aspettavo per brindare!», disse, facendo ondeggiare la bottiglia.
«Non scuoterla, oppure quando la stapperai ci farai la doccia», replicò Walter, indicando il recipiente di vetro. Peter, che temeva per la tenuta della sua acconciatura, si allontanò di corsa.
«E poi non dovremmo bere prima di suonare», aggiunse Danny, posando il pettinino. «Già sarà abbastanza strano dover fingere che sia la mezzanotte dell'ultimo dell'anno alle tre di pomeriggio e con una ventina di giorni in anticipo. Figuriamoci se ci scoliamo tutta quella bottiglia prima di iniziare il concerto!».
«Guarda che siamo in otto», gli fece notare James. «Ce ne toccherà sì e no mezzo bicchiere a testa».
Robert mise in fila i bicchieri e stappò la bottiglia, suddividendone il contenuto e confermando la previsione del trombonista. Terry posò la chitarra, si alzò dalla poltroncina, prese il suo bicchiere e lo scolò tutto d'un fiato, per poi mollare un potente rutto subito seguito da un altrettanto squassante peto pestilenziale.
«Questo non è un camerino, è la gabbia di uno zoo», commentò Walter, sventolandosi la mano davanti al naso per mandar via la puzza. «Terry, sei veramente un animale!».
«Sì, un orso con la scabbia», ripeté James scoppiando di nuovo a ridere.

 

Dopo aver bevuto il loro champagne, gli otto ragazzi si apprestarono a uscire dal camerino per andare nello studio n° 5, dove si stava per registrare lo speciale televisivo “La spumeggiante vigilia di Capodanno di Dick Clark”; che quell'anno si sarebbe intitolato, in realtà, “La spumeggiante vigilia di Capodanno dei Chicago”, perché loro sarebbero stati i protagonisti assoluti dello speciale, insieme ad altri ospiti di riguardo come i Beach Boys e altri personaggi di spicco del mondo della musica. Il loro concerto sarebbe stato trasmesso in televisione a livello nazionale sulla ABC, un'occasione unica nel suo genere per farsi conoscere da tutti. *(4
Quando Terry afferrò le sue chitarre per le tastiere, l'acustica nella mano destra e l'elettrica nella sinistra, Peter storse il naso.
«Davvero vuoi usare quell'obbrobrio di chitarra? Guarda che andremo sulla TV via cavo e ci vedranno milioni di persone!».
Il chitarrista lanciò un'occhiata distratta alla sua Fender Telecaster ricoperta di adesivi degli amplificatori Pignose e si strinse nelle spalle. *(5
«E chi se ne frega? A me piace e quindi la uso».
Peter fece roteare gli occhi ma tenne per sé i suoi commenti poco lusinghieri sulla chitarra. Il suo basso era tutto l'opposto, pensò guardandolo con amore: lucido e splendente, bello proprio come lui.
«A proposito dello show», disse James, la coulisse del trombone che gli sbatteva di continuo contro la gamba destra facendolo camminare a saltelli. «Avete sentito che ci sarà anche Olivia Newton-John?».
«Gran bel pezzo di donna, quella! Me la porterei volentieri a letto», esclamò Lee con occhi sognanti.
«Ma sta' zitto, che non hai avuto il coraggio di farlo nemmeno con Janis Joplin!», lo canzonò Walter, puntandogli l'indice contro.
«E meno male, che non ne ho avuto il coraggio!», replicò il trombettista. «Quello che, di noi, c'è andato a letto, la mattina dopo sembrava che fosse stato a dormire nella gabbia di una tigre».
Walter arrossì fino alla radice dei capelli. Ricordava benissimo come era andata a finire quella notte assurda: Janis lo aveva dominato per tutto il tempo, scorticandogli schiena e pettorali con le unghie da gatta che si ritrovava. *(6
Per qualche istante calò il silenzio, tutti i membri della band intenti a dire una preghiera per la cantante prematuramente scomparsa, poi fecero il loro ingresso nello studio e rimasero senza fiato.
La grande sala era stata riempita di tavoli rotondi ricoperti di lunghe tovaglie candide, come se si fosse trattato di un ristorante di lusso. Dietro il palco, dei fondali rappresentavano le facciate di alcune case eleganti, dando l'impressione di trovarsi nella piazza di un paese. Seduti su sedie altrettanto bianche, si trovavano decine e decine di comparse vestite elegantemente, intente a fingere di partecipare a un veglione. Telecamere e operatori erano sparsi ovunque, pronti a immortalare sul video il concerto.
Il primo a riprendersi dallo stupore fu Robert, che si fece largo in mezzo ai suoi compagni e si diresse verso i gradini che conducevano al palco, le lunghe code del frac che svolazzavano dietro le sue gambe. Gli altri sette gli andarono dietro. Alcune delle ragazze nelle prime file li videro e cominciarono a schiamazzare, urlando i loro nomi. Tutti alzarono la mano destra in un cenno di saluto, tranne Peter, che la portò alla sua chioma per controllare che fosse ancora tutto a posto.
Dick Clark, il conduttore dello speciale televisivo, si fece loro incontro accogliendoli con strette di mano e pacche sulle spalle.
«Allora, avete già pensato alla scaletta di pezzi da proporre?», chiese, spostando lo sguardo su tutti e otto i visi.
I ragazzi si scambiarono occhiate imbarazzate: in effetti, non ci avevano proprio pensato.
«Dovete tenere conto che il programma durerà all'incirca due ore e mezzo, ma non dovrete suonare sempre e soltanto voi. Durante il corso della serata vi alternerete ad altri ospiti, e allo scattare della mezzanotte suonerete tutti insieme», aggiunse Dick, un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
I membri dei Chicago si riunirono attorno al pianoforte bianco a coda e si misero a discutere su quali canzoni presentare.
«Io direi di cominciare con “Introduction”, come abbiamo sempre fatto», disse Terry, cercando di allentarsi il farfallino che stava iniziando a strozzarlo. «Dannato papillon...», borbottò a denti stretti passandosi due dita tra il collo e il colletto della camicia.
«Assolutamente no», replicò James. «Sono otto anni che attacchiamo con quella canzone e in tutto questo tempo, di concerti, ne abbiamo fatti 916. Direi che ormai dovremmo esserci presentati abbastanza!».
«E poi, secondo me quella canzone non è adatta per un veglione di Capodanno», aggiunse Peter, sempre intento a controllare i suoi capelli.
«Ah no? E allora, secondo te, quali canzoni sarebbero adatte?», chiese Terry, ancora alle prese con il farfallino troppo stretto.
«Qualche canzone romantica, come “Wishing you were here”, ad esempio», rispose il bassista.
«E certo! Ti pareva che non tiravi fuori un tuo cavallo di battaglia?», disse Lee, sarcastico. «Suoniamo piuttosto “Song of the evergreens”. Parla di inverno e di neve, ed è malinconica...».
«Ed è l'unica canzone che canti tu, vorrai dire», lo interruppe Robert, sistemando il garofano all'occhiello del suo frac. A lui era toccato il più grande di tutti ed era talmente voluminoso che non riusciva a farlo stare al suo posto. «Lo sappiamo tutti che vuoi metterti in mostra, ma il problema è che, lasciatelo dire, non sai cantare. Sullo strombettare non abbiamo niente da eccepire», aggiunse il tastierista schiacciando il povero fiore, «ma sul canto... non è proprio cosa adatta a te».
Lee intrecciò le braccia sul petto e si voltò dall'altra parte, offeso. «Canti bene solo tu, allora...».
«Se allo scoccare della mezzanotte dovremo suonare tutti insieme con gli altri ospiti, forse sarebbe meglio optare per “Mongonucleosis”, in quel momento. Visto che è solo strumentale, tutti gli altri potranno suonare le maracas, o altre percussioni», suggerì Laudir.
«Sì... così ci sarà talmente tanto fracasso da non capire più niente...», borbottò a mezza voce Danny.
Nessuno, però, sollevò altre obiezioni, così “Mongonucleosis” divenne la prima canzone riportata sulla scaletta.
Dopo che Walter, che aveva ripreso a fischiettare “Deck the halls”, ebbe finito di trascrivere il titolo sul foglio che Dick Clark aveva fornito loro, la discussione riprese.
«Perché non inseriamo una canzone del nuovo album che stiamo registrando?», propose James. «Così ci facciamo un po' di pubblicità senza spendere un cent».
Tutti approvarono l'idea.
«Quale cantiamo, allora?», chiese Robert. «“Harry Truman”?».
«Non credo sia il caso di nominare un vecchio presidente a un veglione», brontolò Terry, ma tutti gli altri furono d'accordo con Bobby così Walter, fischiettando allegramente il solito motivetto natalizio, aggiunse il nuovo titolo sul foglio.
«Mi rifiuto di cantarla», aggiunse il chitarrista, incrociando le braccia sul petto e voltando la schiena al pianoforte.
«Tanto mica la canti tu. Sono io la voce principale di quella canzone», replicò il tastierista, stringendosi nelle spalle.
«Che ne dite se suonassimo anche “Old days”?», aggiunse James, nominando una delle sue nuove canzoni previste per il loro prossimo album, Chicago VIII.
«Oh no, quella proprio no!», esclamò Peter, smettendo finalmente di tormentarsi i capelli. «Il testo è troppo banale! E poi, io neanche lo guardavo Howdy Doody».
«Io invece sì, e mi piaceva anche un sacco!», sbottò il trombonista. «Non mi vergogno certo della mia infanzia!».
«Me ne vergogno io, visto che tocca a me cantarla, quella scemenza».
«Allora me la canto da solo, va bene?».
«Per carità! Vuoi far scappare tutti dallo studio!?».
Peter e James si lanciarono occhiate di fuoco da una parte all'altra del pianoforte, finché Robert non fece, con le mani a T, il segno del time out.
«Calma ragazzi, calma. Facciamo una votazione. Chi è favorevole a inserire “Old days” nella scaletta, alzi la mano».
Tutte quante le destre, tranne quella di Peter, scattarono in aria. Il bassista imprecò a mezza voce prima di replicare: «Va bene, canterò quella cretinata. Però, allora, faremo anche “Wishing you were here”!».
«D'accordo», disse James. «Che poi non capisco nemmeno perché tu ti ci incaponisca così tanto. L'hai scritta tu, ma neanche la canti!».
«Solo perché quando sono arrivato in studio voi l'avevate già registrata, con una tonalità così bassa che solo Terry poteva arrivarci», replicò Peter, rosso in faccia e con gli occhi sgranati. «Secondo me l'avete fatto apposta!». *(7
«Povero Belli Capelli, solo e bistrattato da tutti», lo canzonò il chitarrista facendo una faccia buffa. Il biondo fece per replicare, ma Robert fece ancora una volta il segno del time out. *(8
Senza smettere di fischiettare, Walter aggiunse le due canzoni alla lista.
La discussione durò ancora a lungo, perché ognuno di loro voleva proporre una canzone che, per un motivo o per l'altro, non piaceva agli altri. Alla fine, pressati da Dick Clark che batteva il piede a terra con impazienza puntando l'indice sul quadrante dell'orologio a più riprese, scelsero delle canzoni a caso che Walter riportò diligentemente sul foglio, le note della melodia natalizia che ancora gli sfuggivano dalle labbra.
«Scusi, signor Clark, ma quand'è che arriva Olivia Newton-John?», chiese Lee, guardandosi attorno nella speranza di vederla spuntare, magari, da dietro qualche telecamera mentre il presentatore consultava la lista di canzoni con occhio critico.
«La signora Newton-John ha già registrato la sua parte di spettacolo, ma comunque, come vi dicevo prima, suonerete tutti insieme la canzone che verrà trasmessa subito dopo la mezzanotte. A proposito, qual è?», chiese Dick, indicando il foglio che aveva in mano.
«“Mongonucleosis”», risposero in coro i Chicago, e l'uomo scosse la testa.
«Ma figurati se questi devono cantare una canzone che si intitola come una malattia virale...», borbottò allontanandosi e scomparendo dietro le quinte.
Il pubblico presente nello studio, nel frattempo, si era tutto seduto ai tavoli e aspettava composto che il concerto cominciasse, con i cappellini da festa sulle ventitré. Nascosto in un angolo in penombra, un assistente di studio teneva a portata di mano alcuni cartelli su cui era scritto “applausi”, “ballate” e “grida isteriche”.
I ragazzi si allontanarono dal pianoforte e fecero per sistemarsi dietro ai microfoni ma Peter, che continuava ad alzare le braccia in continuazione tastandosi i capelli per controllare la loro tenuta, si ritrovò impigliato, con il grosso anello che indossava all'anulare della mano sinistra, alle code del frac di Danny.
«Ehi!», esclamò il batterista. «Che fai, mi vuoi spogliare?».
Peter tentò di liberare il monile dall'orlo dell'abito dell'amico, con l'unico risultato di scucirglielo.
«Ecco, adesso ho una coda tutta sfilacciata!», borbottò ancora Danny. «Vorrei tanto sapere perché non ti togli quel dannato anello da finocchio. E tu smettila di fischiettare quella cazzo di canzoncina, mi hai fatto venire il latte alle ginocchia!».
Walter, che stava passando loro accanto fischiettando per l'ennesima volta il ritornello di “Deck the halls”, chiuse la bocca di scatto.
Un grosso orologio digitale, appeso alla parete dello studio sovrastante il palco, segnava le dieci di sera ed era fermo. Non appena le telecamere iniziarono a riprendere e Dick Clark fece il suo ritorno sul palco, i secondi cominciarono a scattare.
Lee guardò il suo orologio: erano le quattro e venti di pomeriggio e dovevano fingere che fosse sera inoltrata. Non ebbe tempo di riflettere oltre. Il presentatore aveva appena finito di salutare il pubblico in studio e quello a casa, e Danny diede l'attacco per la loro prima canzone.

 

I ragazzi non si erano mai sentiti più a disagio di così. Le comparse che formavano il pubblico in studio parevano essere tanti piccoli automi, che si alzavano a ballare e si mettevano a sedere in base alle indicazioni del gobbo che mostrava loro i cartelloni. In più, l'orologio che li sovrastava sul palco – e che segnava un'ora totalmente diversa da quella in cui si trovavano realmente – li faceva sentire spaesati. Erano le undici di sera o le cinque e mezzo di pomeriggio?
Al momento di suonare “Wishing you were here”, Dick Clark annunciò la pubblicità per dare il tempo ai Beach Boys, che dovevano cantare nella parte corale, di fare il loro ingresso in scena.
Terry si avvicinò a Peter e gli chiese di dargli il suo strumento. In quella canzone, infatti, i loro ruoli erano invertiti: Peter suonava la chitarra acustica e Terry il basso.
Il biondo fissò prima l'imponente chitarrista poi il proprio strumento, stringendo infine quest'ultimo in un abbraccio protettivo.
«Perché non ti sei portato il tuo?», chiese, tentando di nascondere il basso alla vista di Terry.
«Semplicemente perché non sapevo che avremmo suonato questa canzone».
«Fattelo prestare da qualcun altro!».
«E da chi, da qualcuno nel pubblico?», chiese Terry, ironico. «Non credo ci sia molta gente, qui dentro, che vada in giro con un basso in tasca. Dai, Belli Capelli, dammi qua!». Si allungò e afferrò lo strumento per la tastiera, ma Peter non mollò la presa.
«No, che poi me lo sporchi!», gridò isterico il biondo, strattonando il basso.
I due ingaggiarono una sorta di tiro alla fune che durò per alcuni istanti, finché Terry non indicò la chioma di Peter.
«Attento, i tuoi capelli si stanno scompigliando».
«Dove, dove?!», urlò con un stridio acuto il bassista, mollando la presa sullo strumento e portando le mani alla testa per proteggere il suo amato caschetto.
«Te l'ho fatta, babbeo!», esclamò Terry, voltandogli la schiena e sganciando un altro squassante peto pestilenziale.
«Terry!», esclamò Peter, colpito in pieno dal fetore. «Ma tu hai l'intestino in putrefazione!».
«No, ho semplicemente mangiato del chili, a pranzo».

 

Al termine di “Wishing you were here” i Beach Boys si eclissarono, lasciando di nuovo il posto a Lee, James e Walter. Il sassofonista aveva ripreso a fischiettare “Deck the halls” dietro le quinte, in maniera tanto insistente da beccarsi sia un calcio negli stinchi da parte di Lee, sia la coulisse del trombone di James in testa. Quando risalì sul palco stava ancora sfregandosi vigorosamente la nuca e la gamba alternativamente, lanciando occhiatacce a entrambi i suoi compagni della sezione fiati.
Era giunto il momento di eseguire “Harry Truman”. Robert si sistemò al pianoforte abbandonando temporaneamente le sue tastiere, mentre Peter corse a recuperare il suo basso, carezzandolo dolcemente e sussurrandogli paroline di conforto.
Terry, che non aveva nessuna intenzione di partecipare all'esecuzione del pezzo, scese velocemente dal palco e andò dall'assistente di studio, facendosi dare alcuni cartelloni bianchi e un pennarello nero. Altrettanto rapidamente tornò sullo stage e, appoggiandosi sulla coda del pianoforte, si mise freneticamente a scrivere sui fogli.
«Si può sapere che cazzo fai?», chiese Robert, alzandosi dal panchetto per vedere meglio.
«Mi preparo per la canzone», rispose semplicemente il chitarrista.
Il tastierista attaccò a suonare che Terry non aveva ancora finito di scrivere. Ma quando prese a intonare i primi versi, il chitarrista si piazzò al centro del palco mostrando i cartelloni appena ultimati – che riportavano il testo della canzone – indicando col dito le varie parole mano a mano che Robert le pronunciava. Una volta esaurita la prima pagina, Terry fece volare via il foglio alle proprie spalle per proseguire con quello successivo. *(9
Abituato agli ordini del gobbo, il pubblico obbedì prontamente alla richiesta implicita del chitarrista e tutti, più o meno bene, si misero a cantare la canzone, per poi scattare alla richiesta di applausi da parte dell'assistente di studio al termine dell'esibizione.
«E brave le mie marionette!», esclamò Terry liberandosi dell'ultimo cartellone e applaudendo sarcastico. Non aveva mai visto un pubblico più legnoso di quello. Va bene che sarebbero andati in televisione, ma così si esagerava!

 

Venne finalmente il momento tanto atteso: mancavano pochi minuti alla finta mezzanotte, giusto il tempo di eseguire una canzone prima del count-down.
Con grande disappunto di Peter, Danny diede l'attacco per “Old days”. Terry prese a strimpellare la sua Telecaster con foga eccessiva, tanto per infastidire ancora di più il bassista, che gli lanciò un'occhiataccia prima di accostare le labbra al microfono e mettersi a cantare, tenendo la bocca semichiusa approfittandosi del suo handicap e biascicando a malapena le parole, tanto da renderle quasi incomprensibili. *(10
Questa volta fu James a lanciare un'occhiata torva al bassista che stava così maltrattando la sua canzone. Se fosse stato più vicino, gli avrebbe mandato la coulisse del trombone tra quel suo dannato casco d'oro di capelli, scompigliandoglielo tutto. Si ripromise di farlo alla prima occasione.
Al termine dell'esibizione, dopo che l'assistente di studio ebbe calato il cartellone “applausi” e il pubblico si fu quietato, mancava meno di un minuto all'ora X. Peter, atteggiandosi a presentatore e muovendo mani e corpo come fosse stato in preda al ballo di San Vito, annunciò il conto alla rovescia.
«Siamo arrivati a meno di un minuto dalla mezzanotte. E ora, con Danny ad accompagnarci, contiamo i secondi che mancano all'arrivo del nuovo anno, ok? Forza, Danny, rullo di tamburi!»
Il batterista, con lo sguardo fisso al display appeso alla parete per essere sicuro di non perdere neanche un secondo, cominciò a far rullare i tamburi, mentre le comparse del pubblico iniziarono diligentemente a contare alla rovescia a partire da venti. Allo scattare della mezzanotte Danny batté le bacchette sui piatti e, all'apparire del cartello “grida isteriche”, la folla nello studio si scatenò, suonando trombette di cartone e lingue di Menelik, mentre una pioggia di palloncini colorati, coriandoli e stelle filanti cadeva dal soffitto. *(11
Approfittando della confusione, mentre Terry e Danny combattevano tra di loro con le loro trombette a mo' di spade, James si piazzò alle spalle del bassista e gli soffiò sulla nuca la nota più bassa in grado di essere emessa dal trombone, ficcandogli – come promesso – la coulisse tra i capelli. Peter, già intento a smanacciare via i palloncini che minacciavano di finirgli sulla testa e di spettinarlo irreparabilmente, non si aspettava certo quell'attacco da dietro e, con un grido, corse via andando a ripararsi sotto il pianoforte.
Lee e James scoppiarono a ridere, mentre Walter accennava, col suo sassofono, qualche nota di “Deck the halls”. Laudir, che non ne poteva più di sentire quella canzoncina, gli ficcò una maraca dentro la campana dello strumento, mettendolo a tacere.
Mentre i palloncini continuavano a volare in ogni direzione, con Peter sempre nascosto sotto il pianoforte, gli altri ospiti della serata fecero il loro ingresso sul palco. Olivia Newton-John si piazzò accanto a Terry, che fece la linguaccia a Lee perché la donna aveva scelto lui e non il trombettista.
All'improvviso Danny diede l'attacco e, come voleva la tradizione, tutti iniziarono a cantare “Auld lang syne”, la canzone che tutti consideravano tipica della vigilia di Capodanno. Peter recuperò di corsa la sua posizione, dimenticando gli screzi con James; Walter restituì la maraca a Laudir con un sorriso, abbandonando l'idea di tirargliela in testa; Terry abbracciò Olivia forse con foga un po' troppo eccessiva, ma senza che lei presentasse rimostrante e, per la prima volta da quando era iniziata la registrazione, il pubblico non ebbe bisogno di seguire un cartellone per sapere cosa fare. *(12
Finiti gli applausi e le grida, venne il momento di attaccare “Mongonucleosis”. Tutti i musicisti sul palco si misero a suonare mentre i Beach Boys improvvisarono un balletto molto simile al can-can. Il pubblico si scatenò alla vista del cartello “ballate”, mentre il clima di euforia generale raggiungeva il culmine.
Al termine della canzone, tutti i Chicago a turno si piazzarono davanti al microfono e si presentarono, augurando felice anno nuovo ai telespettatori. Terry rimase per ultimo e quando toccò a lui, per fare dispetto a Lee che continuava a invidiarlo perché Olivia Newton-John gli era rimasta accanto a suonare le maracas per tutto il tempo dell'esibizione, invece di augurare buon anno si lanciò in una scherzosa dichiarazione d'amore.
«Salve a tutti, sono Terry Kath. E dimmi, Olivia...», disse, voltando il viso alternativamente verso di lei e verso la telecamera. «Può una semplice ragazza di una piccola città inglese trovare la felicità con lo scapolo americano più bello... volevo dire più adatto... me, ovviamente? Non devi rispondere subito...». *(13
Guardò la giovane donna bionda inarcando ripetutamente le sopracciglia, ammiccando in maniera inequivocabile e ignorando platealmente i fulmini e le saette che Lee gli stava inviando con gli occhi.
Olivia non rispose, ma lo sguardo che gli lanciò in risposta fu più che eloquente. Terry si era guadagnato una scopata facile per chiudere al meglio quella giornata delirante.
La registrazione dello speciale televisivo stava giungendo al termine, giusto il tempo di chiudere il concerto con un'ultima canzone: “Dialogue”. Quando i Chicago terminarono la loro esibizione, il display alla parete segnava mezzanotte e mezzo, mentre in realtà erano ancora le diciannove e i ragazzi cominciavano a morire di fame. *(14
Sbrigati velocemente i saluti e i ringraziamenti di rito, i membri della band scesero dal palco e ripresero la strada per i camerini. Prima di riuscire a lasciare lo studio, però, alcune delle ragazze del pubblico, che parevano essersi finalmente svegliate dalla loro condizione di marionette telecomandate, si avventarono letteralmente su di loro. Una brunetta si aggrappò a Terry blaterando parole sconnesse, forse per via di tutto l'alcool che aveva dovuto tracannare ogni volta che la telecamera l'aveva inquadrata, e il chitarrista le fece cenno col dito che si sarebbero visti più tardi, ammiccando ancora una volta con le sopracciglia.
«Ma non devi già spassartela con la Newton-John?», chiese Robert, sorridendo imbarazzato alla biondina che lo tirava per le code del frac cercando di convincerlo a fermarsi.
«E allora? Guarda che uno stallone come me ne può soddisfare fino a dieci per notte!», replicò Terry, mollando l'ennesimo peto della serata.
«Specialmente quando hai mangiato il chili», rispose ridendo James mentre Peter, gridando istericamente, correva loro accanto cercando di sfuggire alla rossa che gli aveva ficcato le mani tra i capelli.

 

Diciannove giorni dopo, tutta la band al completo si ritrovò a casa di Walter, che era la più spaziosa, per guardare in televisione lo speciale “La spumeggiante vigilia di Capodanno dei Chicago”. Seduti davanti allo schermo sull'enorme divano del sassofonista, con ciotole colme di pop-corn e patatine a loro disposizione sul basso tavolinetto da fumo, i ragazzi si apprestarono a festeggiare, per la seconda volta, l'arrivo del nuovo anno.
«Certo, però, che l'avresti potuta cantare anche meglio, “Old days”!», si lamentò James quando arrivarono a quel punto della registrazione.
«Sai com'è...», replicò Peter ficcandosi in bocca una manciata di pop-corn e stando bene attento a non spettinarsi. «La mandibola mi faceva male da morire, quel pomeriggio», e con gesti lenti e misurati si carezzò la cicatrice sotto il mento.
«Forse un'aggiustatina ti farebbe bene, una volta ogni tanto...», bofonchiò il trombonista sfregandosi le nocche.
«Calmi, adesso. È quasi mezzanotte!», esclamò Robert, afferrando una bottiglia di champagne e iniziando a slacciare la gabbietta di metallo che bloccava il tappo.
«Per davvero, questa volta», commentò Danny. «Dovevo tenere gli occhi incollati su quel dannato display per riuscire a ricordare che cazzo di ora dovevo fingere che fosse».
Al termine del conto alla rovescia Robert fece partire il tappo, che evitò per un soffio il lampadario andando poi a finire in una delle ciotole di pop-corn, e versò lo champagne nei bicchieri. I ragazzi brindarono al loro successo e a un felice anno nuovo.
«Ehi, Terry, com'è andata poi la serata con la Newton-John», chiese Walter mentre in TV scorrevano le immagini della sua dichiarazione. Tutti aguzzarono le orecchie curiosi di sentire il resoconto del chitarrista, Lee con un pizzico di gelosia.
«Male», replicò il ragazzone scolando il bicchiere. «Quando siamo stati sul più bello ho sganciato uno scorreggione talmente potente che ho impestato tutta la camera d'albergo. Lei ha cominciato a gridare, si è rivestita ed è scappata via di corsa».
«E tu che hai fatto?», chiese Peter, mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere.
«Ho aperto le finestre per dare aria alla stanza e poi me ne sono andato anch'io. Non avevo mica voglia di stare ad annusare le mie flatulenze!».
«A proposito...», balbettò Laudir dopo che ebbero smesso di sghignazzare. «Terry, mi puoi spiegare perché, per tutta la durata della trasmissione, quando non dovevi cantare hai suonato voltando il posteriore alla telecamera?». *(15
«Perché quello è il mio lato migliore!», rispose il chitarrista, con l'espressione da “mi pare una cosa ovvia”.
«Certo! Soprattutto quando hai mangiato il chili a pranzo!», esclamò James, facendo scoppiare di nuovo tutti a ridere.
Placato il secondo accesso di risa, Walter si alzò in piedi e andò a prendere il suo sassofono.
«Che fai?», chiese Lee, guardandolo interrogativamente.
Il ragazzo non rispose, ma prese a suonare “Deck the halls”. Il trombettista si sbatté la mano sulla faccia, sgomento, ma tutti gli altri ripresero le note della canzone e si misero a cantarla.
«Deck the halls with boughs of holly, fa la la la la, la la la la», intonarono tutti insieme. E mentre fuori, nel cielo nero di Los Angeles, esplodevano i fuochi di artificio, gli otto ragazzi si abbracciarono, augurandosi ancora una volta un felice anno nuovo.

 

 

Fine

 

 

 

Spazio autrice:

Innanzi tutto ringrazio Soul_Dolmayan e Carmaux_95 per aver indetto il contest.
Mi sono divertita molto a scrivere questa storia, che forse non sarà molto originale perché ho semplicemente rivisto in chiave comica questo speciale televisivo, però spero comunque che sia gradita da chi la leggerà.
Spero anche di non aver reso troppo odiosa “Deck the halls”.
Terry, ovunque tu sia, ti prego, perdonami! Ti ho fatto passare per un petomane! Ma quel tuo rutto in “Liberation” era talmente forte da non poter non ispirarmi.
Vi lascio alle note numerate che avete trovato nel testo:
*(1: “
Deck the halls” è una tradizionale e allegra canzone di Natale di origine inglese, anche se secondo alcuni il testo ha avuto origine negli Stati Uniti; mentre la melodia è tratta da una canzone tradizionale gallese. (Fonte: Wikipedia). Potete sentirla qui: https://www.youtube.com/watch?v=RPCXMTnO2Yw
*(2: Come racconta nella sua autobiografia “Street Player – A Chicago story”, Danny Seraphine ha iniziato a perdere i capelli da giovanissimo, e questo fatto è stato per lui uno dei crucci più grandi della sua vita.
*(3: Nel corso della sua (purtroppo breve) vita, Terry Kath ha alternato momenti in cui era perfettamente sbarbato ad altri in cui aveva la faccia più pelosa di un orso. La storia dell'allergia ai crostacei è una mia licenza poetica.
*(4: Il “Dick Clark's New Year's Rockin' Eve (o “La spumeggiante vigilia di Capodanno di Dick Clark”, come l'ho tradotto io) è uno speciale televisivo annuale trasmesso per la vigilia di Capodanno, che va in onda negli Stati Uniti a partire dal Capodanno del 1973 (un po' come il nostro “L'anno che verrà”). Per i primi due anni è stato trasmesso dalla NBC, per poi essere trasferito sulla ABC, e veniva registrato negli studi della Metro-Goldwyn-Mayer di Los Angeles. Lo speciale del 1975 (trasmesso il 31 dicembre 1974) è stato ribattezzato il “Chicago's New Year's Rockin' Eve”, proprio perché i Chicago furono i protagonisti principali dello speciale con un loro concerto. In realtà è stato registrato nel mese di novembre del 1974, ma io ho messo all'inizio la data “12 dicembre” in quanto è la data di riferimento per il contest a cui questa storia partecipa.
*(5: Una delle chitarre preferite di Terry, da lui personalmente modificata, e che ha usato principalmente negli ultimi anni della sua vita, è una Fender Telecaster letteralmente ricoperta di adesivi, sia degli amplificatori portatili “Pignose” (di cui il chitarrista era il Co-fondatore e possedeva una quota aziendale), sia della sua squadra di hockey su ghiaccio preferita, i Chicago Blackhawks.
*(6: Anche questo è un aneddoto raccontato da Danny Seraphine nella sua autobiografia. Una sera, dopo un concerto in cui i Chicago – gruppo ancora esordiente – avevano suonato come spalla di Janis Joplin e della sua band, la cantante fece irruzione nel loro camerino e si mise a flirtare con tutti e sette (all'epoca Laudir non faceva ancora parte del gruppo). Danny ricorda che quella donna “era in grado di farti sentire al centro dell'attenzione, come se tu fossi proprio quello che lei desiderava”. Soltanto uno di loro ebbe il coraggio di accettare le sue avance, e la mattina dopo tornò dai suoi compagni completamente coperto di graffi su tutto il corpo. In realtà, il batterista non dice chi tra i suoi compagni abbia avuto quel “privilegio”: ammette solo di non avere avuto il coraggio di essersi mosso per primo. Ho immaginato che si sia trattato di Walter semplicemente perché, all'epoca in cui successe questo “incontro/scontro”, lui era l'unico già sposato con la sua attuale moglie, e quindi forse Danny ha voluto rispettare la sua privacy.
*(7: Invece di fare una marea di note per ogni canzone citata, ho deciso di raggrupparle tutte insieme.

Introduction” è, come detto nel testo, la prima canzone del loro primo album: “Chicago Transit Authority”. Come dice appunto il titolo, in questa canzone i Chicago si presentano, e per questo erano soliti suonarla sempre per prima, durante i live. Il conteggio dei concerti fatti fino a quel momento è tratto da un sito internet (questo: https://www.setlist.fm/stats/concert-map/chicago-63d6be7b.html?year=1977), in cui sono elencati tutti i loro concerti anno per anno.
Wishing you were here” è tratta dall'album Chicago VII, uscito nel 1974. È stata composta da Peter in riva al mare durante una notte in cui non riusciva a dormire e, nel suo intento, doveva esserne il cantante. Quando fu registrata in studio per la prima volta, però, lui non era presente e l'intonazione strumentale risultò talmente bassa che né lui né Robert poterono arrivarci. Solo Terry fu in grado di cantarla, lasciando a Peter soltanto una piccola parte. I cori di questa canzone sono stati cantati dai Beach Boys e i ruoli di Peter e Terry sono invertiti: il primo suona la chitarra acustica e il secondo il basso. Qui il video della canzone tratto dallo speciale televisivo: https://www.youtube.com/watch?v=1mds4NgOB1Q
Song of the evergreens” è tratta sempre dall'album Chicago VII e, all'epoca, era l'unica canzone cantata da Lee Loughnane. In seguito ne canterà un altra: “Together again” dell'album Chicago X. Purtroppo le sue doti vocali non sono così esaltanti, secondo alcuni. A mio giudizio, se questa canzone (che adoro) fosse stata cantata da Terry, sarebbe stata diecimila volte migliore.
Mongonucleosis” è una canzone prettamente strumentale, tratta ancora da Chicago VII. Qui il video della canzone tratto dallo speciale televisivo: https://www.youtube.com/watch?v=MCVlLqiRzO4
Harry Truman” è una canzone dedicata all'ex presidente degli Stati Uniti, composta e cantata da Robert Lamm e uscita nell'album Chicago VIII della primavera del 1975. Quindi ancora inedita al momento della registrazione dello spettacolo. Qui il video tratto dallo speciale: https://vimeo.com/62755293
Old days” è tratta anch'essa da Chicago VIII, e quindi ancora inedita alla fine del 1974. È stata composta da James Pankow ed è dedicata ai bei tempi andati della sua infanzia, in cui guardava “Howdy Doody”, un programma televisivo per bambini con protagonista un pupazzo animato da un ventriloquo. Ben presto, i Chicago smisero di eseguirla live, in quanto Peter iniziò a rifiutarsi di cantarla, considerandola appunto “banale”. James ha composto moltissime canzoni, ma in tutta la sua carriera ne ha cantata solamente una: “You are on my mind” dell'album Chicago X, perché non si è mai ritenuto un bravo cantante. Qui il video tratto dallo speciale televisivo: https://www.youtube.com/watch?v=eKrBwuQLa3A
*(8: “Belli Capelli” è un soprannome che ho già usato in un'altra mia storia (“
Together again, my friendhttps://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3856050&i=1), sempre riferito a Peter e sempre usato da Terry. Se avete guardato almeno uno dei video che vi ho proposto, forse avrete notato come la chioma del bassista sembri sempre muoversi all'unisono con lui: da qui la mia ironia sul suo amore per i propri capelli, che è totalmente mia licenza poetica.
*(9: Al termine del video di “Harry Truman” che vi ho indicato, si può vedere Terry che fa il “gobbo”, mostrando a tutti il testo della canzone su cartelloni.
*(10: Se guardate il video che vi ho suggerito, pare proprio che Peter tenga la bocca più chiusa del normale. L'handicap a cui faccio riferimento riguarda un incidente avvenutogli alla fine degli anni '60 quando, durante una partita di baseball, quattro marines scatenarono con lui una rissa (solo perché era capellone) e con un pugno gli fratturarono la mandibola in tre punti. Da allora è stato costretto a cantare a bocca semichiusa, dando origine al suo falsetto che lo ha sempre caratterizzato.
*(11: All'inizio del video di “Mongonucleosis” avviene appunto questa scena. Ho cercato di tradurre le parole di Peter più alla lettera possibile, ma in alcuni punti non ho capito bene quello che dice, così ho improvvisato.
*(12: “Auld lang syne”, nota in Italia come “Il valzer delle candele” o “Il canto dell'addio”, è una canzone tradizionale scozzese diffusissima nei paesi di lingua inglese, dove viene cantata soprattutto nella notte di Capodanno per dare l'addio al vecchio anno, o in occasione di congedi, separazioni e addii. Il testo della canzone è un invito a ricordare con gratitudine i vecchi amici e il tempo lieto passato insieme a loro. (Fonte: Wikipedia). Potete sentirla qui: https://www.youtube.com/watch?v=eG3afAIi6IQ
*(13: Al termine del video di “Mongonucleosis” si vede appunto questa scenetta, in cui Terry chiede a Olivia di sposarlo. La traduzione che ho fatto dovrebbe essere piuttosto accurata, perché il buon chitarrista parla molto più chiaramente di Peter.
*(14: “Dialogue” è una canzone suddivisa in due parti, tratta dall'album Chicago V, in cui Terry e Peter interpretano due ragazzi: il primo preoccupato per tutto quello che sta succedendo (guerra in Vietnam eccetera), mentre il secondo dice che va tutto bene.
*(15: In tutti i video di concerti dei Chicago che ho visto, e non soltanto durante lo speciale di Capodanno, Terry è solito suonare rivolto verso Danny. Il batterista, nella sua autobiografia, spiega che, a quel modo, riuscivano a coordinarsi alla perfezione diventando una specie di tutt'uno. Lui, Terry e Peter sono sempre stati grandissimi amici.
Vi ringrazio per essere arrivati sin qui!

 
  
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